30 settembre 2016
3 ottobre 2016: per fare memoria dei migranti vittime innocenti
Roma - Sono trascorsi tre anni da quel tragico naufragio a poche decine di metri dalle coste dell’isola di Lampedusa, il 3 ottobre 2013, che causò la morte di 366 persone. Le immagini delle bare, una accanto all’altra, nell’hangar dell’aeroporto militare, è ancora presente nella nostra memoria e non possiamo dimenticarle facilmente. L’Italia – ricorda oggi la Fondazione Migrantes - reagì a quella tragedia creando l’operazione ‘Mare nostrum’, che ha dato “vita” a tanti uomini e donne che tentavano di raggiungere le nostre coste: 170.000 le persone salvate in un anno. Dall’ ottobre 2014 l’operazione ‘Mare Nostrum’ è stata sospesa, perché l’Europa – spiega una nota dell’organismo pastorale – “non ha voluto farsene carico, non ha voluto considerare il Mediterraneo un Mare anche europeo”. Da allora sono oltre 270.000 le persone migranti salvate nel Mediterraneo, con navi anche di altri stati europei oltre che dell’Italia e con navi di Organizzazioni private, ma ancora troppi sono stati i morti: dal 3 ottobre 2013 ad oggi oltre 11.500 migranti, e il Mediterraneo è diventato un ‘cimitero’, come ha ricordato papa Francesco.
Da quest’anno, la data del 3 ottobre è diventata la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, con una legge voluta dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica il 21 marzo 2016. E’ una Giornata della memoria, “al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”. E’ una Giornata – spiega la Migrantes - per “educare le giovani generazioni a raccogliere la sfida delle migrazioni tutelando la vita e la dignità delle persone e, per chi crede, è una Giornata per pregare e gridare ancora che le persone che sbarcano non sono clandestini, ma migranti in fuga, uomini e donne come noi”.
L’Organismo Pastorale della CEI auspica che la celebrazione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione possa “diventare anche l’occasione per condividere la volontà di costruire corridoi umanitari e vie legali che accompagnino in sicurezza i migranti e le loro famiglie nel loro cammino e che consentano l’ingresso in Italia e in Europa senza altre vittime innocenti”. (Raffaele Iaria)
Río Gallegos - Argentina
Non vi nascondo la meraviglia che provammo il sabato 3 settembre quando, missionando il bollettino del Barrio, nei 44 negozi, con le due ragazze che mi aiutano nella consegna, abbiamo visto qualcosa di fantastico e proprio nella steppa attigua alla sede dei Pompieri dove ordinariamente ci rechiamo per l’oratorio. Ora appare un bellissimo campo di calcio recintato da gommoni di auto colorati di bianco e fuori del campo alcuni giochi per i più piccoli... questo è poco se lo stupore finisse nella nuova area di gioco comunitario.. No! Un cartello all'angolo della strada (di terra polverosa...) offriva ai nostri occhi una dedica importante: Al padre Juan Barrio Herrero. Il fondatore e promotore del Barrio dai suoi albori... nel 2002 quando le 16 famiglie si riunivano attorno a quel MISSIONARIO venuto dalla Spagna per spendere la vita in favore degli abitanti di Río Gallegos... Già ve ne parlai in altri momenti... e così nella domenica 17, domenica di Oratorio, e primo compleanno dell’oratorio di Don Bosco, il taglio della torta con 1 sola candelina non poteva che essere proprio lì, in quel luogo significativo e benedetto dalla presenza gioviale di padre Juan!
Sr. Paola Oldani, missionaria in Argentina
29 settembre 2016
REPAM
La REPAM representa la proximidad de la Iglesia a su pueblo, la búsqueda profunda en la defensa de la vida en la Pan Amazonía, la construcción de una Red que permita potencializar los esfuerzos que se realizan en cada uno de estos países, pero que sobre todo apuntan a un mismo objetivo, que la Pan Amazonía sea el corazón de la Iglesia. De tal forma, que se ha extendido desde la S.S. Papa Francisco a través del Cardenal Parolin un mensaje de aliento para con este proceso y que los frutos de ello desencadenen en una verdadera opción por los más necesitados en la Pan Amazonía.
