31 ottobre 2014
28 ottobre 2014
ASIA/INDONESIA - Primo Congresso interreligioso dedicato alla “vera fraternità”
Semarang – Vivere e dare
testimonianza di “autentica fraternità”: questo il fine del Congresso
interreligioso organizzato nei giorni scorsi dall'arcidiocesi di Semarang, a
Giava Centrale. Si tratta di una iniziativa inedita e unica nel suo genere in
ambito nazionale: “Un congresso dedicato alla fratellanza, a cui hanno
partecipato non solo i seguaci delle grandi religioni, ma anche fedeli di
credenze tradizionali e movimento spirituali” spiega a Fides p. Aloys Budi
Purnomo, presidente della Commissione per il dialogo interreligioso
dell'Arcidiocesi di Semarang.
Il Congresso, tenutosi dal 24 al
26 ottobre, ha riunito 812 partecipanti, che hanno dato vita a colorate
celebrazioni interculturali, interpretate da 250 bambini, adolescenti e giovani.
L’iniziativa è stata arricchita da spettacoli culturali e religiosi. Il
Congresso, proprio per rimarcare il senso di fraternità, si è tenuto in luoghi
aperti e pubblici, come la piazza di Muntilan, a Giava Centrale.
I partecipanti hanno ascoltato i
messaggi di sei religioni ufficialmente riconosciute in Indonesia (Islam,
Induismo, Buddismo, Confucianesimo, Protestantesimo e Cattolicesimo) e una
credenza tradizionale. L’Arcivescovo di Semarang, Johannes Pujasumarta, ha
fatto gli onori di casa, salutando l’assemblea a nome della Chiesa cattolica.
Alla fine dell’evento, il
Congresso ha diffuso una dichiarazione in quattro punti: in primis si nota la
bontà di tale incontro interreligioso; in secondo luogo, si ringraziano i
relatori che hanno rafforzato nei credenti il sogno di una “vera fratellanza”,
espressa nel motto della nazione indonesiana, che è “unità nella diversità”. I
partecipanti, poi, si impegnano a lavorare costantemente per il dialogo e a
mettere in pratica l’insegnamento del rispetto del prossimo, diffondendo “la
buona notizia della fraternità” in famiglie, quartieri, luoghi di lavoro,
comunità religiose o di credo.
27 ottobre 2014
Elezione della Consigliera per le Missioni
Alle ore 10.18 è stata riconfermata Consigliera per le Missioni, suor
Alaide Deretti.
La Consigliera per le Missioni ha la responsabilità di dare impulso all'azione
missionaria dell’Istituto tra i popoli in via di evangelizzazione. (C 130)
26 ottobre 2014
Suor Elena GIOCO
Carissime sorelle, il 16 ottobre 2014, nella “Clínica
Zerpa” di Puerto Ayacucho (Venezuela) il Signore ha chiamato a sé la nostra
cara Suor Elena GIOCO. Nata a Gambellara
(Vicenza) il 18 giugno 1929. Professa a Battaglia Terme (Padova) il 6 agosto 1955.
Appartenente all’Ispettoria Venezuelana “S. Giovanni Bosco”.
Elena nacque in una famiglia cristiana che il Signore
benedisse con dieci figli; tre sorelle divennero FMA. La famiglia fu sempre punto
di riferimento per suor Elena, seguiva le notizie dei fratelli e nipoti con
molto affetto e ogni avvenimento era motivo di riconoscenza e di gioia. Alla
domenica riceveva sempre una telefonata della sorella suor Gemma che la metteva
al corrente di tutto.
Elena conobbe le FMA al suo paese e, frequentando
l’oratorio, maturò la risposta alla vocazione religiosa salesiana. Entrò come
Aspirante a Conegliano Veneto nel 1952; per il Postulato andò a Padova e visse
il tempo del Noviziato a Battaglia Terme dove emise i primi voti.
Per suor Elena vocazione salesiana era sinonimo di vocazione missionaria e
perciò fece la domanda missionaria. Madre Linda
Lucotti, allora Madre generale, accolse la sua richiesta e venne destinata al Venezuela.
Quando vi giunse, venne mandata al Collegio “María Auxiliadora” di Caracas
Altamira e, mentre imparava la lingua, le fu affidata la responsabilità di una
scuola materna fiorente che, secondo le consorelle e i collaboratori laici, suor
Elena diresse con successo e amore. Quanti condivisero con lei la missione
educativa, sottolineano la sua esattezza nell’orario, la capacità di istaurare buone
relazioni con la comunità educativa, l’abilità nell’accompagnare i piccoli
nell’adattamento all’ambiente scolastico aiutandoli a superare il distacco
dalla famiglia. Era affettuosa e materna nello stesso tempo, ferma ed esigente.
Curava il canto, la ginnastica, la catechesi per i genitori e per gli studenti,
sempre sollecita della crescita integrale di tutti.
Dopo 12 anni in Altamira, suor Elena iniziò un pellegrinaggio
per varie comunità, intercalando esperienze in zone urbane e nell’Alto Orinoco.
Ovunque il suo ardore missionario e la
ricchezza delle sue doti pedagogiche divennero dedizione generosa. Benché la sua prima esperienza tra gli
indigeni fu piuttosto faticosa, non se ne lamentò mai. Amò l’Amazzonia; anche
quando l’obbedienza la inviava in altre case, il suo cuore era sempre orientato
a quei luoghi. San Fernando de Atabapo, La Esmeralda, Puerto Ayacucho conobbero
il suo impegno soprattutto riguardo all’evangelizzazione: insegnava, visitava villaggi,
seguiva la preparazione ai Sacramenti, insegnava lavoretti manuali e, siccome
era esperta nel cucito, organizzò cooperative di cucito per la promozione della
donna. Seppe incarnare il motto di don Bosco: “Da mihi animas cetera tolle” e come lui promise che fino l’ultimo
respiro sarebbe stato per le missioni.
Donna di preghiera e amante dell’Eucaristia, parlava di Dio
con semplicità e traduceva questo suo amore in gesti concreti di servizio ai
fratelli. Suor Elena aveva un cuore delicato, il suo dolce sorriso e lo sguardo
limpido rendevano visibile la sua bontà. Amava il Venezuela come sua patria e
sentiva profondamente il disagio per le situazioni che viveva il paese, sognava
un Venezuela diverso con una nuova alba per tutti specialmente per i giovani.
In questi ultimi anni in suor Elena era evidente l’indebolimento
delle forze fisiche. Nel mese di agosto venne a Caracas per gli Esercizi
spirituali, si fermò in casa ispettoriale per sottomettersi ad alcuni
accertamenti medici. Aveva una forte aritmia e il diabete, ma finalmente poté far
ritorno al suo amato Puerto Ayacucho, era felice! Giovedì 16 ottobre ebbe male
e venne portata all’ospedale. Il Signore la visitò senza preavviso, la trovò
preparata e la chiamò a sé. Come Padre buono compì il desiderio di suor Elena
di morire in missione! Ora avrà ricevuto il premio per la sua generosa e
coraggiosa dedizione e per il suo grande amore per i poveri. Interceda per noi
e ci ottenga numerose vocazioni missionarie.
