28 febbraio 2015

Quaresima 2015


Settimana dal 1° al 7 marzo

Dagli Atti del CGXXIII n. 33
Di fronte alle numerose sfide che ci interpellano non basta un’analisi, ma è importante una conversione come segno di fedeltà a Dio e ai giovani. Don Bosco andava avanti come Dio lo ispirava e le circostanze esigevano. Un cambio di mentalità presuppone un rivedere i propri criteri di giudizio, la scala delle priorità, le proprie conoscenze. Un vero cambio porta a modi di agire diversi rispetto a quanto fatto finora.

Impegno
Considerare il mondo da prospettive differenti. Penetrare a fondo, senza paura, nella propria umanità e in quella degli altri e leggere con speranza la vita. Guardare al mondo dall’ottica delle periferie, con lo sguardo di Gesù, per leggere e capire i segni dei tempi. (Atti n. 33)

"Nosotros también somos humanos"

"Dio vive in città. Verso una nuova pastorale urbana"

Mons. Galantino, Guzmán Carriquiry, sr. Melone, Andrea Riccardi, padre Spadaro e don Costa presentano il libro di Carlos María Galli, edito da LEV

Si svolgerà martedì 3 marzo, alle 18, presso la Basilica di San Bartolomeo all’Isola, la presentazione del volume Dio vive in città – Verso una nuova pastorale urbana, del sacerdote e teologo argentino Carlos María Galli, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana.
Insieme all’autore, interverranno il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale italiana; Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina; suor Mary Melone, rettore della Pontificia Università Antonianum; Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio; padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”. L’incontro sarà coordinato da don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana.
Il volume offre una riflessione sulla vita pastorale nella realtà urbana, su come la Chiesa possa esistere e operare nella città globale. Il titolo, spiega Galli, “è tratto da un’affermazione del Documento di Aparecida”. “Questo testo – prosegue – affronta il tema dell’evangelizzazione delle città, in particolare di quelle con più di centomila abitanti. Considera soprattutto le megalopoli, una creazione della modernità, in particolare nel XX secolo. Espone l’inculturazione della Chiesa in grandi città come Buenos Aires, collocate per la maggior parte in paesi del sud del mondo e non solamente nelle società occidentali supermoderne del nord”.
Questa terza edizione del testo (dopo la prima pubblicazione nel 2011 e una sua rielaborazione nel 2012) è stata ripensata e si colloca oggi nel contesto dell’“impulso missionario del nuovo vescovo di Roma”, alla luce della Conferenza di Aparecida e del progetto missionario di Papa Francesco.
Il volume si articola in quattro parti, che lo stesso autore sintetizza così: “La prima sezione, ‘La Chiesa e la città’, offre una panoramica – storica, filosofica, biblica, culturale e pastorale – dei rapporti tra la Chiesa e la città. La seconda, ‘Dal Concilio Vaticano II ad Aparecida’, ricostruisce la memoria sul tema nella chiesa latinoamericana postconciliare. La terza, ‘La presenza di Dio nelle città’, interpreta il progetto missionario di Aparecida e va al nucleo teologale e cristocentrico della sua pastorale urbana: la fede in Dio che, in Gesù Cristo, è presente nelle case e nelle città. La quarta, ‘Conversione a una nuova pastorale urbana’, rende attuale la chiamata alla conversione spirituale e missionaria e indica alcune linee pastorali per evangelizzare la cultura urbana”.
Completano l’opera una serie di allegati che diffondono dei documenti latinoamericani sulla pastorale urbana, e tra di essi un’appendice che contiene i passaggi del capitolo sulla città dell’enciclica Lumen fidei, e la sezione sulla pastorale urbana dell’Evangelii gaudium.


26 febbraio 2015

Quaresima a Taiwan: annunciare il Vangelo difendendo i migranti

La situazione dei lavoratori immigrati nell'isola è durissima: diritti abusati, contratti violati, addirittura torture per le collaboratrici domestiche. Dopo anni di battaglie legali e culturali, la situazione va migliorando. La Chiesa e le sue emanazioni sociali "strumento per l'integrazione dei lavoratori". La storia di Mhike So, filippino, che lotta per dare giustizia anche a chi non ne ha.

Taipei - Mhike So lavora da anni a Taiwan con tantissimi immigrati dalle Filippine, Indonesia, Tailandia, Vietnam. Filippino, sposato a Taiwan, ha lavorato per anni alla Croce Rossa Internazionale ed è tuttora molto impegnato nella missione cattolica per la giustizia sociale. Egli aiuta molti lavoratori immigrati a rendersi conto dei propri diritti e nel farli valere davanti alla giustizia.
Gli chiediamo anzitutto cos'ha di speciale la situazione taiwanese per quanto riguarda i lavoratori immigrati a livello legislativo: "Il contratto minimo è di un anno, estendibile per un massimo di tre anni totali. Dopo tre anni, in seguito ad anni di lotta da parte delle Organizzazioni non governative, ora il contratto è estendibile fino a nove anni o addirittura dodici. Il problema è che se a colui che ti dà il lavoro non piaci, può licenziarti quando vuole. E l'altro problema sono le paghe 'tagliate', ossia i salari che molto spesso non sono rispettati. Abbiamo aperto per questo Rerum Novarum e Hope worker center che sono centri per la protezione dei diritti degli immigrati. Possono recarsi da noi e compilare i documenti legali di protesta da presentare in tribunale".
Quando stiliamo le proteste, spiega, "le portiamo dal giudice. Sono purtroppo solo quelli coraggiosi che vengono da noi. Protestare nella maggior parte dei casi significa essere rispediti a casa per cui non molti si arrischiano a farlo. Il giudice deve ovviamente decidere in base alle prove. Molti lavoratori non parlano bene cinese, le nostre Ong offrono avvocati e traduttori, oltre a un posto in cui vivere per il tempo in cui la causa si protrae.
Ora il governo dà aiuto economico alle Organizzazioni, ma all'inizio erano solo donazioni da parte della Chiesa cattolica, per quanto ci riguarda".
Vi sono anche centri per marinai che subiscono abusi: "Uno è lo Stella maris di Kaohsiung e Taichung, guidati rispettivamente da padre Popong e padre Loloy, entrambi filippini. All'Hope worker center abbiamo una direttrice filippina, un assistente sociale tailandese e uno taiwanese, e altre due assistenti filippine. Ci rivolgiamo ad avvocati del luogo, che spesso lavorano pro bono e ad avvocati stranieri, per esempio offerti dall'ufficio del Manila economic and cultural office".  
Il lavoro più duro, continua, "è quello di far arrivare coloro che sono abusati a denunciare alla giustizia chi li abusa. Perché bisogna anzitutto capire il funzionamento del 'mercato' dei lavoratori immigrati: esso è controllato dagli intermediari (brokers) che sono comunque legali, ma purtroppo spesso pagati in nero dai datori di lavoro per occultare abusi o 'avere sconti'. Gli intermediari sono collegati con le loro agenzie specializzate che svolgono tutta la burocrazia governativa. Purtroppo però molti lavoratori devono pagare quote anche in nero per poter venire a Taiwan. Se da un lato spingiamo per la denuncia degli abusi, dall'altra sappiamo che è comprensibile che non tutti vengono a galla perché i lavoratori, sporgendo denuncia, perdono automaticamente non solo il lavoro ma anche tutti i soldi investiti per il viaggio e per i documenti".
Ad esempio lo scorso anno un lavoratore filippino, col suo secondo contratto ha dovuto pagare non solo i 50mila pesos stabiliti dal contratto ma altri 30mila esorti dal broker, che altrimenti gli avrebbe impedito il rientro al suo vecchio posto di lavoro: "La legge taiwanese, per il secondo contratto, prevede in realtà anche un'assunzione diretta ma la procedura burocratica richiede ancora così tanti passaggi che il datore di lavoro preferisce fidarsi dell'intermediario, il quale però spesso approfitta della situazione per alzare il prezzo a suo proprio piacimento".
Secondo l'esperienza di Mhike, "è più facile compiere abusi nelle famiglie. Abbiamo avuto addirittura il caso di una ragazza indonesiana torturata dalla sua datrice di lavoro. Il caso in tribunale era così evidente che la datrice di lavoro è stata condannata a due anni di carcere".
Tuttavia, "non tutti gli immigrati lavorano in condizioni difficili: ci sono anche molti filippini insegnanti di inglese che vedono tutti i loro diritti rispettati e insegnano in scuole di diversi livelli. O lavoratori migranti che dopo anni di perfetto lavoro, grazie alla fiducia accordata dai datori di lavoro, raggiungono alti livelli nelle file degli operai in fabbrica e degli ingegneri".
Dal prossimo mese Mhike So lancerà un programma radiofonico per gli studenti taiwanesi alla National Chengqi University (國立政治大學) sul canale radio NCCU 88.7 FM in collaborazione con il Kuangchi Program Service (啟社). Saranno 18 puntate lungo l'intero semestre. Ci sono otto studenti nel team di produzione insieme a Mhike. Questi programmi sono pensati per sensibilizzare le nuove generazioni taiwanese ad essere attivi nella promozione dei diritti degli immigrati. Quest'anno le statistiche parlano di quattro gruppi predominanti di lavoratori migranti presenti a Taiwan: indonesiani (231,489), vietnamiti (152,543), filippini (112,505) e infine tailandesi (59,869).