Card. Filoni: “In Azerbaigian, pochi cattolici ma molto vivi”
A pochi giorni dalla visita del Papa, il prefetto di Propaganda Fide descrive la realtà di una chiesa di piccole dimensioni ma in crescita
Domenica prossima Papa Francesco visiterà l’Azerbaigian, a 14 anni di distanza dalla storico viaggio di San Giovanni Paolo II nel paese caucasico, a maggioranza musulmana e già parte dell’Unione Sovietica. Fu proprio durante il pontificato di Wojtyla, che, in Azerbaigian, all’indomani del crollo del regime comunista, fu istituita la Prefettura apostolica affidata ai salesiani e dipendente dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Tutto nacque dall’iniziativa di un ristretto numero di famiglie della comunità cattolica azera, sopravvissute alle repressioni del settantennio sovietico, che scrissero al pontefice polacco, perché mandasse loro dei sacerdoti. Furono così incaricati dei salesiani del Centro Europa.
La vicenda è stata rievocata ai microfoni della Radio Vaticana dal cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ha ricordato come nel paese caucasico vi siano una “libertà di culto” ed una “tolleranza”, laddove però la Chiesa preferisce parlare di “diritti”, poiché “appartiene alla natura stessa dell’essere cittadini professare la propria fede”.
Quello azero, quindi, è un contesto di “alcune centinaia di cattolici molto vivi”, pur nella ristrettezza del proprio numero, una comunità apprezzata per la sua “cattolicità tranquilla, pacifica, direi anche organizzata, dal punto di vista della carità anche con i pochi mezzi che abbiamo”, ha commentato il porporato.
Secondo il cardinale Filoni, il Santo Padre agirà “come ha fatto in tutti gli altri paesi” e il suo invito in Azerbaigian “non riguarda una semplice formalità o una tattica politica, ma sostanzialmente è la stima verso un Pontefice” particolarmente apprezzato per la sua sensibilità verso i più deboli.
Il prefetto per la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ha visitato l’Azerbaigian nel 2012, ha spiegato che i frutti della missione in quel paese “stanno crescendo gradualmente: l’attenzione per la famiglia, per i giovani, per le ragazze e anche da un punto di vista del sostegno ad una società che ha bisogno di apprendere anche che cosa significa solidarietà”.
La presenza di alcuni assiro-caldei, provenienti da Iraq e Medio Oriente, ha concluso Filoni, sarà l’occasione per “pregare insieme” al Papa e manifestargli “le difficoltà” e “le amarezze” patite nella loro area.
https://it.zenit.org/
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Calendario Missionario OTTOBRE 2016
- 1/10: S. Teresa del Bambino Gesù (1873-1897), carmelitana del convento di Lisieux (Francia); è dottore della Chiesa e patrona principale delle Missioni. – I suoi genitori, i Santi Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Maria Guérin (1831-1877), sono stati canonizzati assieme il 18/10/2015.
- 1/10: B. Giovanni di Palafox e Mendoza (1600-1659), spagnolo, vescovo di Puebla de los Ángeles (Messico), viceré e visitatore apostolico, successivamente vescovo di Osma (Spagna). Figura poliedrica di pastore, letterato, governante, protettore degli indios.
- 1/10: Giornata Internazionale dell’Anziano (ONU-OMS, 1990).
- 2/10: B. Giovanni Beyzym (1850-1912), sacerdote gesuita della Volinia (Ucraina), missionario tra i lebbrosi a Fianarantsoa (Madagascar).
- 2/10: Giornata Internazionale per la Nonviolenza, fissata dall’ONU (2007) nel giorno della nascita di Gandhi (2/10/1869).
- 3/10: Beati Ambrogio Francesco Ferro, sacerdote, e 27 compagni martiri (+1645) sulle rive del fiume Uruaçu (Natal, Brasile).
- 4/10: S. Francesco d’Assisi (1182-1226), amante di Cristo povero, fondatore della famiglia francescana, missionario tra i mussulmani; inviò gruppi di frati ad evangelizzare in varie parti.
- 4/10: B. Francesco Saverio Seelos (1819-1867), sacerdote redentorista tedesco, missionario in varie regioni degli USA, morto di febbre gialla a New Orleans, Louisiana.
