31 maggio 2012

Algeria, i cristiani cancellati dalle statistiche


L’eroica testimonianza dei credenti nel paese che sperano in una conduzione moderata del nuovo governo in materia di libertà religiosa
DAVIDE DEMICHELIS

ROMA - Il più grande Paese dell'Africa si definisce islamico. Ma alla ristrutturazione di Notre Dame d'Afrique, la basilica della capitale, ha partecipato anche lo Stato, con una cifra non indifferente: un milione e mezzo di euro. Non solo: all'inaugurazione hanno partecipato ministri e imam. Siamo ad Algeri, capitale di un Paese segnato da una guerra civile che negli anni Novanta ha causato 200mila vittime.
I cristiani, in Algeria, praticamente non risultano. Le statistiche ufficiali li collocano all'uno per cento, insieme agli ebrei. Sono circa cinquemila su una popolazione di 35 milioni, e sono quasi tutti stranieri, in gran parte africani. Eppure in quegli anni tragici, i martiri cristiani sono stati 19, il dieci per cento dei religiosi presenti nel Paese, fra cui i sette monaci trappisti di Tibhirine, scomparsi nel 1996.
“La presenza della chiesa cattolica in Algeria risale al primo secolo dopo Cristo”. La storia è maestra di vita per l'arcivescovo di Algeri, monsignor Ghaleb Bader: “Questa terra ha ospitato molti padri della Chiesa, a partire da Sant'Agostino. Nel V secolo avevamo 500 diocesi e più di mille vescovi. Ma dal VII secolo l'hanno occupata gli arabi ed è cambiato tutto”. Oggi in Algeria sono rimaste solo tre diocesi. Una legge del 2006 impone un permesso particolare per celebrare cerimonie religiose non islamiche e da due a cinque anni di carcere per chi tenta di convertire un musulmano ad un'altra religione.
“Il dialogo con i responsabili religiosi è quasi inesistente, anche se abbiamo spesso incontri ufficiali”. L'arcivescovo di Algeri però è convinto che ci sia un'altra forma di dialogo, anche più efficace: è il dialogo della vita quotidiana e dei servizi.“La comunità cristiana, piccola com'è, non può e non vuole vivere ripiegata su se stessa, in un ghetto. 
Incontrare donne e uomini diversi da noi, vivere con loro, è un modo per dialogare. Sentire cinque volte al giorno l'appello alla preghiera di altri credenti, diventa  anche un appello alla nostra fede”. Monsignor Bader è talmente convinto di questo dialogo, che non teme neanche i partiti islamici: “Magari spazzerebbero via un po' di corruzione e avrebbero più entusiasmo degli altri. Certo dovrebbero rispettare le diverse opinioni e religioni. In una parola: i diritti umani”. Alle ultime elezioni politiche, il 10 maggio, ha vinto il fronte governativo, i partiti islamici non hanno ottenuto grandi consensi. 
In Algeria si sta anche sperimentando il dialogo spirituale, con i musulmani. A Tibhirine, il monastero tristemente famoso per la strage dei monaci trappisti, cristiani e musulmani hanno fondato “Ribat as salam”, il legame della pace. Da 30 anni si incontrano e pregano insieme. Leggono la Bibbia e il Corano, poi alternano le preghiere degli uni e degli altri. Monsignor Bader, giordano, è il primo prelato arabo a guidare la diocesi di Algeri. Sa bene che in Medio Oriente l'estremismo religioso è sempre più diffuso, ma proprio per questo sostiene che “una situazione del genere dovrebbe stimolarci ancora di più a dialogare, incontrarci e cercare di costruire un mondo migliore per tutti, al di là delle differenze”

ASIA/SIRIA - Il Gesuita p. Paolo Dall'Oglio in preghiera a Qusayr per fermare il conflitto confessionale


Qusayr - Il minareto lo sveglia nel cuore della notte ma, in tal modo, "lo aiuta nella preghiera prima dell'alba, quella dei monaci orientali". Un'oasi di preghiera "nel bel mezzo della lotta, in una città circondata; un'orazione costante, turbata da colpi di mitragliatrice". E' il Gesuita padre Paolo Dall'Oglio il prete cattolico che si è stabilito a Qusayr, città a Sud di Homs, martoriata dalla violenza, per fare un'esperienza prolungata di digiuno e preghiera per la pace. Come rivelato nei giorni scorsi dall'Agenzia Fides, il suo vuol'essere "un segnale contro corrente", un modo non violento di vivere e testimoniare la fede in Cristo nel bel mezzo del conflitto. Il Gesuita si fermerà a Qusayr per almeno otto giorni, vivendo gli esercizi spirituali di Sant'Ignazio di Loyola. 
"Ho scelto Qusayr perchè, con la mia presenza, voglio cercare di sanare la polarizzazione confessionale che si è verificata in città. Ho ascoltato la supplica di alcune famiglie cristiane che hanno visto i propri cari rapiti e vorrei fare del mio meglio, con la preghiera e con il dialogo, per ricomporre le fratture", spiega a Fides p. Dall'Oglio. Nella città vi è stata crescente conflittualità fra musulmani e cristiani, con una lunga scia di rapimenti, vendette, omicidi. 
Bande armate di miliziani fuori controllo, riconducibili alla galassia dell'opposizione siriana, hanno compiuto violenze sui cristiani. Il cristiano André Arbache, padre di famiglia di 30 anni, nel gennaio scorso è stato rapito e poi trovato morto. Molti altri cristiani sono vittime di sequestri. Qusayr è una città dove viveva un comunità greco-cattolica fra le maggiori della Siria, di circa 10mila persone, accanto a 15mila musulmani sunniti. "I cristiani - spiega p. Dall'Oglio - sono quasi tutti fuggiti dalla città, ne sono rimasti pochissimi".
Il Gesuita è ospite di un famiglia cattolica, dato che la casa parrocchiale a Qusayr non è un luogo sicuro. "La mia preghiera e la mia presenza vuol'essere anche un segno di speranza, perchè questa primavera siriana possa sbocciare, verso un futuro di unità e dialogo all'insegna del pluralismo", rimarca. Intorno alla sua persona si sta ricostruendo un tessuto di relazioni strappato dalle dinamiche della violenza, che facilmente sconfina in una spirale di odio e vendetta fra persone, famiglie, comunità di diversa religione. Le parole chiave sono "riconciliazione e perdono, fratellanza nel nome di Dio". Nella speranza di costruire, anche con la preghiera, una Siria più umana, rispettosa della dignità e dei diritti di tutti.