L’Ispettrice
Suor Margarita Hernández
Suor María Antonieta AMAZONAS
Carissime sorelle, il
giorno 16 ottobre 2014, nella casa “S. Giuseppe” di Caracas (Venezuela) il
Signore ha chiamato alla pace eterna la nostra cara Suor María Antonieta AMAZONAS.
Nata a Puerto Ayacucho (Venezuela) il 25 giugno1946. Professa a Castelgandolfo
(Roma) il 5 agosto 1974. Appartenente all’Ispettoria Venezuelana “S.
Giovanni Bosco”.
Antonieta perse la mamma
quando aveva appena un mese di vita. Venne subito adottata da una famiglia che
aveva già tre figli. Fin da bambina visse la preoccupazione per la sua terra e la
sua gente. Il papà era deputato ed ebbe occasione di conoscere i vari problemi
che affliggevano la terra dell’Amazzonia. Antonieta frequentò la scuola
elementare dalle FMA di Caracas, continuò gli studi a Puerto Ayacucho e conseguì
il Bachillerato nel Collegio “María Auxiliadora” di Los Teques. Ritornò a Río
Negro (Amazzonia) dove fu maestra nella scuola primaria. Gli alunni apprezzavano
la sua creatività e le sue doti educative. Sentì presto il desiderio di donarsi
al Signore e confidò ad un’amica: “La mia famiglia aspetta altre cose da me, ma
io voglio diventare religiosa”. Studiò nella Scuola Normale di Coro e quello fu
il periodo che le permise di vincere gli ostacoli personali che le impedivano di
seguire la chiamata del Signore. Lasciò la famiglia anche senza ottenere il
permesso dei suoi cari e ne soffrì.
Nel mese di settembre
1968 era accolta tra le aspiranti. La sua presenza aprì un nuovo capitolo nella
storia dell’Ispettoria, infatti Antonieta era la prima vocazione delle missioni
salesiane nell’Amazzonia. Non mancarono in quegli anni le tensioni e i contrattempi
che ogni cambio interculturale comporta. Antonieta accettò con serenità le difficoltà
e non si inquietò eccessivamente quando vide che i tempi si prolungavano.
Interrogata su questo, dice: “Io mi sono consacrata al Signore e gli ho offerto
la mia vita, che importanza ha se devo stare più tempo in aspirantato?”. Nel
1972, Antonieta partì per l’Italia per il Noviziato ed emise i primi voti a Castelgandolfo.
Ricorderà con riconoscenza l’esperienza vissuta al centro dell’Istituto.
Tornata nell’Ispettoria, lavorò nelle case di Caracas, San Antonio e Coro.
Le consorelle che vissero con lei ricordano la sua allegria, la capacità di passare
con serenità da un servizio all’altro. Dotata di un’intelligenza brillante, approfittava
di tutte le opportunità per imparare e prepararsi meglio alla missione
educativa. Dopo i voti perpetui nel 1980
partì come missionaria per l’Alto Orinoco dove lavorò per 34 anni in diverse
comunità: Mavaca, Puerto Ayacucho, Platanal, Ocamo, La Esmeralda. In alcune
fu anche direttrice. La sua vocazione salesiana trovò la sua piena
realizzazione e le comunità godettero della sua presenza allegra, fraterna e
amabile. Suor Antonieta era consapevole di doversi immergere pienamente nella
cultura yanomami, per questo studiava la lingua, era rispettosa delle tradizioni
culturali e cercava di conservarle. Era la sorella che annunciava il vangelo,
che saziava la fame, che consolava, correggeva, ristabiliva la pace.
Amava profondamente l’Istituto e ringraziava il Signore per averla chiamata
alla vita religiosa salesiana; nutriva una devozione filiale a Maria Ausiliatrice.
Fu una FMA felice che amò profondamente
il popolo yanomami e per esso diede la vita. Fu anche invitata all’ONU e
parlò con passione dei diritti e dell’educazione dei popoli indigeni. Alcuni
mesi fa lo Stato dell’Amazzonia le conferì un riconoscimento per il suo insigne
lavoro tra gli yanomami, riconoscimento che accettò con semplicità.
La tempra di donna
centrata in Dio la espresse nella serenità con la quale affrontò la malattia
del cancro. Quelle che siamo state vicine a lei in questi sei mesi possiamo
testimoniare il coraggio e la fiducia con le quali ha vissuto. Negli ultimi
giorni disse a una consorella: “Sto molto bene, sono felice… Non preoccupatevi,
il Signore mi ha detto che mi sta aspettando. La Chiesa, l’Istituto, le
vocazioni, il Venezuela saranno le mie preoccupazioni d’ora in poi”. Il 16 ottobre
accompagnata dai familiari e dai canti delle consorelle, partì per la casa del
Padre.
Cara suor Antonieta,
avevi detto che la tua vita era una passeggiata per la terra, noi, tue
consorelle diciamo: “Tu, con la tua vita, ci hai fatto oltrepassare la soglia
di Dio e del suo Regno. Sei stata una donna felice e ci hai rese felici. La tua
dedizione generosa, senza limiti, la tua serenità, la tua fede radicale, la tua
gioia di vivere ci hanno fatto gustare un raggio di Cielo, per questo con te e
con la tua famiglia lodiamo e ringraziamo il Padre”.
L’Ispettrice
Suor Margarita
Hernández
Pedalando per i poveri. Un missionario per le strade di campagna del Bangladesh
Padre Bob McCahill ha 77 anni. È un missionario americano dei Maryknoll e
continua a pedalare in sella alla sua bicicletta per strade di campagna del
Bangladesh. Incontra e aiuta i malati, soprattutto i
bambini. Una testimonianza di amore cristiano tra i musulmani e gli indù.
Su queste strade tutti lo conoscono come Bob Bhai (Fratello Bob: “bhai” è
la parola bengalese per fratello). Sono 38 anni che Padre Bob serve i poveri del
Bangladesh. E’ anche un intrepido ciclista. Macina
decine di chilometri ogni giorno, a volte anche 70, per visitare i villaggi e
incontrare i bambini più bisognosi di assistenza medica. Da quando è arrivato
nel 1975 ha risieduto in 10 città diverse.
Di solito rimane solo tre anni in una città. Secondo
una sua definizione: “il primo anno è quello del sospetto, il secondo quello
della fiducia e il terzo quello dell’affetto ed è anche quello che contrassegna
il tempo di passare a un’altra città per continuare il mio ministero di
amicizia e di guarigione tra i musulmani e gli altri”.