- 5/10: Santi Froilano e Attilano, vescovi spagnoli del X secolo, che lasciarono la vita eremitica per dedicarsi ad evangelizzare le regioni liberate dal dominio degli arabi musulmani.
- 5/10: S. Faustina Kowalska (1905-1938), religiosa polacca, destinataria di speciali rivelazioni sulla “Divina Misericordia”: una devozione che ha avuto una rapida diffusione mondiale.
- 5/10: Ricordo di Annalena Tonelli (1943-2003), laica missionaria italiana in Kenya e Somalia per 30 anni, uccisa a Borama (Somalia) da uno sconosciuto. Ecco alcune sue parole: “Ho fatto una scelta di povertà radicale”. – “Un giorno il bene trionferà”.
- 6/10: S. Bruno (Germania 1030-1101 Italia), professore di teologia, poi eremita, fondatore della ‘Grande Chartreuse’ (Grenoble), promotore della vita monastica, eremitica e cenobitica.
- 6/10: B. Maria Rosa (Eulalia) Durocher (1811-1849), canadese del Quebec, fondatrice.
- 7/10: Festa della Madonna del Rosario: preghiera popolare atta a far rivivere i misteri della vita di Cristo e di Maria, in sintonia con le gioie, dolori, speranze e problemi del mondo intero.
- 7/10: B. Giuseppe Toniolo (Italia, 1845-1918), sposo e padre di sette figli, economista e sociologo, professore, educatore e giornalista; favorì l’inserimento dei cattolici in politica e cultura; promosse l’Azione Cattolica e fondò le Settimane Sociali dei cattolici.
- 8/10: S. Giovanni Calabria (1873-1954), sacerdote di Verona, fondatore di due Congregazioni della Divina Provvidenza, a favore dei giovani, i poveri e gli ammalati.
- 9/10: S. Giovanni Leonardi (1541-1609), fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio. Con il prelato spagnolo G. B. Vives, fondò a Roma una scuola per futuri missionari ad gentes, precorritrice del Collegio di Propaganda Fide (1627).
- 9/10: S. Ludovico Bertrán (1526-1581), sacerdote domenicano spagnolo, missionario in Colombia, dove evangelizzò i popoli indigeni e ne prese le difese davanti agli oppressori.
- 10/10: S. Daniele Comboni (1831-1881), primo vescovo-Vicario apostolico dell’Africa Centrale; elaborò un Piano per “salvare l’Africa per mezzo degli Africani” (1864) e fondò due istituti missionari. Morì a Khartoum (Sudan) all’età di 50 anni. Il suo motto era: “Africa o morte!”.
- 11/10: S. Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli, 1881-1963), il “Papa buono”, che annunciò (1959) e inaugurò il Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962.
- 12/10: Memoria di 4966 martiri e confessori (+483) durante la persecuzione dei Vandali del re ariano Unnerico nell’Africa settentrionale.
- 12/10: Festa della Madonna “Aparecida”, patrona del Brasile, immagine particolarmente cara agli afrobrasiliani.
- 12/10/1492: Arrivo di Cristoforo Colombo in America, inizio della conquista coloniale del continente e dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo.
- 12/10: Ricordo di Simon Kimbangu (+1951), fondatore della Chiesa indipendente kimbanguista in Congo.
- 15/10: S. Teresa di Gesù di Avila (1515-1582), riformatrice del Carmelo e fondatrice di nuovi monasteri; è dottore della Chiesa per la sua profonda esperienza mistica del mistero di Dio.
- 16/10: A Roma Papa Francesco proclama 7 nuovi Santi.
- 16/10: S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690), del monastero francese della Visitazione a Paray-le-Monial, dove ebbe speciali apparizioni del S. Cuore, del quale promosse anche la Festa.
- 16/10: B. Agostino Thevarparampil (1891-1973), sacerdote dell’India, conosciuto con il nome popolare di “Kunjachan” (piccolo prete). Battezzò più di 5000 “dalits” (intoccabili), gli ultimi nel sistema delle caste in India.