Lateranense, l’«Erasmus della fede»: studenti partono per le «periferie»


Il numero da non dimenticare è il dodici. Come quello degli Apostoli, ma anche come quello dei mesi di durata dell’iniziativa. Il progetto si chiama "12xLui", ed è stato lanciato dalla Pastorale Universitaria della Pontificia Università Lateranense. Nei prossimi 12 mesi, 12 studenti partiranno per altrettanti luoghi di missione sparsi nei cinque continenti.
La particolarità dell’iniziativa è che nessuno di loro conoscerà in anticipo la destinazione del proprio impegno missionario. La proposta, infatti, si distingue per la disponibilità incondizionata richiesta ai partecipanti di aderire con fede e spirito di servizio all’iniziativa.
“Solo durante la cosiddetta "Messa di invio" – spiega il cappellano dell’Università don Mirko Integlia - i giovani in partenza vengono a sapere la loro destinazione che devono, appunto, accettare incondizionatamente in spirito di vero servizio. I luoghi di destinazione? Quelli delle periferie del mondo, tanto cari al cuore di papa Francesco”.
Il primo studente a partire sarà proprio il vice Direttore della Pastorale: Fabio Massimo Battaglia, di 24 anni, laureando nella facoltà di Diritto Civile. Proprio ieri, in una cappella Universitaria gremita di studenti, ha ascoltato trepidante il luogo in cui si recherà nel prossimo mese di aprile.
“Caro Fabio Massimo, il Signore Gesù ti invia a servire la comunità cristiana della diocesi di Trichur (India meridionale) sotto la guida dell’arcivescovo Andrews Thazhath” ha annunciato, al termine dell’omelia, Don Mirko, al quale abbiamo chiesto come saranno scelti e di cosa si occuperanno i giovani “missionari”: “La selezione avviene dopo un accurato percorso di discernimento e di preparazione con gli studenti laici della Pontificia Università Lateranense che chiedono di partecipare al progetto – dice don Mirko -  I ragazzi saranno impegnati in una attività di servizio e di evangelizzazione per un periodo breve o lungo, a seconda dei loro piani di studi e della intensità dei loro impegni accademici; utilizzeremo soprattutto i periodi estivi di vacanza”.
Ed è molto interessante sentire anche la testimonianza del giovane Fabio Massimo che spiega così le ragioni della sua scelta. "Ho sempre pensato di voler lasciare il mondo un po' migliore di quello che ho trovato, e questo è sicuramente un buon passo per contribuire a questo mio desiderio! Agire nel nostro piccolo, con umiltà ed impegno; mettersi in gioco, servire il prossimo senza pretese, incondizionatamente, essere sempre pronti a donare e non a possedere. Queste sono le caratteristiche fondamentali di questa scelta, in una società sempre più individualista è bello far parte di un progetto che mette al centro l'altro, un mio fratello: chiunque esso sia e ovunque si trovi”.
L’iniziativa “12XLui” è stata incoraggiata e sostenuta dal Rettore della Pontificia Università Lateranense, il vescovo Enrico dal Covolo per il quale tale esperienza missionaria è da considerare “altamente formativa per la coscienza personale e spirituale di ogni singolo studente. In particolare il “gioco” di accettare una missione a “sorpresa” educa i giovani alla gratuità dell’amore e alla spontaneità del gesto missionario. E l’azione svolta nei Paesi di destinazione raggiunge un duplice obiettivo: quello di portare una presenza di carità e di amore nelle cosiddette periferie dell’esistenza, e quella di rappresentare per ciascun giovane un momento di crescita indimenticabile e d’inestimabile valore”.
Niente male per un’iniziativa che non a caso è considerata da tutti i ragazzi un vero e proprio “Erasmus della fede”. 


25 febbraio 2015

Per un Islam privo di violenza

Dichiarazione dei rappresentanti degli studi di teologia islamica in Germania sugli attuali sviluppi politici nel Vicino Oriente, in occasione del congresso Orizzonti della teologia islamica presso la Goethe-Universität.

Siamo profondamente sgomenti per gli eventi in corso nel Vicino Oriente e per il terrore che il cosiddetto “Stato Islamico” (IS) esercita contro civili e prigionieri di qualsiasi fede. La violenza sinistra perpetrata dai membri di IS nega tutte le regole dell’umanità e le norme della civiltà, nella cui formazione anche l’Islam ha giocato un ruolo importante e di cui ha parte. Queste interpretazioni dell’Islam, che lo pervertono trasformandolo in un’ideologia arcaica dell’odio e della violenza, noi le rifiutiamo con decisione e le condanniamo nel modo più assoluto.
A fronte del numero crescente di giovani che in Europa aderiscono alle idee di IS e di altre formazioni estremiste, noi, come rappresentanti delle facoltà teologiche islamiche, siamo consapevoli della necessità e responsabilità di opporsi a tali interpretazioni dell’Islam proprio facendo riferimento alle tradizioni islamiche. L’autorità interpretativa nell’Islam non può essere consegnata a estremisti e violenti e in Germania essa deve svolgersi nella società, di cui fanno parte anche le università.
Noi ci adoperiamo, non da ultimo nel nostro lavoro universitario, per un Islam che alimenti un atteggiamento umanitario, privo di violenza, valorizzatore della pluralità e rispettoso di tutti gli uomini a prescindere dalle loro appartenenze. I conflitti attuali nel Vicino Oriente e anche in altre parti del mondo mostrano quanto rapidamente in circostanze socio politiche prive di prospettive possa svilupparsi una comprensione della religione centrata sulla violenza. Negli Stati europei retti da costituzioni democratico - liberali vediamo d’altra parte l’occasione di riallacciarci alla ricca eredità della tradizione religiosa e di storia delle idee propria dell’Islam e di aprirci all’incontro con altre prospettive, anche critiche. Pertanto i nostri studenti devono imparare a vedere nelle proprie risorse religiose altrettanti mezzi per formare una proficua convivenza e a contribuire creativamente al futuro della società tedesca. Questo obiettivo passa anche attraverso il riconoscimento dei musulmani come parte della Germania e l’azione decisa contro atteggiamenti, passati e più recenti, ostili all’Islam che rappresentano ostacoli su questa via.
Solo attraverso un confronto riflessivo con l’insegnamento e la prassi islamica in condizioni di libertà, la produzione di sapere e di norme islamiche potrà svincolarsi da situazioni di crisi e da contesti di repressioni politiche. E solo in questo modo si potranno trovare risposte proficue da parte dell’Islam alle sfide della convivenza globale. Di questo la libera produzione del sapere accademico nelle università tedesche è importante presupposto.