30 maggio 2012

Sor Lina Bardini

El 25 mayo de 2012 en la Casa Inspectorial “Madre Mazzarello” de Córdoba - Argentina, el Señor de la Vida ha llamado para gozar de su eterno gozo a nuestra querida Hermana Lina BARDININacida en Volpago – Treviso, Italia el 08 de Enero de 1942. Profesa en Funes – Santa Fe el 24 de enero de  1962. Perteneciente a la Inspectoría argentina “Nuestra Sra. del Santo Rosario” – Córdoba.
"Lo que Tú quieras, lo que Tú pidas, lo que Tú sueñes, eso quiero ser, Señor
En estas palabras escritas por la hermana Lina en la reciente fiesta de la Ascensión, queda plenamente expresada su vida: toda para Dios, totalmente disponible a la misión, entregada a los hermanos, “en camino siempre”.
Lina, la cuarta de 7 hermanos,  nació en un hogar de raíces profundamente  cristianas, marcado por la vida de fe, el amor, el trabajo y un fuerte sentido de pertenencia eclesial, enriquecido por su participación, desde muy pequeña, en el grupo de la Acción Católica de la parroquia de su pueblo natal.
La difícil situación económica de la pos guerra, motivó a la familia Bardini a buscar nuevos horizontes de futuro. Junto a otros familiares, cuando Lina tenía 8 años, emigraron a la Argentina estableciéndose en la provincia de Mendoza, tierra de viñas, en la que el papá encontró la continuidad de su  trabajo. El sueño de dar a los hijos  una educación sólida y cristiana, condujo a la pequeña al Colegio María Auxiliadora de Rodeo del Medio. A la sombra del santuario de María, Lina nutrió la devoción mariana que ya cultivaba en el hogar. En ese clima de piedad y alegría,  de sencillez y fraternidad, que compartió a diario con las Hermanas como alumna interna, sintió con fuerza el llamado de Dios; recibió la gracia de esa claridad contanto apenas con 11 años. Ese sí, que por primera vez le dijo a Jesús con el candor, el entusiasmo y espontaneidad que la han caracterizado hasta el final, la mantuvo en constante dinamismo a lo largo de su vida, fue su sostén y aliento en los momentos de mayor dificultad.
Ingresa al Aspirantado en Rosario el 12 de diciembre de 1954 y al Noviciado en Funes el 24 de enero de 1959. Dos años después hace su primera Profesión e inicia su camino como Hija de María Auxiliadora en la comunidad de Rosario, donde cursa sus estudios superiores e inicia su labor en medio de las jóvenes. En 1968 es enviada a la Casa de Formación Laura Vicuña donde se desempeña primero como asistente y luego Directora. Allí inicia su primer período en el servicio como Consejera Inspectorial. En 1978 es nombrada Directora del Colegio de Mendoza. Luego, en la Casa de Santa Rosa, se desempeña primero como vicaria y Rectora del colegio, luego como Directora y nuevamente Consejera Inspectorial.
En el año 1989 inicia su servicio como Inspectora en Córdoba. Culminado el sexenio es nombrada inspectora en la nación hermana de Bolivia, donde concluídos los seis años de su mandato asume una nueva misión, la de ser Maestra de Novicias. Sólo un año después es  nuevamente nombrada inspectora, para la inspectoría del Perú.
Regresa a su querida inspectoría en el año 2008, a la comunidad de Rodeo del Medio que tanto significó en la historia de su vocación; allí permanece por un año, ya que es nombrada directora de la Comunidad de San Luis.
Celebra en enero del 2011 sus Bodas de Oro bajo el signo de la disponibilidad en la obediencia como peregrina en la fe. Es llamada por la Madre General a asumir la animación de la comunidad de Damasco Hospital, Siria, hacia donde parte en fidelidad a su sí y  donde, pocos meses después, inesperadamente la sorprende la enfermedad.
La vida de la Hna. Lina es un largo y fecundo camino en el servicio de la animación y el gobierno en el Instituto; una historia ininterrumpida de entrega y corazón sin fronteras. De escucha profunda y atenta a la persona, de pertenencia activa, dinámica y creativa, dotada de una memoria privilegiada, que puso al servicio de la comunicación asidua y profunda. Su sola presencia tejió la comunión, convocó a la unidad, nos invitó a disfrutar del espíritu de familia que ella supo encarnar. Amó todas las tierras y pueblos a los que la misión la llevó y cosechó  profundos afectos que  cultivó con corazón universal.
Vivió con intensidad los nueve meses de vida que mediaron entre el regreso a la patria y su pascua. Manifestó en la lucha de este último tiempo su gran amor a la vida, su optimismo y  esperanza hasta las últimas horas. Vivió el creciente despojo de sus fuerzas, intimando con  Dios en la oración. Cultivó con delicadeza las relaciones fraternas en la comunidad, a la que enriqueció ejemplarmente en la experiencia del dolor y el abandono. 
Hna. Lina, quisiéramos seguir escuchando de tu voz nuevos relatos de vida. Hoy, que ya la contemplas con toda su luminosidad. Queremos seguir aprendiendo a caminar a tu lado en la alegría, a entregarnos sin condiciones, a renovar nuestro  sí sin temores, testigos de cuánto vale uno solo de nuestros días al servicio del Señor. Intercede, desde la plenitud de tu vocación, para que otras jóvenes escuchen esta misma invitación.
Que el Señor te conceda el Descanso Eterno!
Hna. Ángela B. Paz
Inspectora ARO 

En busca de la infancia perdida




Fiestas en honor a María Reina de las Misiones


Buenos Aires (AICA): El jueves 31 de mayo, a las 18, en la sede de las Obras Misionales Pontificias (Medrano 735, en el barrio porteño de Almagro) se celebrará la fiesta de María Reina de las Misiones.
En la oportunidad se pedirá en forma especial por “los misioneros y las misiones en todo el mundo, y por las necesidades de nuestra patria”, se destaca en el convocatoria.
El 31 de mayo, la Iglesia recuerda la Visitación de la Virgen María a su prima Isabel, ocasión en la que se celebra a María bajo el título de Reina de las Misiones.
La Virgen es la primera misionera, porque llevó en su seno y lo dio a Cristo incluso antes del nacimiento; también estuvo junto a los Apóstoles en Pentecostés, cuando comenzó la misión de la Iglesia y acompañó el camino de los misioneros durante estos dos mil años.