- 16/10: Giornata Mondiale dell’Alimentazione, organizzata dall’ONU-FAO (1945). Il tema per il 2015 è: “Il clima sta cambiando. Il cibo e l’agricoltura pure”.
- 17/10: S. Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, condannato dall’imperatore Traiano ad bestias, a Roma (+107).
- 17/10: Giornata Mondiale del Rifiuto della Miseria.
- 18/10: S. Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, compagno di S. Paolo nella missione in Macedonia e altrove (Atti 16,10s.). Il suo corpo è venerato nella Basilica di S. Giustina a Padova.
- 19/10: SS. Giovanni di Brébeuf, Isaac Jogues, sacerdoti gesuiti, e altri sei compagni martiri, missionari tra gli Uroni e gli Irochesi (Stati Uniti d’America e Canadà, +1642-1649).
- 19/10: S. Paolo della Croce (1694-1775), promotore di missioni popolari con il messaggio della Passione di Cristo; è fondatore dei Passionisti.
- 19/10: B. Giorgio (Jerzy) Popieluszko (1947-1984), martire, sacerdote polacco, zelante e coraggioso ministro del Vangelo, ucciso in odio alla fede.
- 20/10: BB. Davide Okelo e Gildo Irwa, giovani catechisti e martiri (di 16 e 12 anni), uccisi a Paimol (Kalongo-Nord Uganda, +1918).
- 21/10: S. Laura Montoya y Upeguí (1874-1949), missionaria colombiana tra gli indigeni e fondatrice; morì a Medellín (Colombia).
- 21/10: B. Giuseppe Puglisi (1937-1993), martire, nato e morto nel quartiere Brancaccio di Palermo (Sicilia, Italia); sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile, fu ucciso dalla mafia.
- 22/10: S. Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla, 1920-2005), Papa polacco. Intraprese numerosi viaggi apostolici nei cinque continenti, creò le Giornate Mondiali della Gioventù, scrisse encicliche e altri documenti pontifici, promosse il nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) e il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). In questo giorno si ricorda l’inizio solenne del suo Pontificato (22 ottobre 1978).
- 23/10: 90.mo anniversario della Giornata Missionaria Mondiale. – Nel suo messaggio il Papa sottolinea il servizio della “Chiesa missionaria, testimone di misericordia”.
- 23/10: S. Giovanni da Capestrano (1386-1456), sacerdote francescano, missionario e predicatore efficace in vari paesi dell’Europa centrale e orientale. Lavorò per la libertà e l’unione dei cristiani.
- 24/10: S. Antonio Maria Claret (1807-1870), spagnolo, predicatore di missioni al popolo, fondatore, vescovo di Santiago di Cuba. Morì in esilio in Francia.
- 24/10: S. Luigi Guanella (1842-1915), sacerdote italiano, ardente nella carità e fiducioso nella Provvidenza, fondatore di due Istituti per l’assistenza dei poveri e infermi.
- 24/10: Giornata delle Nazioni Unite (organizzazione creata nel 1945).
- 25/10: B. Carlo Gnocchi (Milano 1902-1956), cappellano militare in Grecia e Russia; dopo la guerra si dedicò ad assistere ragazzi orfani e mutilati di guerra, vittime dei bombardamenti e di altri ordigni bellici, ed handicappati di ogni genere.
- 27/10: Ricordo dell’incontro dei rappresentanti delle Chiese cristiane, delle comunità ecclesiali e delle Religioni mondiali, convocati per la prima volta ad Assisi dal Papa Giovanni Paolo II per una Giornata di Preghiera e Digiuno per la Pace (1986).
- 28/10: SS. Simone il Cananeo (zelota) e Giuda Taddeo, apostoli.
- 28/10: A Lima (Perù) festa del Señor de los Milagros, immagine miracolosa del Crocifisso, disegnata su una parete da uno schiavo africano (ca. 1651), molto venerata da folle di popolo.
- 30/10: B. Alessio Zaryckyj (1912-1963), sacerdote greco-cattolico dell’Ucraina, morto martire in campo di concentramento a Dolinka, nel Kazakistan.
- 31/10: B. Irene (Mercede) Stefani (1891-1930), suora italiana delle Missionarie della Consolata, totalmente dedicata alla cura dei malati e all’insegnamento in Kenya e Tanzania; la gente la chiamava “Nyaatha” (“madre tutta misericordia”).
