28 giugno 2012

Sud Sudan. La morte silenziosa di migliaia di persone. La denuncia di Msf

Nel Sud Sudan, è in corso una crisi umanitaria senza precedenti, alla quale la comunità internazionale è chiamata a porre rimedio con la massima urgenza. E’ l’appello di Medici Senza Frontiere (Msf) che, nei suoi campi di raccolta, dà assistenza sanitaria alle migliaia di profughi che fuggono giornalmente dai territori di confine, dove continua a combattersi un sanguinoso conflitto tra Nord e Sud Sudan per la gestione delle regioni petrolifere. Su questa situazione, oggi si è svolta una conferenza stampa a Roma, con la presenza dell’infermiera di Msf, Chiara Burzio, appena rientrata dal Sud Sudan, intervistata da Giancarlo La Vella:


R. – La situazione è sempre più grave. Se non si riceveranno gli aiuti necessari, peggiorerà di giorno in giorno. Adesso, infatti, con la stagione delle piogge, gli aiuti faticano ad arrivare per la condizione delle strade, che non sono adeguate e non sono praticabili. In più, con le piogge e l’acqua stagnante, ci può essere il problema di malattie ed epidemie come il colera. La situazione, quindi, sta peggiorando. I profughi sono persone che sfuggono dalle violenze al di là della frontiera e vengono a cercare rifugio nel Sud Sudan. A piedi percorrono la strada tra i due Stati e cercano rifugio nei campi, che abbiamo allestito temporaneamente.

D. – Presto all’emergenza già esistente potrebbe aggiungersi un'ulteriore emergenza, che è quella dei tanti sud sudanesi che vivono nel Nord e che potrebbero essere rimpatriati. Come vi state preparando a questa nuova ondata di profughi?

R. – Msf ha già allestito tre campi per rifugiati, per accogliere le persone che arrivano dallo Stato del Nord e non facciamo alcuna differenza sulle etnie, se sono del Sud o del Nord: siamo pronti ad accogliere chiunque.

D. – Quali sono le emergenze maggiori cui dovete porre rimedio?

R. – Sono emergenze che in Italia o in Europa, non sono considerate tali, ma che in un posto come il Sud Sudan sono mortali, come la disidratazione, la malnutrizione, la diarrea o le infezioni polmonari. Là il fatto di non avere l’acqua significa morire.

D. – Com’è possibile stimolare un intervento maggiore da parte della comunità internazionale?

R. – Facendo parlare di più del Sud Sudan, per ottenere così una risposta concreta, immediata a questa emergenza. Più se ne parla e più la gente conosce il Sud Sudan, conosce quali sono i problemi e magari si sente in dovere di aiutare.

D. – Quali sono le situazioni più gravi, anche dal punto di vista umano, su cui siete intervenuti?

R. – La cosa più grave è veder morire le persone per disidratazione. Queste persone camminano chilometri e chilometri sotto il sole, senza poter avere un bicchier d’acqua o comunque senza avere cibo e quindi sono costrette a mangiare le foglie degli alberi. Arrivano in condizioni talmente catastrofiche, che, anche se qualcuno cerca di aiutarli, dal punto di vista medico spesso ormai è troppo tardi.

http://www.radiovaticana.org

South Sudan: Building a Country from Scratch

June 25, 2012. (Romereports.com) After years of civil wars, South Sudan separated from the northern part of the country on July 9th 2011. But after celebrating its independence, came the stark reality of having to basically build a country from scratch.

Sister Pat Murray first visited the South Sudan  in 2006. During a forum organized by the Australian Embassy to the Holy See, she talked about what struck her the most.

SR. PAT MURRAY
Executive Director, Solidarity with South Sudan
“I'd never seen such a thing like the absence of resources and the absence of infrastructure in particular. At that stage, there were 50 miles of paved road in Sudan, in a country with the same area as France and Germany combined.”

The challenges in South Sudan are immense. Roughly 85 percent of the population is illiterate. Less than 10 percent of its teachers are trained. For the most part, the population has lived in the shadows of wars and conflicts.

That's where groups like 'Solidarity of South Sudan' come in. It includes a religious congregations of women and men who work directly with communities in need in South Sudan.

In addition to helping out with education and health programs, they also promote reconciliation among ethnic groups and tribes.

SR. PAT MURRAY
Executive Director, Solidarity with South Sudan
“In a way you can't force reconciliation. Reconciliation is a gift that you give to another person, so in a sense the victim has within his or her power the gift of being reconciled with another.”

Even though these challenges may seem overwhelming at times, Sister Murray says she finds strength in her Catholic Faith. Part of her motivation, comes from the parable of the mustard seed.

SR. PAT MURRAY
Executive Director, Solidarity with South Sudan
“I think of the message of the mustard seed that the mustard seed grew into an enormous tree and no one even noticed. So, I focus on the mustard seeds that are growing, during teachers training or training nurses, or community leaders or farmers. You see all these are mustard seeds that will flourish and grow  and we will be amazed at this new country which is South Sudan.”

It's not an easy task, but she says seeing progress, even if slow,  makes it all worth it.

L'Evangelizzazione fino ai confini del mondo


Intervista con il vescovo cinese, mons. Savio Hon Tai Fai, Segretario di Propaganda Fide
di H. Sergio Mora

ROMA -  Il secolarismo e la difficoltà di inculturazione sono le due principali sfide della nuova evangelizzazione. Lo ha dichiarato a ZENIT il segretario di Propaganda Fide, mons. Savio Hon Tai Fai, vescovo salesiano di Hong Kong, da diversi giorni in Vaticano, dopo l'ordinazione di dieci diaconi avvenuta lo scorso sabato, 23 giugno, nella chiesa del Sacro Cuore a Roma.

Quali sono le sfide dell'evangelizzazione dei popoli in un mondo globalizzato?
Mons. Savio Hon: Il crescente fenomeno della globalizzazione trova due sfide molto chiare: il secolarismo che va dappertutto, anche nei Paesi meno preparati per affrontare questo fenomeno, e un sistema di vita che cerca di mettere da parte la dimensione trascendentale, la dimensione di Dio.
La seconda sfida è quella dell'inculturazione: la fede deve unirsi sempre con la vita quotidiana delle persone e oggi c'è una difficoltà grande a farlo.
Allo stesso tempo ci sono anche tante possibilità, grazie alla globalizzazione che facilita  viaggi, contatti, comunicazione e un maggiore scambio da tutte le parti.

La testimonianza del Papa cosa significa per chi abita lontano? Sia per chi conosce la fede, ma anche per chi non la conosce…
Mons. Savio Hon: Il Santo Padre ha un ruolo speciale: è il successore di Pietro, la roccia che il Signore ha scelto sulla quale lo stesso Gesù Cristo ha edificato la Chiesa. Non importa chi sia il Papa, ma il fatto che si sappia che quando c'è il Papa, c'è il successore di san Pietro. E questo è molto importante.

E con Benedetto XVI in particolare?
Mons. Savio Hon: Siamo fortunati di avere questo Pontefice, con un servizio lungo nella Santa Sede. Anche se è anziano e ha dei limiti umani, come possiamo vedere noi stessi, lui fa un servizio favoloso nell'esprimere in termini semplici la fede e incoraggiare la gente ad entrare in comunione.

Per noi forse che lo sentiamo o vediamo spesso è più facile. Ma per chi abita in paesi lontani, come quelli dell’Asia?
Mons. Savio Hon: Non è perché sia lontano che non si sente. Io vengo dalla Cina, dove la Chiesa ha molte difficoltà ed è un cammino non facile da seguire, specialmente riguardo a temi come la libertà religiosa. Il Santo Padre è il nostro capo della Chiesa e per questo i fedeli in Cina lo accettano molto volentieri e lo riconoscono. L’ostacolo che rimane è più che altro di tipo politico. Nonostante siamo lontani da Roma abbiamo sentito molto la vicinanza del Santo Padre nei suoi messaggi, soprattutto per la sua cura particolare per la Chiesa nel nostro Paese.