Quando arriva in una città, prende in affitto una stanza fino a quando non
riesce ad avere una capanna di fortuna allestita per lui nella periferia. La capanna è fatta di sottili bastoni di iuta piantati sul terreno
argilloso. Il tetto è rinforzato con
un foglio di polietilene per proteggere l’interno dalla pioggia.
La piccola
capanna può facilmente contenere le poche cose che servono al missionario. Un
letto in legno, uno sgabello basso su cui Bob si siede a pregare, leggere o
scrivere. C’è anche una piccola mensola per tenere alcuni libri essenziali, una
stufa a cherosene con un fornello e un secchio per l’acqua. Le scorte di cibo
(riso o pane) pendono dal tetto in sacchetti di plastica per evitare di
condividere gli alimenti con i topi. Nel rifugio di notte è ospitata anche la sua bicicletta.
La giornata di Bob inizia molto presto. Si alza dal letto alle 3 e 30 e
dopo un’ora di meditazione celebra la messa quotidiana. Mentre è ancora buio
presto prepara la colazione e fa le piccole faccende di casa, prima di impostare
il programma della giornata. Intorno alle 6 e 30 è pronto a mettersi in viaggio
verso i villaggi per incontrare e aiutare i malati, soprattutto i bambini che
devono affrontare infermità e deformità.
Ovunque vada, Bob incontra persone curiose che gli fanno molte domande. Da
parte sua Bob ama sfidare, chiedendo ad esempio: qual è lo scopo della vita?
“Dopo aver fatto questa domanda – racconta il missionario – vedo davanti a me
sguardi perplessi. Allora io dico: ‘I cristiani credono che lo scopo della vita
sia l’amore’. Questa affermazione sorprende i musulmani che a loro volta
credono nell’amore, ma non hanno mai veramente pensato che lo scopo della vita
fosse l’amore”. Molti bengalesi musulmani considerano i vari programmi
missionari cristiani come mezzi usati per convertirli. Ma Padre Bob dissente:
“Non sono uno che fa proseliti ma un evangelizzatore.
L’atto d’amore è evangelizzazione, soprattutto tra le persone che sospettano
che un missionario venga a convertirli e utilizzi l’assistenza sanitaria,
l’istruzione e lo sviluppo sociale a tal fine. Siamo qui per donare a queste
persone amore e rispetto e lasciarli in uno stato d’animo che permetterà loro
di fare lo stesso, pur rimanendo musulmani. Quello che stiamo facendo, e cioè
amare, ha un impatto molto forte sulle persone”.
Venerdì sera
padre Bob si trasferisce a Dhaka in compagnia dei malati e dei loro parenti per
farli curare nei diversi ospedali. Il viaggio dura tutta la notte perché si
deve cambiare spesso bus e salire sui traghetti per attraversare i fiumi. Una volta arrivato a Dhaka, il missionario deve
orientarsi tra il traffico caotico di biciclette, taxi, automobili, autobus
grandi e piccoli che intasano la città densamente popolata.
Tutti guidano in
modo aggressivo e spericolato. Dopo aver verificato che i suoi malati sono
stati ricoverati negli ospedali per le cure, padre Bob va a trovare le persone
che ha accompagnato in città settimane o addirittura mesi prima e che sono
ancora ricoverati. Trascorre parte
della sua settimana passando da un ospedale all'altro, incontrando i pazienti,
infermieri e medici.
La vita è
missione e la missione è la vita di padre Bob. Che non solo vive per i poveri,
ma vive come coloro che serve. Ciò gli dona la pace interiore. Quello che fa
non lo fa per essere lodato: ha seguito una chiamata maturata attraverso la
preghiera e l’impegno. Padre Bob è un Vangelo vivente e la sua vita è un segno
della cura amorevole di Dio, specialmente per coloro che sono malati. Ha
iniziato la sua vita missionaria nelle Filippine.
Dopo 11 anni di
lavoro di lui si diceva che era “pieno di idee e felice”. Si è offerto di
lavorare nel Bangladesh. “Volevo essere un prete-servo qui in Bangladesh” racconta
oggi. In un paese flagellato da disastri naturali, carestie, inondazioni e
guerre, ha voluto dare il suo piccolo contributo per alleviare le sofferenze
della gente. Il fatto che il
Bangladesh è un paese musulmano è stato un fattore secondario nella sua
decisione.
Ma ben presto ne
ha visto il lato positivo: “Il fatto che il Bangladesh sia un paese islamico è
un grosso vantaggio, perché quello che stiamo facendo al servizio dei poveri è
anche al servizio dei musulmani. Per loro ha un grande significato perché hanno
un detto per il quale ‘servendo i poveri, serviamo Allah’”. Presto padre Bob si
sposterà in una nuova città e continuerà il suo ministero di amicizia e di
guarigione tra i musulmani.
22 ottobre 2014
Infância Missionária
Moçambique - «É com
alegria que queremos partilhar consigo os dias lindos que vivemos em preparação
ao nosso compromisso, de declarar publicamente que vamos ser missionárias de
outras crianças.
Chegou o domingo
das missões, o nosso rosto brilhava como Sol, diante da comunidade Paroquial do
Santuário de Nossa Senhora de Fátima. Éramos 23 meninas, das quais 13 internas
do Colégio e 10 da Paróquia.
Com viva voz nos
comprometemos de ser missionárias das outras crianças nos nossos ambientes.
Comprometemo-nos
de rezar pelo bom êxito das Actividades Missionárias, oferecer a vida e os
sacrifícios para as missões, fazer amigos para Jesus entre as crianças e
adolescentes dos nossos ambientes e da nossa escola. Foi muito bonito
sentirmo-nos anunciadoras da palavra de Deus como crianças que somos, foi mesmo
uma graça. Desejamos um dia ser missionárias nas nossas famílias e nos nossos
bairros.
Contamos com as
suas orações e ajuda.
Estamos a rezar
por vós, e esperamos que a nova Madre nos receba como missionárias na nossa
terra. Rezamos também por Ela e agradecemos a Madre pelo trabalho realizado e
pelo entusiasmo que nos dá para sermos verdadeiras missionárias.
Saudações para
todas as Irmãs.»
21 ottobre 2014
Dalla Thailandia
Dalla Thailandia ci scrive sr. Anna Grassi, missionaria ad gentes, riguardo al messaggio di Sr. Alaide Deretti, del 14 ottobre 2014, e alla Giornata Missionaria Mondiale:
“Ho atteso a sera della Giornata
Missionaria Salesiana [19 ottobre 2014], per rinnovarti il mio grato saluto, e
la mia fraterna compiacenza per la lettera del 14 settembre u.s. […].
Ho portato con me questo tuo
messaggio alla celebrazione della giornata missionaria presso la parrocchia
Nostra Signora di Fatima.
Il sacerdote responsabile
dell'animazione missionaria a livello diocesano mi ha chiesto di condividere in
breve la mia esperienza di missionaria FMA.
