31 marzo 2011

Lampedusa: cominciati trasferimenti migranti, anche nuovi arrivi

“C’è stato un nuovo arrivo oggi in mattinata, un’imbarcazione con dei migranti di cui ancora non conosco la nazionalità. La notte scorsa, pare che siano state un centinaio le persone giunte via mare sulle coste di Lampedusa”. Lo riferisce alla MISNA padre Vincent Mwagala, viceparroco dell’isola, rispondendo al telefono mentre sta aiutando dei giovani a pulire le docce e i bagni della parrocchia messi a disposizione dei migranti.
All’indomani della visita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che ha promesso l’evacuazione di tutti i migranti entro tre giorni, sono già partite stamani per Taranto due navi di compagnie marittime nazionali con a bordo circa 2300 persone. Altre tre imbarcazioni sono in attesa di poter attraccare per trasferire altre centinaia di migranti, riferisce l’agenzia di stampa Ansa. Sono inoltre previsti in giornata due ponti aerei per il trasferimento di circa 200 persone in altri centri di accoglienza in Italia.
Commentando la visita e le promesse di Silvio Berlusconi, padre Mwagala ha detto alla MISNA che “tra i lampedusani, è prevalso il buon senso. Così come hanno riservato un’accoglienza dignitosa a tutti i migranti sbarcati in questi mesi, hanno riservato anche un’accoglienza dignitosa al premier, sperando nell’aiuto promesso”.
Erano almeno due mesi che la popolazione di Lampedusa denunciava l’abbandono da parte del governo italiano nella gestione di migliaia di migranti, principalmente dalla Tunisia. Nei giorni scorsi il loro numero era lievitato a circa 7000, più della popolazione residente.
Nelle ultime ore è circolata la notizia, non confermata, della morte di 11 persone nel naufragio di un gommone carico di migranti nel Canale di Sicilia.  L’agenzia Habeshia, che si occupa di assistenza ai migranti, segnala che due imbarcazioni partite dalla Libia nei giorni scorsi, con un totale di oltre 400 persone a bordo, in maggioranza eritrei, risultano disperse in mare.
[CC]

Lampedusa: comincia la conta dei migranti da trasferire, atteso Primo Ministro


Sono ore frenetiche a Lampedusa e decisive per risolvere i problemi seguiti all’arrivo di migliaia di migranti dalle coste africane. “In questo momento – dice alla MISNA Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas Italiana in questi giorni sull’isola – al centro di contrada Imbriacola si sta procedendo all’identificazione di ogni persona che sarà poi imbarcata sulle navi, intanto arrivate a Lampedusa, che dovrebbero procedere al trasferimento degli oltre 6000 migranti sulla terraferma”. Secondo il responsabile della Caritas, l’insufficienza dei pasti distribuiti e di altri generi di conforto è conseguenza diretta del numero stesso delle persone in questo momento sull’isola: “Noi stiamo cercando di sopperire distribuendo pasti e coperte – aggiunge Forti – cercando anche di stare molto attenti alle modalità di distribuzione per evitare che la folla si accalchi. Le strutture del centro, pensate per un migliaio di persone, non sono ovviamente capaci di preparare pasti a sufficienza”.
Gli abitanti dell’isola attendono intanto l’arrivo annunciato per oggi del primo ministro Silvio Berlusconi. Il capo del governo dovrebbe tenere una conferenza stampa alle 15.30 presso la base dell’aeronautica e troverà una comunità divisa. Se al porto già da stamattina spiccano due striscioni di benvenuto, una parte della locale società civile sta preparando striscioni e manifesti di segno contrario: “Questo governo ha consentito che si creasse l’emergenza a Lampedusa – dice alla MISNA Paola La Rosa, tra i promotori delle iniziative anti-governative – manifesteremo contro di lui. L’isola è diventata invivibile, i migranti cercano di sopravvivere come possono, abbandonati quasi al loro destino, costretti a ripari di fortuna”. Intanto, tra i migranti – altri 50 sono arrivati nelle ultime ore – gli umori sono i più diversi, ma secondo varie fonti della MISNA sostanzialmente di attesa e timore che una volta imbarcati possano essere portati non verso l’Italia – come comunque ha finora riferito il governo – ma verso la Tunisia.
[GB]
Fonte: www.misna.org

“E se l'Africa scomparisse dal mappamondo?” - Filomeno Lopes alla tavola rotonda promossa da Harambee International Onlus


ROMA - “E se l’Africa scomparisse dal mappamondo? Una riflessione filosofica” è il titolo dell'ultimo libro (Armando Editore) del professor Filomeno Lopes, presentato questo lunedì a Roma nel corso del Forum Harambee sull'Africa.
L'autore, originario della Guinea Bissau, è docente di Filosofia della Comunicazione presso la Pontificia Università Urbaniana e l'Università La Sapienza di Roma.
La questione più importante, ha osservato, non è tanto ciò che gli altri possono pensare sulla scomparsa o meno del continente, quanto ciò che la stessa Africa è in grado di dire al riguardo.
“Si tratta di spostare l’interesse su un aspetto qualitativo”, ha indicato. “C’è un proverbio africano che dice: 'Quando il tuo futuro è assai oscuro, non avere timore né vergogna di tornare indietro'”.
“Se si guarda oggi al futuro dell’Africa è veramente problematico per noi africani – ha riconosciuto Lopes –. Allora bisogna fermarsi, tornare indietro, per guardare cosa c’era prima e cosa può costituire quello spirito per un futuro meno peggiore del presente, che stiamo vivendo”.
È quindi la vittoria della storia sulla geografia: il mondo non è l’Occidente, ma l’Occidente è diventato il mondo entro il quale tutti noi siamo nati e cresciuti. 
L’Africa di cui parla Filomeno Lopes è quella che nasce veramente sulla nave della schiavitù, “che si afferma come realtà pensante sul suo futuro a partire dalle Americhe, con i figli degli schiavi, con i movimenti del Panafricanesimo e di Negritude, e che rientra nel suolo ormai chiamato Africa a partire dagli anni ’60. Quindi quest’Africa non è necessariamente un luogo geografico, ma unità di passioni e capacità di pensare insieme, progettare un futuro”. 
La strada proposta dall'autore nel suo libro consiste nel cercare una riflessione e creare condizioni di possibilità filosofiche per un discorso sulla filosofia della comunicazione, o meglio ancora una filosofia dell’agire comunicativo endogeno in Africa. 
“L’Africa ha cominciato ad esistere a partire da un certo periodo ed è esistita come realtà di violenza – ha commentato –. Da quel periodo in poi stiamo cercando di capire come, da questa morte, possa nascere una resurrezione. Da qui tutto il tema del Rinascimento africano che, secondo me, non può prescindere dalla comunicazione”. 
“E’ inutile parlare di solidarietà, quando ci stiamo uccidendo ogni giorno”, ha dichiarato Lopes.
Questo significa che di fondo la nostra capacità comunicativa è fortemente in crisi”.
Dove attingere allora per capire che se si continua così il futuro remerà contro?
Il professor Lopes parte dagli egiziani per arrivare a dialogare con tutti gli altri filosofi, dai greci fino ad Habermas. Questo ormai è il patrimonio dell’Africa, ha sottolineato: “Gli africani siamo questa realtà: dentro di noi abita un europeo, un americano, un asiatico e viceversa”.
Per ulteriori informazioni, http://www.harambee-africa.org/.
Fonte: www.zenit.org 

Key Russian Orthodox official criticizes invasion of Iraq


Lamenting indifference to the worldwide persecution of Christians, the Russian Orthodox Church’s chief ecumenical officer said that the Western invasion of Iraq brought suffering to numerous Christians.
“It is today when all states have undertaken obligations to protect human rights, outflow of Christians from certain countries has increased,” said Metropolitan Hilarion. “I believe it proves the failure of modern world policy on religious freedom and lack of interest to religious education.”
“According to some data, half of 1,4 million Christian population has left [Iraq] since 2003,” he continued. “Without giving any evaluations to political situation in Iraq before NATO interference, I'd like to mention that Christians there were not physically exterminated. Foreign military invasion has made many Christians hostages of insufficiently considered NATO actions.”

28 marzo 2011

FMA colabora com a Pastoral dos Surdos


Ir. Mariza Lopes de Oliveira e grupo da Pastoral dos Surdos
Belo Horizonte (Brasil) - “Ide e fazei que todas as nações se tornem discípulos... batizando-as e ensinando-as... Eu estou convosco todos os dias...”   Mt 28, 19-20  
“Ide por todo o mundo, proclamai o Evangelho a toda criatura.” Mc 16,15
Ide até os confins... lá onde estão os ignorados pela sociedade, desconhecidos pela   evangelização, esquecidos de nós... “Ovelhas sem pastor.”
Aqui estamos, Senhor Jesus  às tuas ordens!  Pastoral dos Surdos!
O novo irrompe na Igreja do Brasil. A Pastoral organizada, sistematizada nas suas várias dimensões, abre uma nova porta.  Chega a uma parcela da Igreja até então esquecida, descuidada de todos nós: os Surdos.
Onde estão eles, elas?  Nas famílias, nas escolas públicas e privadas, nas paróquias. Estão também em outras igrejas cristãs que se  esmeram na formação dos Surdos. E a Igreja Católica, no Estado de Minas Gerais, o que tem  conseguido a favor dos jovens surdos?
Para as crianças, adolescentes, jovens e adultos portadores da deficiência – Surdez – por isso mesmo distante de nós, tem surgido pequenas e inexpressivas experiências.  Falta-nos contudo a consciência do desejo que os Surdos têm de conhecer Jesus Cristo, a Igreja, a Comunidade Católica. Ir a eles, levar-lhes a solidariedade do nosso compromisso e trazer lições de Cidadania , eis o aprendizado no serviço à Pastoral dos Surdos.  Nova consciência vai crescendo entre os católicos. Grupos de leigos/leigas  assumem o desafio. As Faculdades oferecem cursos de Intérpretes da linguagem dos Surdos: Libra. Cresce a população que carrega a deficiência da surdez. Nossa Arquidiocese, com o apoio dos leigos abriu-se a essa realidade. “Chegar aos confins.” Após anos de dificuldades e obstáculos, e sempre de novas tentativas, diálogo com as autoridades locais, tudo articulado pela Coordenadora Sra. Claudete Diniz Andrade, auxiliada pela educadora Maria Barbosa que abraçaram a causa dos Surdos, temos hoje, a Coordenação de leigos, dedicada com esmero à causa das crianças, adolescentes e jovens Surdos. A Equipe conta com esta coordenadora dinâmica, a Sra. Claudete Diniz Andrade que há anos, em momento algum desistiu do projeto, graças à sensibilidade pastoral e o espírito eclesial que a animam. Atualmente, o Arcebispo Metropolitano de Belo Horizonte, D.Walmor Oliveira de Azevedo destacou o Colégio Santa Maria/BH para sede dos encontros e cursos, bem como um Sacerdote que preside a Eucaristia, aos sábados, à tarde, participada pelos jovens surdos, bem como pelas famílias dos jovens, assessores e cristãos apoiadores do projeto.
Em 2010 a Coordenadora do Projeto Sra. Claudete Diniz Andrade, por indicação de outros Pastoralistas e Catequistas, convidou Ir. Mariza Lopes de Oliveira para participar do projeto de formação dos jovens surdos.  “Sua experiência tem sido muito positiva, afirmam a coordenação e os jovens, quer pela comunicação como Educadora que estabelece uma relação muito próxima com os catequizandos, quer como Irmã Salesiana presente nesse mundo novo, nesses Confins imensos do nosso país.” Alguém disse: “Inédito o fato de uma Salesiana entrar nesse mundo da evangelização.”O primeiro encontro da Ir. Mariza com os jovens surdos aconteceu em outubro pp., quando ela apresentou Jesus Cristo aos jovens. A partir daí, motivados, os jovens solicitaram estudos sobre a fé e outros temas. Nos próximos meses, Claudete e Ir.Mariza iniciarão a formação bíblica dos jovens. Estes se preparam para serem os Catequistas de outros jovens, adolescentes e crianças surdos. Uma experiência inédita, creio.  Jovem formando jovens. Educadores, Catequistas, Seminaristas e outros profissionais da Educação, ao tomarem conhecimento do projeto, solicitam a sua participação aos encontros, ao menos com a presença e apoio.  Aqui estamos, Senhor Jesus, às tuas ordens. Missionárias onde estão os jovens!