- 31/10: Ricordo di Mons. Giovanni Cassaigne (1895-1973), francese, delle Missioni Estere di Parigi, missionario in Vietnam tra le minoranze etniche a Dalat; si distinse per la sua carità verso i lebbrosi, per i quali fondò un villaggio. Fu vescovo di Saigon per 15 anni; divenuto lebbroso, rinunciò alla sede episcopale e tornò a vivere con i lebbrosi nella “parrocchia più bella del mondo”.
- 31/10-1/11: Viaggio apostolico di Papa Francesco in Svezia per il 500° della Riforma protestante.
28 settembre 2016
Italia – La nuova Croce Missionaria
(ANS – Torino) – Nell’evento più che secolare della Spedizione Missionaria Salesiana c’è stata quest’anno una particolare novità: la Croce Missionaria. Una novità destinata però a diventare anch’essa una tradizione, perché da ora in poi sarà questa la croce che i missionaria riceveranno ogni anno. Ecco dunque brevemente presentati i suoi significati:
- Significato della Croce: il primo, potente, simbolo è la croce in sé stessa. Ricevere la Croce contiene tante emozioni e sfide spirituali. Centra la vita missionaria nella persona di Cristo, di Cristo crocifisso. Implica dapprima ricevere e poi offrire il grande insegnamento della Croce: l’amore infinito del Padre che offre il meglio di sé, suo Figlio; amore fino alla fine, obbediente e generoso che si consegna alla volontà del Padre per la salvezza dell’umanità.
- La Missione e la Croce: nell’iconografia tradizionale missionaria si può apprezzare la figure del missionario che mostra la croce alla gente. Quel gesto, che ad alcuni potrebbe sembrare un po’ ingenuo, significa per noi Salesiani che " La nostra scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero” (Cost. Salesiane, n°34).
- Il Buon Pastore: la croce secondo il carisma salesiano si vive nella consegna pastorale illimitata. Il Buon Pastore rivela la cristologia salesiana: la carità pastorale, nucleo dello spirito salesiano, “l’atteggiamento che conquista con la mitezza e il dono di sé” (Cost. Salesiane, n°10-11).
- Da Mihi Animas Coetera Tolle: è il motto che fin dall’inizio ha caratterizzato i Figli di Don Bosco. Questa breve preghiera salesiana, in un contesto missionario, acquista una luminosità particolare: lasciare tutto, anche la propria terra, le sicurezze, la cultura, per dedicarsi senza limiti a quelli a cui si è inviati, per essere strumenti di salvezza per loro.
- Lo Spirito Santo: che discende sul Buon Pastore, come fece in Giordania, discende ora su Cristo presente nel dinamismo pastorale della Chiesa. Tutta l’attività missionaria senza lo Spirito Santo, senza luce, senza il suo discernimento, forza e santità, si riduce solo ad una serie di attività, a volte vuote, realizzate in luoghi lontani.
- Mt 28,19: “Euntes ergo docete omnes gentes baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”: il cuore del mandato missionario del Risorto. Il testo dà mandato di educare tutte le persone perché siano seguaci e discepoli di Gesù (il testo greco sottolinea il mathêteúsate, “fare discepoli”, che è più che docete). L’evangelizzazione, la pienezza della grazia, arriva attraverso le parole e le opere, con la maggiore di tutte le grazie sacramentali che è costituita dal battesimo, che immerge la persona nel mistero di Dio comunione.
ASIA/THAILANDIA - Con l’incubo della “blasfemia buddista”, la Chiesa prepara l’Ottobre missionario
Bangkok - "In questa fase, sotto un potere militare, la società e soprattutto i giovani lamentano la mancanza di libertà e di pluralismo: non si può criticare il governo. Ma le nostre attività pastorali non sono disturbate o modificate": lo dice all'Agenzia Fides p. Peter Watchasin, Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Thailandia, parlando di come la Chiesa si sta preparando a vivere la “Giornata missionaria mondiale” del prossimo 23 ottobre.