Hanno organizzato la giornata con
la celebrazione eucaristica presieduta dall'arcivescovo di Bangkok, durante la
quale è stato dato il Crocifisso a sacerdoti, religiose e religiosi che dopo
qualche anno di preparazione, sono inviati nei luoghi di missione ad intra e ad
extra della Thailandia.
A Celebrazione conclusa, 3
sacerdoti ben preparati sono stati guidati a condividere il tema del messaggio
della giornata, in relazione anche alla beatificazione di SS. Paolo VI e alla
conclusione del Sinodo sulla famiglia.
Hanno invitato 2 gruppi di
disabili: sordomuti e cieche, queste sono le nostre allieve del Centro di
riabilitazione a Sampran.
Il primo gruppo per un’esibizione
in mimo, le nostre in canto.
Condivido subito con te questa
notizia e qualche foto, poi collaborerò con Sr. Sriwilaiwan per la relazione su
questa giornata.
Buona continuazione delle
adunanze capitolari durante le quali ti penso a continuare la tua animazione
che per tutto il sessennio hai fervidamente svolto. Grazie!
Con fraterno ricordo in preghiera."
Sr. Anna Grassi
20 ottobre 2014
19 ottobre 2014
88° Giornata Missionaria Mondiale
«Rimane
perciò di grande urgenza la missione ad
gentes, a cui tutti i membri della Chiesa sono chiamati a partecipare, in
quanto la Chiesa è per sua natura missionaria: la Chiesa è nata “in uscita”».
Papa Francesco
18 ottobre 2014
AMERICA - L’animazione per la Giornata Missionaria viaggia su internet
Roma – Sul finire degli anni Sessanta, subito dopo il Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI, che il 19 ottobre sarà iscritto nell’elenco dei Beati, esortò il “popolo cristiano” a rendere la Giornata missionaria “espressione di una evangelizzazione permanente”, raccomandando “preghiere e sacrifici quotidiani”, in modo che “la celebrazione dell’annuale Giornata Missionaria” fosse una “spontanea manifestazione di quello spirito”, una logica conseguenza di una volontà già avviata all’impegno missionario.
Da allora le Pontificie Opere Missionarie (POM) dedicano in modo particolare il mese di ottobre all’animazione missionaria che culmina nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, la penultima domenica del mese. Utilizzando gli strumenti tecnologici più moderni, molte Direzioni nazionali delle POM in America hanno pubblicato sul loro sito internet una serie di sussidi per questa circostanza, che comprendono iniziative, catechesi, testimonianze, messaggi, suggerimenti per l’animazione liturgica, schemi di preghiere. L’Agenzia Fides riporta di di seguito i link di cui le sono giunte le segnalazioni.
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VATICANO - Papa Paolo VI Beato: “L’amore per le Missioni è amore per la Chiesa, è amore per Cristo!”
Città del
Vaticano – “L’amore per le Missioni è amore per la Chiesa, è amore per Cristo!
Nessun cristiano può chiudersi in se stesso, ma deve aprirsi ai bisogni
spirituali di coloro che ancora non conoscono Cristo, e sono centinaia di milioni”:
con questa esortazione il Santo Padre Paolo VI si rivolgeva ai Direttori
diocesani delle Pontificie Opere Missionarie dell’Italia, ricevuti in udienza
il 28 giugno 1978, poche settimane prima della sua morte.
Nella Giornata
Missionaria di questo anno 2014, a conclusione dell’Assemblea straordinaria del
Sinodo dei Vescovi, Papa Paolo VI (1897-1978), al secolo Giovanni Battista
Montini, viene proclamato Beato. Nei suoi quindici anni di Pontificato (21
giugno 1963-6 agosto 1978) Paolo VI ha dato un forte impulso alla coscienza
missionaria della Chiesa, all’animazione e alla cooperazione missionaria,
proseguendo un impegno che già aveva manifestato come Arcivescovo di Milano.
Nel Magistero missionario di Paolo VI emergono il Decreto conciliare “Ad gentes”, sull’attività missionaria della Chiesa, completato dal Motu proprio “Ecclesiae sanctae”, con le norme per l'applicazione di alcuni Decreti del Concilio Vaticano II; il Messaggio “Africae terrarum” a difesa dell’identità africana e dei suoi valori tradizionali; l’Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” sull’impegno di annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo.
Nel Magistero missionario di Paolo VI emergono il Decreto conciliare “Ad gentes”, sull’attività missionaria della Chiesa, completato dal Motu proprio “Ecclesiae sanctae”, con le norme per l'applicazione di alcuni Decreti del Concilio Vaticano II; il Messaggio “Africae terrarum” a difesa dell’identità africana e dei suoi valori tradizionali; l’Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” sull’impegno di annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo.
Insieme a questi
documenti non si può tralasciare il vasto patrimonio di lettere, messaggi e
discorsi, a tutti i livelli e nelle occasioni più diverse, sulla responsabilità
missionaria di tutta la Chiesa. Con le Lettere apostoliche “Benegnissimus Deus”
(1965) e “Graves et increscentes” (1966) sottolineò l’importanza e l’attualità
della Pontificia Opera di San Pietro apostolo e della Pontificia Unione
Missionaria. Nella Lettera alla Conferenza Missionaria internazionale di Lione
(1972), commemorativa dell’anniversario della Pontificia Opera della
Propagazione della fede, chiese una presa di coscienza della problematica
moderna dell’evangelizzazione al fine di rinnovare l’impulso all’attività
missionaria. Nel suo messaggio al Congresso Missionario del Messico e
dell’America Latina (1977) raccomandava a tutte le Chiese locali uno sforzo
pastorale congiunto “per fare di tutta la Chiesa latinoamericana una Chiesa
missionaria”.
In tutto il
Pontificato, eccetto che nel 1964, Papa Montini ha sempre inviato un suo
messaggio in occasione della Giornata Missionaria mondiale di ottobre.
L’ultimo, che aveva già preparato quando è morto, insiste ancora sulla
corresponsabilità di tutto il popolo di Dio per l’opera missionaria.
Paolo VI ha
messo sempre in risalto il carattere missionario delle grandi solennità
liturgiche di Pasqua, Pentecoste e dell’Epifania, con la consacrazione di
sacerdoti e vescovi di paesi di missione, la consegna del crocifisso ai
missionari in partenza, la beatificazione di rappresentanti della Chiesa
missionaria o di martiri per la fede… In questo ambito vanno ricordate anche
quattro ordinazioni di Vescovi e di sacerdoti, interamente o in parte di
territori di missione, e l’amministrazione del sacramento del Battesimo e della
prima Comunione a catecumeni dell’Africa e dell’Asia.
Paolo VI ha
visitato il Collegio Urbano più volte, presiedendo anche l’ordinazione di
alcuni sacerdoti (1973), e nel giorno di Pentecoste del 1972 ha celebrato la
“Messa delle Nazioni” al Collegio di San Pietro apostolo.