Ir. Mariza Lopes de Oliveira, fma da Inspetoria Madre Mazzarello - BBH

Morre Padre José Comblin


Faleceu ontem, domingo, 27 de março, Padre José Comblin. Expressamos nossa gratidão pela trajetória deste profeta, cuja vida foi dedicada à causa dos empobrecidos e da Igreja Popular.
Transcrevemos abaixo a notícia postada no site do IHU.

José Comblin morreu nesta madrugada, em Salvador, na Bahia, aos 88 anos.
Ele nasceu no dia 22 de março de 1923, na Bélgica. Desde 1958 trabalhava no Brasil, especialmente em Pernambuco, na Paraíba e na Bahia.
Padre Comblin estava em tratamento médico na capital baiana. Foi encontrado morto, sentado, em seu quarto, quando era esperado para a oração da manhã e não apareceu na capela. Ele tinha problemas cardíacos e usava marcapasso. Apesar da doença, parecia bem disposto e estava trabalhando.
Ele veio para o Brasil em 1958, atendendo a apelo do papa Pio XII, que no documento Fidei domum(O Dom da Fé) pedia missionários voluntários para regiões com falta de sacerdotes.
Depois de trabalhar em Campinas e, em seguida, passar uma temporada no Chile, foi para Pernambuco, em 1964, quando d. Helder Câmara foi nomeado arcebispo de Olinda e Recife. Perseguido pelo regime militar, foi detido e deportado, em 1972, ao desembarcar no aeroporto de volta de uma viagem à Europa.
José Comblin participou do primeiro grupo da Teologia da Libertação. Esteve na raiz das equipes de formação de seminaristas no campo em Pernambuco e na Paraíba (1969), do seminário rural de Talca, no Chile (1978) e, depois, na Paraíba, em Serra Redonda (1981). Estas iniciativas deram origem à chamada Teologia da enxada.
Além disso, esteve na origem da criação dos Missionários do Campo (1981), das Missionárias do Meio Popular (1986), dos Missionários formados em Juazeiro da Bahia (1989), na Paraíba (1994) e em Tocantins (1997).
É autor de inúmeros livros, dentre eles A ideologia da segurança nacional: o poder militar na América Latina (Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, 1978)

Un punto di svolta nel dialogo con i non credenti - La proposta di Benedetto XVI con il lancio del “Cortile dei gentili”


ROMA - Con la promozione del Cortile dei gentili, che ha celebrato la sua prima sessione a Parigi dal 24 al 25 marzo sul tema Illuminismo, religione, ragione comune, Benedetto XVI ha creato un nuovo punto di partenza nel dialogo tra credenti e no.
E quanto ha detto padre Federico Lombardi S.I., Direttore della Sala Stampa vaticana nel suo editoriale per Octava Dies - il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano – dedicato a questa iniziativa organizzata dal Pontificio Consiglio della Cultura.
In particolare, il portavoce vaticano ha analizzato il videomessaggio che il Pontefice ha indirizzato in particolare ai giovani il 25 marzo e che è stato proiettato durante la manifestazione conclusiva della due giorni del Cortile dei gentili tenutasi sul sagrato della Cattedrale di Notre-Dame de Paris.
“Voi volete stare insieme per incontrarvi e dialogare a partire dai grandi interrogativi dell’esistenza umana”, ha detto Benedetto XVI in quell'occasione. “Voi non credenti, volete chiamare in causa i credenti, esigendo da loro la testimonianza di una vita coerente con ciò che essi professano e rifiutando qualsiasi deviazione che renda disumana la religione”.
“Voi credenti – ha aggiunto – , volete dire che la questione di Dio non è un pericolo per la società, non mette in pericolo la vita umana! La domanda di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo”. “Avete tanto da dirvi gli uni agli altri […] Credo profondamente che l’incontro tra la realtà della fede e della ragione permetta all’uomo di trovare se stesso”.
Quello del Papa, ha commentato padre Lombardi, è “un appello appassionato alla ricerca comune della via verso l’Assoluto, senza paure e diffidenze reciproche”.
“Un messaggio tutto e solo positivo, incoraggiante, per distruggere le barriere – ha aggiunto il gesuita –. Il Dio conosciuto nella fede è pur sempre un Dio misterioso, e i suoi adoratori non si sentono affatto lontani da chi cerca veramente un Dio sconosciuto. Perciò il Papa invita tutti a non avere paura e a percorrere insieme 'il cammino verso un mondo nuovo'”.
“Cammino faticoso e 'senza scorciatoie', ma cammino entusiasmante 'di libertà, uguaglianza e fraternità'”.
“Parole di grande speranza – ha sottolineato –. Papa Benedetto ci ha detto fin dal primo giorno del suo pontificato che la questione di Dio è la prima di tutte. E che ci riguarda tutti, senza distinzioni e limiti”.
“Riusciremo ad approfondirla di nuovo, insieme? Il 'Cortile dei gentili' è un ottimo luogo di partenza per questo cammino”, ha quindi concluso.

26 marzo 2011

Suor NATALINA PELLIZZARO

Carissime sorelle, il 24 marzo 2011, dalla casa “S. Maria D. Mazzarello” di Santiago El Bosque (Cile) è andata incontro al Padre la nostra cara Suor NATALINA PELLIZZARO. Nata a Lonigo (Vicenza) il 25 dicembre 1919. Professa a Conegliano (Treviso) il 6 agosto 1949. Appartenente all’Ispettoria Cilena “S. Gabriele Arcangelo”.
Natalina non ha lasciato nessuna nota autobiografica perché non la riteneva necessaria. Nacque nella solennità del Natale in una famiglia semplice, laboriosa e profondamente cristiana che ha dato alla Chiesa anche un figlio sacerdote, molto apprezzato e benvoluto dalla gente. Natalina imparò dai genitori a vivere il quotidiano nella fede e a trovare gioia nel sacrificio.
Nel 1945 entrò nell’Istituto e trascorse gli anni della formazione a Padova e a Conegliano. Dopo la professione per due anni si fermò nel Veneto a Padova e nel 1951 venne inviata a Torino nella casa “Madre Mazzarello” per la preparazione missionaria. Il 24 agosto 1952 partì per il Cile e giunse a Santiago dove iniziò la sua missione come aiutante nell’infermeria.
Nel 1956 venne inviata a Punta Arenas dove lavorò per 17 anni come portinaia e dedita ai lavori di casa. Le consorelle la ricordano molto sacrificata, le attività più difficili e più pesanti le faceva lei. Si alzava alle quattro del mattino per accendere la caldaia a legna affinché le suore e le interne alla levata trovassero l’ambiente un po’ riscaldato. Prima ancora di andare in cappella per la meditazione, spazzava la neve dalla strada prima che si formasse il ghiaccio. Era anche molto mortificata: sapeva rinunciare alle piccole soddisfazioni per condividere con i più bisognosi. In un’occasione, preoccupata perché aveva saputo che nell’internato degli handicappati mancava il gas per preparare il cibo e per riscaldare l’ambiente nelle gelide notti dell’inverno, si diede da fare per trovare qualcuno che potesse alleviare quella situazione di sofferenza. Lei, però, non accendeva la sua stufetta perché voleva sperimentare il freddo come tanta gente che non aveva la possibilità del riscaldamento. Era instancabile anche nel lavoro dell’orto nel desiderio di avere il necessario per il cibo e anche per poter risparmiare.
È difficile sintetizzare in poche parole tutta la generosa dedizione di suor Natalina in quella comunità. Potremmo riassumere la sua vita in questa espressione: “Essere tutta di Dio per servire tutti”. Fu una donna molto austera, nulla chiedeva per sé, cercava solo che gli altri stessero bene e fossero felici.
Dal 1974 al 1982 lavorò nella casa del Noviziato dove prestò il suo servizio in portineria. In seguito, dal 1983 al 1988, fu nella casa di riposo di Santiago El Bosque dove era responsabile del giardino e dell’orto. Nel 1989 la troviamo guardarobiera nella casa ispettoriale e, dal 1994, nella casa di riposo dedita ad attività varie. Il lavoro è stata una sua caratteristica, non perdeva tempo, pregava, cuciva, tesseva, nonostante che soffrisse per le mani e le dita alquanto atrofizzate, per cui dovette subire un intervento.
Suor Natalina fu una donna di preghiera. La vedevamo, soprattutto negli ultimi anni, sempre con la corona del rosario in mano e questo fino all’ultimo momento della vita. I suoi tre grandi amori furono Gesù, Giuseppe e Maria. Si affidava a loro ripetendo ardenti giaculatorie. Il Signore l’ha chiamata a sé in un 24, e certamente Maria Ausiliatrice l’ha accompagnata all’incontro con il Padre.
La sua lunga vita fu tutta dedizione, in un autentico spirito missionario, sempre e solo preoccupata di soccorrere quanti si trovavano in qualche difficoltà o bisogno. Grazie, cara suor Natalina, per la tua dedizione in questa terra Cilena. Maria Ausiliatrice ti accolga e Dio Padre ti conceda la gioia nel regno dei beati. Riposa in pace! 
L’Ispettrice
Suor Aurelia Rossi

AMERICA/BRASILE - “Missione ed Ecologia”: primo Incontro dell’Infanzia e Adolescenza missionaria dello stato di São Paulo


São Paulo – L’organizzazione del 1° ERIM (Incontro regionale dell’Infanzia e Adolescenza Missionaria) che avrà luogo il 16 e 17 luglio nella città di Embù, è stata al centro della riunione dell’équipe regionale dell’Infanzia e Adolescenza Missionaria (IAM) dello stato di San Paolo, tenutasi il 20 marzo nella sede dell’Obra dos Cenáculos Missionários, a Lapa. L’équipe è formata da membri dell’Arcidiocesi di São Paulo, e delle diocesi di Santo André, Santos, São Miguel Paulista e Taubaté. Secondo le informazioni inviate all’Agenzia Fides, Fusinato Nadia Maria da Silva, Coordinatrice dello IAM nello Stato, ha sottolineato che il 1° ERIM è rivolto ai bambini e agli adolescenti missionari, e sarà un momento di animazione e di condivisione di esperienze. Sono attesi circa 150 partecipanti provenienti da tutte le diocesi dello stato. 
Il tema dell’incontro è “Missione ed Ecologia”, in linea con la Campagna di Fraternità e Missionaria di quest’anno. Rodrigo Alves Piatezzi, della Diocesi di São Miguel Paulista, ha sottolineato che con questo tema l’IAM ribadisce l’impegno di lottare per la difesa di tutta la vita sul pianeta, non solo per difendere l’ambiente, ma anche gli esseri umani, in particolare i bambini, costantemente minacciati dalle guerre, dalla fame, dalla mancanza dell’alimentazione di base, dalla violenza e dalla schiavitù del lavoro. L’incontro si svilupperà attraverso lezioni, teatro, laboratori, testimonianze, preghiere e scambio di esperienze, evidenziando il ruolo dei bambini e degli adolescenti missionari. (SL)
Fonte: Agenzia Fides

25 marzo 2011

Birmania - Clemente Vismara

ASIA/PAKISTAN - Vilipendio alla religione e blasfemia: all’Onu il Pakistan cambia rotta