Francoforte sul Meno, 1 settembre 2014

Prof. Dr. Bekim Agai, direttore esecutivo dell’Istituto per lo studio della cultura e religione dell’Islam, Goethe-Universität Francoforte sul Meno

Prof. Dr. Maha El-Kaisy Friemuth, direttore esecutivo del Dipartimento di studi islamici religiosi, Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Norimberga

Prof. Dr. Mouhanad Khorchide, direttore esecutivo del Centro per la teologia islamica, Westfälische Wilhelms-Universität Münster

Prof. Dr. Yasar Sarikaya, docente di teologia islamica e didattica della teologia, Justus-Liebig-Universität Gießen

Prof. Dr. Erdal Toprakyaran, direttore esecutivo del Centro per la teologia islamica, Eerhard Karls Universität Tübingen

Prof. Dr. Bülent Ucar, direttore esecutivo dell’Istituto per la teologia islamica, università di Osnabrück
L'originale in tedesco è disponibile cliccando qui; l’appello è disponibile anche in arabo, inglese e turco.
Si contano a oggi 101 sottoscrittori.


Sor María Troncatti


24 febbraio 2015

PRESTO LIBERI I CRISTIANI ARRESTATI, “AVEVANO SOLO PREGATO”

I cinque cristiani incarcerati per “esercizio illegale della medicina”, mentre pregavano per la guarigione di una donna morente, potrebbero essere presto liberati, secondo un funzionario responsabile per gli affari religiosi nella provincia di Savannakhet. “E’ illegale che il giudice li abbia condannati al carcere per aver praticato medicina senza licenza” ha detto ai media il funzionario.
I cristiani sono stati arrestati nel giugno scorso dopo aver pregato per la guarigione di una donna di nome Chansee, convertita dal buddismo al cristianesimo. Dopo la sua morte, avvenuta dopo una lunga malattia, un membro della sua famiglia aveva chiesto alla polizia di arrestare i cristiani per aver causato la morte della donna con le loro preghiere.
Gruppi internazionali per i diritti umani hanno criticato gli arresti. Sirkoon Prasertsee, direttore della Human Rights Watcher per la libertà di religione nel Laos (Hrwlrf), aveva detto che la sentenza della Corte rappresenta un messaggio per i cristiani del paese. “Le autorità governative possono arrestarli e criminalizzarli anche quando si radunano per pregare per gli ammalati” ha detto Prasertsee, sottolineando che la Corte non aveva fatto alcuna ricerca sulla causa della morte della signora e agli imputati non era stata concessa la possibilità di avere un avvocato difensore.
Secondo Phil Robertson, direttore di Hrw per l’Asia, i dati del Laos sulla libertà religiosa lasciano molto a desiderare, soprattutto quando si tratta di tipi di molestie e di repressione inflitte dalle autorità su qualsiasi comunità o gruppo che non abbia ricevuto il permesso ufficiale di operare. “Se questo gruppo di cinque è accusato e condannato per aver pregato al fianco di una donna morente, allora questo potrebbe segnare una nuova recrudescenza per la libertà religiosa nel paese. Speriamo che il buon senso prevalga” aveva commentato Robertson al momento della sentenza.
Nel paese a maggioranza buddista i cristiani sono solo 1,5% della popolazione.

http://www.misna.org/

23 febbraio 2015

Hacia el Congreso Americano Misionero: identidad y compromiso de la Iglesia

La visita del Papa Francisco a Bolivia va a dar un especial impulso a la actividad previa al encuentro misionero continental

Las comisiones de preparación del Quinto Congreso Americano Misionero (CAM 5) y del Décimo Congreso Misionero Latinoamericano (COMLA 10) se reúnen en estos días en Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, “para calentar motores” e ir definiendo el perfil del importantísimo encuentro continental que se llevará a cabo en esta ciudad en el año 2018.
Mientras el Comité Central toma las determinaciones en vistas a todo el proceso de preparación, la comisión teológica perfila los temas y las reflexiones que marcarán el camino hacia el CAM y el COMLA.  Y aunado a ellos, la comisión de animación pastoral prepara propuestas de pasos a dar antes del lanzamiento del encuentro.
Este se hará al finalizar el Congreso Eucarístico en Tarija, del 1 al 5 de julio de 2015.  ¿Es demasiado pronto?  La Hermana Cilenia Rojas, que forma parte de la comisión de misiones y es una de las más entusiastas con este desafío respondió a esta interrogante diciendo: “No queremos improvisar y debemos responder a este desafío dando pasos bien pensados, construyendo de a poco y con firmeza”.
Las comisiones del CAM 5 y del COMLA 10 están integradas por obispos, religiosas y laicos de las diferentes dimensiones de la Conferencia Episcopal Boliviana (CEB) mientras que las Obras Misionarias Pontificias (OMP) de la Bolivia son las encargadas de presentar el primer material realizado para la animación, la formación y la información del encuentro.
“Este material -explicó la Hermana Cilenia Rojas-- es una herramienta que lleva a reflexionar sobre los textos bíblicos de la misión: 'seréis mis testigos hasta los confines de la tierra'. En este sentido, el CAM5 COMLA10 está llamado a nutrir y renovar la conciencia misionera de los bautizados en el continente”.
De hecho, el objetivo central de la cita misionera en Bolivia será “fortalecer la identidad y el compromiso misionero de nuestra Iglesia para responder con más coraje, generosidad y eficacia a los desafíos de la nueva evangelización”, dijo la Hermana Rojas.
La visita del Papa Francisco a Bolivia, planeada para este año, va a dar un especial impulso a la actividad previa al encuentro misionero continental; un encuentro esperado por muchos agentes de pastoral y misioneros que necesitan revivir el espíritu primigenio de la evangelización de América Latina.


22 febbraio 2015

Taipei, la conversione del regista Jiang: "Dio mi ha mostrato la forza della speranza"

di Xin Yage

Regista televisivo e autore di due libri molto conosciuti sull'isola, si è battezzato a 58 anni: "In televisione vedevo questi cristiani così forti, pieni di energia per fare del bene. Dio mi ha mandato in dono un cancro: è stato un regalo che mi ha mostrato la strada da seguire. E oggi sono felice".