Come sono oggi le vocazioni religiose rispetto al passato? Si può dire che siano più autentiche?
Mons. Savio Hon: Non sono in grado di dare un giudizio sul passato, però oggi nel mondo – soprattutto dopo il Concilio Vaticano II – l’interiorizzazione della fede è molto accentuata anche nella formazione dei futuri sacerdoti. Essa è importante perché fa spazio alla libertà, permette di avere una minore quantità di condizionamenti possibili, e questo lo vedo anche nei posti più poveri.

Lei che è salesiano e si occupa dell'evangelizzazione dei popoli, come vede oggi il carisma di Don Bosco?
Mons. Savio Hon: Don Bosco aveva sognato anche un po' di evangelizzare la Cina e credo che il suo carisma abbia una freschezza incredibile, per l’approccio con i giovani, con la famiglia, con quell'ottimismo nel svolgere le diverse attività. Si riassume tutto in una frase: 'Potete fare tutto tranne peccare”. È un padre veramente che attira e tocca il cuore dei giovani.

"Da una pastorale di mantenimento a una missionaria"


Documento finale del XV Seminario Mondiale dei Cappellani Cattolici dell'Aviazione Civile
ROMA - Pubblichiamo di seguito il Documento finale del XV Seminario Mondiale dei Cappellani Cattolici dell’Aviazione Civile e Membri delle Cappellanie, che si è svolto dall'11 al 15 giugno scorsi a Roma.

INTRODUZIONE
Noi, 79 cappellani cattolici e membri delle cappellanie aeroportuali, in servizio nell'aviazione civile di tutto il mondo con gioia e speranza, ci siamo riuniti da 31 aeroporti internazionali di 14 Paesi d'Europa e delle Americhe, accogliendo l'invito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti per studiare le modalità con cui poter mettere in atto con efficacia la Nuova Evangelizzazione nel mondo dell'aviazione civile. Nella nostra assemblea, ci siamo giovati dell'aiuto competente di esperti e rappresentanti istituzionali che ci hanno illuminato sul contesto in cui va portata avanti la nuova evangelizzazione nel mondo contemporaneo e sull'importanza di considerare forme diverse di dialogo come parte di tale processo in qualsiasi luogo, compreso l'ambito della mobilità umana in generale e quello dell'aviazione civile in particolare.
E' stata una grande grazia uscire dalle nostre attività quotidiane per riflettere sul nostro ministero e per essere in dialogo e comunione con coloro che condividono la nostra missione. Ci ricorda il grande valore dell' "appartarci" periodicamente, come dice il Vangelo, per pregare e riflettere sulla nostra missione e ministero.
Ispirati dalle parole che il Santo Padre ci ha rivolto, siamo ora più consapevoli che siamo "chiamati ad impersonare negli aeroporti del mondo la missione della Chiesa di portare Dio all'uomo e condurre l'uomo all'incontro con Dio". Ciò ha riaffermato il nostro mandato e la nostra comprensione dell'importanza di tale missione e ministero nella vita della Chiesa.
Partiamo da questa assemblea di cappellani cattolici dell'aviazione civile di tutto il mondo con gioia e speranza. Partiamo coscienti della sfida di dover rispondere alle molte necessità e opportunità che abbiamo visto emergere nel mondo dell'aviazione civile. Attendiamo i risultati del prossimo Sinodo dei Vescovi per un ulteriore chiarimento sul nostro compito di portare la nuova evangelizzazione in un mondo bisognoso.
Le nostre conclusioni rappresentano alcune delle principali linee che sono emerse nel corso del seminario.

CONCLUSIONI
1. La cappellania aeroportuale costituisce un importante ministero e un'apertura pastorale della Chiesa che contribuisce alla sua indispensabile presenza non soltanto negli aeroporti, ma anche nella società. Ha bisogno di essere riconosciuta come tale e sostenuta dai responsabili delle strutture e dell’organizzazione della missione ecclesiale. La situazione particolare degli aeroporti, che hanno un considerevole numero di persone sia stabili che in transito, dalle origini culturali più svariate, indica il grande potenziale del nostro ministero per la nuova evangelizzazione.

2. I cappellani aeroportuali continueranno a rispondere alle necessità religiose e spirituali dei credenti, in particolare con la celebrazione dei sacramenti per i fedeli cattolici. Al contempo, la nuova evangelizzazione invita i cappellani a operare per rivitalizzare la fede di coloro che già sono credenti. Nell'Anno della Fede ciò potrebbe significare una catechesi più estesa e un esame più approfondito delle modalità di preghiera e d’accompagnamento spirituale.

3. La nuova evangelizzazione comporta che i cappellani passino da una pastorale di mantenimento a una missionaria, da una prassi di risposta alle richieste alla ricerca attiva di raggiungere coloro che si sono allontanati dalla fede e dalla Chiesa. Perciò, la nuova evangelizzazione intensifica l'apertura apostolica del ministero aeroportuale. Perché ciò avvenga in modo efficace, i cappellani dovranno dare spazio all'immaginazione e alla creatività, insieme ad altri membri della Chiesa, poiché la Nuova Evangelizzazione è appunto nuova.

4. I cappellani aeroportuali che intendono promuovere la nuova evangelizzazione devono essere consapevoli del contesto culturale multidimensionale e di fluidità in cui essi operano. La cultura comprende il nuovo campo delle comunicazioni elettroniche, un'economia globalizzata, il riallineamento delle sensibilità religiose, che includono le spinte di secolarizzazione fino alla nascita delle varie forme di fondamentalismo, con persone sempre più in movimento e di origine culturale mista. L'aeroporto stesso è un importante crocevia delle culture e, pertanto, è uno straordinario areopago nel contesto della nuova evangelizzazione.

5. Un momento cruciale per i cappellani aeroportuali e per coloro che sono impegnati nella nuova evangelizzazione è la pre-evangelizzazione, che intende aiutare uomini e donne del nostro tempo a individuare le domande più profonde della loro vita. Essi saranno aperti e disponibili alla risposta che si trova in Gesù Cristo, Parola di vita, solo se le loro domande fondamentali saranno chiare. Spesso le profonde domande umane sono collegate a un senso di fragilità della vita umana, come pure alle più profonde aspirazioni del cuore umano alla conoscenza e all'amore. I cappellani possono pre-evangelizzare efficacemente facendo leva sulle esperienze di fragilità e vulnerabilità negli aeroporti, insieme alle alte aspirazioni umane, per condurre le persone a una comprensione più chiara delle questioni decisive della vita che possono avere risposta solo nella fede in Gesù Cristo.

6. Per attuare la nuova evangelizzazione, i cappellani si devono impegnare personalmente. È ovviamente essenziale la loro formazione come credenti, poiché per essere efficaci evangelizzatori prima devono essere testimoni viventi del Vangelo di Cristo. Ancor prima di ciò, grande attenzione va riservata alla formazione umana dei cappellani d'aeroporto. È infatti la loro personalità umana che li rende capaci di accogliere le persone, di essere loro vicini, di ascoltarli con attenzione, di entrare in un dialogo che può condurre alla fede o a una fede più matura. La loro umanità, secondo le parole del Beato Giovanni Paolo II, deve diventare ponte e non ostacolo nella comunicazione di Gesù Cristo agli uomini e alle donne di oggi.

7. Dal momento che gli aeroporti sono grandi crocevia di tutta l'umanità, le dimensioni ecumeniche e inter-religiose del ministero aeroportuale hanno una straordinaria importanza. I cappellani d’aeroporto devono essere sensibili alle diverse tradizioni religiose. In particolare, essi hanno bisogno di una prospettiva ecumenica in grado di metterli in sintonia con gli altri cristiani. Questo legame ecumenico giova alla comune testimonianza di Gesù Cristo e, a suo modo, favorisce la nuova evangelizzazione.

Abbiamo dunque formulato alcuni suggerimenti per agire concretamente nell'ambito della nuova evangelizzazione.