Ginevra – Con un netto cambio di rotta, il Pakistan ha bloccato la sua campagna alle Nazioni Unite che riguardava il vilipendio alla religione, accogliendo la necessità di conciliare libertà di religione e libertà di espressione.
Come riferiscono fonti di Fides, il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, riunito a Ginevra, ha approvato ieri una risoluzione che ha ricevuto ampio sostegno dalle nazioni e dalle Ong accreditate, fra cui quelle di ispirazione cristiana, in quanto giudicata aderente agli standard internazionali sui diritti umani. La risoluzione, presentata dal Pakistan a nome dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), si discosta molto da quelle presentate in passato dal Pakistan e da altri stati islamici che intendevano promuovere a livello internazionale una sorta di “campagna contro la blasfemia”, questione arcinota all’interno del Pakistan per gli abusi e le interpretazioni distorte. In passato, con l'obiettivo di “combattere la diffamazione delle religioni”, si volevano proibire critiche alle religioni (su tutte l'islam). Il rischio reale era che il concetto di “blasfemia” venisse usato sempre più per scopi politici (in modo da bandire ogni dibattito sulla laicità), o per col pire persone innocenti. 
La nuova risoluzione approvata dal Consiglio per i Diritti Umani, invece, rispetta l’impianto tradizionale dei diritti umani e chiede “un dialogo globale per la promozione di una cultura di tolleranza e di pace a tutti i livelli, fondata sul rispetto dei diritti umani e della diversità di fedi e religioni”, notando la complementarietà fra libertà di religione e libertà di espressione.
Secondo fonti di Fides, a generare questo cambio di rotta sono stati i recenti omicidi di Salmaan Taseer e Shahbaz Bhatti, due leader politici di alto profilo, uccisi per essersi opposti alla legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan.
Fonti di Fides nella comunità cristiana pakistana hanno accolto con soddisfazione questo cambiamento, auspicando che “la risoluzione del Consiglio Onu possa servire da stimolo per il governo pakistano, perché riesamini a fondo la questione dalla blasfemia anche sul fronte interno”. (PA)
Fonte: Agenzia Fides

II Jornadas de Diálogo Interreligioso de Confer


OMPRESS-MADRID (25-3-11) Esta tarde comienzan en Madrid las II Jornadas de Diálogo Interreligioso organizadas por la Conferencia Española de Religiosos, Confer, que se prolongarán todo el fin de semana.
En esta segunda edición el tema central es “Pluralidad cultural y diversidad religiosa. Retos a la vida religiosa”. En torno a este tema girará la primera ponencia de esta tarde, a las 16,45 h., de la mano de Izaskun Sáez de la Fuente, del Instituto de Teología Pastoral de Bilbao, con el título “Hacia la pluralidad cultural y religiosa: el proceso de transformación de nuestra sociedad española”.
El sábado 26, Teresa Losada, franciscana misionera de María, hablará de La relación con el Islam y cómo favorecer una verdadera integración. Por otro lado, Agustin Arteche y Mikel Larburu, presentarán la ponencia “Acercamiento al Islam desde el bagaje cultural de los inmigrantes”. Finalizará la jornada del sábado con una mesa redonda en torno a la diversidad cultural y religiosa en diversos ámbitos pastorales.
El domingo a las 9,45 h. tendrá lugar una Mesa de experiencias en torno al diálogo interreligioso. La ponencia final, desarrollada por el jesuita Javier Melloni, será a las 11,30 h. con el título “Pluralidad cultural y diversidad religiosa. Retos a la VR”. Estas jornadas tienen lugar en la Casa de las Religiosas del Amor de Dios de Madrid.

Due fatti molto significativi...


«Il 24 marzo, nella sede del Consiglio dei Diritti Umani, mentre si sta concludendo la 16a sessione, abbiamo assistito a due fatti che danno motivi di speranza nel cammino dei diritti umani:
- è stata approvata la risoluzione della nomina di un relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Iran, con 22 voti a favore, 7 contrari e 14 astensioni. La decisione è significativa per il fatto che la situazione del paese sarà sotto osservazione e rendicontata nelle sedute del Consiglio.
- in serata su invito dell'ambasciata (Missione permanente) di El Salvador c'è stata la celebrazione del giorno internazionale del Diritto alla verità sulle vittime delle violazioni dei diritti Umani, con la proiezione del documentario "Mons.Romero un mistero di Dio". Dopo l'introduzione dell'ambasciatore e del Direttore generale di Diritti Umani del Ministero degli Affari Esteri di El Salvador che a nome del suo paese ha chiesto perdono per le violenze commesse nei passati anni, ha preso la parola Anders Kompass, dell'Alto Commissariato dei Diritti Umani che con espressioni commosse ha parlato di 'speranza' come frutto del sacrificio di Mons.Romero e di altri difensori dei diritti umani.

E' stato quindi proiettato un documentario che ha ripercorso le tappe del cammino di Mons. Romero, sottolineando la sua identità sacerdotale, il suo voler essere testimone di Cristo e il farsi voce di quelli che non avevano voce.
Era commovente (e al tempo stesso incredibile) vedere il silenzio e l'attenzione degli ambasciatori presenti (tra gli altri Cuba, Algeria...) mentre la figura di Mons. Romero con forza sottolineava la potenza dell'amore di Cristo, l'esigenza che la sua Parola toccasse il cuore di ognuno per cambiare il mondo... Con altri chi chiedevamo se queste parole risuonavano proprio lì in quella sede e con quelle persone presenti... Ho concluso che il Signore arriva dove è presente l'uomo e si fa riconoscere come presenza continua di amore.

Oggi, festa dell'Annunciazione, questi due fatti mi sono parsi in piena sintonia con un cammino di apertura umile al messaggio di Dio, Verità e Amore.»
Sr. MariaGrazia Caputo fma
Human Right Office 

24 marzo 2011

Suor MARIA DELLA GIOVANNA

Carissime sorelle, il 22 marzo 2011, dalla casa “Maria Ausiliatrice” di Damasco (Siria), il Signore ha chiamato alla sua pace eterna la nostra cara consorella Suor MARIA DELLA GIOVANNANata a Montodine (Cremona) il 6 dicembre 1934. Professa a Bosto di Varese il 5 agosto 1959. Appartenente all’Ispettoria Medio Orientale “Gesù Adolescente”.
"Ho detto a Dio sei tu il mio Signore fuori di te non ho alcun bene". (Sal 15)
È l'espressione che più si addice alla nostra carissima suor Maria. Dalle poche note biografiche che ci ha lasciato, si coglie il suo entusiasmo di essere tutta e sempre solo di Gesù. Questo amore l’aveva affascinata fin da ragazza. Già da aspirante scoprì che nulla e nessuno aveva il diritto di toglierle la serenità. E questa l’accompagnò nel portare avanti le varie responsabilità che le vennero assegnate dall'obbedienza.
Nata in una famiglia laboriosa e semplice, con una mamma di grande fede, che mentre tanti in famiglia ostacolavano l’ingresso in Congregazione di Maria, lei invece vedeva in questo una grazia del Signore e la incoraggiò. Entrata nel 1955 in aspirantato, la giovane si sentì subito di casa e costatava: “Tutto quello che ci facevano fare era per me un divertimento, tanta era la gioia di vivere nella casa della Madonna”.
Dopo la professione e fino al 1982 lavorò nell'Ispettoria Lombarda “Madonna del Sacro Monte” come assistente delle aspiranti, sacrestana, educatrice nella scuola materna, responsabile del Centro giovanile. Dal 1978 al 1982 fu direttrice della comunità di Cardano al Campo.
Da sempre aveva coltivato in sé il desiderio di partire per le missioni, ma solo nel 1982 la sua richiesta venne esaudita. Dopo un anno di preparazione a Roma per lo studio della missionologia all'Urbaniana, nel 1983 arrivò nell’Ispettoria del Medio Oriente. Nella casa di Gerusalemme, per un anno studiò la lingua araba. Certamente era poco, ma suor Maria era molto comunicativa e non aveva paura di sbagliare, quindi riuscì presto ad esprimersi e sopratutto a donare alle persone che l'avvicinavano gesti di attenzione e di amore.
Dal 1985 al 2004 fu animatrice di comunità, con le debite interruzioni, nelle case di Heliopolis, Damasco, Gerusalemme, Alessandria d’Egitto. Le consorelle ricordano il suo stile familiare e la capacità di trarre dalle persone il meglio, dando fiducia e incoraggiamento alle giovani e interessandosi anche dei loro familiari. Sopratutto l'oratorio ha sempre avuto da lei una cura particolare; non risparmiava nulla pur di vedere i ragazzi felici!
Dal 2004 era a Damasco come aiuto economa, in un ospedale che ha un movimento incredibile. Anche quando non stava tanto bene in salute, reagiva e andava avanti con coraggio. Gli ultimi mesi il cancro ha progredito talmente da toglierle gradualmente le forze. Le consorelle e i medici l'hanno accompagnata con competenza, cure e affetto e lei, nel suo intimo, si preparava al grande passaggio con un forte desiderio di liberazione da questo corpo mortale per raggiungere la vita vera e Colui che gliel’aveva donata.
Grazie, suor Maria, per la tua fedeltà, per il forte senso di appartenenza che hai sempre nutrito verso l’Istituto e verso l’Ispettoria. L’amore che hai avuto per le tue consorelle e per i giovani raccontalo a Gesù e chiedi per tutte/i tanta grazia e sopratutto la pace in questo momento drammatico per tutto il Medio Oriente. La sensibilità che avevi per le giovani in formazione continuala e intercedi per noi nuove vocazioni capaci di colmare il vuoto che voi sorelle, tornate alla casa del Padre, avete lasciato.
Ringraziamo tutte per le preghiere che hanno offerto e offriranno per suor Maria.
L’Ispettrice
Suor Daniel Yussef Marie

Suor Teresa Gedda (1852 - 1917)

Discípula misionera

Sus primeros años

Sor Teresa Gedda nació el 17 de enero de 1852, en Pecco, situado en el valle de Chy, en la provincia de Turín, Italia. Sexta de ocho hijos, fue bautizada el mismo día en que vio la luz, con los nombres de María Teresa. Su padre Santiago Gedda era un hombre sencillo y bueno.  La madre, María Oberto, inteligente y activa, aunque amaba entrañablemente a sus hijos, no los consentía ni les demostraba mucho su cariño, pero velaba solícita por su educación, informándose personalmente de la conducta de cada uno de ellos, tanto en la escuela, como en el Catecismo.  Los acostumbraba, desde jóvenes, al trabajo, convenciéndolos de su necesidad para evitar el ocio, estímulo de todos los vicios.
Santiago y su esposa que eran piadosísimos, se esmeraban en infundir a sus queridos hijos, desde muy pequeños, las virtudes cristianas, persuadidos como estaban de tener en ellos un tesoro que el Señor les había confiado y del cual debían darle cuenta un día. Los domingos y días festivos todos se acercaban al Banquete Eucarístico y en los días ordinarios, si las ocupaciones no se lo impedían, no faltaban al Santo Sacrificio de la Misa.  Esta familia patriarcal sin grandes bienes de fortuna, vivía del cultivo de las pocas tierras que poseía.
Teresa, que era estudiosa y obediente, se distinguía por su constante atención tanto en el Catecismo como en la Escuela, a la que asistía con gran gusto y aprovechamiento.  Pero el buen Dios, que había determinado ya mostrarle el camino de la perfección religiosa, comenzó por ejercitarla, desde muy pequeña, en el espíritu de sacrificio. Exigencias de familia obligaron a los padres de Teresa a retirarla de la escuela y retenerla en casa, para que ayudara en las faenas domésticas y en las labores del campo.  ¡Qué doloroso fue este sacrificio para ella!  Pero cuán útil para su propio perfeccionamiento, como ella misma lo confesará más tarde exclamando: “¡Oh sabia disposición de Dios, que no me permitió mayor instrucción proporcionándome así el medio de ejercitarme en la virtud de la humildad, de la que tanto necesito!”.
A una admirable constitución física unía Teresa una gran fortaleza moral, que aunque al principio se revelaba por cierta tenacidad de ideas que la hacían algo taciturna y reservada, dio en seguida los mejores frutos por la constancia de su voluntad que unida a su sano criterio la dotó de una potente fuerza de carácter.