29 maggio 2012

Grazie! Sei stata una VERA e GRANDE missionaria


24 novembre 2012: sr. Troncatti sarà beata


(ANS – Roma) – Il Sommo Pontefice ha concesso che la celebrazione del Rito di Beatificazione della Serva di Dio Maria Troncatti, Figlia di Maria Ausiliatrice, abbia luogo a Macas (Sede del Vicariato Apostolico di Méndez – Ecuador) sabato 24 novembre 2012.
A comunicare ufficialmente la data e la località a don Pierluigi Cameroni, Postulatore Generale, è stato mons. Angelo Becciu, della Segreteria di Stato. A presiedere la beatificazione sarà, in rappresentante del Santo Padre, il card. Angelo Amato, sdb, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e tutta la Famiglia Salesiana accolgono con gioia questo annuncio, nuova espressione della fecondità e vitalità del carisma salesiano.

25 maggio 2012

Sud Sudan, venti di ecumenismo?


La nascita del nuovo paese, il lungo conflitto che oppone Juba e Khartoum, i vescovi cattolici e anglicani chiedono alla comunità internazionale una posizione più “equilibrata”

Giacomo Galeazzi

CITTA' DEL VATICANO -  
Per anni in Sud Sudan l’ecumenismo è stata una parola priva di senso. A un anno dai primi scontri e dai bombardamenti sui villaggi del Sud Kordofan e del Nilo Blu, i vescovi cattolici ed anglicani hanno deciso di riannodare i fili del dialogo tra «fratelli separati» per il comune obiettivo della pacificazione. Le due Chiese chiedono alla comunità internazionale una posizione «più equilibrata» sul conflitto che oppone il Sud Sudan al Sudan. Nel messaggio, pubblicato al termine dell’incontro che si è tenuto a Yei, si afferma: «Crediamo sia importante per i nostri amici nella comunità internazionale, assumere una posizione più equilibrata». Equilibrata non vuol dire criticare entrambe le parti allo stesso modo, ma «avere piuttosto una visione ampia e a lungo termine elaborata dopo un approfondito studio, e cercare di fare pressione dove serve per portare una pace giusta e duratura».

Nel documento, rilanciato dall’agenzia vaticana «Fides», viene tracciato per sommi capi il processo che ha portato all’indipendenza del Sud Sudan, favorito dalla comunità internazionale. L’atteggiamento dell’Onu e delle maggiori potenze riguardo alle recenti tensioni tra Juba e Khartoum sul controllo delle aree di frontiera, ricche di petrolio, di Heglig (chiamata Panthou dai sud-sudanesi) e di Abyei, ha però deluso la popolazione locale. “Viviamo a diretto contatto con le comunità del Sud Sudan, e quello che stiamo sentendo da loro ci preoccupa” scrivono i vescovi.

“Sembra che il popolo del Sud Sudan stia perdendo la fiducia nella comunità internazionale. Abbiamo visto pure manifestazioni pubbliche contro le Nazioni Unite e il suo Segretario Generale, Ban Ki Moon. Allo stesso tempo, cominciamo a chiederci se la comunità internazionale capisca ancora le aspirazioni del popolo del Sud Sudan, così come delle comunità emarginate in Sudan”.

Dopo che le truppe sud sudanesi avevano occupato Heglig, l’Onu aveva esercitato forti pressioni su Juba perché le ritirasse. Dopo il ritiro dei soldati sud sudanesi però l’aviazione di Khartoum ha continuato a colpire diverse zone di confine sud-sudanesi. I vescovi affermano di “avere il sogno di due nazioni, che siano democratiche e libere, dove tutte le religioni, tutti i gruppi etnici, tutte le culture ed ogni lingua goda degli stessi diritti basati sulla cittadinanza. Sogniamo due nazioni in pace l’una con l’altra, che cooperino per fare il migliore uso delle risorse donate da Dio. Sogniamo che le persone non siano più traumatizzate, di bambini che possano andare a scuola, di madri che possano essere ricoverate in ospedale, della fine della malnutrizione e della povertà, e di cristiani e musulmani che possano recarsi in chiesa o in moschea senza paura. Il troppo è troppo. Non ci deve più essere guerra tra Sudan e Sud Sudan!”.

Un inviato di Pechino, Zhong Jianhua, ha visitato prima Khartoum poi la capitale sud-sudanese, Juba per tentare una mediazione che metta fine ai combattimenti tra Sudan e Sud Sudan. La Cina ha sostenuto una risoluzione approvata all’unanimità il 2 maggio scorso in Consiglio di Sicurezza dell’Onu per sollecitare la fine delle settimane di scontri al confine tra i due Paesi, scontri che hanno scatenato il timore di una guerra vera e propria. Nella risoluzione si fa esplicitamente riferimento, oltre che agli episodi di violenze al confine tra i due Paesi inclusi i movimenti delle truppe e l'occupazione di Heglig, ai bombardamenti aerei sudanesi che hanno causato mezzo milione di sfollati e centinaia di vittime. Si condannano sia le azioni degli eserciti regolari, sia dei gruppi armati colpevoli degli atti di violenza contro i civili, in violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

Inoltre si esprime la profonda preoccupazione per la situazione umanitaria creata dai combattimenti e dai continui bombardamenti negli stati del Sud Kordofan e del Blue Nile. Il testo proposto dagli Usa, che è stato modificato sulla base delle contrarietà espresse da Cina e Russia, dispone che Sudan e Sud Sudan adottino azioni con effetto immediato quali il cessate il fuoco, compresi i raid aerei, entro 48 ore dalla approvazione della risoluzione. Khartoum aveva abbandonato i negoziati dopo che le truppe sud-sudanesi si erano impadronite il 10 aprile della zona petrolifera di Heglig, che hanno occupato per 10 giorni. Un episodio che ha aggravato le tensioni tra i due vicini, divisi da guerra civile che dal 1993 al 2005 ha provocato oltre 2 milioni di morti. Le entrate petrolifere costituiscono l’80% dell’economia sud-sudanese e coprono il 98% della spesa governativa. I funzionari della Banca Mondiale, recentemente giunti per un’ispezione, sono rimasti allibiti dall’evidente incapacità del governo di comprendere le conseguenze della decisione di bloccare l’export del petrolio.

La decisione, presa perché il governo di Juba accusa quello di Karthum di chiedere troppo per il transito attraverso gli oleodotti costruiti sul suo territorio, sembra essere stata presa con leggerezza ed è stata seguita dall’annuncio della costruzione di almeno due oleodotti alternativi attraverso altri paesi confinanti, senza che siano nemmeno stati eseguiti studi di fattibilità e senza aver in mano nulla di più che un consenso di massima dei governi interessati. Secondo le stime della Banca Mondiale il livello dei sud-sudanesi sotto il livello di povertà passerà nel prossimo anno dal 51% all’83% e la mortalità infantile dal 10 al 20%. Insomma, una tragedia incombente. Il direttore della politica economica e dei programmi per la riduzione della povertà per l’Africa, Marcelo Giugale ha spiegato al governo sudanese e al gruppo dei paesi donatori che la situazione è tragica e che le casse dello stato saranno vuote già a luglio, al massimo a ottobre se il governo dovesse aumentare la politica di austerity. Insomma il Sud Sudan, nato da appena  un anno, già rischia il suicidio. E i vescovi cattolici e anglicani fanno fronte comune per scongiurare la catastrofe.