Egyptian president-elect seeks to reassure Christians on Islamic control

Egypt's newly elected president, Mohammed Morsi, met on June 26 with a group of Catholic leaders, seeking to reassure them that Christians will not suffer under his leadership. He had met with a Coptic Orthodox delegation the previous day.
Morsi, who won a majority of the vote in Egypt's June 23 presidential election, was the candidate of the Muslim Brotherhood. His victory raises grave concerns among the Christian minority. "We are worried about the Islamization of Egyptian society," said Father Rafic Greiche, a spokesman for the Catholic Church.

A CONVERSÃO DA IGREJA

Escrito por Pe. Estêvão Raschietti   
A conversão da Igreja se realiza na saída de si, do círculo da própria comunidade e dos confins da própria terra.

Focado no tema "Discipulado missionário do Brasil para um mundo secularizado e pluricultural, à luz do Vaticano II", o 3º Congresso Missionário Nacional quer encarar um dos desafios mais candentes para a missão da Igreja no século XXI, acolhendo o convite do 4º Congresso Americano Missionário e 9º Congresso Missionário Latino-Americano (CAM 4 - Comla 9), a ser celebrado na Venezuela em novembro de 2013.

Voltam a ressoar em nós as palavras da Evangelii Nuntiandi: "a ruptura entre o Evangelho e a cultura é, sem dúvida, o drama da nossa época" (EN 20). Por isso é preciso "chegar a atingir e como que a modificar pela força do Evangelho os critérios de julgar, os valores que contam os centros de interesse, as linhas de pensamento, as fontes inspiradoras e os modelos de vida da humanidade, que se apresentam em contraste com a Palavra de Deus e com o desígnio da salvação" (EN 19).
Foram realizados dois simpósios internacionais na Venezuela para aprofundar o tema do CAM 4 - Comla 9, respectivamente em janeiro de 2011 e janeiro de 2012. No primeiro, a teóloga colombiana Olga Consuelo Vález Caro abordou a questão da "leitura cristã da realidade secularizante", evidenciando que a secularização pode ser entendida como "o processo vivido pelas sociedades a partir do momento em que a religião e as suas instituições perdem influência sobre elas, de modo que outras áreas do conhecimento tomam seu lugar".
Contudo, a secularização não é apenas a transição de uma sociedade tradicional para uma sociedade moderna, onde a religião deixou de ser o cimento que facilitava a coesão social. Trata-se muito mais de todo um modo de sentir, pensar e agir, caracterizado pela autonomia da razão e da pessoa humana, e pela pluralidade das propostas e dos projetos de vida. Com o termo "laicidade" se quer descrever a condição de uma sociedade plural e aberta.
Essa emancipação do mundo traz certamente consigo um elemento de ruptura com o regime de proteção religiosa, mas também traz um elemento de continuidade no sentido que o próprio cristianismo resgatou, fundamentou e proporcionou esta autonomia (cf. Gal 3, 28). Portanto, se de um lado pode haver rejeição da religião, por outro, a sua aceitação acontece agora no âmbito estritamente pessoal desligada da instituição. Ou seja: a Igreja não pode mais determinar a maneira de ser e a relação com Deus de cada pessoa. A pergunta que fazemos a partir da fé é como a presença de Deus continua ainda atual neste novo contexto e se é possível ainda anunciá-Lo ao ser humano contemporâneo.
Em nenhum momento colocamos em dúvida que o Senhor ressuscitado esteja presente e que o mandato missionário tenha perdido seu valor, mas nós achamos que vivemos em tempos exigentes de responsabilidade e criatividade, atitudes indispensáveis para responder a esse imenso desafio da secularização e do pluralismo. Dependerá muito da habilidade eclesial, aproveitar este kairós (tempo de graça) para ler e interpretar os sinais dos tempos e conectar-se com as novas sensibilidades na busca de Deus, da religião e da experiência da fé.
Não são tempos de ansiedade e nostalgia, de fundamentalismos e retorno ao passado, mas de agir responsavelmente em um contexto onde a fé cristã não tem mais a hegemonia cultural. Como cristãos agimos muitas vezes de forma preconceituosa, pretensiosa, ingênua e autorreferencial, sem saber como administrar a secularização e os tempos nos quais estamos vivendo. É hora, portanto, de enfrentar essa realidade caminhando com as pessoas, reconhecendo e valorizando a alteridade, cuidando dos pobres, "estando sempre prontos a dar razão de nossa esperança a todo aquele que a pede" (1Pd 3, 15).

Ir ao encontro

Para isso, não podemos esperar que as pessoas venham a nós, precisamos nós ir ao encontro delas e anunciar-lhes a Boa Nova ali mesmo onde se encontram. Esse princípio parece quase óbvio. No entanto, na prática, a Igreja sempre teve a tentação de evangelizar a partir de sua própria condição, permanecendo em seu lugar, a partir de sua própria cultura, enviando e delegando seus missionários, mas sem se envolver num movimento de saída e de inserção nas situações que desejavam evangelizar.
Isso corresponde a uma verdadeira conversão para as nossas comunidades demasiadamente plantadas: "nós somos agora, na América Latina e no Caribe, seus discípulos e discípulas, chamados a navegar mar adentro para uma pesca abundante. Trata-se de sair de nossa consciência isolada e de nos lançarmos, com ousadia e confiança (parrésia), à missão de toda a Igreja" (DA 363). A conversão pastoral e a renovação missionária da qual fala o Documento de Aparecida em suas páginas centrais trata substancialmente de uma saída. Na saída de si, do círculo da própria comunidade e dos confins da própria terra, se realiza para a Igreja essa conversão.
A experiência missionária é sempre marcada pela itinerança, pelo despojamento, pela leveza e pela provisoriedade, por um contínuo entrar e sair, por um êxodo pascal de morte e ressurreição. A missão jamais cria raízes em algum lugar.
Paradoxalmente, o tema da conversão antes de ser dirigido aos destinatários da missão, é apontado por Aparecida como exigência fundamental para a própria Igreja e de todos seus sujeitos: "para nos converter numa Igreja cheia de ímpeto e audácia evangelizadora, temos que ser de novo evangelizados" (DA 549). A conversão é sempre algo que começa dentro de nós e se transforma em testemunho e anúncio para os outros.
Para a missão hoje é preciso ter muita humildade, jamais arrogância de quem pretende ensinar aos outros. Isso nos coloca numa posição de aprendizes, de discípulos, de compaixão para com toda humanidade e de simetria com qualquer ser humano. É necessário também valorizar o cotidiano. A semente que morre para dar fruto não é percebida por ninguém: tudo acontece num processo quase imperceptível, escondido, cadenciado no dia a dia. De repente, olhando para o caminho, reparamos que passos foram dados, escolhas foram amadurecendo, conquistas significativas foram alcançadas.
Ao mesmo tempo, é preciso ter responsabilidade e compromisso. Cumprir com tarefas que apontam para um novo modelo de Igreja missionária não é opcional. O que está em jogo é a aposta do Evangelho continuar sendo significativo no mundo plural de hoje: essa missão é a razão última que nos resta, para a qual entregamos nossas vidas e a vida de nossas comunidades.

* Estêvão Raschietti é missionário xaveriano, italiano, há mais de 20 anos no Brasil, atualmente diretor do Centro Cultural Missionário - CCM de Brasília. Publicado na revista Missões, N. 06 - jul-ago. 2012.

27 giugno 2012

Dialogo Interreligioso

Aver visto il Papa che prega


È quello che conta anche nel dialogo con l’islam. Appunti e riflessioni del presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso

del cardinale Jean-Louis Tauran

Il cardinale Jean-Louis Tauran tra gli studenti del centro di formazione professionale Inter-Faith, a Bokkos, in Nigeria.