Secondo alcuni osservatori, la nuova Costituzione della Thailandia, approvata il mese scorso, rischia di minare l'armonia religiosa nel paese a causa di una disposizione che impone allo stato di promuovere il Buddismo Theravada, religione maggioritaria nella nazione. A destare preoccupazione soprattutto tra le minoranze religiose cristiane e musulmane è la possibile applicazione della "blasfemia".
La nuova Carta, infatti, prevede all'art. 67 che "lo stato stabilisce le misure e i meccanismi per prevenire la profanazione del buddismo in qualsiasi forma e incoraggia la partecipazione di tutti i buddisti nell'applicazione di tali misure e meccanismi". Di conseguenza, ogni atto interpretato come una "minaccia" o "vilipendio" al buddismo può essere oggetto di intervento e repressione da parte dello stato.
Per evitare potenziali problemi causati da una interpretazione piuttosto rigida di questa disposizione, il Primo ministro Chan-o-cha Prayut, in un ordinanza emessa il 22 agosto, ha confermato che lo stato "protegge tutte le religioni riconosciute" e sostiene "tutte le fedi che contribuiscono allo sviluppo della nazione", senza violare la legge e i principi di unità nazionale.
Il governo intende così prevenire l’insorgere di conflitti religiosi nella società . In tale situazione "la comunità cattolica - conclude p. Watchasin - non entra in questioni politiche ma procede con le sue attività: stiamo preparando l'Ottobre missionario, dopo che la Chiesa ha vissuto il suo speciale Sinodo nel 2015. Alla luce di quella assemblea, come cattolici, siamo alla ricerca di nuove strade per incarnare il Vangelo nel paese e viverlo nella società, nell’economia, nella politica, per contribuire al bene comune della nazione".
26 settembre 2016
C’è una luce in fondo al tunnel
Sono venuto qui per fare qualche commento ma anche per condividere con voi una storia, sperando che ci sia una luce in fondo al tunnel. Quello che sto per dirvi è che una luce in fondo al tunnel è ancora lontana, raggiungere il tunnel è ancora lungo e pericoloso.
La storia dell’umanità ha centinaia di migliaia di anni e può essere riassunta in molti modi, uno dei quali è l’espansione del pronome personale “noi”. Un certo numero di persone ha usato il termine noi. Un numero di persone che è cresciuto in modo graduale e costante. Gli antropologi sostengono che inizialmente si trattava di un gruppo di 150 unità. Tutto il resto poteva essere riassunto con la parola “altri”. Il resto erano persone che non erano noi. Un numero che doveva essere necessariamente limitato. Col tempo questa cifra è aumentata, venne l’epoca delle tribù, delle prime comunità che erano comunque sempre un noi. Persone che non si conoscevano personalmente. Poi c’è stata l’epoca delle nazioni-stati e degli imperi ed oggi posso affermare che ci troviamo in un punto tale di questa catena di eventi che non ha precedenti.
Tutte le tappe e le fasi che ci sono state nella storia dell’umanità, avevano un denominatore comune: erano caratterizzate dall’inclusione da un lato e dall’esclusione dall’altro, in cui c’era una identificazione reciproca, attraverso l’inclusione e l’esclusione. Il “noi” si poteva misurare con l’ostilità reciproca. Il significato del “noi” era che noi non siamo loro. E il significato di loro era che loro non sono noi. Gli uni avevano bisogno degli altri per esistere come entità collegata l’una con l’altra e potersi identificare in un luogo o un gruppo di appartenenza. E’ stato così per tutta la storia dell’umanità. Questo ha portato a grandi spargimenti di sangue. Una forma di autoidentificazione che nasce dall’identificazione di qualcosa di altro rispetto al prossimo. Oggi ci troviamo di fronte alla necessità ineludibile della prossima tappa in questa storia, nella quale stiamo espandendo la nozione di umanità. Parlando di identità di se stessi, abbiamo un concetto di quello che includiamo in questa idea di umanità messa insieme. Direi che ci troviamo di fronte a un salto successivo che richiede l’abolizione del pronome loro. Fino a questo momento i nostri antenati avevano qualcosa in comune: un nemico. Ora, di fronte alla prospettiva di una umanità globale, dove lo troviamo questo nemico?