Taipei - Ogni mercoledì sera abbiamo un gruppo di condivisione sulla Bibbia e ogni volta cerchiamo di coinvolgere persone nuove. Il gruppo è aperto a tutti, non occorre il certificato di battesimo. Uno dei più assidui frequentatori da tre anni a questa parte è di certo il signor Jiang (蔣導演), regista televisivo in pensione, che da quando si è convertito al cristianesimo è impegnato a tempo pieno alla diffusione del messaggio di Gesù Cristo. Nel frattempo ha anche pubblicato due libri venduti in ogni libreria taiwanese e la sua personalità straripante lo ha reso ancora più famoso nel mondo dei media dell'isola.
Il signor Jiang ci dice convinto: "Due anni fa sono stato battezzato, ed è stata una delle esperienze più intense e più belle della mia vita. Non avevo dieci 10 e nemmeno 22, avevo già 58 anni ed ero già in pensione. Ho sempre fatto il regista televisivo e ho scoperto, tramite i programmi che producevo in televisione, anche storie di credenti. Credenti in Gesù Cristo e nel suo amore. E mi avevano colpito molto: mi chiedevo sempre dove trovavano quelle persone l'energia per fare tutto quel bene? Era questo che mi colpiva".
Voleva scoprire di più la religione cristiana: "Pensavo che l'avrei fatto quando sarei andato in pensione. Ma credo che Dio Padre avesse altri progetti per me. E mi ha mandato un regalo. A dir la verità a quel tempo non pensavo proprio fosse un regalo. Mi ero ammalato di cancro e quell’esperienza di malattia è ciò che oggi considero un regalo".
All'inizio è stata dura, fisicamente e psicologicamente: "Proprio in quei mesi ho cominciato a pensare alle storie dei credenti che avevo messo in onda in televisione. Gente semplice ma tenace, che vedeva la chiamata di Dio anche nei momenti difficili. Forse soprattutto nei momenti difficili. Ho affrontato le cure e i momenti bui. Ma, grazie alla medicina ed anche ad una forza interiore inaspettata, a poco a poco mi sono concentrato, rasserenato e rimesso in piedi".
A partire da quell'esperienza, racconta ora, "di sicuro capisco molto di più l'angoscia di chi soffre. E se posso fare anche solo un pezzo di strada con chi ha problemi fisici, morali o psicologici, mi sento più umile e più pronto alla condivisione. La pagina che mi piace di più del Vangelo è quella dei discepoli di Emmaus: quando tutto sembrava perduto, Gesù si è messo semplicemente a camminare con loro e li ha ascoltati, erano così disorientati. Poi ha dato loro molto coraggio. Credo che Gesù abbia fatto la stessa cosa con me: mi ha dato coraggio quando credevo che la luce della mia vita si stesse per spegnere per sempre".
Per questo dice che Dio gli ha fatto un regalo: "Adesso sento un'energia fortissima dentro di me. Voglio imparare nuove cose, comunicare le storie nascoste ma importanti che grazie al mio lavoro scoprivo di settimana in settimana. Perché in fondo anche 'il lavoro' di Dio è sempre consistito nel comunicare un messaggio di speranza quando sembra che non ce ne sia. In questa maniera sento che le storie del Vangelo, che sono di un'ispirazione molto profonda, continuano a ripetersi anche oggi".
Il signor Jiang lavora gratis in due università per formare nuovi registi e direttori di studio televisivo, soprattutto offrendo loro consigli e ispirazione per i loro progetti cinematografici. "Mi ricordo che avevo bisogno di punti di riferimento e di storie significative quando iniziavo la mia professione. Spero di trasmettere ai giovani almeno qualcosa di quello che ho sperimentato in questi anni. Voglio dire loro: non arrendetevi mai, niente vi può sconfiggere!".


"Non nascondere la grazia che ci ha donato..."

Un incontro e il Primo Annuncio.

Differente plurale: il rapporto con lo straniero tra paura e compassione

Martedì 24 febbraio 2015, alle ore 16:00, avrà inizio il ciclo di conferenze Differente plurale: il rapporto con lo straniero tra paura e compassione, organizzato dalla Cattedra di Spiritualità e Dialogo Interreligioso dell'Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum.
Nel corso del primo incontro il prof. Federico Giuntoli, docente di esegesi dell'Antico Testamento presso il Pontificio Istituto Biblico, interverrà sul tema L’ospite e il nemico: l’Israele biblico tra accoglienza e rifiuto dello straniero.

Visualizza il programma completo dell’iniziativa.


Quaresima 2015


Settimana dal 22 al 28 febbraio

Dagli Atti del CGXXIII n. 29
Papa Francesco, sviluppando l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II nel contesto attuale, chiede alla Chiesa una vera e propria conversione pastorale. Questo implica per noi un impegno nuovo di fronte alla nostra missione educativa. La società tende a scartare chi è svantaggiato nella competizione, perciò in molti Paesi si escludono i giovani e ancor più le giovani dalla partecipazione attiva allo sviluppo. La vocazione salesiana ci porta a situarci dall’ottica dei piccoli e dei poveri.

Impegno
Lasciarsi interpellare dalle diverse povertà che colpiscono i giovani e ci chiedono di renderli protagonisti nel cogliere opportunità di sviluppo ed educazione, pur in situazioni di debolezza e di precarietà. Riconoscere nelle nuove frontiere giovanili il luogo dove Dio ci parla e ci attende. (Atti n. 30)

Sr. Ursula Guimarães da Costa, missionaria in Brasile.


21 febbraio 2015

Seminario Missione ad gentes

Timor - Un gruppo di 19 giovani, tra aspiranti, postulanti e novizie dell’Ispettoria di Timor ha partecipato con molto interesse e gioia al seminario dal titolo Missione ad gentes, realizzato dall'Ambito ispettoriale per le Missioni durante i giorni 13 e 14 febbraio. «Le diverse attività hanno aiutato le giovani a prendere coscienza di questo grande dono: “la Chiesa per sua natura è missionaria” e il nostro Istituto fin dalla nascita è missionario», ha dichiarato sr. Luz Stella Ruiz, FMA colombiana, missionaria in Timor.
Ci sono stati momenti di gioco, riflessione in gruppo, teatro, conferenza sulla Missione oggi come un impegno di tutti i cristiani, poi un forte momento di preghiera personale. Il seminario si è concluso con un’esperienza “missionaria”: la visita alle famiglie di un quartiere di periferia. 

Ogni gruppo ha elaborato il suo impegno missionario per vivere durante quest’anno. Ringraziamo il Signore per il dono di questi giovani aperte all'annuncio con la testimonianza di una vita gioiosa.




Terra e cibo

“L’umanità non vivrà in pace finché la fame non sarà sconfitta, finché coesisteranno coloro che banchettano quotidianamente e coloro che, alla loro porta o all’altro capo del pianeta, muoiono di fame”. È una delle tesi sostenute nel documento Terra e Cibo, a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana.
“Il titolo del presente lavoro mette in relazione due realtà – spiegano nella premessa il cardinale Peter Turkson e il vescovo Mario Toso, vertici del medesimo dicastero –, la ‘terra’ e il ‘cibo’: la prima rinvia all'organizzazione della produzione e all'uso delle risorse; la seconda, alla distribuzione e agli stili di vita”. “Nella prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa – ricordano il cardinal Turkson e monsignor Toso –, il diritto al cibo è un diritto umano fondamentale, intrinsecamente connesso con lo stesso diritto alla vita”. “L’uso delle risorse naturali, poi, è altrettanto intrinsecamente connesso con le esigenze dell’equità, della giustizia e della lotta alla povertà”.
Il documento si articola in tre grandi sezioni: la prima (dal titolo “Una situazione preoccupante”) presenta una rassegna e un’analisi delle cause strutturali e congiunturali dei problemi concernenti la fame e la produzione di cibo; la seconda (“Il messaggio biblico ed ecclesiale sullo sviluppo agricolo”) delinea alcuni principi guida per la ricerca e la concretizzazione di soluzioni; la terza (“Risposte pratiche”) propone una serie di riferimenti culturali e di azioni che mirano al miglioramento della situazione.
Citando alcune statistiche FAO, il documento premette che nel periodo dal 2012 al 2014 circa 805 milioni di persone hanno sofferto di sottoalimentazione. Una “realtà tragica”, viene definita. Pur se la produzione di cibo a livello mondiale è in grado di “assicurare ad ogni abitante del pianeta il pieno soddisfacimento del proprio fabbisogno”, v’è tuttavia il problema che “non sempre alla domanda di cibo corrisponde la possibilità di ottenerlo”. Le persone che soffrono la fame “vivono essenzialmente in Paesi arretrati o sulla via dello sviluppo”. Secondo il dicastero vaticano, nell’analisi del fenomeno “non è possibile limitarsi ad una rassegna di cause congiunturali, per quanto rilevanti esse possano essere: crisi, andamento dei prezzi, siccità, inondazioni, corruzione, instabilità politica, conflitti. Va, invece, preso atto che non si è riusciti a garantire a tutti l’accesso al cibo tramite la realizzazione di cambiamenti strutturali”. Segue una fotografia dei principali problemi riguardanti l’odierna produzione di cibo e le sue conseguenze, dalla progressiva diminuzione dei suoli coltivabili alle minacce per la biodiversità, dalla carenza delle risorse idriche all'inquinamento, dalla deforestazione allo sfruttamento delle riserve ittiche, fino a fenomeni di speculazione e di neocolonialismo.
Diversi sono i riferimenti ai Pontefici, tra i quali Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, che parlò di “corsa al consumo ed allo spreco” e Francesco, che ha ripetutamente denunciato una vera e propria “cultura dello scarto”. “Nella ‘società consumistica’ – sostiene il documento –, si incoraggia un certo eccesso nell'uso di beni, specialmente fra le comunità più abbienti, che finiscono col ritenere necessario il superfluo”, mentre “la visione del ‘cibo come alimento’ è soppiantata da quella del ‘cibo come merce’ ”.
La seconda parte del documento si apre con una citazione dal libro della Genesi: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”, che illustra il compito al quale è chiamato l’uomo. La riflessione si sofferma quindi su concetti quali “destinazione universale dei beni”, “bene comune”, “solidarietà e fraternità”, “opzione preferenziale per i poveri”, “sussidiarietà”, “giustizia”, “dignità e priorità della persona umana”.
Nella terza parte vengono offerti alcuni orientamenti pratici per sostenere lo sviluppo e debellare la fame, a partire dal richiamo al rispetto della vita, notando che “è una contraddizione in termini preoccuparsi dell’ecologia e dello sviluppo, quando non ci si cura delle persone”. Tra i temi trattati, l’investimento nella terra, con un riferimento al concetto di “impact investing”, che evoca “un tipo di investimento finalizzato ad avere ricadute particolarmente positive nella società in cui viene effettuato”. Quindi una serie di richiami, ciascuno dei quali è accompagnato da alcuni suggerimenti: garantire i diritti umani (la vita, il cibo, l’acqua, l’educazione, la partecipazione politica); sostenere i produttori; mettere le donne in condizione di svolgere sempre meglio il loro fondamentale ruolo; tutelare la biodiversità; garantire l’accesso al credito; incoraggiare la ricerca; una migliore “governance” delle risorse e dello sviluppo; migliorare la comunicazione commerciale; lottare contro gli effetti negativi della speculazione; educare gli investitori, gli imprenditori, i politici e i governanti.
La Chiesa cattolica, è ricordato infine, “partecipa agli sforzi realizzati per permettere a ogni popolo e comunità di disporre dei mezzi necessari a garantire un adeguato livello di sicurezza alimentare”, mediante l’impegno di congregazioni, missioni, fondazioni, conferenze episcopali, diocesi, parrocchie, Caritas, varie organizzazioni e associazioni di laici, “attraverso la formazione, l’erogazione di credito, la realizzazione di infrastrutture, il rafforzamento della produzione di cibo, lo sviluppo di imprese, rispondendo alle emergenze e organizzando, con la sua diakonía, la solidarietà con e per i più poveri”.