La Vocación Religiosa

La correspondencia a la gracia es como un imán que atrae nuevos beneficios divinos. Así la fidelidad con que la joven Teresa la conservó desde su primera unión eucarística, fue disponiéndola para oír la divina llamada, que despertó en su alma vivísimos deseos de ser toda de Dios y consagrarse a Él, buscando su propia santificación y la salvación de muchas almas, especialmente en las tierras americanas.  Manifestó este deseo a sus padres, encontrando en ellos una gran oposición, y entonces su respuesta fue: “Me haré religiosa y consagraré toda mi vida a Dios, que será para siempre mi dulce y celeste esposo”.  El descontento de los suyos fue grande, especialmente de su madre, por lo cual Teresa se vio obligada a sostener grandes luchas que sufría silenciosamente, cuando un rudo golpe vino a sumergirla en el más grande de los dolores, afirmándola sin embargo en la resolución de abandonar el mundo y dedicarse al servicio de Dios.  Su padre, que se hallaba aún en todo su vigor, muere al caer de un árbol.  Dos de sus hermanas – Lucía y Catalina – trabajaban en la parroquia de Estrambino, regentada por el Teólogo Oglietti.  Catalina, cuya salud se deterioró a partir de la muerte del padre, contrajo una grave enfermedad, por lo que tuvo que volver con la familia.  Esto tuvo como consecuencia que la madre enviara a Teresa a sustituirla, pensando así quitarle la idea de hacerse religiosa.  Teresa esperaba que su hermana se curara para quedar libre, pero en cambio Catalina murió, dejando un nuevo y doloroso vacío en la familia.  Dios que todo lo dispone según sus amorosos designios permitió que Teresa encontrara el camino más seguro de la realización de sus ideales. 
En efecto, el Teólogo Oglietti que era amigo y gran admirador de Don Bosco y sus obras, la presentó al Santo, solicitando la aceptara en el Instituto de las Hijas de María Auxiliadora, de reciente fundación. Una vez que se llenaron los requisitos indispensables, la joven volvió a la casa paterna para despedirse de sus hermanos, a quienes confió el cuidado solícito de su buena madre, rogándoles que más tarde, con mucha delicadeza, le contaran su resolución.  Pero la buena señora presintió que había llegado la hora de la definitiva separación; por eso al verla alejarse dijo: “Teresa no volverá más, va a hacerse religiosa”. Y no se equivocó.

En Mornés

A inicios de noviembre de 1876 entró en la Congregación. La joven pasó el primer mes en Turín, donde mostró su humildad y laboriosidad y eso hizo exclamar a las Hermanas: “Esta postulante si continúa así llegará a hacerse santa”. Y sus previsiones resultaron verdaderas.  De Turín fue enviada a Mornés, a la Casa Madre del Instituto, donde Sor María Mazzarello, primera Superiora General, la recibió con toda la bondad de una verdadera madre y pronto la conoció a fondo. Madre Mazzarello prodigaba a las postulantes solícitos cuidados, dándoles ejemplos de virtud y formándolas sólidamente en la vida interior, intensificada en la oración y en el trabajo, al mismo tiempo les inculcaba la práctica del sacrificio heroico, a fin de que llegaran a ser verdaderas esposas de Jesús Crucificado.      
El 15 de abril de 1877 fue admitida a la Toma de Hábito, pues las Superioras estaban convencidas de que la dócil postulante sería una óptima religiosa. Poco tiempo después fue enviada a la casa de Alassio, anexa al Colegio Salesiano. El 3 de setiembre de 1877, el día de la clausura de los santos Ejercicios Espirituales en Turín, hizo los Santos Votos.  En sus fervorosas oraciones durante el retiro espiritual  le pidió a Dios que su madre presenciara su profesión y Él se lo concedió: No sólo asistió a la conmovedora profesión sino que después la abrazó tiernamente, llorando de alegría, pues la caridad y benevolencia de la Madre Mazzarello y demás Hermanas y la paterna bondad de Don Bosco, la habían impresionado profundamente y ahora sólo tenía para ellos palabras de admiración. Sor Teresa estaba en la plenitud del más puro gozo: su felicidad era completa: ¡Era Hija de María Auxiliadora, Esposa de su amado Jesús!

Misionera hacia América

En el Capítulo General de los Salesianos, celebrado el 1º. De setiembre de 1877, Don Bosco decidió que con la 2ª. Expedición de los salesianos, partieran por vez primera las Hijas de María Auxiliadora. El 8 del mismo mes la Superiora General informó a toda la comunidad el deseo de Don Bosco y animando a las que estuvieran dispuestas a hacer el sacrificio de sus más caros sentimientos, las impulsó a solicitar por escrito su inclusión en el grupo de misioneras. La mayoría hizo la petición.  Fueron escogidas seis, entre las cuales estaba sor Teresa, calificada como “un pozo de virtud y de criterio, a los veinticinco años era un dechado de piedad y de observancia llegando a alcanzar las cimas de una perfección no común.” Hallándose en Alassio, fue llamada con urgencia a Mornese. Llena de gozo, escribió a su mamá contándole las buenas noticias.

Llegada  al Uruguay

El 12 de diciembre de 1877, después de casi un mes de viaje, llegaron finalmente al Uruguay, pero no les fue posible desembarcar, pues por haber desembarcado a algunos pasajeros en Río de Janeiro, donde había mucha fiebre amarilla, tuvieron que pasar en la isla de Flores nueve días de cuarentena. Durante la travesía al lazareto de las islas, que hicieron en un gran lanchón sin toldo, expuestas a los ardientes rayos del sol del verano, sor Teresa contrajo un dolor de cabeza que la acompañó casi diariamente hasta el fin de sus días. Finalizada la cuarentena finalmente pudieron desembarcar en Montevideo, donde por un mes fueron huéspedes de las Madres de la Visitación, fundadas por san Francisco de Sales. 
El 3 de febrero de 1878 las seis misioneras finalmente entraron a su propia morada: una pequeña casita en Villa Colón, que bondadosamente les había preparado un distinguido señor llamado Enrique Fynn.  A los cinco días inauguraron una capillita muy pobre pero enriquecida con la presencia de Jesús Sacramentado y adornada con un cuadro de María  Auxiliadora que habían traído de Turín.
Pronto fueron llegando las alumnas y el Oratorio Festivo también floreció rápidamente. El 22 de marzo llegó Laura Rodríguez, la primera postulante americana, que formada en aquel ambiente saturado de virtudes, llegó a ser una santa religiosa.
Una carta de sor Gedda, escrita a su mamá, nos revela lo feliz que se encontraba, sacrificándose en holocausto de amor, para cumplir la voluntad de Dios en el vasto campo de trabajo que le proporciona tantos consuelos.  Estos mismos sentimientos manifiesta en todas sus cartas, recomendando siempre a los suyos la aceptación de las divinas disposiciones como medio infalible de alcanzar la verdadera felicidad.  Pero, a pesar de su gozo en la consumación de tantos sacrificios, muchas veces sentidas lágrimas corrían por el rostro de la buena religiosa.  La muerte de personas queridas la sumía en la más profunda pena. Primero, en el mismo año de su llegada a América, fallecía su bienhechor el Teólogo Oglietti; más tarde una de sus compañeras y primeras misioneras, Sor Virginia Magone y en seguida su propio hermano, joven clérigo a quien sor Teresa amaba tiernamente.  La intensidad del dolor llegó a su límite cuando falleció la superiora sor María Mazzarello, su madre espiritual, a la que tanto amaba y a quien tanta gratitud debía por haberla formado en la vida religiosa. Abundantes lágrimas hacían brotar de sus ojos estas pruebas, pero en cambio robustecían su espíritu de fe, de oración y de desprendimiento de las cosas terrenales.
Si en cuanto a la vida física la fisonomía revela la identidad de familia, no menos sensible resulta esta revelación en cuanto a la vida espiritual.  Esto lo comprobamos en nuestra sor Teresa dotada de todos los rasgos característicos de su activo y amado Padre san Juan Bosco. La vemos en Villa Colón donde las Hermanas que tuvieron la dicha de compartir la vida con ella, atestiguan, todas unánimemente, que desempeñaba con la mayor perfección los oficios de sacristana, portera, enfermera y ropera, que le habían sido confiados simultáneamente, buscando siempre en ellos lo que imponía mayor sacrificio. Con esta vida fervorosa mediante la cual iba ascendiendo momento por momento la mística escala, se consagró perpetuamente al Señor en el año 1883, poniendo así el sello a la perpetua ofrenda que de sí misma hacía a su celestial Esposo.
Después de varios años de continua y provechosa labor, sobre todo con el ejemplo que daba a sus hermanas y a las novicias, de las que fue asistente y maestra por algún tiempo, fue trasladada en 1891 con el cargo de Directora, a la casita anexa al Colegio Pío IX en la misma Villa Colón, a poca distancia de la primera.  Desarrolló aquí, como en los años precedentes y siempre con igualdad de carácter, espíritu de noble sacrificio y humilde actividad, su vasto programa delineado con claridad de luz celestial. El Señor, que quería cincelar en sor Teresa el modelo de todas las virtudes en pleno ejercicio, le exigía en seguida una nueva obediencia pidiéndole dejara su humilde casita donde ya habían anidado sus afecciones maternales.  Pronta a ejecutar las órdenes de las Superioras, en las que veía la Santa Voluntad de Dios, se dispuso a cumplirla en toda su extensión aceptando con alegría no sólo el sacrificio de la separación sino también el del amor propio, trasladándose a la casa de Las Piedras, no ya como Directora sino como Vicaria de una joven religiosa que había sido su postulante y novicia.  ¿Exigió explicaciones? ¡No!
Y cuando la nueva Superiora, por su viveza de carácter, le hacía observaciones, frecuentemente inmerecidas, ante la pequeña comunidad, jamás se vio a sor Teresa mostrar el menor resentimiento hacia quien era Superiora suya por título y autoridad.
Por este tiempo una dolorosa prueba vino a traspasar con intenso dolor su alma sensibilísima: la muerte le arrebataba a su querida mamá el 24 de diciembre de 1893. Sor Teresa sabiéndola enferma le había escrito varias veces alentándola a ofrecer sus padecimientos a Jesús Crucificado.  Esas cartas confortaban a la buena señora pues le daban más ánimo para sobrellevar el sufrimiento.  Si bien sor Teresa recibió la prueba sometiéndose resignada a la voluntad de Dios, no dejó por eso de derramar lágrimas. Ofreció muchas fervorosas oraciones y continuos sacrificios para acelerarle a su mamá la posesión de la gloria eterna.
Después de tres años de permanencia en ese lugar, la obediencia le señala otro destino. Su prudencia, caridad y actividad deben aprovecharse ahora, - por disposición de las superioras – en la Escuela Taller y Colegio de María Auxiliadora en Montevideo. Allí se hace visible la acción de sor Gedda: se llenarían las páginas de un grueso volumen con los testimonios de las personas beneficiadas con sus virtudes. Superioras, Hermanas, niñas y toda clase de personas declaran unánimemente que la igualdad de carácter, la perenne sonrisa y la bondad sin límites que revelaba en su desempeño como asistente, enfermera y ecónoma de la casa – oficios que le daban un enorme trabajo – la hacían aparecer como el modelo de las más heroicas virtudes puestas continuamente en práctica.  Se multiplicaba para dar gusto a todos y cuando por algún motivo no podía hacer algo, se excusaba humildemente y prometía sonriendo complacer en la próxima oportunidad. Las energías de su espíritu que crecían cada día más contrastaban con sus fuerzas físicas que iban en decadencia. 
Pero sus ansias de asemejarse a Jesús Crucificado y la generosidad de su alma que sólo anhelaba consumirse en holocausto de amor, le daban fuerzas para aparecer en su trabajo siempre sonriente, como lo atestiguan muchas hermanas, sin que jamás pronunciaran sus labios una palabra de queja o de lamento.  Sólo en los momentos más críticos de sus ocupaciones o dolores la oyeron exclamar con toda suavidad: “Al Paraíso, al Paraíso, cuatro días más y después al Cielo, al Cielo. Plegaria y trabajo, trabajo y oración, he aquí el lema de nuestro querido Padre y Fundador, el Beato Don Bosco”.