Recentemente un professore dell’Università di Tunisi si è rivolto ai suoi studenti così: «Siate attenti a non lasciar cadere le vostre penne, perché altrimenti nelle vostre mani rimarranno i coltelli». È un avviso saggio. Più la situazione è precaria, più il dialogo è necessario, perché non c’è alternativa. Certamente noi cristiani – nelle scuole, nelle università e negli ospedali che manteniamo nei Paesi a maggioranza musulmana – abbiamo cura di testimoniare l’amore verso tutti e senza condizioni o distinzioni, e i nostri amici musulmani apprezzano sinceramente tale atteggiamento. Giorno dopo giorno, lavorando in questo Pontificio Consiglio, riscopro una dimensione talvolta accantonata: i nostri amici musulmani rispettano la gente che prega. Una liturgia o un’Eucaristia ben preparate e ben celebrate costituiscono una valida testimonianza cristiana. Mi ricorderò sempre, quando ero alla Segreteria di Stato, quanto mi disse un ambasciatore di religione musulmana, venuto a fare la tradizionale visita di congedo: «Dopo tre anni di missione presso la Santa Sede, ciò che più mi ha colpito non è la vostra posizione politica sul Medio Oriente o il prestigio della diplomazia pontificia, ma l’aver visto il Papa pregare». Credo che ciò sia per noi come un invito a essere sempre persone di fede, a non aver mai paura di manifestarla. Ovviamente possono esistere ostacoli esterni (la discriminazione per motivi religiosi) o anche interni (ignoranza, peccato) che fanno sì che la nostra testimonianza non sia sempre luminosa.
È importante che chi entra in dialogo abbia un’idea chiara del contenuto della propria fede e un profilo spirituale ben determinato: non può esserci un dialogo fondato sull’ambiguità. Purtroppo, tanti giovani cristiani hanno un’idea superficiale del contenuto della loro fede; ecco perché è una grande grazia avere un papa come Benedetto XVI, che sa testimoniare e insegnare che la nostra fede non è un sentimento o un’emozione – forse lo è anche, in alcuni momenti – e di certo non è un mito. Gesù Cristo è esistito, è stato uomo tra gli uomini, è vissuto in un periodo e in un luogo storicamente determinati, è morto ed è risorto. Papa Benedetto ci parla anche dell’equilibrio tra ragione e fede. In una omelia in Germania, diceva: «La fede è semplice. Crediamo in Dio – principio e fine della vita umana. In quel Dio che entra in relazione con noi esseri umani». Ma si domandava: «È una cosa ragionevole?», e precisava: «Noi crediamo che all’origine c’è il Verbo eterno, la Ragione e non l’Irrazionalità» (santa messa a Regensburg, 12 settembre 2006).
Accanto alla fede e alla ragione, importante è anche l’amicizia. Il dialogo interreligioso non è un dialogo tra le religioni, ma tra i credenti chiamati a testimoniare nel mondo di oggi che non di solo pane vive l’uomo. Tutto comincia col rispetto per finire con una rispettosa amicizia. Quando siamo di fronte a qualcuno che crede e prega diversamente da noi, occorre prima prendersi il tempo di guardarlo, di capire le sue aspirazioni spirituali; poi dopo passeremo in rassegna ciò che ci distingue e ciò che invece ci unisce. E se un patrimonio comune esiste, a quel punto spetta a tutti noi offrirlo alla società circostante, perché il dialogo religioso non è destinato alla mia comunità, ma all’altra, a quella del mio interlocutore. Il dialogo è un’apertura che ci chiama ad avvicinarci con delicatezza alla religione e alla cultura degli altri.
Che cosa mi aiuta di più nel mio lavoro? La testimonianza ammirevole dei cristiani che ho avuto la grazia di incontrare in Paesi nel Medio e nell’Estremo Oriente e recentemente in Africa. La loro adesione convinta alla fede, la loro fedeltà alla Chiesa, l’affetto filiale che hanno per il Papa, tutto questo è un grande aiuto per tutti. Gesù è lì in queste piccole comunità. È la fede dei semplici, disponibili ad accogliere il vescovo che li visita, a chiedere una benedizione, perché sanno attraverso una fede intuitiva che la Chiesa è una famiglia.
Certo, dopo la mia ordinazione sacerdotale non immaginavo di dover vivere il mio sacerdozio praticando il dialogo, prima “diplomatico”, oggi “interreligioso”, anche se, sulle immagini della mia ordinazione sacerdotale, avevo fatto stampare le parole di Paolo ai Corinzi: «In nome di Cristo… siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5, 20).
Il dialogo interreligioso mi ha permesso, devo confessare, di approfondire la mia fede, perché quando chiedo a un altro come vive la propria fede, so che l’indomani verrà posta a me la stessa domanda. Nel mondo pluralista di oggi, saremo sempre di più chiamati a rendere ragione della «speranza che è in noi… ma sempre con rispetto e dolcezza», come raccomandava Pietro (1Pt 3, 15-16).

Benedetto XVI durante la recita del rosario

Recentemente mi trovavo in Nigeria, e sono stato invitato a visitare una scuola professionale, fondata da un sacerdote, dove sono accolti per due anni ragazzi, sia musulmani sia cristiani. Ho ammirato il mutuo rispetto che dimostravano, la gioia di stare insieme e anche la dimensione religiosa che quel sacerdote ha saputo istillare in loro, senza relativismo o sincretismo.
Sono convinto che è possibile vivere assieme nelle società umane dilaniate da tanta violenza ed essere, quali credenti, fermenti di perdono, di riconciliazione e di pace
Infine, più di una volta m’è stato chiesto se “don Tauran” riesce a dare testimonianza all’interno dei suoi impegni istituzionali.
Non so se la mia vita sia stata una credibile testimonianza, però dopo la mia ordinazione sono stato sempre abitato da una convinzione: devo essere prima sempre sacerdote, qualsiasi siano le circostanze. La cosa importante per un sacerdote ma anche per i fedeli è che, attraverso la nostra vita di ogni giorno, chi non conosce Gesù, possa “indovinare” la sua presenza in mezzo a noi. Onde l’importanza di una Chiesa unita e missionaria.
Fra qualche giorno pronuncerò a Rouen il panegirico di Giovanna d’Arco e mediterò su alcune frasi che ella pronunciò prima di morire. Vorrei menzionarne una che ho imparato sin dagli anni del Seminario: «Dieu fait ma route / Dio traccia il mio cammino». La cosa importante nella vita di ogni cristiano, e a maggior ragione per un sacerdote o un vescovo, è il coltivare la libertà interiore per poter permettere a Dio di realizzare, malgrado i nostri limiti, il suo progetto: radunare tutti gli uomini in un’unica famiglia.

(Testo raccolto da Giovanni Cubeddu)

Sr. Paola Oldani, missionaria in Argentina (Río Gallegos) ci scrive condividendo la bellezza e le sfide della missione:

«[…] questo mese è stato intenso e penso che il ritmo rimarrà sempre lo stesso ma con le sue sorprese.
Il 24 maggio l'abbiamo vissuto intensamente iniziando la giornata nella grande palestra della Scuola.
Era presente tutta la scuola al completo: dai più piccoli della Materna, su su fino alla terza superiore, con i docenti, il personale ausiliario, molti genitori ed ex allieve/i. Naturalmente presieduta dal Vescovo Mons. Miguel Ángel D'Annibale che quando è in Río Gallegos, ben volentieri accetta di presiedere l'Eucaristia.
A seguire, nell'altro grande salone, la festa della Patria (che ricorre il giorno successivo), i protagonisti sono stati i genitori con i più piccoli del complesso scolastico, ossia i bambini e bambine della scuola Materna. A dire il vero il senso patriottico è molto intenso in tutte le espressioni Argentine. Basti pensare che ancora quotidianamente la giornata inizia con l'inno nazionale e l'alzabandiera in un perfetto silenzio e rispetto del momento che stanno vivendo.
Un'altro appuntamento importante l'abbiamo vissuto l'8 e 9 giugno. La raccolta della Caritas con il messaggio Povertà Zero. Tutta l'Argentina era stimolata da questo messaggio, anche nei programmi televisivi e radiofonici. La nostra scuola ha raccolto, confezionato pacchetti con una bellissima letterina-messaggio di Maria Ausiliatrice. Tutto il lavoro in equipe. Poi caricare e scaricare tutto in raccolto alla sede della Caritas diocesana: 2 pulmini e 5 macchine per questo servizio di trasporto e consegna. Un'organizzazione eccezionale... e nelle prime ore di scuola!!! Da notare che siamo in inverno e il sole sorge dalle 9 alle 9,30, quindi anche la luna sorrideva nel vedere quel bellissimo momento di condivisione. Alla fine delle grandi fatiche... la foto di gruppo per ricordare che i poveri vanno serviti sempre e comunque.
Un'altra esperienza simpaticissima... se possiamo definirla così, è stata nella Cappella del Barrio San Benito (per chi non lo ricordasse sono i due container che accolgono le persone per la Messa della domenica che viene celebrata al sabato alle 16.30, dopo la catechesi). Dicevo che siamo in inverno e qui è un inverno australe... si fa sentire anche se il sole e il vento, non mancano per la maggior parte della giornata.
Due settimane fa, mi sono meravigliata perché, nella Cappella, accanto ad una stufetta elettrica, erano appoggiate per terra le ampolline per la celebrazione Eucaristica. Mi sono fermata a guardare lo spettacolo insolito. La sacrestana che ha letto nel mio viso una certa perplessità, ha sollevato da terra l'ampollina dell'acqua e mostrandomela esclama "è ghiacciata!!!!!" Proprio così, la gente del barrio sente il freddo ma non perde l'occasione per venire alla Messa perché è l'unica che possono avere in settimana. E ringraziano il Signore per questo grande dono! Al termine si condivide quello che la provvidenza fa pervenire in settimana: latte, pane dolce, biscotti e tanta simpatia riconoscente.
L'ultima notizia che vorrei condividere è quella di un' emozione grande vissuta nella giornata mondiale delle famiglie che si è svolta in Milano. Ho provato una gioia immensa poter seguire in diretta tutta la celebrazione della Messa di conclusione con il Santo Padre a Bresso. Erano le 5 del mattino e prima di scendere in Cappella con la comunità, mi ero già caricata di energia mondiale.
In quel momento ho pregato per tutte le famiglie del mondo, ma in modo particolare per le famiglie che porto nel cuore con riconoscenza ed affetto sempre più grande.
Vi saluto e... alla prossima
Sr. Paola feliz fma»






25 giugno 2012

Un rosario per tutto il mondo

«L’Anno della fede è prima di tutto un anno in cui noi dobbiamo pregare per la fede, e domandare al Signore il dono di essa».
Intervista a tutto campo con il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli.

Lo scorso 19 febbraio è toccato a lui il compito di rivolgere a Benedetto XVI l’indirizzo di omaggio a nome dei nuovi cardinali creati nel Concistoro del giorno prima. In quell’occasione, sua eminenza Filoni ha posto il servizio cardinalizio dei nuovi porporati «sotto la protezione di Maria, Madre della Grazia». Adesso, la sua “strategia” per vivere l’imminente Anno della fede è un semplice rosario. Una corona di preghiere da offrire per l’annuncio del Vangelo in ogni continente. Il modo più semplice per «domandare al Signore il dono della fede», per sé e per gli altri. Si tratta di una Campagna di preghiera mondiale per l’evangelizzazione che deve accompagnare l’Anno della fede, alla quale ha dato la propria benedizione il papa Benedetto XVI l’11 maggio scorso, in occasione dell’udienza concessa ai Direttori nazionali delle Pontificie opere missionarie, che saranno gli animatori dell’iniziativa nei propri Paesi.

[…]

Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede. In che modo lei e il suo dicastero sarete sollecitati dalla prospettiva suggerita dal Papa a tutta la Chiesa?
Noi, come Congregazione, guardiamo all’Anno della fede nella prospettiva del primo annuncio. E crediamo che l’Anno della fede sia prima di tutto un anno in cui noi dobbiamo pregare per la fede, cioè domandare al Signore il dono di essa. Senza questo, anche tutte le nostre opere e la rete di aiuti che abbraccia tutto il mondo, in particolare quello missionario, perderebbero la loro vera ragion d’essere. Per questo abbiamo pensato a un piccolo segno concreto: diffonderemo un semplice rosario i cui grani intermedi tra una decina e l’altra saranno di diversi colori, a rappresentare i cinque continenti, a significare che quella decina è particolarmente dedicata alle esigenze dell’evangelizzazione e della fede in quel continente (i colori sono: bianco per l’Europa, rosso per l’America, giallo per l’Asia, azzurro per l’Oceania e verde per l’Africa). Lo diffonderemo in tutto il mondo, raccogliendo le richieste e le adesioni anche tramite internet. Così chiunque vorrà, potrà pregare la Madre di Gesù per l’annuncio del Vangelo in ogni continente. Mi piace pensare all’invito che, a Cana di Galilea, Maria rivolgeva ai servitori: «Fate quello che vi dirà». Se ascolteremo questo invito, siamo certi che il Signore non farà mancare alla Sua Chiesa il vino più buono della fede per tutto il mondo.


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Declaración de la Conferencia Internacional de Pueblos Indígenas sobre Desarrollo Sostenible y Libre Determinación

Los Pueblos Indígenas de todas las regiones del mundo nos reunimos en la "Conferencia Internacional de los Pueblos Indígenas sobre el Desarrollo Sostenible y la Libre Determinación", de 17 de junio - 19 de 2012 en el Museo de la República, Río de Janeiro, Brasil. 
Damos las gracias a los Pueblos Indígenas de Brasil por darnos la bienvenida y expresamos nuestra solidaridad con sus luchas impuestas por el desarrollo, como la represa de Belo Monte, que amenazan a sus territorios y formas de vida. También agradecemos a los pueblos indígenas de todas las regiones del mundo por sus actividades de preparación y su participación en este proceso.
Afirmamos con una sola voz que ya es hora de asumir las responsabilidades históricas para revertir siglos de depredación, contaminación, colonialismo, violación de los derechos y genocidio. Es hora de asumir las responsabilidades para con las generaciones futuras. Es el momento de elegir la vida.

1. La cultura como una dimensión fundamental del desarrollo sostenible 
Como Pueblos Indígenas, nuestros sistemas de creencias culturales fundamentales y cosmovisiones del mundo están basados en nuestras relaciones sagradas con la Madre Tierra que han sustentado nuestros pueblos a través del tiempo. 
Reconocemos las contribuciones y la participación de los titulares de conocimientos tradicionales, las mujeres y los jóvenes indígenas. Nuestras culturas son formas de ser y de vivir con la naturaleza, que sustentan nuestros valores, opciones éticas y morales y nuestras acciones. 
La supervivencia de los pueblos indígenas se basa en el apoyo de nuestras culturas, que nos proporcionan lo material, social y la fuerza espiritual. Creemos que todas las sociedades deben fomentar una cultura de la sostenibilidad y que Río+20 debe poner de relieve la cultura, la moral y la ética como las dimensiones más fundamentales del desarrollo sostenible.

2. El ejercicio pleno de nuestros derechos humanos y colectivos 
Vemos que la Madre Tierra y toda la vida se encuentran en una grave situación de peligro. Vemos que el actual modelo de desarrollo sostenible sigue avanzando en el camino del peligro. Los pueblos indígenas hemos experimentado los terribles efectos negativos de este enfoque. Estas amenazas se extienden a los pueblos en aislamiento voluntario.
El desarrollo sostenible solo puede realizarse a través de la plena vigencia y cumplimiento de los derechos humanos. Los pueblos indígenas vemos el desarrollo sostenible y la autodeterminación como complementarios. Los avances en varios países han sido posibles en la medida en que los Estados han cumplido con su obligación de respetar, proteger y promover los derechos humanos, mientras que los conflictos se han intensificado en donde los gobiernos han impuesto de arriba hacia abajo el desarrollo, ya sea con la etiqueta "sostenible", "pro-pobres" o "verde".
La Declaración de la ONU sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas es la norma que debe aplicarse en la implementación del desarrollo sostenible en todos los niveles, incluido el respeto de la plena participación en la toma de decisiones y de nuestro consentimiento libre, previo e informado (CLPI) en todas las políticas, programas y proyectos que nos afectan.