Convegno Missionario Giovanile


20 febbraio 2015

PCMI: il documento finale del Congresso mondiale

Città del Vaticano - “Le comunità ecclesiali locali devono lavorare assieme per stabilire un comune approccio umano ai problemi e alle difficoltà inerenti la migrazione (ad esempio collaborando con le Conferenze Episcopali, i Governi, le organizzazioni non governative, e le organizzazioni a carattere religioso), al fine di tutelare i diritti dei migranti e prevenire il traffico di esseri umani, lo sfruttamento e altri crimini del genere. Insistendo sul lavoro all’interno delle reti sociali (che inizia dal semplice scambio di contatti, come indirizzi e-mail, numeri di telefono, dettagli Skype e indirizzi degli operatori pastorali per i migranti) si può rafforzare una pastorale più generalizzata”. E’ una delle Raccomandazioni contenute nel documento finale del VII Congresso Mondiale della Pastorale dei Migranti che si è svolto da lunedì 17 a venerdì 21 novembre scorso sul tema “Cooperazione e sviluppo nella pastorale delle migrazioni”. Al Congresso hanno partecipato 284 delegati provenienti da oltre 90 Paesi dei cinque continenti. Tra di loro alcuni Cardinali e il Patriarca Maronita di Antiochia, Arcivescovi, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, membri di Istituti secolari, operatori pastorali laici, nonché numerosi rappresentanti di associazioni o movimenti cattolici, ecclesiali e laici. Per i partecipanti i pastori della Chiesa “devono parlare con una sola voce in materia di migrazione. La Chiesa è una voce profetica per la corretta integrazione dei migranti nelle comunità di accoglienza, tenendo presente l’universalità della comunità cattolica ecclesiale. Ciò comporta un approccio pastorale più ampio e che vada oltre l’aspetto puramente caritatevole”. Inoltre la Chiesa “può fare un uso migliore dei mezzi di comunicazione per incrementare i diritti dei migranti. La sensibilizzazione a livello parrocchiale locale, l’incoraggiamento a votare per la giustizia e l’uguaglianza, la creazione di centri studi e le pubblicazioni hanno la capacità di trasformare la narrazione sulla migrazione. L’opinione pubblica – scrivono - deve essere adeguatamente informata in merito alla vera situazione dei migranti non solo nel Paese di accoglienza, ma anche in quello d’origine”. “Poiché il fenomeno della migrazione irregolare – continua il documento - è motivo di sfruttamento del lavoratore migrante e della sua famiglia, i fedeli devono sostenere politiche di immigrazione più giuste ed inclusive da parte dei Governi, che aiutino il migrante nella sua ricerca di opportunità di lavoro e di migliori condizioni di vita, salvaguardino il ruolo della famiglia e delle donne, e al tempo stesso prevengano lo sfruttamento e/o il traffico di migranti lavoratori e altre forme di abuso”. Il comunicato finale, dopo aver riassunto le fasi salienti del Congresso, che si è concluso con una udienza con Papa Francesco, sottolinea che la migrazione “continua ad essere un segno dei tempi, in cui la centralità della persona umana e la dignità umana acquisiscono un’importanza sempre maggiore”. La “dignità umana di ciascun migrante – si afferma - è di somma importanza. Le variabili religiose, etniche, sociali e culturali, la cittadinanza o la mancanza di essa, non cambiano questo fatto che conferisce a ciascun individuo un valore e una dignità inerenti e incommensurabili, in cui ogni vita umana è e deve essere considerata sacra. I benefici che possono derivare dalla presenza dei migranti superano di gran lunga i fattori puramente economici, e ne traggono giovamento non solo i Paesi che ricevono, ma anche quelli d’origine, e in alcuni casi perfino le comunità di transito”. Il documento evidenzia la fede e la pietà popolare dei migranti, “espressione della loro esperienza personale della fede cristiana, e rappresentano un legame tra la Chiesa di partenza e quella di arrivo. L’integrazione non implica né una separazione artificiale né un’assimilazione, ma dà piuttosto l’opportunità di identificare il patrimonio culturale del migrante e riconoscere i suoi doni e talenti per il bene comune dell’intera comunità ecclesiale”. “Le moderne politiche migratorie – spiegano i partecipanti - tendono a sottolineare la dimensione individuale della decisione di una persona di migrare, concentrandosi sull’aspetto lavorativo della migrazione invece di prendere in considerazione la famiglia migrante. In effetti, la politica migratoria nazionale è spesso una delle cause all’origine della separazione familiare e dell’eventuale conseguente rottura delle relazioni familiari”.