23 maggio 2012

Terremoto in Emilia: quando il soccorritore è straniero


Modena – Tra i tanti volontari che in queste ore stanno aiutando le persone sfollate a causa del terremoto che ha colpito, domenica mattina, 20 maggio, l’Emilia Romagna, anche uomini e donne di origine straniera. Storie di immigrati che condividono la tragedia del terremoto, nelle strade, in casa, nelle tendopoli allestite nei paesi epicentro del sisma.

Il quotidiano Avvenire questa mattina ne ricorda due. Si tratta di un giovane indiano e di una moldava.
Il giovane indiano è uno studente di medicina e collabora, come volontario, con la Croce Rossa che in queste ore sono impegnati in uno dei paesi più colpiti dal sisma: Finale Emilia. Il suo è un nucleo di cinque giovani alle prime esperienze con questo tipo di emergenze.
L’altra storia vede protagonista Angela Mazilu, moldava, Presidente dell’Associazione Migranti Est Europeo di Mirandola, cittadina a una ventina di chilometri da Finale. “Facciamo le cose che fanno tutti in questo momento – dice – piccoli gesti cercando di aiutare chi ci sta vicino senza guardare se è bianco o nero, italiano o straniero. La nostra associazione fa parte dell’Avis e alcuni dei nostri associati sono impegnati in questo momento ad aiutare, soprattutto con iniziative personali, chi è stato meno fortunato di altri perché ha perso la casa e non ha un posto dove andare. Io vivo a Mirandola e personalmente ho fatto compagnia per tutta la tremenda alba del terremoto di domenica a un nostro vicino di casa novantenne, italiano, che vive da solo. Siamo stati in strada insieme e poi, a pranzo, abbiamo mangiato insieme. Inoltre sto ospitando una coppia, una mia connazionale che convive con un italiano, che ha la casa inagibile”.
Una storia emblematica è quella, poi, della comunità cinese di Finale Emilia e Sant’Agostino. Solo i loro bar sono stati aperti almeno fino alla tarda mattinata di ieri e qui, all’alba, ci si è ritrovati un po’ tutti: volontari, operatori dei media, forze dell’ordine, gente comune.


Sr. Monica Cardona Botero, referente per l’Ambito Missione ad/inter gentes dell’Ispettoria S. Maria Mazzarello (CMM), Medellín - Colombia, ci condivide una riflessione che possiamo trovare sul loro bollettino ispettoriale di Animazione Missionaria.

CAMINANDO CON MARIA EN LA MISIÓN CONTINENTAL

Considero de gran importancia en estos días en que celebramos las solemnidades de la Ascensión al Señor y la de Pentecostés: donde Jesucristo antes de ascender al Padre nos deja el mandato de ir y predicar el evangelio a todos los confines del universo, como lo confrontamos en Mateo: 28,16-20; Marcos: 16,15-20; Lucas 24,49-53.

María es la gran misionera, continuadora de la misión de su Hijo y formadora de misioneros. Ella, así como dio luz al salvador del mundo, trajo el Evangelio a América, desde entones son incontables las comunidades que han encontrado en ella inspiración más cercana para aprender como ser discípulos y misioneros de Jesús. 
Por lo anterior es de suma urgencia e importancia el invocar a María, para que camine con nosotros en esta gran tarea evangelizadora y en cada país, en cada diócesis, en cada parroquia, en cada comunidad, en cada familia y en cada individuo, penetre lo mas profundo el espíritu misionero y seamos verdaderos instrumentos de la Buena Nueva del  Evangelio.

Y tú como vives tu misión ?
Maria, icona della missione
(Crescenzio Moretti)

L’Annunciazione e la Visitazione sono esaltanti icone della missione. Contemplare Maria, perfetta missionaria, è grazia e dono per il missionario. Come Maria, suo modello ed ideale, il missionario, scelto da Dio, ha fatto del “SI” alla chiamata ed alla missione di portare al mondo Gesù, la ragione profonda della sua vita. Il Vangelo di Luca, che narra l’Annuncio dell’Angelo e la Visita di Maria ad Elisabetta, è anche la storia di tanti uomini e donne che, nei più diversi modi, Dio ha chiamato ed ha invitato a consacrare la loro vita all’annuncio.

“Rallegrati, piena di Grazia...”
Dio si presenta sempre con una dichiarazione d’amore e a Maria fa la sua incredibile proposta. Le sue proposte Dio le fa ancora. Le farà sempre. Prima un sussurro che provoca paure, incertezze, domande: “Proprio io?” Poi il sussurro diventa istanza irresistibile: “Vieni, ti farò pescatore di uomini”: C’è sempre stato e ci sarà sempre un giovane, una ragazza, che raggiunti dalla chiamata si fidano e dicono il loro “Sl” forte e deciso.

“Maria si alzò e andò in fretta”...
Ne ho conosciuto tanti di missionari felici di partire, ansiosi di andare là dove la Provvidenza li aveva destinati. Sono indimenticabili i saluti, lo sventolio dei fazzoletti, quando la nave si allontanava dal porto. Indimenticabile anche il lento avvicinarsi al porto di arrivo della “terra promessa”. Ora è tutto più asettico, un aereo in poche ore porta a destinazione senza dare il tempo di prepararsi al nuovo mondo. Ma è sempre la stessa emozione. Nelle partenze di oggi c’è un fatto nuovo, bello, c’è la coscienza di essere mandati da un comunità che ha consegnato al suo missionario la fede che porta e lo segue con simpatia.

“Benedetta fra le donne...”
L’accoglienza di Elisabetta, il sussulto del bambino che porta in grembo, la sua esultanza perché, con l’arrivo di quel Bambino, qualche cosa è cambiato radicalmente nel mondo, è profezia della missione. Chi è stato missionario l’ha vissuta intensamente la gioia dell’arrivo e l’incontro con un popolo che lo ha accolto pieno di speranza. (Ricordo la folla festosa che mi attendeva al porto di Buonaventura la volta che tornai in Colombia in nave. “Chi è il personaggio che viaggia con noi?” si chiedevano i passeggeri). Il missionario non può dimenticare la gioia dei bambini, che primi fra tutti, gli sono corsi incontro, hanno avuto fiducia, gli hanno creduto; il lento maturare di un popolo nella fede; l’intravvedere i primi segni di una liberazione possibile che lui ha accompagnato con trepidazione.