Regreso momentáneo a Italia después de 23 años de labor en el Uruguay

El buen Dios que nunca se deja vencer en generosidad quiso premiar la fidelidad de su hija en correspondencia a la gracia, proporcionándole una alegría de las más puras al ofrecerle la oportunidad de volver a Italia.  En efecto en el mes de setiembre de 1900 las Superioras señalaron a sor Gedda como compañera de una hermana que llamaron a Europa por motivos justificados.  En esta circunstancia conoció sor Teresa la nueva Casa Madre del Instituto en Nizza Monferrato. 
La grandiosidad del local le produjo profunda admiración, pero su pensamiento voló con nostálgico afecto a la humilde casa de Mornese, cuna de su vida religiosa cuyo recuerdo se había grabado indeleblemente en su corazón tan sensible. Sin embargo por espíritu de mortificación no solicitó volver a Mornese y en cambio aceptó – con el permiso de las Superioras – la invitación de sus parientes para que los visitara en su tierra natal.  Fue breve su estadía en Italia. El Señor la invita a realizar un nuevo sacrificio, destinándola para la fundación de una casa en México.  ¡Puede suponerse cuánto costaría a sor Teresa este holocausto!

Ya habían pasado sus mejores años, sus fuerzas estaban debilitadas y se veía precisada a cambiar de Inspectoría… Sin embargo su espíritu está siempre pronto a la abnegación y lo prueba la respuesta que da al conocer la voluntad de los Superiores, cuando la interrogan para ver si está dispuesta a partir: “Soy siempre hija de obediencia”.  El amor de Dios que es el móvil de su vida religiosa quiere llevarla a la más alta perfección.  Por eso, sin más vacilaciones, pronuncia con la sonrisa en los labios: “Fiat, Jesús mío…”

Partida para México

De nuevo da un adiós a su querido terruño nativo y después de rendir afectuoso homenaje a sus Superioras – exteriorizándolo al aceptar la importante y difícil misión que se le confía – estruja su sensible corazón y marcha a consumar el sacrificio reconcentrado en estas “dolorosas pruebas”, como ella las llamaba pues, además de adquirir una nueva responsabilidad, tenía que abandonar para su siempre su segundo nido religioso – el Uruguay – donde había estrechado tan afectuosos vínculos con sus inolvidables hermanas y queridas niñas.  Además se vio obligada a entrar a su nuevo campo de trabajo despojada de su hábito religioso.
Al realizar el cambio de ropa gruesas lágrimas cayeron de sus ojos, pero pronto serenó su espíritu y reprochándose a sí misma la debilidad exteriorizada exclamó sonriendo: “Y bien este manto da aire de persona digna y recogida: además no es el hábito que hace al monje. Sea pues esta una nueva prueba de fidelidad a nuestra santa vocación”.  El 26 de diciembre entraban en México nuestra buena sor Teresa y tres hermanas que la acompañaban, dirigiéndose a la Colonia de Santa Julia, desde donde partieron nuevamente el 9 de enero de 1901 a Morelia, allí tomaron posesión del Colegio San Vicente de Paúl, cuya dirección debía asumir sor Gedda y que había sido regentado hasta entonces por maestras seglares.

Directora del Colegio de san Vicente de Paúl en Morelia

Sor Gedda, que había sido óptima súbdita, fue también excelente superiora.  Con su maternal corazón y poniendo en práctica el espíritu de Don Bosco, era toda bondad y dulzura con las hermanas y niñas, usando con ellas todas las delicadezas y cuidados de una verdadera madre. Su paciencia y tolerancia soportaban y mejoraban los caracteres más difíciles facilitándoles el cumplimiento del deber, con amorosos consejos y descendiendo hasta ir a buscar cariñosamente a aquellas que sentían cierta repulsión en cumplir algunas de las prácticas reglamentarias, como lo atestiguan las mismas hermanas y exalumnas beneficiadas no una, sino muchas veces, por la benevolencia y humildad de sor Teresa. 
No menos solícita se mostraba como enfermera y ropera, oficio que desempeñaba por no haber a quien confiárselo.  Se olvidaba por completo de los dolores que frecuentemente la aquejaban, de los que jamás se la oía quejarse, dispensando atenciones y cuidados con la más exquisita caridad a quienes necesitaba, ya fuera pasajero o grave el mal de que adolecían.  A esta perfecta bondad de corazón unía una viril entereza de carácter, cuando el deber o la práctica de la verdadera virtud lo exigía.
Como Don Bosco y Madre Mazzarello sentía un gran amor por las niñas, especialmente por las más necesitadas y ellas, atraídas por su maternal bondad, la amaban y veneraban como a una afectuosa madre. Narran las primeras alumnas internas: …la Directora sor Teresa un ángel de bondad que con su carácter dulce, su modestia, su espíritu de sacrificio y su continuo dominio sobre sí misma, se ganaba el afecto espontáneo de todas.  Su maternal corazón no podía ver sufrir, y así la vemos buscando y consolando a las alumnas recién entradas al internado que lloraban la dolorosa separación de los suyos. Durante el año escolar continuaba su piadosa misión de Verónica y también de Cirineo, dejando con frecuencia toda ocupación para atender nuestras quejas o súplicas o simplemente para recibirnos cuando teníamos deseos de gozar algunos momentos de su compañía. Generalmente sus maternos coloquios consistían en enseñarnos los medios más eficaces para demostrarle nuestro reconocimiento a la Santísima Virgen, Nuestra Señora de Guadalupe Patrona de México.  Nos animaba a celebrar su fiesta el 12 de diciembre y en diversas ocasiones nos conducía en peregrinación a alguno de sus Santuarios.
Sor Teresa era para todas nosotras la santa de la casa y como tal, la hacíamos reconocer a nuestros parientes que llegaron a estimarla al punto de exclamar: “Verdaderamente quien vive en su compañía debe sentirse feliz”.
¿Y quién no recuerda las “Buenas noches” de sor Teresa? Breves momentos antes de sonar la campana para las oraciones de la noche se suspendía el juego y se entonaba un canto “Ven, oh Jesús amado”, “Jesús amado se acaba el día”  o algo por el estilo, cantado por todas las hermanas y las alumnas, mientras paseábamos por el corredor de la capilla. Terminado el canto, Sor Teresa dirigía la palabra.  Su tema, la mayoría de las veces, era la Comunión del día siguiente. Nos enseñaba a emplear la mañana en dar gracias a Jesús por haberse dignado darse a sí mismo en alimento y la tarde en prepararnos fervorosamente para la Comunión del día siguiente. Nos recordaba las piadosas intenciones e invocaciones propias para cada día de la semana, recomendándonos encarecidamente la distinción que debíamos hacer del sábado, especialmente consagrado a la Santísima Virgen, animándonos a honrar a la Madre Celestial con alguna mortificación o con plegarias más fervorosas.  Podemos asegurar que aquellas inspiradas palabras, pronunciadas con toda la sencillez de su alma candorosa, caían en nuestros corazones como rocío matinal que vigoriza las verdes hierbecillas del prado.
Para amenizar la vida colegial, convertía frecuentemente los paseos semanales reglamentarios en verdaderas fiestas campestres, al añadir a la merienda ordinaria algunas golosinas. Premiaba anualmente la buena conducta observada en el mes de María, llevándonos a Patzcuaro, paraje delicioso por los encantos de la naturaleza y en el que se eleva un Santuario hermosísimo, dedicado a Nuestra Señora de la Salud. Estos paseos que tenían siempre un fin de devoción, constituyendo además un estímulo y galardón para quienes habían tenido las mejores calificaciones, eran, muchas veces, ocasiones de conflicto entre la justicia de las Profesoras y Asistentes y la misericordia de la bondadosa Directora sor Teresa, particularmente cuando se trataba de las más pequeñas. ¡Cómo era protegidas por quien remplazaba a sus mamás!
En cierta ocasión una de las medianas (que en todo internado son siempre las más difíciles) tenía cuentas pendientes con su asistente que levantando en alto la vara de la justicia, no quería ceder, alegando las razones por las cuales su pequeña subordinada no debía ir de paseo.  El corazón materno de la buena Superiora sufría debiendo tomar tal determinación, y por otra parte comprendía que la Hermana estaba en todo su derecho al proceder así.  ¿Qué hacer?  La caridad es industriosa y sor Teresa encontró cómo salvar la situación recurriendo al reverendo padre Director de la casa salesiana y capellán del Colegio, presente en ese momento, quien solucionó inmediatamente el problema dándole la bendición a la pequeña y diciéndole: “Vete en paz y en adelante pórtate bien para que no pongas a tu buena Directora en tan serios aprietos.  Deberás ser un modelo en el próximo mes del Sagrado Corazón”.  Triunfante la chiquilla fue a ocupar su puesto en la fila entre las compañeras.
Sor Teresa era la primera en cuidar de su amado rebaño y en estas excursiones ella pensaba siempre en la parte religiosa, dejando a las asistentes el cuidado de divertir santamente a las alumnas. Concuerdan perfectamente con los testimonios de las niñas los de las Hermanas, quienes encontraban en sor Gedda no solamente a la Superiora santa, sino también a la madre bondadosa dispuesta siempre a complacer hasta el límite posible. Les demostraba afecto sincero y desinteresado, les prodigaba las más delicadas atenciones, los más exquisitos cuidados, tanto cuando estaban sanas como cuando estaban enfermas, las ayudaba en sus trabajos particulares tratando de aliviarles la fatiga, compartía sus deseos y tomaba parte en sus penas.
Era la primera en el trabajo, en el sacrificio y en la observancia de las Constituciones, procuraba ocultarse hasta desaparecer especialmente cuando el éxito coronaba la obra, atribuyendo los buenos resultados a los méritos y actividades de sus auxiliares y afirmando con gran convicción que ella era una nulidad, incapaz de cualquier obra buena. Previdente, se anticipaba a las necesidades de sus hermanas, proveyendo luego a ellas con espontánea delicadeza.  Modelo de religiosidad, era un viviente estímulo para la práctica de la virtud, especialmente de la observancia de los votos religiosos. Sus virtudes eran sencillas, dulces y suaves y por tanto amables, que no solamente cautivaban a los de la familia, sino también a las personas más distinguidas, tanto eclesiásticos como seculares, captándose su alta estima y veneración, hasta el punto de llamarla “sor Teresita, la santita”.
El aprecio y confianza de sus Hermanas se manifestó eligiéndola en el año 1905 delegada al Capítulo General que debía celebrarse en la Casa Madre, siéndole dado así volver a Italia por segunda vez.  Allí demoró algunos meses antes de volver a México y en la convivencia con las Hermanas que tuvieron la dicha de tratarla, dejó marcadas las huellas de sus brillantes virtudes de humildad, caridad y espíritu salesiano. Terminada su labor en Italia, sor Teresa regresó a Morelia, donde era esperada con filial y afectuosa impaciencia. Fue recibida con las mayores manifestaciones de cariño, pero su atención fue para sus Hermanas, a las que manifestaba su agradecimiento por lo mucho que habían trabajado en su ausencia, levantando, casi en su totalidad, el nuevo brazo de edificio, a base de grandes y costosos sacrificios, que debieron continuarse hasta ver concluida la obra el 2 de diciembre de 1906, día de su inauguración.
En este año terminaba el segundo período de su gobierno. Sabedora que, según las Constituciones del Instituto no podía quedar en la casa como Directora, y convencida de que los adelantos y triunfos obtenidos hasta entonces, eran el fruto de la inteligente labor de sus colaboradoras, le suplicó a la reverenda madre Visitadora que confiara la dirección del Colegio a su primera auxiliar, dejándola a ella como portera. Convencida la Superiora de que aquella espontánea manifestación no era sino el eco de sus sentimientos e hija de su gran virtud, le dijo: “Acepto tu buena voluntad, pero no quedarás aquí como portera sino que irás a Puebla, como Directora de las Hermanas dedicadas a la ropería y cocina del Colegio Salesiano.”
Sor Teresa acepta con toda sumisión, dispuesta a seguir la voz de la obediencia. Pero, ¿no sentía alejarse de Morelia?  ¡Oh, sí lo sentía y con justa razón!  Cuando había entrado en aquella casa, el Instituto no poseía en ella ni un palmo de tierra: era apenas un simple externado con profesoras seglares, todas personas de bastante edad, sin organización ni principios salesianos y por lo tanto ofreciendo grandes dificultades para su regencia. Ahora dejaba un hermoso Colegio con casa propia, donde revoloteaban alegremente 500 externas y un buen número de externas, cursos elementales y normales dirigidos sólo por las Hermanas y un floreciente Oratorio festivo.
¿Iba contenta para Puebla? Sí, porque esa era la disposición de Dios y porque sus aspiraciones la llevaban a sacrificarse en una vida oscura, exenta del brillo de los consuelos humanos. El tiempo pasado en Alassio durante el Noviciado y el que más tarde pasó como Directora, en la pequeña casa de Villa Colón, atendiendo la Casa Salesiana, fue siempre para ella motivo de dulces recuerdos: por eso aún en Morelia, sin ninguna obligación robaba al necesario descanso del día y de la noche algunas horas, que dedicaba al remiendo y cuidado de la ropa de los salesianos de dicha ciudad. Y como no siempre podía hacer ella sola este trabajo, invitaba a las Hermanas y a manera de premio a las mejores alumnas, que se prestaban con filial solicitud para complacer a su buena y querida Directora.  Por esta razón nadie ponía en duda que fuera contenta a Puebla, donde podría continuar en mayor escala el trabajo preferido por su humildad y generosidad.