3. El fortalecimiento de diversas economías locales y la ordenación territorial
Para los pueblos indígenas, la autodeterminación es la base del Buen Vivir / Vivir Bien, y esto se realiza a través de derechos seguros sobre la tierra y la ordenación territorial y la construcción comunitaria de economías más vibrantes. Estas economías locales proporcionan medios de vida sostenibles locales, la solidaridad comunitaria y son componentes críticos de la resiliencia de los ecosistemas.
Vamos a seguir fortaleciendo y defendiendo nuestras economías y el ejercicio de nuestros derechos a nuestras tierras, territorios y recursos, en contra de las industrias extractivas, las inversiones depredadoras, la apropiación de tierras, los reasentamientos forzados y los proyectos de desarrollo insostenibles. Estos incluyen las represas a gran escala, las plantaciones, la infraestructura a gran escala, la extracción de arenas de alquitrán y otros mega-proyectos, así como el robo y la apropiación de nuestra biodiversidad y conocimientos tradicionales.
De la Conferencia surgieron muchas respuestas para hacer frente a la crisis global, tan variadas como las diversas culturas presentes en la reunión. La mayor riqueza es la diversidad de la naturaleza y su diversidad cultural asociada, las cuales están íntimamente relacionadas y deben ser protegidas de la misma manera.
Los pueblos indígenas llamamos al mundo a volver al diálogo y la armonía con la Madre Tierra, y adoptar un nuevo paradigma de civilización basado en el Buen Vivir – Vivir Bien. En el espíritu de la humanidad y nuestra supervivencia colectiva, la dignidad y el bienestar, respetuosamente ofrecemos nuestros puntos de vista culturales del mundo como una base importante para renovar colectivamente nuestras relaciones con los otros y con la Madre Tierra y para garantizar Buen Vivir / Vivir Bien con integridad.
En base a estas afirmaciones y acuerdos, nos comprometemos a llevar a cabo las siguientes acciones:

Dentro y entre las comunidades, pueblos y naciones indígenas

1) Vamos a definir y poner en práctica nuestras propias prioridades para el desarrollo económico, social y cultural y la protección del medio ambiente, sobre la base de nuestras culturas tradicionales, nuestros conocimientos y prácticas, y la aplicación de nuestro derecho inherente a la libre determinación.

2) Vamos a revitalizar, fortalecer y restaurar nuestras instituciones y métodos para la transmisión de nuestros conocimientos y prácticas tradicionales que se centran en la transmisión por nuestras mujeres y nuestros ancianos a las próximas generaciones.

3) Vamos a restablecer el intercambio de conocimientos y productos, incluidos los intercambios de semillas entre nuestras comunidades y pueblos en refuerzo de la integridad genética de nuestra biodiversidad.

4) Vamos a estar en firme solidaridad con todas luchas contra los proyectos que amenazan a nuestras tierras, bosques, aguas, prácticas culturales, soberanía alimentaria, medios de subsistencia tradicionales, ecosistemas, derechos y formas de vida. También en solidaridad con otros sectores sociales cuyos derechos están siendo violados, incluidos los campesinos, pescadores y pastores.

En las acciones frente a los Estados y las corporaciones:

1) Vamos a seguir rechazando el concepto del modelo neoliberal dominante y la práctica de desarrollo basada en la colonización, la mercantilización, la contaminación y la explotación del mundo natural, y las políticas y proyectos basados en este modelo.

2) Insistimos en que los Estados apliquen plenamente sus compromisos en virtud de las leyes nacionales e internacionales y las normas que defienden los derechos inherentes, inalienables, colectivos e intergeneracionales de los pueblos indígenas y los derechos afirmados en tratados, acuerdos y arreglos constructivos, la Declaración de las Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas y el Convenio 169 de la OIT.

3) Vamos a rechazar y oponernos firmemente a las políticas de los Estados y los programas que repercuten negativamente en las tierras y territorios de los pueblos indígenas, ecosistemas y medios de subsistencia, y a los permisos otorgados a las empresas o cualquier otro tercero para hacerlo.

En las Naciones Unidas

1) Insistir en la participación plena y efectiva en todos los debates y actividades de establecimiento de estándares en materia de desarrollo sostenible, biodiversidad, medio ambiente y cambio climático y para la aplicación de la Declaración de las Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas en todos estos procesos.

2) Vamos a llevar estos mensajes a la Conferencia de las Naciones Unidas sobre el Desarrollo Sostenible, la Conferencia Mundial de los Pueblos Indígenas (CMPI, 2014) y todos los otros procesos internacionales, donde nuestros derechos y la supervivencia se ven afectados. Proponemos que la visión y práctica de los Pueblos Indígenas del desarrollo sostenible sea un foco de discusión en la CMPI.

Nosotros adoptamos la presente Declaración el 19 de junio de 2012, en Río, afirmando nuestros derechos y reiterando nuestras sagradas responsabilidades con las generaciones futuras.

La Conferencia Internacional de los Pueblos Indígenas sobre Desarrollo Sostenible y Libre Determinación se realizó del 17 al 19 de junio, de manera paralela a la Conferencia de Naciones Unidas sobre Desarrollo Sostenible Río +20.
(traducción del inglés no oficial, enviado por CAOI).

http://www.adital.com.br

Il naufragio della speranza

(22 giugno 2012 - Tonio Dell'Olio) - Guardando con un minimo di attenzione anche oltre i nostri confini ci rendiamo conto che quello dell’immigrazione è un dramma planetario. È un triste segno dei tempi ma la scelta di dare libera circolazione alle merci e di fermare uomini e donne ai confini, produce un costo enorme in vite umane. I confini della Spagna, del Messico, del Mediterraneo... sono porte blindate alle quali non si riesce nemmeno a bussare. Notizia di ieri il naufragio di un’imbarcazione con 160 migranti nel mare antistante Christmas Island al largo dell’arcipelago dell’Indonesia. Tutti potenziali richiedenti asilo che scappavano da persecuzioni e minacce. Provenienti da Sri Lanka, Indonesia e Asia sud-orientale e diretti verso una speranza chiamata Australia. 40 i più fortunati raggiunti in mare dai soccorritori mentre erano aggrappati allo scafo dell’imbarcazione. Gli altri sono classificati come dispersi. Lontani dalle loro famiglie, dalle proprie case, dalle proprie città. Costretti a partire a bordo di rischi troppo grandi e persino prevedibili. Non sono il prezzo della crisi. Sono piuttosto il carico debordante di una mancanza di condivisione di beni e di democrazia. Sottrazione di umanità.