1_Domenica di Quaresima_Anno B


19 febbraio 2015

ASIA/INDONESIA - I musulmani rilanciano “pluralismo e rispetto delle minoranze”

Yogyakarta – L'importanza di valori come pluralismo, rispetto delle minoranze, tolleranza, dialogo, unità tra i fedeli delle diverse fedi: sono queste le parole-chiave echeggiate durante il Congresso dei musulmani indonesiani, tenutosi a Yogyakarta nei giorni scorsi.
Come appreso da Fides, l’evento ha riunito le maggiori organizzazioni islamiche indonesiane, come “Muhammadiyah”, "Nahdlatul Ulama" e il “Consiglio degli Ulema indonesiani”, organizzatore dell’incontro, per riflettere sull’islam all’interno e all’esterno dell’arcipelago indonesiano. 
Sono intervenuti leader religiosi musulmani, studiosi e accademici, nonché ministri e alti funzionari di stato, tra i quali il presidente dell’Indonesia, Joko Widodo, che ha detto: “L’Indonesia è una nazione moderata, in cui si vive il rispetto reciproco tra credenti”.
Il Congresso, convocato ogni cinque anni, ha ribadito che l’islam indonesiano può servire come modello, a livello internazionale, per mostrare una “società armoniosa” in cui i musulmani vivono e lavorano in pace, accanto a persone di altre fedi. 
Din Syamsuddin, leader dell’organizzazione “Muhammadiyah”, ha rimarcato che “il pluralismo è molto buono, in quanto presenta alcune sfumature di differenza, così come sfumature di uguaglianza”.
Syamsuddin ha espresso l’auspicio che “le differenze non dividano i musulmani indonesiani” e che tutti i credenti “non abbiano pregiudizi verso le differenze”.
Secondo il Ministro indonesiano per gli Affari religiosi, Lukman Hakim Saifuddin, che ha parlato all’assemblea, “il Congresso può essere una guida nel tracciare come l'armonia interreligiosa sia possibile tra le sfide globali di oggi”. Sul piano interno, il ministro ha ricordato “il diritto costituzionalmente garantito agli indonesiani di tutte le religioni, culture ed etnie, di praticare la loro fede liberamente e pacificamente”. Guardando oltre frontiera, ha aggiunto: “il resto del mondo può imparare dall'esempio di pluralismo che si vive in Indonesia”, ricordando il principio guida di “unità nella diversità”, perno della convivenza nazionale, in un paese caratterizzato da numerose etnie, culture e religioni diverse.


"....perseguiteranno anche voi - persone, drammi, prospettive"

Mercoledì 18 febbraio, alle ore 17, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio si è svolto il Convegno dal titolo "....perseguiteranno anche voi - persone, drammi, prospettive".

Saluti introduttivi
Stefano Dambruoso
Questore della Camera dei deputati

S.E. Mons. Lorenzo Leuzzi
Vescovo ausiliare di Roma

Klodiana Cuka
Presidente di Integra Onlus

Interventi

Pier Ferdinando Casini
Presidente della 3a Commissione Affari esteri, emigrazione del Senato della Repubblica

Padre Bernardo Cervellera
Direttore AsiaNews

Alfredo Mantovano
Magistrato - esponente di Alleanza Cattolica

Gian Micalessin
Giornalista - inviato di guerra

Mario Morcone
Capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno

Michele Valensise
Segretario generale del Ministero Affari esteri e cooperazione internazionale

Moderatore
Franco Di Mare
Giornalista


Ogni giorno centinaia di Cristiani patiscono sofferenze, fino alla morte, all’esilio e alla perdita delle persone care e dei propri beni a causa dell’odio ultrafondamentalista in Iraq, in Siria, in Nigeria, nel Sud Sudan, e in tanti altri luoghi martoriati nel mondo. I Cristiani costituiscono circa l’80% di coloro che sono perseguitati a causa della fede; il restante 20% comprende fedeli dell’Islam o di confessioni con specifica base territoriale, come gli Yazidi. L’obiettivo di questo convegno è – in un momento in cui la tragedia in corso non riceve attenzione necessaria – dare informazioni e testimonianze, con le voci di giornalisti che si recano con frequenza nelle aree di maggiore crisi e di Pastori di anime sempre più colpite dall’odio; quindi puntare sulla riflessione e sulla prospettiva, su ciò che fanno e possono fare ancora di più le istituzioni italiane, europee e internazionali. Il tutto perché – per riprendere le parole di Papa Francesco pronunciate nel viaggio in Albania dello scorso settembre – dall’“inverno dell’isolamento e delle persecuzioni”, che rende le Nazioni povere e desolate, si giunga al “rispetto dei diritti umani, fra cui spicca la libertà religiosa e di espressione del pensiero”.

18 febbraio 2015

Quaresima 2015


Dal 18 al 21 febbraio

Dagli Atti del CGXXIII n. 4
Insieme al bene e ai germogli di giustizia, di pace, di solidarietà che si riscontrano nei diversi Paesi, scorgiamo anche persecuzioni a causa della fede, guerre, violenze, conflitti, ingiustizie, nuove schiavitù, traffico di persone, calamità naturali, migrazioni forzate e tutte le forme di povertà che ciascuna vive nel proprio contesto. Non ci siamo chiuse alla realtà del mondo e alle sue contraddizioni; abbiamo deciso di abbracciarla e di amarla: condizione necessaria per valorizzare le sue ricchezze e per cambiare ciò che non rispetta l’umanità e il creato.

Impegno
Guardare la realtà con l’atteggiamento di speranza per coltivare il bene che in genere cresce senza fare rumore, come ci hanno insegnato don Bosco e madre Mazzarello. (Atti n. 5)

17 febbraio 2015

AMERICA/ARGENTINA - In Quaresima interroghiamoci sul nostro spirito missionario: messaggio di Mons. Arancedo

Santa Fe – “Lo spirito missionario non è evasione dai miei obblighi e dalle mie relazioni, ma testimonianza generosa della mia fede nel concreto della mia vita quotidiana”: lo afferma Sua Ecc. Mons. José María Arancedo, Arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, nel suo messaggio per la Quaresima intitolato “Conversione e Missione”.
Nel testo, pervenuto all’Agenzia Fides, l’Arcivescovo sottolinea che “un tema centrale della vita cristiana è quello della conversione, che in modo particolare ci viene presentato dalla Chiesa in Quaresima”. Nella nostra condizione umana, la conversione non si realizza una volta per sempre, ma dobbiamo vivere costantemente in uno stato di conversione, in quanto “il livello della vita cristiana dipende dal suo spirito di conversione”. 
“La cultura attuale tende a chiuderci nell’individualismo” sottolinea l’Arcivescovo, e in questo modo “si indebolisce la presenza della Chiesa nel mondo”, in quanto privatizziamo la fede. La santità necessita della conversione personale, che è la fonte di una Chiesa "in uscita", missionaria.
“Essere parte viva, attiva e impegnata nella Chiesa è segno di conversione e di maturità nella fede – prosegue il messaggio -. La fede ha una dimensione essenziale che è la missione. La fede non è un dono da conservare, è una grazia da vivere e comunicare”.
Quindi Mons. Arancedo sottolinea tre aspetti che caratterizzano la fede vissuta in chiave missionaria: la gioia, la comunione ecclesiale e la carità. Lo spirito missionario “non esclude la gioia per la vita, la famiglia, l’amicizia; al contrario, la fede dà un significato nuovo a tutto quello che facciamo perché il suo centro è Gesù Cristo” “La mancanza di spirito missionario può essere la mancanza di una comunione basata sulla fede – prosegue l’Arcivescovo -. Questa dimensione missionaria della fede dovrebbe essere presente nella nostra riflessione di Quaresima, quando mi esamino come membro della mia comunità concreta”. Infine ricorda che “la carità come espressione di Dio è segno di una Chiesa in chiave missionaria” in quanto “la carità dà forza, fertilità e credibilità allo spirito missionario della Chiesa”.



15 febbraio 2015

Il neo cardinale Montenegro, la 'voce dei migranti' nel Collegio Cardinalizio

Fresco di porpora, l'arcivescovo di Agrigento racconta le emozioni per il Concistoro di oggi e il suo impegno pastorale per questa gente "che vuole solo vivere". Un impegno che ora non diminuirà, anzi...