En Puebla

El 3 de abril de 1907 Sor Gedda llegaba a Puebla, donde comenzó inmediatamente su misión de continuo trabajo y escondido sacrificio, que tan bien se avenía con su humildad; sin embargo la silenciosa y prolongada ausencia de sus queridas niñas y sobre todo la ausencia de Jesús Sacramentado en su casita, la hicieron la nostalgia del Colegio que dejaba.  Pero sor Teresa como buena Hija de María Auxiliadora, no se abisma en sus penas, sino que levanta su espíritu pensando que su acción ahora sobre las niñas es indirecta y por ella ofrece a Dios su diaria y humilde abnegación y fervorosas plegarias.
Con la frecuencia que se lo permiten sus obligaciones, visita a las niñas del cercano Colegio y Oratorio de María Auxiliadora y, aprovechando todas las ocasiones de acercarse a ellas, las acompaña en circunstancias especiales al Santuario de Nuestra Señora de Guadalupe de la ciudad.  No menos ingeniosas para combatir la tristeza que le producía la ausencia de Jesús Sacramentado. En la pequeña y pobre casita, despliega todos sus esfuerzos, y fervorosa y prudente como era, llena pronto los trámites necesarios para obtener una capillita en la casa, lo que consigue después de allanar dificultades, triunfando su sólida y humilde piedad. Radiante de gozo le escribe a la reverenda Madre General, comunicándole la nueva y expresándole su alegría que no tiene límites, al tener en casa la presencia real de Jesús, al que puede ahora visitar con frecuencia durante el día y acompañar por la noche, contemplando desde el dormitorio la luz de la lamparilla que vela junto al Sagrario. 
La solemne bendición de la capilla y la erección del Vía Crucis, le ofrecen a la buena sor Teresa ocasión de pasar horas de alegría en compañía de sus Hermanas y de las niñas del Colegio de María Auxiliadora, que fueron invitadas a las sagradas funciones y luego agasajadas con una sabrosa merienda.  En tal día le parecía a sor Gedda rejuvenecer, en medio del bullicio y alegría de esa juventud que tanto amaba y de la que se sentía igualmente querida.  Así también aquí, en la minúscula casita, la piadosa sor Teresa fue santificando sus días bajo la continua mirada de Dios.
Caritativa y solícita vivía en constante actividad, prestándose para ayudar a sus Hermanas, ya en la cocina en las horas de mayor sacrificio, ya en la sala de costura, con la ropa que requería algún arreglo o bien en la lavandería, gozando siempre de poder desempeñar estos humildes oficios y procurando no ser vista, para lo cual se levantaba muy de mañana, antes de la comunidad, siendo también la última en acostarse, evitando de esa manera que sus Hermanas se opusieran o disgustaran porque ella se anticipaba en el desempeño de los más penosos trabajos.  Pero en esta tarea material que sor Teresa sabía espiritualizar con el fervor de su santa alma, no concretaba toda su misión, sino que desplegaba su santo y fecundo celo, aprovechando todas las ocasiones que se le presentaban para llevar almas a su amado Jesús, invitando a las personas que se le acercaban a pasar unos momentos en compañía de Jesús Sacramentado, a fin de que se confortaran en las penas y enfervorizaran sus corazones.  Otras veces sentía el deber de visitarlas cuando la caridad o el reconocimiento lo exigían, aprovechando la ocasión para dejar caer la semilla del buen consejo o el bálsamo de la resignación y conformidad a la santa voluntad de Dios.
Sor Teresa se llevaba muy bien, fueran las que fueran las exigencias de sus caracteres o estado de salud, con las Hermanas que formaban su pequeña comunidad, de modo que éstas la amaban y estimaban sinceramente como madre bondadosa y Superiora. Del mismo modo era venerada y muy estimada por los Superiores y alumnos del Colegio Salesiano que no sólo la consideraban como verdadera Madre y solícita Hermana, sino que tenían en ella una caritativa bienhechora que se imponía gustosa el doble sacrificio de emplear el escaso tiempo de que disponía, para extender la mano y obtener limosnas con qué cubrir muchas de las múltiples necesidades materiales que en aquel entonces sufrían. Todas las personas en general, la tenían en concepto de santa y se sentían felices cuando acercándose a ella podían aspirar el perfume de su humildad traducida en palabras o hechos que eran verdaderos pétalos de caridad salesiana.

De México a Nicaragua

Hacía tiempo que Granada, una de las principales ciudades de Nicaragua, en América Central venía reclamando la apertura de un Colegio que ofreciera un vastísimo campo de trabajo para las Hijas de María Auxiliadora.  Pasando por México en visita extraordinaria, la reverenda Madre Vicaria General del Instituto, pidió a la Madre Provincial de esta República parte del personal necesario para llevar a cabo la fundación en Granada. 
Si bien no era muy abundante el personal en esta Inspectoría, la Superiora Provincial, deseando complacer a la Superiora mayor, designó a sor Francisca Lang, que en Morelia había sido Vicaria de sor Teresa Gedda y a ésta, de la que no se dudaba que aceptaría cualquier propuesta que se le hiciera siendo proverbiales su fidelidad y sólida virtud. La reverenda Madre Vicaria General satisfecha del ofrecimiento, determinó que la primera fuera la Directora, por poseer las aptitudes exigidas para llevar a cabo la nueva fundación y que la segunda, la buena sor Gedda, en consideración a sus sesenta años cumplidos y a su salud que iba debilitándose, asumiera la responsabilidad de la portería, cargo que por entonces y debido a las graves circunstancias, hijas del calamitoso estado por el que atravesaba el país, después de largos años de guerra intestina, exigía para su desempeño una persona de probada prudencia, de reposado criterio y nobleza en el trato, para allanar fácilmente las grandes dificultades que podían presentarse.  En verdad la elección no podía ser más acertada, porque a la vez que se obtendría la seguridad del éxito, confiando este cargo a persona tan apta, quedaban por fin, satisfechos los constantes deseos que desde hacía mucho tiempo manifestaba sor Teresa, de ser subalterna de quien había sido su auxiliar y ocuparse en el humilde oficio de portera.
Interrogada Sor Teresa por la reverenda Madre Vicaria General, si estaba dispuesta a ir a Granada, la santa religiosa irradiando los destellos de su heroica virtud, contestó: “Si mi buen Jesús me pide este sacrificio, estoy pronta a cumplir su santa Voluntad, manifestada por mis Superiores”.  “Confieso – prosigue – que siento dejar la Inspectoría Mexicana, a las Superioras y a mis Hermanas, pero si el Señor así lo exige, sea todo para su mayor gloria”; y así diciendo, dos gruesas lágrimas asomaron furtivamente a sus ojos… pero reaccionando al instante, agregó: “Perdone mi debilidad, querida Madre, que voy gustosa a complacer a Jesús, a mis Superioras y a conquistarme un nuevo mérito para el Cielo”.
Verdaderamente que las Superioras, secundando la acción del Señor, debieron acallar la voz del corazón, para no atender más que a la necesidad apremiante de la nueva casa, pues conocían que estos sacrificios eran muy sensibles al espíritu y corazón de la santa hermana, si bien los consumaba como buena religiosa.  En esta como en anteriores ocasiones, en que el buen Jesús le pedía algún holocausto, Sor Teresa dejaba exteriorizarse el espíritu de fe y obediencia que la dominaban.  Y así, en fraternal conversación con sus hermanas, les decía: “La obediencia me es costosa: pero Dios así lo dispone y así sea.  Acepto y ofrezco contenta este sacrificio, para obtener mi perseverancia y la de mis queridas hermanas”.  Respondiendo a una de ellas, que para librarla de la pena que sentía con esta separación se ofrecía a sustituirla, le dijo: “No, mi buena hermana, le agradezco su amable ofrecimiento, pero quiero consumar por entero el sacrificio, porque debo ser generosa e ir adonde el Señor lo disponga”. Refieren además las hermanas que en esta circunstancia se pudo apreciar el desprendimiento que tenía de sí misma.  Sor Teresa, olvidándose de que tenía que emprender viaje, se ocupa sólo en ordenar cuanto se relacionaba con el cumplimiento de su cargo hasta en sus menores detalles, a tal punto que, media hora antes de partir, no había pensado en disponer de un instante siquiera para sus cosas.
Llegado el momento, dejó sor Gedda la casa Inspectorial de México donde había pasado algunos meses, y después de un viaje de varios días arribó a San Salvador, en compañía de su Directora, siendo ambas recibidas con las mejores demostraciones de afecto, pero con veneración especial nuestra sor Teresa, por razón de haber llegado hasta allí el eco de su santidad, pues ya todas la conocían por la Hermana santa de Mornés.  Aquí aprovechó bien la humilde religiosa la ocasión para presentar a su Directora, haciéndola preceder en toda circunstancia, mientras ella se ocultaba cuanto podía.
Después de unos días emprenden de nuevo su viaje y llegan a Corinto, desde donde por Managua, capital de la República de Nicaragua, se trasladan a Granada, después de un trayecto de once horas en ferrocarril. También aquí, como en las demás partes, había precedido la fama de sus virtudes a la buena religiosa, de modo que fue recibida con afectuosa veneración, tanto por los de adentro como por los de afuera, que se decían unos a otros: “Esta es la santa Hermana de que ya tenemos noticias, porque ha sido siempre un verdadero espejo de humildad, obediencia heroica y singular espíritu de sacrificio”.  Y mientras todos entretejían su panegírico, Sor Teresa se sentía con nuevos bríos pensando en el bien espiritual que en el Colegio recibirían tantas niñas y jóvenes predilectas y gozaba anticipadamente de la felicidad que el Señor le deparaba permitiéndole ser la humilde portera, sumisa a su nueva Superiora y auxiliar de sus hermanas.  Pronto su luminoso ejemplo se impuso de tal modo que todos llegaron a llamarla: La suave presencia de Dios.