Secondo i dati
dell'Agenzia Fides, durante il pontificato di Paolo VI le circoscrizioni
ecclesiastiche nei territori affidati alla Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli passarono da 759 a 863, con un netto sviluppo non solo numerico. Ha
nominato 604 Vescovi in territori di missione, in gran parte indigeni. Ha
creato 27 Cardinali appartenenti ai territori di missione, e 18 di loro erano i
primi cardinali nella storia del proprio paese. Durante il suo pontificato le
Conferenze episcopali nazionali sono passate da 11 a 48. Istituendo il Sinodo
dei Vescovi (1965) ha chiamato i rappresentanti dell’Episcopato di tutto il
mondo, comprese quindi le Chiese dei territori di missione, a coadiuvare il
Papa nel governo della Chiesa universale. Perseguì inoltre
l’internazionalizzazione della Curia romana, chiamando a ruoli di
responsabilità sacerdoti e vescovi provenienti dagli altri continenti oltre che
l’Europa.
Paolo VI è stato
il primo Papa a visitare tutti i continenti e le terre di missione (non a caso
aveva preso il nome dell’Apostolo delle Genti): Terrasanta e India nel 1964,
l’Europa nel 1967, l’America nel 1968, l’Africa nel 1969, l’Estremo Oriente e
l’Oceania nel 1970. Nel suo incontro con le giovani Chiese, le ha sempre
invitate a prendere coscienza della loro responsabilità missionaria, sia nei
propri territori che nel mondo intero.
17 ottobre 2014
Paolo VI e i migranti: parole e strumenti nuovi
Roma - Il
Pontificato di Paolo VI è caratterizzato non solo da una ricchezza magisteriale
di riferimenti al tema delle migrazioni e della mobilità umana, ma anche da una
vera e propria riorganizzazione della pastorale migratoria, alla luce
dell’ecclesiologia conciliare, che vede, come dirà lo stesso Pontefice in un
discorso del 18 ottobre 1973, “a questa mobilità del mondo contemporaneo”
corrispondere “la mobilità della pastorale della Chiesa”. In tal senso, un
primo importante documento è la Pastoralis
migratorum cura, pubblicata il 15
agosto 1969, a cui segue l’istruzione della sacra Congregazione dei vescovi De pastorali migratorum cura, dove, dopo
aver richiamato il diritto di migrare, si ricorda, tra l’altro, la necessità
che la cura pastorale tenga in debita considerazione il patrimonio spirituale e
culturale dei migranti. La revisione organizzativa continua anche con il motu
poprio Apostolicae caritatis,
pubblicato il 19 marzo 1970. Nella premessa del documento il Pontefice
evidenzia come ormai il campo della sollecitudine pastorale della Chiesa «si è
allargato al massimo nella nostra età, nella quale, grazie al mirabile sviluppo
della tecnologia, sono diventati molto facili i viaggi di qualsiasi genere e si
sono straordinariamente intensificati i reciproci rapporti tra cittadini e
nazioni, ed i contatti tra gli uomini. Proprio per questo l’azione pastorale
dev’essere rivolta non soltanto a coloro che vivono entro i limiti ben definiti
delle parrocchie, delle associazioni e di altri istituti similari, ma anche a
coloro che di propria scelta o per qualche necessità lasciano i loro luoghi di
residenza. Bisogna, inoltre, esaminare da un punto di vista scientifico,
stabilendo anche opportune intese, quali siano le cause di tale fenomeno e le
loro conseguenze, per vedere poi come questi uomini, che si spostano e si
muovono, possano essere aiutati nel loro progresso umano e religioso, e da
quali pericoli debbano essere difesi». Alle strutture pastorali della Santa
Sede create da Pio XII e riguardanti l’emigrazione, l’apostolato marittimo e
aereo, Paolo VI ha aggiunto nel 1965 l’Opera dell’Apostolato dei Nomadi e nel
1967 ha dotato la Sacra Congregazione per il Clero di un ufficio per garantire
l’assistenza religiosa a chi viaggia per turismo. Tutte queste opere legate
alla mobilità e alle migrazioni saranno affidate, nel 1970, alla Pontificia
Commissione per la pastorale dell’emigrazione e del turismo, strumento nuovo
della “la materna sollecitudine della Chiesa, che guarda con attenzione ai
segni ed alle necessità dei tempi, e questa sua testimonianza attiri dolcemente
le anime”. All’organizzazione Paolo VI unirà una rinnovata e originale
riflessione magisteriale, a partire dalle mutate condizioni delle migrazioni di
massa, dal Terzo Mondo verso l’Europa e il Nord America, con un aumento anche
di profughi. Una prima e importante riflessione in tal senso Paolo VI la
propone nell’enciclica ‘Populorum
progressio’, dove sottolinea il rapporto tra tutela delle migrazioni e
sviluppo. La riflessione del Papa continua nella lettera apostolica Octogesima adveniens del 14 maggio 1971.
La lettera, elaborata per l’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum di Leone XIII (15 maggio 1891), sottolinea come
stiano nascendo nuovi problemi sociali da affrontare in spirito evangelico. Tra
i nuovi problemi sociali il Papa ricorda: il declino della produzione agricola
e la tendenza a gravitare sulle città: “L’esodo permanente dalle campagne, la
crescita dell’industria, la continua spinta demografica, l’attrazione dei
centri urbani conducono a concentramenti di popolazione, dei quali a fatica si
riesce a immaginare l’ampiezza, tanto che già si parla di megalopoli,
raggruppanti parecchie decine di milioni di abitanti” (n.8). Tra le vittime
delle nuove situazioni d’ingiustizia, provocate dalle migrazioni dalla campagna
alla città e dal Terzo al Primo Mondo, vi sono tutti quei migranti che sono
oggetto di discriminazione “a causa della loro razza, della loro origine, del
loro colore, della loro cultura, del loro sesso o della loro religione”.
Lottare contro tali discriminazioni è doveroso, perché “[i]n seno ad una patria
comune, tutti devono essere uguali davanti alla legge, trovare uguale accesso
alla vita economica, culturale, civica, sociale, e beneficiare di un’equa
ripartizione della ricchezza nazionale” (n.16). Nei loro confronti si deve
dunque “superare un atteggiamento strettamente nazionalistico” e “creare uno
statuto che riconosca un diritto all’emigrazione, favorisca la loro
integrazione, faciliti la loro promozione professionale e consenta a essi
l’accesso a un alloggio decente, dove, occorrendo, possano essere raggiunti
dalle loro famiglie” (n.17). Il tema della fratellanza universale è presente,
invece, nel messaggio del 10 dicembre 1973 (venticinquesimo anniversario della
dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) e, unito a quello della parità
fra i diritti dell’uomo e della donna, innerva gli ultimi anni del pontificato.