http://www.peacelink.it

22 giugno 2012

AMERICA/ECUADOR - In Ecuador il maggior numero di rifugiati dell'America

Quito - Il 2011 è stato un "anno record" per gli spostamenti forzati, considerando le cifre a partire dall'anno 2000: lo afferma il rapporto pubblicato dall'ACNUR (Agenzia ONU per i rifugiati) pervenuto all'Agenzia Fides. Riguardo alla situazione americana, l'Ecuador resta il paese con il maggior numero di rifugiati: ci sono 55.092 persone e alla fine del 2011 erano in attesa di risposta più di 20.000 domande di asilo.
Al secondo posto c'è il Costa Rica, che ha concesso lo status di rifugiato a 12.571 persone fuggite da conflitti armati. Il numero di rifugiati registrati in Argentina, Cile, Panama, Brasile e Messico è aumentato nel 2011 rispetto agli anni precedenti. In Argentina, la cifra di 3.276 rifugiati registrati nel 2010 è aumentata a 3.361 nel 2011. Dei 1.621 rifugiati registrati in Cile nel 2010, si è passati a 1.674 nel 2011. In Brasile il numero dei rifugiati registrati nello stesso anno è di 4.477 rispetto a 4.359 persone iscritte nel 2010. A Panama il numero di rifugiati è passato da 2.073 nel 2010 a 2.262 alla fine del 2011. Anche il Messico ha registrato un incremento del numero totale di rifugiati: nel 2010 ne aveva 1.395 e nel 2011 erano 1.677. In Venezuela le persone iscritte come rifugiati erano 3.175, già nel 2010 erano più di 2.900.
Secondo il rapporto, l'America è caratterizzata da un particolare senso di solidarietà verso i rifugiati, visti i continui sforzi per sviluppare programmi e attività che consentano la protezione internazionale di coloro che sono stati costretti a lasciarsi tutto alle spalle. Nonostante la maggior parte dei paesi americani debba affrontare gravi problemi e crisi economiche, aprono le frontiere e permettono ai rifugiati di trovare riparo nel loro territorio. Secondo il rapporto, il gruppo più numeroso di rifugiati proviene dalla Colombia, con 392.600 persone.

La storia - Padre musulmano, figlio diventa prete

È successo a Novara con don Nur, cresciuto a Domodossola in una coppia mista. Una storia di dialogo attraverso la vita

Le coppie miste formate da un coniuge musulmano e uno cristiano fanno spesso notizia per le vicende tragiche, come nel caso delle battaglie per i figli. E nessuno vuole certo sminuire le difficoltà di questo rapporto e le mille cautele che chi conosce le storie di queste coppie suggerisce. Però tutto questo non può portarci a non vedere che ci sono anche vicende in cui questo dialogo attraverso la vita funziona. E una delle testimonianze più belle viene oggi da Novara dove un giovane di seconda generazione, figlio di un musulmano egiziano e di una donna cattolica italiana, viene ordinato prete.
Si tratta di don Nur Nassar, 31 anni, di Domodossola che riceverà l'ordinazione sacerdotale insieme ad altri due nuovi sacerdoti dal vescovo Franco Giulio Brambilla. La storia è raccontata nel dettaglio in questo articolo pubblicato oggi sulle pagine locali di Novara del quotidiano La Stampa e merita di essere letta. Una storia che parla del percorso di don Nur, ma anche delle grandi cose che possono succedere quando due persone che si amano accettano davvero di vivere la propria appartenenza religiosa diversa come occasione per crescere insieme.
Sul tema delle coppie miste tra cristiani e musulmani - tra difficoltà ma anche storie positive - segnaliamo anche questo articolo di Anna Pozzi pubblicato sul numero che nel febbraio 2010 Mondo e Missione dedicò al tema dell'Islam a Milano

Boko Haram ha declarado la guerra a los cristianos

Abuja (Nigeria): El arzobispo de Jos y presidente de la Conferencia Episcopal Nigeriana, monseñor Ignatius Ayau Kaigama, declaró a la agencia Fides que “es correcto decir que Boko Haram está en contra de los cristianos y de la religión cristiana, pero hay que tener cuidado con no confundir esta sección con toda la población musulmana de Nigeria, con la que tratamos de mantener buenas relaciones”.
Estas declaraciones del arzobispo fueron hechas al presentar la declaración de la Christian Association of Nigeria (CAN), asociación que reúne a las principales confesiones cristianas de Nigeria, incluida la Iglesia Católica, que afirma que “Boko Haram ha declarado la guerra a los cristianos”.
“La declaración de la CAN es correcta - dijo monseñor Kaigama -, pero no es correcto decir que toda la población nigeriana musulmana está contra los cristianos”.
En los últimos días Boko Haram atacó varias áreas del norte de Nigeria. En Kaduna, capital del Estado que lleva el mismo nombre, el domingo 17 de junio 3 iglesias fueron atacadas, se restableció el toque de queda de 24 horas, mientras que en Damaturu, la capital del estado de Yobe, al menos 40 personas murieron en una serie de enfrentamientos, que duraron horas, entre las fuerzas de seguridad y miembros de la secta islámica.
Frente a esta ola de violencia Mons. Kaigama invita a todos a mantener la calma. “Boko Haram –afirma el arzobispo de Jos - posee una estructura formada no sólo por fanáticos dispuestos a sacrificar sus vidas para provocar la muerte a otros, sino también por sus patrocinadores, algunos de los cuales son extranjeros”.
“Debemos pedir a nuestras fuerzas de seguridad, dijo el prelado, que identifiquen a sus financiadores y a los inspiradores de esta campaña de violencia. Por desgracia, hasta el momento, no fueron capaces de hacerlo”, concluyó el presidente de la Conferencia Episcopal nigeriana.

Vaticano - "Annusfidei" - sito dedicato all'Anno della Fede 2012/2013

Da oggi, all'URL http://www.annusfidei.va/, è in rete il sito del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova Evangelizzazione dedicato all'Anno della Fede che si svolgerà tra il 2012 e il 2013. L'Anno della Fede fu annunciato l'anno scorso da Papa Benedetto XVI con queste parole. "Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un "Anno della Fede", che avrò modo di illustrare con un’apposita Lettera apostolica. Questo "Anno della Fede" inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo".


21 giugno 2012

Acuerdo del Centro de Misionología con la Universidad Urbaniana

Buenos Aires - El Centro de Misionología para el Cono Sur “Juan Pablo II”, perteneciente a las Obras Misionales Pontificias de la Argentina y que este año celebra el 30º aniversario de su creación, firmó un acuerdo académico con la Facultad de Misionología de la Pontificia Universidad Urbaniana, con sede en Roma, Italia.
El convenio establece que la Facultad deberá aprobar el plan de estudios y se compromete a reconocer el curriculum académico de los cursos de Misionología impartidos por dicho Centro. Éste presentará anualmente un detalle del desarrollo de los cursos y la Facultad concederá un diploma de los estudios de misionología realizados.
El acuerdo de aval otorgado por la Universidad Urbaniana fue celebrado días pasados en Roma y rubricado por el decano de la Facultad de Misionología, presbítero Benedict Kanakappally, y el director nacional de las Obras Misionales Pontificias de la Argentina, presbítero Osvaldo Leone.
El padre Jesús Ángel Barreda OP, profesor de la Pontificia Universidad Urbaniana, fue designado por el Consejo Académico de la Facultad de Misionología como responsable en el servicio de coordinación de las relaciones con el Centro de Misionología para el Cono Sur “Juan Pablo II”, de las OMP Argentina y otros semejantes de América Latina, manifestó: “Estoy convencido de que, por una parte, el fervor de la misión nace de la propia identidad cristiana y, por otra, de la compasión hacia aquellos que están, en palabras de Jesús, “como ovejas sin pastor”, o ni siquiera conocen al Pastor. Esto quiere decir que la misión no es una ocupación de un grupo reducido de héroes, es la definición de una identidad; el bautismo ha hecho de nosotros “hijos de Dios y lo somos”.
“Hemos sido llamados a formar parte del proyecto de Dios sobre el mundo: la misión. Dios es el Dios de la misión porque es el Dios del amor”, destacó al considerar que “debemos estudiar, debemos formarnos; y a esto se orientan las Instituciones especializadas, como vuestro Centro “Juan Pablo II” y la Universidad de la que formo parte. Intentemos prepararnos, porque de ello puede depender que otros se encuentren con Jesús”.