Alle visite ‘di calore’ in Aula Paolo VI il gruppo venuto a rendergli omaggio era probabilmente il più numeroso: 1500 fedeli circa sono partiti da Agrigento e da ogni parte della Sicilia per venire a Roma e salutare il caro “don Franco”, ovvero il cardinale Francesco Montenegro, tra i 20 nuovi porporati creati nel Concistoro di oggi da Papa Francesco.
Che sia un vescovo molto amato sembra evidente; ma oltre alle sue doti umane, all’attenzione particolare per i giovani e per le fasce sociali meno abbienti, il tratto caratteristico del neo porporato è l’impegno per gli immigrati.  
Il “vescovo dei migranti” viene chiamato infatti Montenegro. Ma non solo per il suo incarico di presidente della commissione Cei per le migrazioni, o quello di presidente della fondazione “Migrantes”, o ancora per la responsabilità pastorale nel territorio di Lampedusa: per il cardinale siciliano il servizio a favore di questa povera gente è una vera vocazione che nasce da dentro.
E proprio la voce di questi rifugiati porterà ora nel Collegio Cardinalizio. “Perché non dovrei farlo?”, dice a ZENIT che lo ha incontrato fresco di porpora, “solo perché ora sono cardinale il mio impegno verrà meno? Assolutamente no, anzi…”.
La sua nomina – che tra l’altro dice di aver ricevuto “inaspettatamente, in ritardo e da altri” - è proprio per dimostrare che “l’attenzione che io do al mondo dei migranti è la stessa che la Chiesa vuole dare e che anche le comunità ecclesiali danno a queste persone, che vengono spalmate per tutto il territorio italiano”.
Un segnale, questo, secondo il neo porporato, “che oggi è possibile vivere la carità”. Carità che tuttavia non è “l’elemosina, cioè ti do qualcosa e poi ti saluto e vado via”, bensì “la carità di cui parlava stamane il Papa nella sua omelia, la capacità cioè di condivisione, di guardare l’altro nel volto e se è curvato a terra, piegarsi a rialzarlo”.
“Credo – afferma Montenegro - che oggi ci viene chiesto di essere come il buon Samaritano: a chi ha fede come credente, a chi non crede almeno in virtù di quel valore che ha la vita che va sempre rispettata”.
La sua, dunque, non è ‘una porpora per Lampedusa’, ma “una porpora per la Chiesa che mi chiama a servire la Chiesa”, afferma. “Se il Papa – aggiunge il cardinale - mi chiede di avere un impegno più ampio che guardi un po’ il mondo, significa che dovrò intensificare il mio lavoro”.
Anche perché, ora come ora, dopo una strage come quella dei giorni scorsi in cui oltre 400 persone sono morte al largo del Mediterraneo, gli sforzi devono essere necessariamente aumentati. E “non si dovrebbe più usare la parola ‘emergenza’, perché emergenza non è”, rimarca l’arcivescovo di Agrigento. “Emergenza – prosegue - è un qualcosa che capita una volta ogni tanto, in questo caso certi drammi li vediamo ripetersi ogni giorno e sempre si ripeteranno”.
Allora – prosegue – “se questo fa parte della vita quotidiana, bisogna prepararsi ad affrontare la questione con delle leggi non che mettano solo delle toppe, ma permettano di cambiare stile e far sì che questa gente possa essere accolta”.
Soprattutto, sottolinea Montenegro, “c’è bisogno di una scelta politica che sia forte e capace di evitare che persone che vogliono vivere devono invece morire”. Parole forti che il cardinale ha pronunciato anche davanti al Consiglio d’Europa, affermando che “tanti morti ci pesano sulla coscienza e non si può permettere che tante vite si perdano così”.
La stessa Europa, tuttavia, “tenta di dare risposte che non sono risposte, ma tentativi”. E “così non può andare”, dice il presule. Anche questo intervento in Libia, che si propone adesso come scorciatoia per risolvere alla radice la problematica della migrazione, è da valutare con cautela. “Bisogna capire che valore si dà alla parola ‘intervento’ - osserva il cardinale -. Intervenire non significa andare a far guerra, ma aprire un dialogo e tentare di vedere cosa fare insieme. Se è questo l’intervento, allora ben venga!”.
Per il cardinale prima di intervenire bisogna però superare “la sindrome della paura e la sindrome dell’indifferenza”: “Il Papa l’ha denunciato più volte, parlando di una 'globalizzazione dell'indifferenza'” - ricorda - "e noi come credenti, io come vescovo, siamo chiamati ad impegnarci perché la solidarietà, guardare l’altro nel volto possa diventare lo stile di ogni cristiano e di ogni comunità”.
Ma queste preoccupazioni verranno dopo. Per un momento il cardinale stacca la spina e si gode la gioia - seppur “adombrata” da queste problematiche - per la giornata solenne vissuta oggi. Questa mattina, alle 8, la Messa con la folta delegazione siciliana nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina; poi la celebrazione nella Basilica Vaticana, alla presenza di tutti i cardinali e di due Papi.
“È una grande emozione – spiega – ma un’emozione comprensibile, perché è una situazione nuova, unica, trovarmi qui e sentire forte il senso di Chiesa”. Oggi, aggiunge, “ho provato tanti sentimenti di gioia, di inadeguatezza... Poi la fiducia del Papa, il Vangelo che mi chiede di dar tutto, il saluto con Benedetto XVI che è sempre così buono… Insomma, un miscuglio di sensazioni che devono ancora trovare il loro posto”.
E lo salutiamo così il neo cardinale, ancora un po’ frastornato, stretto nell’abbraccio di una fila impaziente di fedeli che, dopo circa due ore, non accennava a diminuire.


13 febbraio 2015

6° Domenica T.O. Anno B

6° Domingo T.O. Ciclo B




Per incontrare l’islam dobbiamo tornare a Cristo


Da alcuni mesi il terrorismo di radice islamica è balzato alla ribalta dell’attualità come un grave pericolo per l’Europa e per la nostra Italia. Molti si chiedono cosa fare, si discute di leggi adeguate alla gravità della situazione ma gli appelli per una maggior vigilanza e fermezza lasciano il tempo che trovano. Il nostro mondo democratico, ricco e laicizzato, si trova spiazzato. I popoli occidentali e quelli islamici non si capiscono. C’è un abisso tra il nostro desiderio di vivere tranquilli e la violenza dei terroristi. La storia recente, dopo le “Due Torri” di New York (11 settembre 2001), ha dimostrato che le guerre contro l‘estremismo islamico (in Afghanistan e Iraq e oggi contro il Califfato) non solo non risolvono il problema del terrorismo, ma hanno peggiorato la situazione. La “guerra santa” e “il martirio per l’islam” si sono diffusi in molti paesi. Un miliardo e 400 milioni di uomini che vivono con convinzione la loro religione e cultura religiosa, non si sconfiggono con la guerra. E allora, cosa fare?
Papa Francesco, parlando nel gennaio scorso al Pisai (Pontificio Istituto di Studi arabi e d’islamistica), ha messo in primo piano il dialogo con i musulmani, dicendo tra l’altro: “Mai come ora” si avverte la necessità della formazione di operatori del dialogo con i musulmani, “perché l’antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l’educazione alla scoperta e all'accettazione della differenza come ricchezza e fecondità”. Ciò richiede un atteggiamento di “ascolto” per essere capaci di capire i valori dei quali l’altro è portatore e di conseguenza “un’adeguata formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere nella conoscenza reciproca”; ma esige anche di “non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante e, alla fine, vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori”. Questo scontro di due civiltà che non si capiscono, non ha come motivazione fondamentale la politica o l’economia, ma la religione. Ecco perché:

1) L’ideale dell’Occidente è la “Libertà” dell’uomo, anche dalle leggi di Dio che ha creato il mondo e l’umanità. Noi viviamo in una società praticamente atea e i popoli islamici vedono l’Occidente cristiano come un nemico, un pericolo per la loro fede! Sono attirati dal mondo moderno, ma ne hanno anche paura! La nostra vita li scandalizza, non vogliono vivere in un mondo sempre più disumano come il nostro, ricco e arido, ma vuoto dentro, di cui ci lamentiamo anche noi. Questo il ritornello che si sente nelle moschee e si legge sulla stampa islamica: i credenti nel Corano hanno la missione di riportare a Dio l’Occidente ateo e svirilizzato. Queste idee, inculcate fin dalla più tenera età anche nelle scuole, fanno parte della loro fede e della loro cultura. Solo una minoranza pratica il terrorismo islamico, è vero, ma ci sono milioni di musulmani che condividono la loro ideologia.
Il primo ministro inglese Tony Blair, parlando dopo le Due Torri al Parlamento europeo, ha detto: “L’Occidente deve difendere i nostri valori… Abbiamo creato una civiltà senz'anima e dove ritrovare quest’anima se non tornando al Vangelo che ha fatto grande l’Occidente?”. Nella situazione attuale, che rende la nostra società sempre più priva di ideali, pessimista ed egoista, in crisi perché manca di bambini (quanti milioni di aborti negli ultimi trent'anni?), ecco l’islam che ci provoca con ogni mezzo, dalla crescita demografica al terrorismo, ma anche con la “guerra santa” e il “martirio per l’islam”, per ricondurci allo scopo dichiarato della fede in Dio, sia pure il Dio del Corano che non è certo il Dio del Vangelo! In genere, noi occidentali viviamo come se Dio non esistesse, ma per incontrare e dialogare con l’islam dobbiamo ritornare a Dio e ai dieci Comandamenti, a Gesù Cristo e al suo Vangelo, non solo nella nostra vita personale, ma in quella familiare, sociale, scolastica, massmediatica, ecc. Cioè ritrovare la nostra identità cristiana. L’alternativa è la guerra contro i popoli musulmani, che, a lunga scadenza, perdiamo certamente, per il semplice motivo che i musulmani sono popoli giovani, noi occidentali popoli vecchi!
Dobbiamo formarci una visione più realistica dei musulmani e capire quali gravi responsabilità (storiche ed attuali) abbiamo anche noi, cristiani occidentali nella nascita e il diffondersi del “terrorismo” con radice islamica. Il card. Carlo M. Martini (nel suo discorso del 1990 “Noi e l’islam”) ha detto: “Cosa dobbiamo pensare noi cristiani dell’islam? Che senso può avere nel piano divino il sorgere di una religione, in un certo modo vicina al cristianesimo e insieme così combattiva, così capace di conquista, da fare molti proseliti in un‘Europa infiacchita? Nel mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti e non riesce più ad agganciarli a un Dio Signore di tutto, la testimonianza del primato di Dio su ogni cosa e della sua esigenza di giustizia, ci fa comprendere i valori storici che l’islam ha portato con sé e che può ancora testimoniare nella nostra società”.

2) L’islam si definisce non in termini di “libertà dell’uomo”, ma di “sottomissione a Dio”, ripeto, il Dio del Corano, non quello del Vangelo! Vive e proclama la presenza di Dio (Allah) nella vita del singolo uomo, nella famiglia e nella società; la fede è il più grande dono che Dio ha fatto all'uomo, che dobbiamo conservare con la preghiera e l’osservanza dei Comandamenti; la fede non è solo una scelta personale (come il laicismo e la secolarizzazione esasperata proclamano e impongono), ma crea l’appartenenza alla comunità dei credenti e a tutta l’umanità creata dallo stesso Dio.
L’islam è una religione che viene, almeno in parte, dalla stessa radice cristiana, il Dio di Abramo, tanto che nei suoi primi tempi alcuni Padri della Chiesa lo definivano “un’eresia cristiana”. Ma oggi non è certamente una religione umanizzante, sono le stesse realtà islamiche (le violazioni dei diritti dell’uomo e della donna) che offrono un’immagine negativa; ma questo è un altro discorso, senza nulla togliere al dovere che hanno gli stati e ciascuno di noi, di difendere noi stessi e il nostro popolo da aggressioni e invasioni esterne. Ribadisco comunque quel che ho sentito da numerosi vescovi cristiani viventi nei paesi islamici, la convinzione che, nei piani di Dio, anche oggi l’islam ha, nella storia umana, un ruolo che non conosciamo, ma che merita rispetto e attenzione. Per noi cristiani oggi la sfida è l’incontro e non lo scontro con i popoli musulmani, il dialogo e non la guerra, il ritorno alla fede e alla vita in Cristo, non l’ateismo teorico e pratico.

Piero Gheddo

MIGRANTI: SALVARE VITE, NON DIFENDERE FRONTIERE

“Nel Mediterraneo centrale abbiamo bisogno di un’operazione massiccia per la ricerca e il salvataggio, non di un pattugliamento delle frontiere”: lo ha sottolineato oggi Antonio Guterres, Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr), dopo i naufragi di migranti a largo di Lampedusa.
Nei giorni scorsi a perdere la vita nel Mediterraneo sono state oltre 300 persone partite dalla costa della Libia a bordo di quattro gommoni. Secondo Guterres, “dopo i fatti di questa settimana non ci sono dubbi che l’operazione europea Triton è un sostituto terribilmente inadeguato di Mare Nostrum”.
Il riferimento è a una missione italiana avviata dopo la morte di 366 migranti a largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013. “Unhcr – sottolinea Guterres – ha espresso più volte preoccupazione per la conclusione di Mare Nostrum senza che fosse sostituita da un’operazione europea di tipo analogo”. Secondo l’Alto commissario, se non sarà subito varato un nuovo dispositivo per la ricerca e il salvataggio dei migranti in mare “è inevitabile che molte altre persone moriranno nel tentativo di raggiungere l’Europa”.
Secondo Unhcr, Mare Nostrum ha permesso di “salvare centinaia di vite”. Differente la missione di Triton, varata da Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere. Il mandato è presidiare i confini europei, intervenendo al massimo fino a 30 migliaia a sud delle coste italiane. Come sottolinea l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, nel 2014 anche a causa dei conflitti armati in Siria, nel Corno d’Africa e in altre regioni sub-sahariane c’è stato “un aumento drammatico” del numero dei migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo. A fronte di 218.000 partenze, i morti sarebbero stati circa 3500.

http://www.misna.org/

12 febbraio 2015

Perché saliamo su una barca

Experiencia Misionera, Puerto Casado – Alto Paraguay

“Queremos expresar la alegría de ser discípulos del Señor y de haber sido enviados con el tesoro del Evangelio”. (Aparecida 28)

El 16 de enero salimos de Asunción dos Voluntarias (Belén Espinola y Belén Cristaldo) camino al Chaco Paraguayo, especificamente fuimos a hacer misión en Puerto Casado donde mas adelante se intregraron dos Voluntarios mas (Johanna Moreno y Matías López).
Nos alojamos en la Casa Parroquial en donde compartimos la vida  y la misión en estos días con los Sacerdotes: Padre Zislao, el Padre Martín y el Padre Alejo sdb.
Las actividades que realizamos con los niños y niñas fue el Oratorio de Don Bosco, en donde llevamos la palabra de Dios, dinámicas, manualidades, dibujo y pintura, juegos, etc., ademas de enseñarles valores con los trabajos que ibamos haciendo con ellos. Tambien participamos de la Novena de San Juan Bosco y culminamos el día 31 con la fiesta en honor a nuestro Padre y Maestro compartiendo la animación del Oratorio con algunos animadores de MALVI del lugar(Movimento amigos/amigas de Laura Vicuña).
Cada experiencia de misión es única, cada persona que puso Dios en nuestro camino nos lleno de alegria. Ser útil a nuestra gente es nuestra misión y con la ayuda de Dios llegamos a tantos niños y lo mas importante fue que nosotros aprendimos de ellos con cada sonrisa, cada abrazo que es la fortaleza para seguir adelante por mas obstaculos que tengamos en la vida.
Dios sabe lo felices que somos al realizar este hermoso servicio que lo hacemos de corazón y nos ayuda a crecer personalmente, además nos ayuda a conocer las realidades de esa parte del país.
Solo nos queda agradecer a las personas que nos ayudaron y apoyaron en esta misión que se hizo realidad.

“Cada Cristiano es Misionero en la medida que da testimonio del amor de Dios” ¡Seamos misioneros de la ternura de Dios!

Celebración de envío


El Voluntariado es una hermosa oportunidad para compartir la vida con los Salesianos Misioneros
La alegría de los niños nos llena el corazón

El Chaco Paraguayo celebra el Bicentenerario de Don Bosco conociéndolo y amándolo