Fratellanza, parità, diritti universali si legano allora al motivo più generale
dell’evangelizzazione del mondo contemporaneo, perché “tra evangelizzazione e
promozione umana – sviluppo, liberazione – ci sono […] dei legami profondi” (Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975,
n.31). Proprio alla fine del Pontificato e della vita di Paolo VI, la
Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo presenta
una lettera su Chiesa e mobilità umana
(28 maggio 1978), che riassume tutti i temi sin qui ricordati. Anzitutto si
riprende una lettura aggiornata dei volti della mobilità alla fine del decennio,
per una pastorale senza frontiere, attenta a coloro che “lasciata l’abituale
residenza, cercano all’estero nuove ragioni e strumenti di vita; si tratta in
gran parte di lavoratori, ma anche di tecnici delle imprese, di esuli e
profughi in cerca di libertà”. La beatificazione di Paolo VI ripropone
parole e gesti di un Pontefice, che ha posto al centro dell’azione pastorale la
tutela della dignità di ogni persona, anche migrante. (Mons. Gian Carlo Perego
- Direttore generale Fondizione Migrantes)
16 ottobre 2014
World Mission Sunday 2014
EUROPA/REP.CECA - Costruiamo un “ponte missionario di preghiera” per la Giornata Missionaria
Il sito delle POM
http://www.missio.cz
Praga – In occasione della Giornata Missionaria Mondiale, la Direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) nella Repubblica Ceca, ha lanciato l’iniziativa di “costruire un ponte missionario di preghiera”. Secondo le informazioni inviate all’Agenzia Fides, alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale, quindi la sera di sabato 18 ottobre alle ore 21, tutti coloro che intendono aderire all’iniziativa sono invitati a riunirsi in chiesa o nelle proprie case, accendendo una candela e pregando per le missioni, per i missionari, per i poveri, per quanti soffrono, affinché la gioia del Vangelo si diffonda su tutta la terra. Si suggerisce in particolare la recita del Rosario missionario. Sempre in vista della Giornata Missionaria, le POM hanno anche realizzato un nuovo video.
Il sito delle POM
http://www.missio.cz
15 ottobre 2014
18 ottobre: Marcia in memoria della deportazione degli ebrei di Roma #nondimentichiamo
Il 16 ottobre 1943 durante l’occupazione nazista di Roma, oltre mille ebrei romani furono presi e deportati nel campo di concentramento di Auschwitz. Solo un esiguo numero, 16 persone, tra cui una sola donna, tornarono alle loro case.
A 71 anni dalla deportazione degli ebrei romani, la Comunità di Sant'Egidio e la Comunità Ebraica di Roma, come ogni anno dal 1994, fanno memoria di questo tragico momento della vita della città, organizzando un "pellegrinaggio della memoria", perché tutti, soprattutto le giovani generazioni, non dimentichino la deportazione avvenuta durante l'occupazione nazista.
Marcia in memoria della deportazione degli ebrei romani
Sabato 18 ottobre 2014, alle ore 19
da Piazza S. Maria in Trastevere a Largo 16 ottobre 1943, accanto alla Sinagoga
lungo il percorso dei deportati di quel 16 ottobre 1943, che dal Ghetto furono condotti al Collegio Militare a Trastevere prima di essere imprigionati nei treni con destinazione Auschwitz.
14 ottobre 2014
A MONTEVIDEO COMMOZIONE E GIOIA PER I PRIMI RIFUGIATI DALLA SIRIA
Sono 42, appartenenti a cinque diverse famiglie, più della metà bambini che potranno andare a scuola mentre i loro giovani papà, il più anziano ha 46 anni, impareranno prima la lingua spagnola e poi potranno ricevere e valutare offerte di lavoro per potersi inserire appieno nella società locale.
Sono finalmente arrivati in Uruguay i primi 42 rifugiati dalla Siria che il presidente José ‘Pepe’ Mujica ha voluto accogliere personalmente al loro arrivo via Beirut, così come i loro nuovi vicini nel quartiere di Montevideo che li ospiterà.
Per i primi due mesi staranno all’Hogar Marista, Casa San José, nella periferia della capitale, per studiare la lingua. Sette ragazzi faranno parte di una classe di un liceo i cui alunni sono stati preparati sulla realtà siriana e il feroce conflitto che ha prodotto finora in tre anni almeno 200.000 morti e milioni di profughi.
In totale, l’Uruguay riceverà 120 cittadini siriani in fuga da una guerra sempre più devastante, un’iniziativa adottata dopo una visita del capo della diplomazia uruguayana Luis Almagro al campo di rifugiati di Zaatari, in Giordania, dove vivono 120.000 siriani. Una visita che ha scioccato il ministro e convinto Mujica ad agire. A dicembre Uruguay e Brasile, che sta da tempo dando il suo contributo, si faranno peraltro portavoce della necessità che anche altri paesi sudamericani offrano aiuto alla popolazione siriana in fuga.
http://www.misna.org/
11 ottobre 2014
"Essere prete nella Chiesa in dialogo": una lettera inedita di Paolo Dall'Oglio
Il 30 ottobre sarò ordinato diacono nella Chiesa del Gesù (a Roma, ndr), alle ore 16 in punto, secondo il rito della Chiesa siriaca e spero poi di essere ordinato prete a Damasco l’estate prossima. Il diaconato è «l’ordine del servizio ecclesiale»: si tratta del sacramento dell’ordine in questa sua prima dimensione, «il servizio».
Noi sappiamo che ogni uomo ha una vocazione, ma ci pare che una persona che si occupa di stare in rapporto con Dio per aiutare i fratelli a trovarlo e che continua a spezzare per loro il Pane di Vita sulla scia di Gesù e degli Apostoli, debba essere chiamato in un modo molto chiaro.
Una certa volta, in un posto e ad un’ora precisi, ho avuto la chiara coscienza che il Signore mi voleva con lui a tempo pieno e con tutto me stesso, per essere una persona a sua disposizione da mandare secondo i bisogni del Regno; il tutto accompagnato da molta gioia... Conoscevo già abbastanza i Gesuiti per intuire che in Compagnia avrei potuto realizzare quella vocazione... Ma sono meravigliato continuamente a causa di questa chiamata: la mia esperienza è che Dio non butta via nulla della persona, tutto deve essere e dovrà essere purificato e assunto per fare l’argilla con cui ci vuole plasmare. […]
In questi anni, con i miei «Superiori» abbiamo portato avanti un discernimento riguardo alla mia missione nell’ambito del lavoro apostolico della Compagnia di Gesù. Questamissione è, in tre parole, quella di essere prete nella Chiesa in dialogo.
In dialogo: cioè in apertura a Dio e al mondo, e qui penso che l’essere nato romano sia una grazia speciale: infatti mi pare che a Roma abbiamo una netta percezione, insieme coi limiti, anche della missione universale della Chiesa; e se non si cade nel «romacentrismo», si capisce che un servizio universale è possibile solo come apertura alla pluralità ed accoglienza della diversità.