Sus últimos cuatro años

En Granada sor Teresa parecía ascender con mayor rapidez en la escala de la perfección religiosa. Con su atrayente figura, alta y serena, su voz dulce y moderada, su trato culto y una amable sonrisa siempre en los labios, en breve tiempo llegó a cautivar a todos, adueñándose de los corazones.
“Es una fragante violeta – un serafín de amor de Dios y de María Santísima – la personificación de la caridad – imán para el mundo pequeño, - paño de lágrimas del afligido, - la práctica constante de la mortificación – la Regla viviente, con ilimitado amor filial a la [Congregación y a las almas, por cuya salvación tanto trabaja”.  Eran esas, en Granada, las voces unánimes de cuantos la conocían.  Y con razón se expresaban así, porque si sor Teresa había sido siempre un espejo de virtud religiosa, ahora reflejaba siempre en aumento, las irradiaciones celestes que iluminaban la senda que la llevaba a la meta, en la que tenía fija la mirada: El Paraíso.
Solícita en acoger las humillaciones que Dios le enviaba, no dejaba de buscarlas en todo tiempo. Y así, como cuando era Superiora se sometía al parecer de sus subalternas, ahora siéndolo ella, sentíase feliz sometiéndose en todo, aún en las cosas más insignificantes, al juicio y disposiciones de quien era la autoridad, repitiendo en ciertas ocasiones, con una gracia propia de ella, el adagio: “Donde manda capitán no manda marinero”, dando a conocer con esto su completa sumisión a su Superiora.
Su corazón rebosante de divino amor, la hacía exclamar: “¡Oh mi buen Jesús, cuánto me amas!” La Santa Comunión era el vital alimento de su alma que encendía en ella cada vez más, la llama de la generosidad en el sacrificio, el ardiente celo por el bien espiritual de las almas y aquel dominio de sí misma, que la hacía aparecer siempre en el constante ejercicio de todas las virtudes, por lo que no sorprende que Jesús Eucarístico la regalara en diferentes épocas de su vida con divinas finezas, acelerando el momento de morar en su alma, desprendiéndose espontáneamente de las manos del sacerdote, como lo narraron varios de ellos que sintieron la violencia que hacía el Pan Celestial para volar con presteza al pecho de la fervorosa religiosa, que lo esperaba con amorosas ansias.
Visitar y acompañar a Jesús en su prisión de amor, era su constante aspiración. No pudiendo realizar estas visitas con la frecuencia que deseaba por estar en la portería, la piadosa sor Teresa, en los momentos que estaba libre de las responsabilidades de su oficio, fijaba su morada delante de la puerta de la capilla, ocupándose en ligeras labores manuales y dando a hurtadillas una mirada a sus queridas y Santas Constituciones, porque así, decía, estaba más próxima al Sagrario y acompañaba más de cerca a su querido Jesús, en íntima y constante unión.  No descuidaba por esto en lo más mínimo el cumplimiento de su deber, pues apenas oía sonar el timbre de la puerta, volaba en alas de su santo fervor a desempeñar su obligación, tornando luego serena y sonriente, a su mística misión. Y este ejercicio era diario y regularmente practicado, no una sino muchas veces en el día.
Y a la Santísima Virgen, su querida Madre, ¡qué filial afecto no le profesaba!  Incansable propagandista de la devoción a María Santísima Auxiliadora, llevaba a sus pies legiones de almas que bendecían y amaban cada vez más a la milagrosa Virgen, de la que obtenían señaladas gracias con el auxilio de las oraciones de la buena sor Teresa. ¡Cómo llenaba de fervor los corazones!  Después de prodigarle una sonrisa, preguntaba a la joven o niña que se le acercaba: “¿Amas de veras a María Santísima? ¿Con que la has obsequiado hoy para demostrarle tu afecto?”.
Su caridad exquisita hacia todos la llevaba a dispensar con largueza toda la bondad de su corazón, ejerciendo con los enfermos de alma o cuerpo, el oficio del samaritano caritativo: madre bondadosa con la niñez que corría hacia ella en busca de afecto y refugio maternales y consuelo de los que lloraban y depositaban sus penas en el insondable abismo de su alma, rebosante de vida en este ejercicio divino.
Cubierta bajo el velo de la amabilidad, practicaba la mortificación en grado heroico, como queda confirmado en el siguiente hecho: Sor Teresa en el último período de su vida, con motivo de su quebrantada salud, por prescripción médica, se vio obligada a irse al campo a la casa de una bienhechora.  En sus caminatas diarias fue víctima de las garrapatas, que abundaban en Granada. Después de algunos días la señora de la casa, que conocía muy a fondo el espíritu de mortificación de sor Teresa, sospechó que tales animalitos habían hecho presa en la Hermana a pesar del silencio que ella guardaba y le rogó con insistencia que le contara la verdad.
Nuestra querida sor Gedda, temiendo dejar una mala impresión en la buena señora que podría pensar que ella, religiosa, faltara a la verdad, con toda la sencillez que le era propia se descubrió el cuello, dejando ver el collar que lo ceñía, formado por 44 garrapatas bien agarradas que constituían un doloroso cilicio. ¡A tal punto estaba posesionado de sor Gedda el espíritu de mortificación y sacrificio!
Aunque en el campo podía disfrutar libremente del descanso que se le había concedido por motivo de su salud, no permanecieron inactivos ni su celo ni su amor a las almas. Diariamente iba en busca de niños y niñas de los más pobres y abandonados y también de los inditos de los alrededores de la finca en donde estaba, reuniéndolos para explicarles el catecismo y enseñarles cantos sencillos, preparándolos así para la Primera Comunión. Su espíritu no conocía cansancio, fatigas ni obstáculos que no pudiera superar, siempre que estuviera  de por medio la gloria de Dios y la salvación de las almas.
Puntualísima en todos los actos de Comunidad, siempre era la primera en llegar a  la capilla.  Jamás se apoyaba en el banco y recitaba con tal fervor las oraciones en común que quien la veía se creía en presencia de una novicia, con todo el entusiasmo de un primer fervor. Fiel observante del silencio prescrito, lo interrumpía sin escrúpulo cuando lo exigía la caridad y enseñaba a practicarlo contestando con dulzura y en voz baja cuando alguna, inadvertidamente, hablaba en alta voz durante el tiempo en que la Santa Regla manda que se practique el silencio.  
¿Y su paciencia?  Con la constancia con que llegaron a practicarla los más grandes santos, alcanzó la cima: en Granada los pilluelos, como ella cariñosamente los llamaba, llegaban a importunarla adueñándose del timbre de la portería, que tocaban repetidas veces hasta que ella aparecía. Entonces le pedían con insistencia algún caramelo u objeto religioso que nunca les era negado por la paciente portera. Ella acompañaba el regalito con estas palabras: “Id, picaruelos y sed buenos como os quiere la Santísima Virgen; por penitencia rezad un Ave María”.
Su más preciado tesoro era la Santa Regla que mientras fue portera, llevaba siempre en la mano para aprovechar los momentos libres leyéndola con profundo respeto.  En cierta ocasión una exalumna le preguntó qué libro era ese por el cual mostraba tanta predilección y la buena religiosa besándolo, contestó: “Es mi santa y querida Regla, el camino seguro que me lleva al Cielo”.
Cuando fue superiora, estando obligada a dar la conferencia semanal a la comunidad, sus argumentos favoritos eran los diferentes artículos de las Constituciones o las tradiciones que remontaban a la Casa de Mornés. Y con verdadera sabiduría comentaba y explicaba a las Novicias y Hermanas jóvenes que tenía bajo su responsabilidad, esas amadas reglas que formaban la columna vertebral de su existencia.
Amantísima de su Congregación, se sentía feliz de llamarse Hija de María Auxiliadora, e irradiaba de su corazón esa alegría que era un verdadero atractivo para las jóvenes que se sentían llamadas al estado religioso. ¡Cuántas almas bendicen hoy su santa dirección y su caridad suma, que les facilitaron los medios de consagrarse al Señor!
Su presencia en cualquier lugar era estímulo para el cumplimiento del deber. Veneraba al clero, viendo en cada sacerdote al representante de Dios, digno de todo respeto y estimación.  Y si amaba a su propia Congregación, no por eso estimaba menos a la Congregación Salesiana en general, dedicándole su espíritu de sacrificio y celo nada comunes, cuando lo exigía la obediencia. Basta recordar a este respecto, cuánto trabajó por ella en Morelia y en Puebla.
Confirman esto las palabras pronunciadas en cierta ocasión por Don Albera, Rector Mayor de la Pía Sociedad Salesiana aludiendo a la buena sor Teresa, tan estimada por él como por los demás Superiores: “Creo, dijo, que no ha habido otra Hija de María Auxiliadora que haya apreciado tanto a los Salesianos y que con tanto empeño, bondad y desinterés se haya ocupado de ellos y de sus necesidades, como la buena sor Teresa Gedda”.
De san Juan Berchmans se dice que se debe su canonización especialmente a la perfección con que practicó sus deberes religiosos y él sólo vivió cinco años en la Compañía de Jesús. De sor Teresa Gedda nadie puede decir haberla visto transgredir uno solo de los puntos de la Regla de su instituto y esto durante los 41 años de vida religiosa.  ¿Qué decir pues, de su santidad?