“Stette con lei tre mesi”
La missione è cammino insieme, è servizio. Farsi africano, asiatico, latinoamericano, mai estraneo al popolo con il quale vive, è il primo atteggiamento del missionario. Fa pena quando, rare volte, incontro un missionario che non si identifica, si sente altro, diverso dal popolo a cui il Signore lo ha mandato. Il missionario va per restare per lungo tempo. Non sono tanto entusiasta dei missionari di qualche giorno, dei missionari mordi e fuggi. Non hanno capito una esigenza fondamentale della missione: fare proprie la vita, le sofferenze, le gioie, i progetti di un popolo. Il missionario sente le povertà, le ansie, i sogni del popolo con cui condivide la vita e si mette decisamente al servizio di quei sogni, dimenticando tutto il resto. Il missionario sa che il dono che porta è Gesù e non si da pace finché non lo vede accolto.

Poi, “torno a casa sua”.
Maria, compiuta la sua missione fece ritorno a Nazaret. Anche per il missionario viene il momento di lasciare. Gli costa ma deve essere così. La comunità cristiana che ha accompagnato è cresciuta, deve camminare con le sue gambe. A volte, il rimanere, per quanto gratificante, può essere un ostacolo alla vita della comunità che ha generato. Il missionario deve tornate là da dove è partito, perché c’è un gran bisogno del suo “Magnificat”, della sua gioia, del suo racconto delle meraviglie che Dio ha compiuto tra i popoli, anche per mezzo suo; deve tornare per incoraggiare, tra i suoi, una fede che sembra illanguidire.

Fonte: NotiCum – Maggio 2012

22 maggio 2012

Hold My Heart


Two Spanish visitors and I, guided by Sr Dorothy from New Zealand, Director of our Catholic Health Training Institute in Wau, recently visited the wards of the Wau Teaching Hospital as well as the St Daniel Comboni Catholic Hospital where our registered nurse students are on clinical placement. I had visited these facilities before. I found it simply wonderful to observe the dramatic improvement in the buildings but especially, also, the greater confidence of the staff, and nurse trainees, that is now evident. Standards of care have risen dramatically with great benefit to the people of South Sudan. I drove the two Spanish visitors from Yambio to Wau and later to Aweil to catch a plane back to Juba. It was a stimulating occasion discussing our SSS goals and achievements with these two inquisitive guests, Claretian priest, Fr Javier Ojeda, and De La Salle Christian Brother, Br Javier Sanchez. These two men have worked energetically behind the scenes for Solidarity with South Sudan (SSS) to generate the funds necessary to develop and sustain our
work. ‘No money, no mission’ was one of the very practical epithets uttered by our former Superior General, Brother John Johnson. It was their first opportunity to see what they have helped bring about. Working in the hospitals as trainee nurses were the students to whom I had taught English
last year as part of a Foundation programme in preparation for the formal registered nurse training. What a joy to see the assertive ‘presence’ they have developed and the belief and pride in what they are now doing! For me personally, their warm greetings were very reaffirming. For our Spanish visitors, it was extremely gratifying that their seemingly endless toil over fundraising applications has born such fruit. In the great freedom seeking movements of the sixties, they used to sing: ‘All we are saying, is give peace a chance’. What I hear the young people of South Sudan saying today, now that there is peace, is: ‘All we are saying is give us a chance.’ Give us a chance to help our people with better health care, better education and better attitude. Trauma in this country runs deep - in prisons, homes, schools, hospitals, wherever the people are. Our SSS pastoral team has already delivered a Capacitar workshop on trauma healing in the Wau prison. I often recall asking a Wau class about their families. Only 12 out of 32 still had fathers living. The mothers of 26 of this class were still living but in most of their families some siblings had died. The guns of war were directly responsible for the death of many people but, indirectly, many more died from starvation, poor health care and harsh living conditions. Here people do not ask for much. They are grateful for the gift of life and celebrate it daily with family and friends. I find myself moved by young people who approach me, not for their own advantage, but with questions such as ‘Can you assist my sister, my brother, my friend?’ Can you help the baby in the Wau Hospital, cradled in his mothers arms, a child with hideously swollen lips who has the highly contagious disease of anthrax? I listened to a doctor say he could not place this child in a ward with other patients and put all of them at risk. The hospital says it cannot afford an extra nurse to care for this child in an isolation ward. Such is the dilemma, and sometimes the despair, of South Sudan. The words of the Liam Lawton hymn, The Pieta, take on extra meaning:
Who will come and share my sorrow
Hold my heart ‘til wake tomorrow
Is there time that I could borrow
Oh oh oh oh the silence and the sorrow.
Here in South Sudan we are bringing professional care into the silence and the sorrow. Our Health Training Institute is healing and holding hearts to a waking tomorrow.
- Br Bill








Education is key to development in South Sudan


In the latest development of the simmering conflict between the world’s newest nation, South Sudan, and its Northen neighbour Sudan, Juba is asking the United Nations to impose sanctions on Khartoum.
It says that Sudan is failing to obey a Security Council resolution calling for an end to hostilities and renewed negotiations with South Sudan over oil and border disputes.
Meanwhile the UN is warning that more than half the population of South Sudan are facing food shortages due to the continuing conflict with Sudan.
Fighting on the border between the two countries and the shutdown of oil production have had a devastating impact on the South's economy.
And analysts say there are fears the situation in the South, which gained independence from Sudan last July, is worsening. 
Linda Bordoni spoke to Father Joseph Callistus who is based in Juba, but was briefly in Rome to liaeise with colleagues of the Solidarity with South Sudan organization which has its headquarters near the Vatican.
Father Joseph, who is director of the Solidarity with South Sudan project explains that it is a consortion of more than 200 religious congregations involved in capacity-building in the new nation.