Più in particolare il mio impegno è nella Chiesa siriana antiochiana (che è parte del puzzle della Chiesa in Siria). È un atto di rispetto, di affetto e di riconoscenza per una Chiesa rimasta fedele, nonostante un mare di difficoltà, al Vangelo ricevuto dagli Apostoli, e che ha dato alla Chiesa universale uno stuolo di santi, martiri, dottori… È una Chiesa fiera del suo patrimonio culturale e che, se ama pregare in Siriaco, lingua parlata anche da Gesù e dagli Ebrei del suo tempo in Palestina, non rifiuta di esprimersi in Arabo, di pregare in Arabo, la lingua dei figli d’Ismaele, dei Musulmani, con i quali il signore l’ha messa a contatto da tanti secoli perché, nella fedeltà e nella sofferenza, si prepari il giorno del riconoscersi di tutti i figli di Abramo nell’unica Via, la Misericordia del Padre.
La Chiesa siriana è attualmente divisa tra cattolici e ortodossi, ma si è fatta parecchia strada verso l’unità, e ancora se ne farà se nella Chiesa cattolica si affermerà sempre più uno stile di profondo rispetto capace di amare e valorizzare le diverse tradizioni e se in tutti prevarrà il desiderio di dare al mondo un’unica umile testimonianza.
Cercherò di contribuire al dialogo islamico-cristiano con la chiara coscienza che non si può efficacemente fare questo lavoro se resta monopolio clericale e non diventa una via di molti per vivere il battesimo. Questo impegno è sia dei Vescovi che, con l’aiuto del loro clero, garantiscono la continuità con Gesù, sia della chiesa tutta costituita dai Cristiani nel mondo i quali sono la continuità con Gesù.
Ma se il dialogo non lo viviamo dentro, come lo predichiamo fuori? E se Chiese potenti e maggioritarie restano il modello di sviluppo, come pretenderemo che i cristiani che si trovano privi di potere o minoritari non sentano la tentazione di fare ghetto o di emigrare, come avviene in Medio Oriente? In quest’ottica l’Islam costituisce una prova, una sfida, un appello indiretto alla crescita e alla conversione, per conoscere e imitare Gesù, sia per i cristiani medio-orientali che per la Chiesa tutta.
La Chiesa di oggi è chiamata, mi pare, a vivere anche qui a Roma, proprio qui a Roma, un processo di apertura alle grandi realtà non cristiane che ci circondano e che veicolano dei valori autentici o almeno delle esigenze autentiche: se lo spirito lavora in noi, ed il nostro processo di cristificazione, come singolo e come Chiesa, è avanzato, allora, senza paura, possiamo penetrare tutte le realtà, ed a contatto con esse ci sarà insegnato cosa dire; cioè la fede si veste di, si incarna in, si esprime con la realtà incontrata, ed io stesso, insieme al fratello incontrato, faccio un’esperienza nuova della multiforme Sapienza di Dio. Questo processo è quello dell’incarnazione e si applica alla vita concreta di ciascuno: famiglia, lavoro, cultura, ideologie...
Beninteso, non sono io che mi incarno, ma è la verità che, attraverso il dialogo, avviene tra noi. È spesso più un problema di metodo che di etichetta. Con un mio carissimo amico musulmano dicevamo: «Ci sono solo due partiti: quello dell'estremismo fanatico (cioè in cui io sono il metro per giudicare gli altri) e quello di Dio (cioè il contrario del primo, e quindi il cercare e trovare la bellezza del suo volto in tutte le cose)»; mi pare che c’è qui un buon criterio di giudizio e autocritica per muoverci nel mondo e nella Chiesa oggi.
Il dialogo è anche il mio impegno «politico» perché porta alla pace e alla giustizia, ma allora è evidente che non deve essere un dialogo di chiacchiere ma di segni e di fatti concreti. La mia esperienza medio orientale, ma bastano le nostre esperienze italiane, mi insegna che tutti i livelli dell’esistenza sono coinvolti nel conflitto dalla religione fino all’economia ed il dialogo si deve fare a tutti i livelli nella loro interdipendenza, e c’è veramente lavoro per tutti!
Concludendo, è questo servizio (diaconia) del dialogo per la pace con Dio e tra noi che vorrei fosse il senso di questa mia ordinazione diaconale; servizio sempre necessario, e parte già di quell’azione sacerdotale che è la celebrazione del mistero di Gesù nostra pace. Col Salmo 122 vi chiedo: «Domandate pace per Gerusalemme … per amore dei miei fratelli ed amici, io dico: pace a te».
Con affetto, vi voglio un gran bene.
Paolo Dall'Oglio
9 ottobre 2014
8 ottobre 2014
Mons. Montenegro: accostarci con umiltà alla mobilità
Roma - “La migrazione è un fenomeno complesso in continua e costante trasformazione”. Lo ha detto il presiedente della Commissione Cei per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, monsignor Francesco Montenegro, intervenendo alla presentazione del IX Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes . Un fenomeno – ha spiegato il presule - che “prende forma a seconda del tempo e dello spazio e questa sua peculiarità lo rende di difficile – o probabilmente impossibile – ‘addomesticazione’”. Per il presule – che è anche arcivescovo di Agrigento - alla mobilità dobbiamo “accostarci con umiltà. Non servono solo le statistiche e gli studi. A voi studiosi viene chiesto di fare un salto di qualità nel vostro lavoro quotidiano: il passaggio, cioè, dalla riflessione alla pratica perché ciò che è veramente importante oggi è dare giusti strumenti di lavoro agli operatori, a chi lavora con i migranti, accanto a loro, fianco a fianco. Non lasciare solo chi opera nell’accoglienza in Italia e in ciascun Paese dove il migrante arriva”. Mons. Montenegro ha poi ricordato la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013. “Come dimenticare – ha detto - quel giorno in cui ci si è svegliati con la dolorosa notizia di 366 migranti annegati al largo di Lampedusa a mezzo miglio dall’Isola dei Conigli. In un anno altre morti, altre dolorose avventure finite in tragedie di uomini, donne, bambini, famiglie che fuggono da guerra e violenza, da povertà e indigenza, da disoccupazione e infelicità. Migliaia di migranti dall’Africa e dall’Asia, dall’Europa dell’Est di nuovo oggetto di focolai di guerra, e migliaia di migranti cosiddetti ‘economici’ che dai paesi industrializzati, ormai stanchi da questa recessione che non allenta la sua morsa, si spostano sempre più a Nord alla ricerca di una vita migliore”.
7 ottobre 2014
Un rosario per il Medio Oriente
Oggi 7 ottobre, Festa della Madonna del Rosario, Aiuto alla Chiesa che Soffre invita tutti a recitare il Rosario per la pace in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente.
Non è la prima volta che la Fondazione pontificia promuove un’analoga iniziativa. Già il 6 agosto scorso, assieme al Patriarca caldeo Raphael Louis Sako, aveva indetto una giornata mondiale di preghiera per la pace in Iraq.