Llamada al Premio Eterno

Después de haber llenado con sus virtudes el ambiente de la casa de Granada, como ya lo había hecho en las casas anteriores, sor Teresa Gedda estaba pronta para responder a la última llamada. Hacía dos años que nuestra Hermana venía sufriendo del corazón y aunque hasta el presente no se había preocupado gran cosa de su salud, ahora, sintiendo que sus fuerzas iban decayendo, comenzó, siempre basada en la obediencia, a seguir las prescripciones médicas y los mandatos de sus Superioras.
El 17 de marzo de 1917, se vio obligada a abandonar por completo su oficio de la portería, pues así lo ordenaba el doctor. El 19, fiesta del gran Patriarca San José, por un favor especial de este Santo a quien encomendaba sus últimos momentos, pudo asistir a la Misa, lo que contribuyó a aumentar su alegría, con lo que disipaba en los demás toda preocupación de su cercano fin.  En la tarde sufrió fuertes convulsiones, a consecuencia de una hemiplejía que la privó del uso de las extremidades y de la palabra.  Fue llamado urgentemente el reverendo padre José Misieri, Inspector de los salesianos, para que le administrara los Santos Sacramentos, que la Hermana recibió con toda la devoción y entereza con que las almas fuertes al acercarse esa hora reciben la última gracia de la Misericordia infinita.
Al día siguiente, 20 de marzo, amaneció un poco mejor, recobrando casi por completo el uso de la palabra.  Recordó a sus amadas Superioras del Uruguay, Argentina y México hablando afectuosamente de ellas. El  21 la visita el señor Obispo que le imparte su santa bendición, así como el reverendo Padre Inspector y otros sacerdotes que la confortan con la bendición de María Auxiliadora.
El letargo vuelve a hacer presa de ella el día 22, permitiéndole no obstante el movimiento de los labios.  Al oírla pronunciar con dificultad algunas palabras, se le pregunta qué desea y ella contesta: “Rezo las oraciones de la mañana y el Santo Rosario, porque quizá más tarde no podré hacerlo”. Serena y tranquila continúa abismada en la presencia de Dios, a quien consagra sus últimos momentos como lo ha hecho en toda su vida, suspirando sólo por el precioso instante en que podrá darle el abrazo eterno. Las Hermanas que no han abandonado la cabecera de la enferma noche y día, le preguntan: “¿Se siente mejor, sor Teresa? ¿No le parece que pronto sanará?”.  A lo que ella contesta: “Sí, estoy mejor, pero no sanaré”.  “¿Qué dice? El 24 haremos una fiesta en honor de María Auxiliadora y usted, sor Teresa, irá a la capilla a honrar a la Santísima Virgen y a darle las gracias por su curación”.  “Oh sí, yo también iré a la capilla, pero la fiesta la veré desde el Cielo, porque mientras ustedes la celebrarán aquí, yo estaré celebrándola en el Paraíso”.  “E ¿irá inmediatamente al Cielo?”  “No, pasaré por el Purgatorio, pero el 24 estaré ya en el Paraíso”.
Y esto lo decía con la certeza de quien tiene perfecto conocimiento de lo que va a suceder. Tanto es así que cundió la  noticia de que sor Teresa había afirmado que moriría el 24, sin que nadie dudara de sus palabras, ni se asombrara de que así fuera en realidad, conviniendo todos en que muy bien podía sor Teresa predecir el día de su muerte.
Los últimos momentos son generalmente, un fiel reflejo de la vida. Por eso sor Gedda durante los cinco días de enfermedad, continuaba irradiando luminosos ejemplos de paciencia, mortificación y fiel observancia de la Regla. A las horas determinadas por la Regla para las diferentes prácticas de piedad, nuestra santa religiosa le suplicaba a la hermana enfermera que le hiciera la caridad de rezar o leer lo que el horario de la comunidad marcaba, horario que ella seguía observando con la solicitud y fervor con lo hacía mientras estaba sana. El Señor, que quería ceñir las sienes de su amante esposa con la corona formada con el caudal de sus méritos alcanzados en su fervorosa vida, la purificó en estos momentos extremos, de las menores sobras de imperfección, permitiendo que la Directora de la casa, a quien sor Gedda apreciaba tanto, se encontrara ausente durante su enfermedad, por haber tenido que ir a la sede Inspectorial en la República de El Salvador, bastante lejos de Granada. Y si bien se le notificó telegráficamente la gravedad y urgencia del caso, no le fue posible retornar a la casa antes del fallecimiento de sor Teresa.
Como las Hermanas conocían el maternal afecto y la adhesión filial que sentía Sor Gedda por su Superiora y como en épocas anteriores le habían dicho, en broma, que ella tenía cierta debilidad por la Directora desde el tiempo en que había sido su Vicaria en Morelia, ahora la santa religiosa queriendo disipar toda impresión que no fuera edificante o con el deseo de ofrecer un último sacrificio mortificando su corazón, o tal vez para expiar el afecto algo natural que sintiera por su Superiora, se abstenía de nombrarla y de preguntar por su retorno, suponiendo que debía llegar de un momento a otro, ya que así lo decían las Hermanas que la rodeaban.
Cuando le aseguraban que la Superiora pronto estaría de vuelta, Sor Teresa no dejaba transparentar el menor movimiento de alegría, contentándose con responder cuando le preguntaron si deseaba su regreso: “Hágase la voluntad de Dios”, y como la Hermana que la había interrogado replicara: “Rezaremos con todo el fervor a la Santa Virgen y a Don Bosco para obtener la gracia de que la Hermana Directora llegue cuanto antes”, la enferma, después de un momento, contestó: “Digámosle a María Auxiliadora que haga lo que ella quiera. La Directora me verá en la capilla, mientras yo no la veré ya más en la tierra”. Y continuó hablando tranquila, recibiendo encargos para Jesús, María Santísima, para San José, Don Bosco y la Madre Mazzarello. Dio a todas consejos y recuerdos, sugiriendo particulares oraciones. A una Hermana que le preguntó qué se debía hacer para ser buena religiosa, le contestó: “Obedecer, obedecer alegre y ciegamente a los legítimos Superiores”.  “¿Qué recuerdo le deja a las Hermanas de la otra casa?”  “Recomiendo la unión, que continúen siempre como en estos tiempos”.
Durante los pocos días de la enfermedad de sor Teresa, el Colegio era continuamente asediado por toda clase de personas que se interesaban por la preciosa vida de nuestra hermana, manifestando unánimemente el deseo de que se prolongase por muchos años una existencia tan preciosa, prodigada con tanta generosidad a favor de su querido prójimo. En la noche del día 22 entró en una fatigosa agonía que duró treinta y seis horas. Desde ese momento no habló más.  Continuas convulsiones la agitaron hasta el día 24, día en esa ocasión doblemente consagrado a María Santísima Auxiliadora, por ser 24 y caer en sábado.  A las nueve y media de la mañana voló su purísima alma a la patria de los justos, a recibir el premio de sus santas obras. Tenía 64 años.
Su santo cuerpo, revestido con los hábitos religiosos fue llevado a la capilla, donde se expuso a la veneración de la multitud que acudía deseosa de contemplar por última vez la candorosa y amable figura de aquella que siempre había irradiado en torno suyo las suavidades de su sencillez y heroica santidad. A las cinco de la tarde de ese día regresaba  la Directora, que cayó de rodillas ante los restos mortales de su querida Hermana, derramando copiosas lágrimas que expresaban su dolor por no haber podido darle el último adiós a sor Teresa ni recoger sus postreros y santos consejos.

Exequias

Durante todo el día 24 y la mañana del 25, desfilaron sin interrupción ante el féretro de sor Teresa, toda clase de personas de Granada, Managua y pueblos vecinos, las cuales con toda veneración tocaban los sagrados restos con rosarios, medallas y otros objetos, a fin de conservarlos como reliquias por haber estado en contacto con el cuerpo de una santa, pues nadie dudaba que lo fuera sor Teresa.
La mayoría de las personas no oraban por su eterno descanso, sino más bien con la plena seguridad de que su hermosísima alma había alcanzado ya la celestial mansión, imploraban su intercesión ante el trono de la Santísima Virgen Auxiliadora de los Cristianos.
A las seis de la mañana del día 25, el señor Obispo cantó la Misa de difuntos de cuerpo presente. Siguieron después otras Misas que celebraron diferentes sacerdotes, ofreciéndolas por el alma de la extinta. Muchísima gente continuó durante el día visitando con devoción y honrando los sagrados restos de sor Teresa hasta las 4 y media de la tarde, hora en que se organizó el cortejo fúnebre después del canto de las exequias rituales. Encabezaban el cortejo dos largas filas de alumnas internas y externas de los Colegios de María Auxiliadora, portando simbólicos lirios y coronas de flores en las manos, seguían 150 cofrades de María Auxiliadora, gran número de bienhechores, señoras y señoritas de todas las clases sociales. En puesto de honor e imprimiendo grave y severa solemnidad con su ilustre presencia, el señor Obispo seguido del clero secular de la ciudad, los reverendos padres jesuitas y el señor Inspector y sacerdotes salesianos.
El féretro fue llevado hasta el coche fúnebre por las Hermanas, que dominadas por el más intenso dolor ante la pérdida de tan santa religiosa, se disputaban el honor de llevar a la que habían venerado como a una reliquia y que ahora las precedía en la gloria. La familia Cuadra ofreció su tumba de familia, para que en él reposaran los restos mortales de la que en vida tuvieron en concepto de santa. Sus venerados despojos embalsamados con las fragantes violetas y con las blancas margaritas que los circundan y que simbolizan muy bien las heroicas virtudes que le han conquistado la diadema inmortal a nuestra sor Teresa. Cuando los granadinos se enteran el 24 de marzo de 1917 que sor Teresita ha volado al Cielo, experimentan que la Hermanita Santa, llegada también de Mornés, se les ha ido, pero que seguirá viva, ahora más que nunca, entre ellos.
El 24 de agosto del 2012, en el Centenario de la Presencia Salesiana en Nicaragua, con la honrosa presencia de la Madre General de las Hijas de María Auxiliadora, Madre Yvonne Reungoat, los restos de Sor Teresa quedan en la Capilla del Colegio María Auxiliadora, su última comunidad en esta tierra. Este acto simboliza el testimonio de esta santa salesiana, de la primera expedición misionera del Instituto, que nos sigue hablando de entrega radical y de santidad concreta, y a la vez, su protección para nuestras tierras latinoamericanas, aquí, desde el Centro de América, se irradia al Sur y al Norte, donde también entregó todas sus energías y su amor por la salvación de las queridas jóvenes, de los venerados Salesianos, y por sus entrañables hermanas de Congregación.
Su santidad queda elocuentemente sintetizada en el siguiente texto:

Defuncta Adhur Loquitor (Difunta aún sigue hablando)

Sor Teresa pasó sin hacer ruido: a su alrededor se oía apenas su suave paso y el dulce timbre de su voz. Laboriosa humilde, ignorando cuanto pasaba fuera del circuito donde debía desplegar su abnegación, con la alegría en el corazón y la sonrisa en los labios, practicó de un modo particular las pequeñas virtudes que como violetas del alma, embalsamaban la vida. Su día tuvo aurora pura, mañana clara, medio día esplendente, atardecer tranquilo y suave.
Pequeñísima flor silvestre trasplantada al jardín de las Hijas de María Auxiliadora, en Italia y sucesivamente en las tres Américas, se coloreó con variados tintes, exhalando su delicado perfume y hacia la tarde inclinó su corola.  Porque ha sabido florecer donde fue colocada, la mano de Dios la trasplantó a los celestes jardines para embellecer feliz y para siempre la morada divina. Sor Teresa apareció en el mundo como un ángel: el ángel, cumplido su mensaje, retorna al Cielo. Así sor Teresa Gedda retornó a Dios y a Él presenta ahora las preces que a ella le dirigen.
Y este es un sentimiento de tan espontánea convicción que cuantos la han conocido, la invocan con fe y ciega confianza. Una hermana asegura que todas las veces que se ha dirigido a sor Teresa, siempre ha sido oída, alcanzándole del Señor cuanto deseaba. Ella ahora aún nos habla, sobre todo con los ejemplos de su vida, los que nos revelan su amor al deber, al sacrificio, su espíritu de fe, de piedad, de alegría en el sufrimiento, la paz en la humillación, la sonrisa entre las lágrimas, el entusiasmo en las privaciones, la serenidad con las personas hostiles, la solícita elección de todo trabajo humilde y penoso, el holocausto de sí misma por amor de Jesús.
Nota especial de su vida es la sencillez.  Esta virtud fue definida en la ingenuidad del corazón: ser uno consigo mismo por el acuerdo interno con el exterior; ser uno con Dios por la armonía de las obras con la fe; ser uno con el prójimo por la ausencia de todo disimulo y la concordia de la caridad.
Así fue sor Teresa. Ella nos repite para que la aprendamos y la practiquemos, la principal y constante aspiración que la animaba, que formaba la alegría festiva de sus pensamientos y afectos, el deseo tan bien expresado por el poeta:
Aquí abajo todas las flores mueren
Los cantos de los pájaros son breves
¡Sueño con el éxtasis eterno!
En su vida de buena religiosa supo hallar la sublimidad de la virtud. Morir a nosotros mismos, vivir para Dios y para los demás, es lo sumo de la perfección, es la sublime enseñanza de sor Gedda y es presentemente, la regla que practicada, haría de la tierra un paraíso anticipado. Y el poeta iluminado por el Evangelio, canta y su solemne voz encierra una saludable lección para todos:
¡Perdió la vida quien para sí vivió
Vive en eterno, quien por amor la dio! 
A.M.D.G.

Resumen elaborado por Sor Soledad Schröeder (FMA) y Gilda Marta Herrera S, tomando las siguientes fuentes bibliográficas:
Gedda, Mary. Suor Teresa Gedda. Italia, Milán: Società Editrice Internazionale, 1937.
Sin Autor. Breve Vida de Sor Teresa GeddaCosta Rica, San José: Imprenta Lehmann, 1930