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Father Joseph explains that in 2005, when the Comprehensive Peace Agreement was signed, the Conference of Bishops in Sudan invited the Union of Major Religious Superiors, both men and women sections in Rome, to come and help uphold and rebuild the new opportunities in South Sudan. They responded by choosing four areas in which they could help: primary school teacher training; health training; pastoral work with ongoing formation for laity, religious, priests and church personal; agriculture.
Fr. Joseph describes the current situation of impending conflict as sending shock waves of insecurity throughout the nation. Whilst after the referendum in July, he says, the people had moved into a period of stability and this was showing with new infrastructures and businesses starting to flourish, the the current impasse with North Sudan is such that it has brought instability and insecurity with prices going up, few commodities, people storing goods and all sorts of things that come with an unstable political situation. What happens during times of instability, he says, a lot of rumours are spread so there is a need for assurances.
Fr. Callistus also voices his opinion that the international community has the responsibility to bring the two sides to the mediating table. Now he says, there is the opportunity to solve unresolved issues with the international community present, and he mentions the issues of oil revenue, border demarcation, the issue of South Sudanese who are living in the North. All issues that have not been resolved and are bringing uncertainty. He says the international community is dutybound to take up a role.
Fr. Joseph says the international community also has a responsibility as regards investment in South Sudan. He says that during the time of war, the resources of South Sudan were used to generate revenue for the the Republic of Sudan. Now is the time these resources must be used to help the new country build its infrastructure, but this can only happened when the above issues are resolved.
As regards internally displaced people he says that at the moment there are issues in many other regions of Sudan and South Sudan that are creating instability and the displacement of people. He mentions South Kordofan, Nuba Mountains, Blue Nile, Darfour, all areas in which people not only are displaced, but they are also attacked, raped, killed...
Fr. Joseph says the people need help. Education he says is key to their development. And even if many are living in temporary shelters, Soldidarity with South Sudan is convinced that education is fundamental for building the future.
He speaks of the work of Caritas that is distributing aid to the people who are affected, and expresses concern for the fact that the impending rainy season will create further emergencies, both in transporting aid and in health conditions in the camps.
Fr Joseph is convinced that the people of South Sudan has many resources including the commitment of the people to rebuild their new nation. Many who had left have returned with the new opportuntiy and he says South Sudan can rebuild its self as a prosperous new nation with the right accompaniment and help.
As regards the Bishops Conference of Sudan, fr Joseph says the Bishops of Sudan are remarkable spiritual leaders. It is because of their efforts that self-determination was possible.
South Sudan has 7 dioceses whereas the North has 2. After independence the bishops decided to keep the conference united, operating though separate diocese in both countries. 
He says the bishops of Sudan are busy implementing the post synodal document following the 2009 Synod of Bishops for Africa. In particular seeing to it that in all the dioceses follow through in their pastoral formation with a series of issues the document calls for such as pastoral reconciliation, justice and peace, inter-tribal living, accountability and transparency: all of them important issues that this document calls for. 
He says the government of South Sudan respects the Church and supports the work of Solidarity with South Sudan. It considers the Church "the mother of education." But he says the Church is also the prophetic voice in South Sudan and the governement is listening. At the moment he says, it is a good combination.
Fr Joseph is convinced that South Sudan can develop into a beacon for Africa, a nation based on respect for human rights, the search for common good, the upholding of justice.
Finally Fr Joseph remembers the prayer campaign called 101 days of prayer that helped create an opportunity for a new imagination for the people of South Sudan as they strived for independence. Today he says, there is a new opportunity to accompany this new nation with prayer. He speaks of the power of prayer and asks all to accompany South Sudan in prayer. 

13 maggio 2012

Formazione Permanente - Maggio Missionario 2012

Loved by God


I don’t recall when I first heard the story of Job sitting on a dunghill. I do remember thinking I don’t really want to be that close to God if that is how God tests those who are his friends! It is easy enough to accept that the poor deserve our special care and concern.
That is quite straight-forward and not so threatening: we share the bounty we have received with those less fortunate. It is, however, an altogether greater leap in faith to accept that we should be happy and continue to praise God in wretched circumstances; but, in Agok, that is what the people do!
God, the Church and the Christian message have a central place in the lives of the displaced people of Abyei. More than that, their faith seems to provide meaning and solace in a situation that many of us would simply describe as ‘very miserable’. One does not find sadness or self-pity here. Rather the displaced people of Abyei exhibit pride, dignity, cheerfulness and a gentle, yet strong, determination to make the most of their situation.
An energetic man intent on helping his people, the local priest, Fr Biong, has found donors to pay for many truckloads of rough hewn timber, bamboo and matting to be brought to Agok. The people will make themselves tukuls – mud and stick walled houses with grass roofs. Fr Biong had arranged this for 6,400 households but just as he was getting ready to distribute the building materials, he found further displaced people had arrived. They are living under trees with no food and little water – more than 400 families, mostly women and children, who have fled from recent fighting. With the aid of the Governor of Abyei, Fr Biong managed to get 200 bags of sorghum for these recent arrivals but I am not sure how they will cook it as they have no pots or pans!
We were in Agok to teach English to more than a hundred teachers. Some walked two hours each way to get to our classes. Attendance was very good. The parish provided a chair for each teacher but none had desks to use, even when they were sitting for tests. Not once did I hear a teacher complain about their situation – although two did complain that they thought I had given them one mark less out of a hundred than they deserved!
Sunday mass, in the outdoor ‘Church’ was crowded. There were four adult baptisms celebrated with joyful singing and dancing by some in the congregation. The Abyei Church is alive and well not only in liturgy but with many parish meetings, a young choir who practice regularly, and a youth group intent on social action to help those in need. There are no trappings of pomp – just sincere, faith-filled participation and mutual support.
There are kids almost everywhere. Many are crowded into whatever classrooms are available while others are simply taught in the open or under a tree. I don’t know how the schools will cope when rain arrives. The friendly children love to shake a Kawadja’s hand and call out, ’How are you?’ with a heavy accent on each of the words. The most common response when this question is asked is, ‘I am very fine thank you!’ One does indeed get the impression they do feel very fine thank you in this dry, dusty, desolate district.
Are these people modern day Jobs? They lack easy access to clean water and getting enough food is a continuing challenge for them. The aid programmes provided by the UN, the Church and some NGOs are essential indeed. Like Job, these people are patient in adversity and grateful for the help they receive. In my mind, I contrasted their struggles with my biggest problem in Agok, the pit latrine that I had to use and was ready to curse!
The Abyei people would be delighted to have access to this facility that I despised!
Perhaps, more than help with English, we bring them hope that they are not forgotten. We, as part of the Church, are walking with them in their search for a future that offers greater opportunity – and like Job, we also learn to adapt and praise the God of love.
Br Bill


 









12 maggio 2012

Il nostro sguardo rivolto a Maria


Carissime Sorelle,
In questo mese di maggio siamo invitate a vivere quanto ci dicono le nostre Costituzioni.
“Fidando nella parola di don Bosco: “È Maria che ci guida”, coltiveremo per lei un amore riconoscente e filiale e ci impegneremo a trasmetterlo alle giovani. ” (C. 44)

Maria, la pastorella del sogno missionario di Don Bosco, la stessa che, indicando a Maria Domenica Mazzarello le giovani come una consegna: “A te le affido”, continua ad additare i “luoghi” in cui le giovani ci attendono e ad accompagnare l’audacia missionaria delle FMA.