Nasce a Roma l’Osservatorio della libertà religiosa

Lo hanno istituito il ministero degli Esteri italiano e Roma Capitale. Sarà coordinato dal sociologo Massimo Introvigne

Andrea Tornielli
Roma

Nasce a Roma l’Osservatorio della Libertà Religiosa, un organismo promosso dal ministero degli Esteri italiano guidato da Giulio Terzi di Santagata e dal sindaco di Roma capitale, Gianni Alemanno. L’idea è nata tempo fa, durante una visita di Alemanno a Benedetto XVI. Il Papa aveva fatto notare come Roma avesse un ruolo speciale da svolgere in difesa della libertà religiosa e in particolare nella denuncia delle persecuzioni dei cristiani perpetrate nel mondo.
Nel frattempo la Farnesina stava pensando a un’iniziativa italiana analoga a quelle che in passato erano state prese da altri Paesi, come gli Stati Uniti e il Canada (anche se gli Usa quest’anno, per la prima volta, hanno annunciato che non pubblicheranno il consueto rapporto sulla libertà religiosa nel mondo). Le due iniziative si sono incontrate. A coordinare l’Osservatorio è stato chiamato il sociologo Massimo Introvigne, fondatore del Centro Studi sulle nuove religioni, che nell’anno 2011 è stato rappresentante dell’OSCE per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni.
Nel protocollo d’intesa tra Roma Capitale e la Farnesina, si sottolinea come il Ministero degli Esteri italiano abbia «riservato alla difesa della libertà religiosa e di culto, come alla tutela delle minoranze religiose, una rilevanza fondamentale nella politica estera italiana, promuovendo nel 2010 l’adozione da parte dell’Unione Europea di un “Piano d’Azione” sulla libertà di religione o di culto ed avviando nelle opportune sedi istituzionali internazionali – anche di concerto con altri partner europei – numerose iniziative di sostegno alle politiche di contrasto alle discriminazioni dirette ed indirette fondate sulla religione».
Lo stesso documento ricorda anche che «Roma Capitale, in aggiunta alle responsabilità ad essa derivanti dall’essere capitale della Repubblica, assume consapevolmente il ruolo storico di essere “centro della cristianità, punto d’incontro tra culture, religioni ed etnie diverse”, ruolo rispetto a cui ha assunto l’impegno di “promuovere il dialogo, la cooperazione e la pacifica convivenza tra i popoli”».
Oltre ad Introvigne, i quattro membri dell’Osservatorio sono due diplomatici, Diego Brasioli e Roberto Vellano, con esperienza nel settore diritti umani, ai quali si aggiungono due persone provenienti dal mondo cattolico, come Attilio Tamburrini, autore principale del rapporto annuale sulla libertà religiosa dell’«Aiuto alla Chiesa che Soffre», e Roberto Fontolan, giornalista e responsabile del Centro internazionale di Comunione e Liberazione a Roma. Tutti presteranno la loro opera a titolo gratuito.
La prima uscita pubblica organizzata dal nuovo Osservatorio si terrà la mattina del 28 giugno a Roma, presso l’Associazione della Stampa Estera, con la partecipazione dell’arcivescovo di Baltimora, William E. Lori, che interverrà su «Religious Liberty: God’s Gift to all Nations is our Responsibility to Defend». L’arcivescovo Lori è tra i membri dell’episcopato statunitense in prima fila nella critica contro la riforma sanitaria del presidente Barak Obama. In un recente documento, la conferenza episcopale americana, riferendosi all’estensione dell’assicurazione sanitaria alla contraccezione anche per i dipendenti delle istituzioni religiose, ha scritto: «Il governo vuole forzare le istituzioni religiose a facilitare e finanziare una misura contraria al proprio credo morale».
Certo può apparire curioso che con le gravi violazioni della libertà religiosa accadendo nel mondo, il battesimo del nuovo organismo avvenga con un focus sugli Usa. Ma è già in cantiere un’iniziativa dedicata alla Nigeria. La nascita dell’Osservatorio è guardata con interesse e favore anche Oltretevere.

Día Mundial del Refugiado. Es hora de aprender de los refugiados

El 20 de junio se conmemora el Día Mundial del Refugiado para reconocer la esperanza y el coraje que tantas personas han tenido al verse forzadas a dejar su hogar para empezar una nueva vida. Para expresar nuestra hospitalidad como pueblo latinoamericano, el Servicio Jesuita a Refugiados Latinoamérica y El Caribe (SJR LAC) invita a los Gobiernos y a la sociedad a compartir y a aprender de y con los refugiados.

Hospitalidad significa asumir que los refugiados son sujetos de derechos y reconocer su participación en la vida comunitaria. Facilitar la posibilidad de que los refugiados accedan a documentación y no estigmatizarlos por haber vivido en la guerra.
Una perspectiva cerrada a la hospitalidad con los refugiados debilita e impide que contribuyan al desarrollo de la sociedad que los recibe. Esto es especialmente evidente en las regiones fronterizas de Venezuela, Panamá y Ecuador, que son los lugares a donde llegan los refugiados que huyen del conflicto armado colombiano; y en las fronteras de la Amazonia brasileña donde están llegando desde 2010 un número significativo de haitianos.
Estas regiones se caracterizan por ser zonas empobrecidas, deprimidas y afectadas por una presencia de los Estados que no prioriza al ser humano en su integralidad, sino a las relaciones económicas y/o diplomáticas.
En respuesta a esta situación el SJR desarrolla un programa de integración de refugiados y desplazados colombianos en Colombia, Panamá, Venezuela y Ecuador con el objetivo de contribuir a fortalecer un tejido social que garantice la reciprocidad entre la población refugiada y desplazada, y las comunidades de acogidaen las zonas fronterizas.
Fruto de este programa es la Escuela de Valores y Ciudadanía que se realiza en Venezuela y Panamá, para promover procesos de recuperación psicosocial como fundamento de la integración local, brindando respuestas alternativas a la violencia y a la desmotivación generalizada entre padres y madres; funcionarios del sistema educativo; y niños, niñas y adolescentes. Estos espacios son puentes de encuentro para el reconocimiento mutuo entre refugiados y población local.
Juanita, una de las niñas que participó en el programa, expresa que la experiencia le sirvió "para ser mejor ciudadana y compartir con los demás, sea quien sea”. Las actividades hacen que las personas conozcan sus derechos a la vez que se recuperan e integran.
El SJR Colombia realiza acompañamiento a procesos de reasentamiento en los que se trabaja en dos vías: con la población víctima de desplazamiento y la población receptora. De esta manera es posible que el proceso de integración social se lleve a cabo de manera pacífica y constructiva. También se brinda apoyo a la población joven a través de convenios, apoyo para la educación técnica y profesional; y se crean alianzas estratégicas de inserción laboral con empresas y negocios en los municipios.
En Ecuador, una experiencia significativa es la Escuela de Español, creada por el equipo del SJR. En este país, donde actualmente 55.826 personas tienen el estatus de refugiado, también ingresan migrantes forzados haitianos, nigerianos, pakistaníes; que al no conocer el idioma se les dificulta integrarse adecuadamente a la sociedad, conseguir empleo, matricularse en alguna institución educativa o simplemente comunicarse para establecer relaciones cotidianas con la población local.
Para nuestro equipo en Ecuador, esta escuela representa una oportunidad para socializar e intercambiar ideas y pensamientos entre quienes han tenido que salir de su país.
En la actualidad hay más de 4.600 haitianos en Brasil; nos alegra enormemente que esta población haya ido integrándose poco a poco desde una conciencia muy clara de su identidad, a pesar de las dificultades que tienen estos migrantes forzados. En una carta que escribieron los haitianos, varados en Tabatinga a las autoridades de Brasil, expresan: "Nos sentimos muy contentos de poder venir a Brasil, donde las personas son muy buenas, respetuosas y solidarias”.
Estas bellas y profundas experiencias de hospitalidad humanizan tanto a los migrantes forzados como a las sociedades de acogida, y demuestran que sus vidas no tienen que quedar detenidas por años, a causa de su condición.
Desde el SJR consideramos que ya es momento de hacer un alto y reflexionar sobre el aporte de estas personas, promoverlo y cualificarlo. Creemos que la sociedad civil, los Estados, las organizaciones locales e internacionales, y los mismos refugiados tienen mucho que aportar y qué decir.