1 luglio 2011

I cristiani del futuro: mistici e interreligiosi. L’esperienza di un «cristiano buddhista»


Roma - ADISTA. Se «la fedeltà alla Bibbia e al magistero della chiesa non è principalmente una questione di parole» - se, cioè, l’ortoprassi è davvero più importante dell’ortodossia - allora è assai probabile che una nuova definizione di una tradizionale verità di fede in grado di consentire una più profonda adesione al Vangelo possa essere considerata come una “reinterpretazione” fedele, ortodossa, di quella verità di fede, «indipendentemente dalla differenza sul piano terminologico». E indipendentemente anche dal fatto che tale nuova definizione possa nascere dal dialogo con un’altra tradizione religiosa. È qui, nel «tentativo di distinguere tra una nuova concezione della fede intesa come reinterpretazione o, invece, come rifiuto della fede stessa», che si sviluppa l’avventura spirituale del teologo statunitense Paul Knitter, uno dei massimi rappresentati della Teologia del pluralismo religioso, così come egli stesso la racconta nel libro Senza Buddha non potrei essere cristiano, appena pubblicato dalla casa editrice Fazi (Roma, 2011, pp.320, euro 19), seconda uscita della collana di libera ricerca spirituale “Campo dei Fiori”, diretta da Elido Fazi insieme a Vito Mancuso (e inaugurata dal capolavoro dell’ex frate domenicano Matthew Fox In principio era la gioia, v. Adista n. 33/11). Si tratta della testimonianza, personale e avvincente, di chi ha attraversato la frontiera del buddhismo per abbracciarlo e poi l’ha riattraversata per tornare alla propria religione: «Il mio dialogo con il buddhismo – si chiede l’autore – mi ha reso un cristiano buddhista? O un buddhista cristiano? Sono un cristiano che ha capito più profondamente la propria identità con l’aiuto del buddhismo? O sono diventato un buddhista che conserva ancora delle vestigia cristiane?». In realtà, come sottolinea nell’Introduzione p. Luciano Mazzocchi, missionario saveriano e animatore del movimento Vangelo e Zen, «quando due tradizioni religiose si fondono al punto da divenire l’unica energia che fa vivere, allora non c’è più appartenenza alcuna. C’è solo l’uomo che cammina». E, nel caso di Knitter, un uomo che, sottolinea Mazzocchi, «ha compiuto un passo finora tentato solo da pochi: vestito della sua fede cattolica, ha emesso il voto buddhista del Bodhisattva, ossia ha promesso non voler entrare nella pace del nirvana finché tutti gli esseri non vi siano entrati».

È un cammino, quello che porta ad arricchire la propria spiritualità attraverso il dialogo con altre fedi, in un certo senso inevitabile: «L’uomo d’oggi – prosegue Mazzocchi – è più grande, più vasto, più profondo, più complesso, più maturo delle tradizionali risposte religiose e dei sistemi teologici in cui queste furono incasellate», giungendo a «sperimentare la verità come il suo modo di rapportarsi con l’anima che pervade il tutto», consapevole che nessuna religione è un punto d’arrivo, ma solo una segnaletica preziosa «lungo il percorso della storia umana».

È in questo quadro che si pone la lotta interiore condotta da Knitter rispetto agli «interrogativi sconcertanti e destabilizzanti» sulla natura di Dio, il ruolo di Gesù, il significato della salvezza: «Credo veramente quello che dico di credere, o quello che dovrei credere da membro della comunità cristiana?». Ed è proprio guardando «al di là dei confini tradizionali del cristianesimo» che il teologo è riuscito a trovare risposte più soddisfacenti e fruttuose alle sue domande: solo dopo aver «cominciato a prendere sul serio e a esplorare le Scritture di altre religioni» egli è stato in grado di capire più adeguatamente «cosa significhi il messaggio di Gesù nel mondo contemporaneo». E, tra le religioni, è stato il buddhismo a costituire una delle due risorse più utili (l’altra è teologia della liberazione) che gli hanno permesso di continuare a svolgere il suo compito personale di cristiano e di teologo, consentendogli di rivedere, reinterpretare e riaffermare le dottrine cristiane su Dio (capitoli 1-3), la vita dopo la morte (capitolo 4), Cristo come unico Figlio di Dio e Salvatore (capitolo 5), la preghiera e il culto (capitolo 6) e l’impegno per condurre il mondo verso la pace e la giustizia del Regno di Dio (capitolo7), nella consapevolezza che, come il teologo ammette nella Conclusione, «a fine giornata la casa dove torno è Gesù». E se, nel guardare indietro all’intera sua vita, Knitter non riesce a immaginarsi «di essere cristiano senza questo coinvolgimento con il buddhismo», è chiaro però che la sua «preoccupazione principale» è che «i geni teologici che trasmetto siano ancora cristiani, che la mia reinterpretazione del credo cristiano, per quanto davvero diversa, non sia totalmente diversa da ciò che è stato prima di essa». Che dunque «questo libro contribuisca a una buona teologia cristiana». E, insieme a tale preoccupazione, una convinzione e una speranza: «Credo e spero proprio che, se Karl Rahner ha ragione nel dire che i cristiani del futuro dovranno essere mistici, dovranno anche essere mistici interreligiosi».

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