Con Maria, Madre dell’Amore e prima missionaria, vogliamo rendere visibile la Buona Notizia del Vangelo in tutti gli ambienti dove siamo inviate attraverso la nostra presenza di Figlie di Maria Ausiliatrice e delle nostre Comunità Educanti.

Questo è per noi il tempo opportuno per riprendere la ‘categoria’ dell’incontro additata negli Atti del CGXXII e in essa contemplare l’incontro di Maria ed Elisabetta. Le due donne narrano le meraviglie che Dio sta operando nella loro vita. In quell’incontro abituale, familiare, il Signore si rivela e sprigiona la vita, la gioia, la speranza.

La benedizione di Elisabetta e il canto del Magnificat dicono chiaramente che il Dio di Israele è dalla parte dei poveri, degli umili e dei semplici.
Nel Magnificat Maria parla e pensa con la Parola di Dio. Essendo così intimamente attraversata dalla Parola di Dio, Lei diventa Madre della Parola incarnata.

La pedagogia dell’incontro è un aspetto essenziale della missione. E’ stato il modo scelto da Dio per dimostrare il suo amore verso tutti. Dio stabilisce l’incontro visibile con l’umanità mediante il suo Figlio Gesù Cristo, incarnato nel seno di una giovane donna.

Siamo invitate a conservare il nostro sguardo rivolto a Maria e riconoscere che Lei è per noi la vera Discepola-Missionaria. Lei ci conduce a fare ciò che Gesù ci dirà (cf. Gv 2,5) perché Lui possa, anche oggi, trasformare le acque torbide della quotidianità nel Vino Buono della gioia, della speranza, della solidarietà, della comunione, perché le comunità educanti e i giovani possono respirare un’aria di missionarietà, di slancio apostolico propria del Da mihi animas cetera tolle.

Con Maria, ascoltiamo ancora una volta la Parola del Maestro e il suo mandato: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli” (MT 28,19). Ascoltarlo come comunità di discepole-missionarie, che vivono l’esperienza dell’incontro con LUI e si sentono impegnate nel suo progetto di Salvezza perché tutti i popoli abbiano vita e vita in abbondanza.

Lasciamoci guidare da Maria. Lei ci condurrà attraverso le categorie dell’incontro, della missione solidale, del servizio per la vita degli ultimi, ad annunciare Gesù con la nostra vita, con la testimonianza di comunione, di sinergia nella missione e, se necessario, con la parola.

Ricordiamo che Maria ci spinge ad aprire le porte, a vivere l’esperienza dell’esodo, a metterci in cammino. Lei, la prima evangelizzata, diventa la prima annunciatrice della VITA vera che abita il suo cuore e nel suo seno si è fatta carne.
Con e come Maria portiamo anche noi Gesù nella nostra vita e scopriamo la Sua presenza nella missione, nella semplicità del quotidiano e nel volto di ogni persona.

Carissime sorelle, Maria vi accompagni e vi benedica. In comunione fraterna un grande abbraccio.

Sr. Alaíde Deretti
Consigliera Ambito Missione ad/inter gentes

11 maggio 2012

Vaticano - Verso la beatificazione di Suor Maria Troncatti



(ANS – Roma) - Papa Benedetto XVI, nel corso dell’udienza concessa oggi al card.
Angelo Amato, sdb, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha firmato il Decreto sul miracolo di guarigione attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Troncatti (+1969), Figlia di Maria Ausiliatrice, Missionaria in Ecuador.
“Accogliamo questo dono come segno privilegiato dell'amore di Dio per tutta la Famiglia Salesiana e per l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice in particolare, ha dichiarato Madre Yvonne, Superiora Generale delle FMA. La santità di famiglia onora tutti i gruppi che si rifanno alla spiritualità salesiana di Don Bosco. È stimolo a vivere con passione il carisma e a trasmetterlo alle giovani generazioni in un mondo pieno di sfide, ma anche ricco di segni di speranza. Il traguardo della santità riconosciuta dalla Chiesa è dono straordinario della bontà di Dio, ma la misura alta della santità vissuta nel quotidiano è anche impegno di ciascuno di noi. Vogliamo risvegliare la passione per quella santità semplice ed esigente che è propria della nostra vita salesiana e, prima ancora, di una vita evangelica vissuta con coerenza e totalità di dono”.
Maria Troncatti nasce a Corteno Golgi (Brescia) il 16 febbraio 1883. Nella numerosa famiglia cresce lieta e operosa fra i campi e la cura dei fratellini, in un clima caldo dell'affetto dei genitori. Assidua alla catechesi parrocchiale e ai Sacramenti, l'adolescente Maria matura un profondo senso cristiano che la apre alla vocazione religiosa. Per obbedienza al padre e al parroco, però, attende di essere maggiorenne prima di chiedere l’ammissione all’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed emette la prima professione nel 1908 a Nizza Monferrato.
Durante la prima guerra mondiale (1915-1918) suor Maria segue a Varazze corsi di assistenza sanitaria e lavora come infermiera crocerossina nell'ospedale militare: una esperienza che le riuscirà quanto mai preziosa nel corso della sua lunga attività missionaria nella foresta amazzonica dell’Oriente equatoriano.
Partita infatti per l’Ecuador nel 1922, è mandata fra gli indigeni shuar, dove con altre due consorelle inizia un difficile lavoro di evangelizzazione in mezzo a rischi di ogni genere, non esclusi quelli causati dagli animali della foresta e dalle insidie dei vorticosi fiumi da attraversare a guado o su fragili “ponti” di liane, oppure sulle spalle degli indi. Macas, Sevilla Don Bosco, Sucúa sono alcuni dei “miracoli” tuttora fiorenti dell'azione di suor Maria Troncatti: infermiera, chirurgo e ortopedico, dentista e anestesista... Ma soprattutto catechista ed evangelizzatrice, ricca di meravigliose risorse di fede, di pazienza e di amore fraterno.
La sua opera per la promozione della donna shuar fiorisce in centinaia di nuove famiglie cristiane, formate per la prima volta su libera scelta personale dei giovani sposi. Suor Maria muore in un tragico incidente aereo a Sucúa il 25 agosto 1969, offrendo la sua vita per la riconciliazione tra i coloni e gli indigeni. La sua salma riposa a Macas, nella Provincia di Morona (Ecuador). È stata dichiarata Venerabile l’8 novembre 2008.