Come ha spiegato allora il presidente esecutivo internazionale di ACS, Johannes Heeremann, «di fronte a tanta sofferenza, come quella cui assistiamo oggi in Iraq, dobbiamo unirci ai nostri fratelli che soffrono e mostrare loro che non li abbiamo abbandonati».
Dall’inizio della crisi irachena, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato 200mila euro di contributi straordinari per permettere alla Chiesa irachena di sostenere le decine di migliaia di rifugiati, e continua a raccogliere fondi per aiutare la Chiesa irachena. Come in altre occasioni la fondazione pontificia coniuga il supporto economico alla Chiesa perseguitata e sofferente nel mondo con la vicinanza nella preghiera.
Sempre in agosto, una delegazione internazionale di ACS ha visitato il Kurdistan iracheno per pianificare nuovi aiuti e mostrare vicinanza ai rifugiati e alla Chiesa locale. Un impegno recentemente premiato dalla nomina di Aiuto alla Chiesa che Soffre tra i candidati a ricevere il premio Sakharov per la libertà di pensiero, il riconoscimento istituito dal Parlamento europeo nel 1988 e assegnato ogni anno a personalità e organizzazioni dedite alla difesa dei diritti umani e delle libertà individuali, inclusa la libertà religiosa.
«La fraternità e la solidarietà sono ciò di cui la nostra tormentata nazione ha bisogno in questo momento – ha scritto il patriarca Sako ad ACS in occasione della giornata mondiale di preghiera per la pace in Iraq– Per migliaia di persone innocenti, la crisi che stiamo attraversando significa grande dolore, profonda sofferenza e inestimabili deprivazioni».
* * * * *
Aiuto alla Chiesa che Soffre è una Fondazione di Diritto Pontificio nata nel 1947 per sostenere concretamente la Chiesa nei Paesi in cui le difficoltà economiche o la violazione della libertà religiosa rendono difficile se non impossibile la sua missione evangelizzatrice.
6 ottobre 2014
"Renace la alegría", lema del Domund 2014
El director de Obras Misionales Pontificias (OMP), Anastasio Gil, ha
puesto el foco en la labor anónima de los cerca de 13.000 misioneros
españoles que trabajan en 130 países de los cinco continentes, "los
mejores embajadores de la marca España" que protagonizan historias
"labradas a base de amor", con motivo del inicio de la campaña Domund 2014, que tendrá lugar entre el 1 y el 14 de
octubre.
Precisamente, la campaña de este año del Domund
(Jornada Mundial de las Misiones) llevará por lema 'Renace la alegría', un
epígrafe que también presidirá la Jornada del Domund de este año, que se celebrará el próximo 19 de octubre y que
coincidirá con labeatificación de Pablo VI por parte del Papa
Francisco en una misa en la plaza de San Pedro, con la que terminará el sínodo
extraordinario sobre la Familia.
Fue Pablo VI quien
inició la costumbre de entregar a la Iglesia un Mensaje para esta Jornada y, desde entonces hasta ahora, los
sucesivos Pontífices invitan a los fieles a tomar parte activa en este
intercambio de dones espirituales y materiales. Con esta iniciativa, la
Iglesia universal invita a rezar por los misioneros y pide la colaboración
económica de todos para que puedan llevar su labor que, en la mayoría de los
casos, se desarrolla en países en desarrollo.
En un encuentro con los medios, con motivo de
la presentación de un 'spot' y de la muestra 'Domund al descubierto', con la
que OMP persigue dar a conocer la vida de los misioneros españoles por el
mundo, Anastasio Gil ha postado por salir "al encuentro de la ciudadanía"
a través del Domund. "Los ciudadanos tienen derecho a conocer a los
misioneros. Ellos pueden ser referente para tantos jóvenes. 'El Domund al
descubierto' responde a esta intencionalidad", ha apostillado.
Además, ha subrayado que, cada año, mueren
cerca de 30 misioneros "sufriendo martirio" y ha destacado "el
ejemplo" de aquellos misioneros que trabajan en los países africanos
afectados por el ébola, con una emocionada mención a Miguel Pajares y
Manuel García Viejo, fallecidos recientemente a consecuencia del virus, así
como del resto de religiosos y colaboradores que han perdido la vida por este
motivo, "cuyo ejemplo y vida han dejado testimonio".
En cuanto a los 13.000 misioneros españoles que
hay en todo el mundo --las mujeres representan el 54,47% del total--, ha
detallado que el 70% operan en América Latina, cerca de 1.600 en África,
alrededor de 800 en Asia y casi 50 en Oceanía. Por estado canónico, en su
mayoría son religiosas (49,53%) y sacerdotes (35,38%), seguidos de laicos
(7,43%), religiosos (6,67%) y obispos (0,97%). Además, desde 2012, la
proporción de los misioneros laicos ha aumentado un 2,4%.
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OCEANIA/AUSTRALIA - Attenzione sulla Giamaica e sui bambini detenuti perché immigrati: il Mese Missionario è un’opportunità unica
Sidney – Tra le diverse iniziative della Chiesa australiana per il mese missionario di ottobre, quest’anno Catholic Mission Australia focalizza la sua attenzione sulla Giamaica, dove si registra il secondo tasso più alto al mondo di morti per armi da fuoco. Spesso nascosta dietro la facciata delle sue spiagge tropicali o di opulenti resorts e acqua cristallina, la Giamaica è infatti un Paese profondamente turbato da violenza e criminalità. Le famiglie vivono in un clima di terrore costante, alla disperata ricerca di pace e sicurezza. In un comunicato inviato all’Agenzia Fides, il Vice direttore di Catholic Mission Australia, Peter Gates, afferma: “noi australiani siamo benedetti perché viviamo in un Paese relativamente sicuro, ma dobbiamo ricordare che altri non sono così fortunati. Il Mese Missionario serve a condividere, servire e aiutare, secondo l’ispirazione e gli insegnamenti del Vangelo, in modo che tutti, sia qui che altrove, possano vivere una vita piena.” Domenica 19 ottobre si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, e questo periodo coincide anche in Australia con la Settimana contro la Povertà. Il 22 ottobre, la Giornata Missionaria dei Bambini, invita i più piccoli ad essere missionari nelle più diverse forme interattive e di divertimento.
Altra priorità per questa Giornata, segnalata da Gates, è la liberazione dei bambini detenuti perché immigrati: “Ogni singolo bambino detenuto è troppo; mentre noi parliamo di queste tematiche centinaia di piccoli subiscono trattamenti atroci. Chiedo che in questo mese di ottobre tutti i cattolici australiani diventino discepoli missionari offrendo una vita migliore a chi ne ha più bisogno”. “A livello locale e mondiale, tutti noi possiamo fare la differenza, e il Mese Missionario è un’opportunità unica”, conclude Gates.
4 ottobre 2014
Animazione Missionaria del Piemonte e Valle d'Aosta
Video intervista realizzata dai giovani dell'Animazione Missionaria del Piemonte e Valle d'Aosta, che hanno vissuto l'esperienza di missione nell'agosto 2014.
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