4 maggio 2012

Chaco Paraguayo

López Perito lidera comitiva que irá al Chaco

Un equipo interinstitucional partirá rumbo al Chaco este viernes a tempranas horas. El grupo humano, liderado por el jefe del Gabinete Civil, Miguel López Perito, se trasladará en un vuelo militar.
Según informa el Gabinete Civil de la Presidencia, López Perito, quien viajará en su calidad de Coordinador de Emergencia del Chaco, encabezará la comitiva.
A las 07:00 de este viernes parte del grupo aerotáctico, un vuelo militar que transportará a la Comitiva Interinstitucional, en el marco de la inundación que sufre gran parte del Chaco paraguayo.
La comitiva tiene previsto bajar en el Aeropuerto de Loma Plata y seguidamente trasladarse por tierra a la localidad de Tte. Irala Fernández, donde se encuentra la base de operaciones montada por la Secretaría de Emergencia Nacional (SEN).
La principal acción que ejecutará la comitiva será recuperar los accesos a las localidades chaqueñas además de la producción agrícola, pecuaria, viviendas, edificios escolares. También buscarán garantizar la seguridad alimentaria.

Per ulteriori informazioni:

G. Weigel: “Iglesia Católica en el siglo XXI: Iglesia de misión”


Buenos Aires: “La Iglesia Católica en el siglo XXI es una Iglesia de misión, que está emergiendo”, dice George Weigel, intelectual norteamericano, autor del best seller “Testigo de esperanza”, una biografía pormenorizada de Juan Pablo II.
“Estamos en el comienzo de un nuevo y dinámico período de la historia del catolicismo, en el cual la Iglesia será un movimiento misionero para la conversión de la cultura”, expresó George Weigel, teólogo, politólogo, periodista, columnista de publicaciones, autor de numerosos libros.
Fue fundador de la Fundación James Madison de estudios constitucionales y actualmente es catedrático de Estudios Católicos en el Ethics and Public Policy Center, de Washington. ¿Esta dinámica misionera es algo que él ve o es un deseo?, le preguntamos en un diálogo mantenido en el Marriott Plaza Hotel, unas horas antes de que hablara de ese tema en un encuentro de dirigentes laicos convocados por el Departamento de Laicos del Episcopado (DEPLAI), en la sede de la Conferencia Episcopal. Allí también se entrevistó con el presidente de la Conferencia Episcopal, monseñor José María Arancedo.
“Es algo que veo”, contesta este intelectual, elegante y sobrio, vestido con traje oscuro, camisa blanca y corbata con vivos rojos, y de aspecto juvenil a sus 61 años. Comenta sonriente que los 60 años de ahora  – en que mucha gente llega con buena salud y lúcida a los 90-  equivalen a los cuarenta años de otra época. El viernes 4, Weigel recibirá el doctorado honoris causa en Mar del Plata, otorgado por la Universidad Fasta; la Fraternidad de Agrupaciones Santo Tomás de Aquino (Fasta), asociación internacional de fieles lo ha invitado al país en el marco de la celebración de sus 50 años.
“¿En qué advierte eso que ve?”, insistimos. “En el pontificado de Juan Pablo II, en los encuentros mundiales de la juventud, en movimientos como Fasta y otros, en los sacerdotes jóvenes que surgen a lo largo del mundo, en gente laica muy activa, en parroquias que entienden que la fe tiene que ser dada por gente de fe”. Y reflexiona: “La cultura en que vivimos no está transmitiendo la fe, nosotros tenemos que transmitirla”.
Marca dos puntos de referencia: la encíclica Redemptoris Missio, de Juan Pablo II, de 1990, y la carta apostólica Novo Millennio Ineunte, del mismo pontífice, del año 2001. “En Redemptoris Missio  – dice -,  el Papa enseña que la Iglesia es una misión. No es que tenga una misión, como se tienen otros caracteres: es una misión. Toda cosa en la Iglesia debería ser medida, sopesada, en orden a la misión de convertir al mundo”.
Y en Novo Millennio Ineunte, el Papa desafía a la Iglesia a fin del gran jubileo del año 2000, a dejar las aguas bajas de mantener la institución y pasar a las aguas profundas de la evangelización. Es lo que dice Jesús a sus discípulos en el capítulo 12 de San Lucas, agrega: “Duc in altum, navegar mar adentro”.
Weigel señala que tendemos a pensar en la Iglesia como una institución a ser mantenida o defendida, y precisa que “el Concilio Vaticano II nos está llamando a pensar en la Iglesia como un movimiento de gente, de personas, que dan a otros el don de la fe que ellas han recibido”.
Y subraya que en Redemptoris Missio Juan Pablo II dice que hay una paradoja en la vida de fe, que nuestra fe se acrecienta cuanto más la damos a otros.
“Queremos que cada uno en la Iglesia se vea a sí mismo como un discípulo misionero. Es lo que dicen los obispos del Consejo Episcopal Latinoamericano (CELAM) en el documento de Aparecida”.
Weigel dijo a un grupo de estudiantes el lunes último que la Iglesia convertirá al mundo no por argumentos sino por ejemplos. “La argumentación intelectual es importante  – puntualiza -  pero la gente se sentirá atraída por la humanidad de los cristianos, que viven de la fe, que viven de un modo humano, que transmiten la alegría de la vida, la decencia en su conducta”. ¿Cómo ve geográficamente la situación de la Iglesia en el mundo? Contesta que se puede ver un ejemplo del incremento de la fe en África, donde ha habido un tremendo crecimiento de la Iglesia en el siglo XX. Se puede ver también la vitalidad de algunas partes de la Iglesia en Occidente. Pero a la vez, a contrario sensu, advierte en Europa instituciones grandes, pero muy poca energía. Y una cultura muy hostil. Al tiempo que advierte un continente que “está suicidándose demográficamente de modo alarmante”.
Él ha escrito un libro titulado “El coraje de ser católico: crisis, reforma y futuro de la Iglesia” (Editorial Planeta, 2003), en el que no ahorra críticas al manejo poco transparente de casos de abusos sexuales en la Iglesia de su país, los Estados Unidos. ¿Cómo ve ahora la situación del catolicismo en su patria? Apunta que la Iglesia en su país ha atravesado un período de crisis, y está mostrándose más fuerte, más clara en su entendimiento, y comprometida en su reforma. Weigel aporta un dato quizá poco conocido y alentador. En la última Pascua, 200.000 personas se incorporaron a la Iglesia Católica en los Estados Unidos y “eso es un signo de vida”.
Estima que el movimiento misionero en la Iglesia es la emergencia de una corriente profunda, iniciada hace 125 años por el papa León XIII y que se revitaliza en el Concilio Vaticano II, en la autorizada interpretación de los papas Juan Pablo II y Benedicto XVI. Y apunta una visión de esperanza en su misión evangelizadora, en medio de los desafíos, conflictos y oportunidades del mundo actual. (Jorge Rouillon)