Ci troviamo nella realtà cosmopolita, quindi ogni cosa fatta anche nell’angolo più remoto del globo, ha impatto sul resto del nostro pianeta, sulle prospettive future. Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri e non si può tornare indietro.
Per questo cerchiamo di gestire questa situazione cosmopolita con i mezzi sviluppati dai nostri antenati per poter affrontare i territori limitati, ed è una trappola, un problema una sfida che ci troviamo ad affrontare. Dobbiamo capire come integrarci senza aumentare l’ostilità. Come integraci senza separare i popoli che non appartengono allo stesso luogo. Come possiamo riuscirci? E’ la domanda fondamentale della nostra epoca. Fortunatamente ci è stato fatto un grande dono dal cristianesimo, dalla Chiesa cattolica ed è papa Francesco che ci indica il percorso. Desidero fare solo tre citazioni, sviluppando tre punti.
1. Dialogo, una parola che non dovremo mai stancarci di ripetere. C’è bisogno di promuovere una cultura del dialogo, in ogni modo possibile e ricostruire così il tessuto della società. Dobbiamo considerare gli altri, gli stranieri quelli che appartengono a culture diverse, persone degne di essere ascoltate. La pace potrà essere raggiunta solo se daremo ai nostri figli le armi del dialogo, se insegneremo a lottare per l’incontro, per il negoziato, così daremo loro una cultura per creare una strategia per la vita, una strategia volta all’inclusione e non all’esclusione.
2. Dobbiamo capire che l’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è pura carità, ma un obbligo morale. Se vogliamo ripensare le nostre società, dobbiamo creare posti di lavoro dignitosi e ben pagati soprattutto per i nostri giovani, dobbiamo passare dall’economia liquida, che usa la corruzione come un modo per trarre profitto, verso una soluzione che possa garantire l’accesso alla terra attraverso il lavoro. Il lavoro è il modo attraverso cui possiamo rimodellare la nostra convivenza condividendo i frutti della terra, i frutti del lavoro umano.
3. Papa Francesco sostiene che la cultura del dialogo deve essere parte integrante dell’educazione e dell’istruzione che forniamo nelle nostre scuole, in modo interdisciplinare, per dare ai nostri giovani gli strumenti necessari per risolvere i conflitti in modo diverso da come siamo abituati a fare. Tutto questo non è facile ed è un processo di lunghissimo termine. È un modo diverso da quello seguito dalla politica. Acquisire la cultura del dialogo non comporta una ricetta facile, una scorciatoia. Tutto il contrario. Un proverbio cinese dice: “Dobbiamo pensare all’anno prossimo piantando semi, ai prossimi dieci anni piantando alberi, ai prossimi cento anni educando le persone”. L’educazione è un processo a lunghissimo termine. La creazione di un mondo pacifico non è come prepararsi una tazzina di caffè, è ben più complicato.
Abbiamo bisogno più di ogni altra cosa, se vogliamo seguire i consigli di Papa Francesco, di sviluppare qualità difficili in questo mondo: la pazienza, la coerenza, la pianificazione a lungo termine. Parlo di una vera e propria rivoluzione culturale, che deve esser l’esatto opposto rispetto al mondo in cui le persone invecchiano e muoiono prima ancora di essere nate. Pazienza, quindi: dobbiamo concentrarci sugli obiettivi a lungo termine, sulla luce in fondo al tunnel, a prescindere da quanto possa essere lontana al momento in cui la osserviamo.
Assisi 2016, #Thirst4peace, Peace Meeting Assisi 2016
25 settembre 2016
24 settembre 2016
147° Spedizione Missionaria SDB e FMA
Domani, le FMA di Casa generalizia saremo con voi: unite nella preghiera e nell'affetto. Dio benedica e renda feconda la vostra risposta alla vocazione missionaria ad gentes. Auguri!
Sorelle che riceveranno il Mandato
Missionario e il Crocifisso nella Basilica di Maria Ausiliatrice - Torino, 25 settembre 2016.
Sr. Silva (da) Pereira Mônica
|
Brasile
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Sr. Monteiro Franco Tânia Aparecida
|
Brasile
|
Sr.
Molina González Cecilia
|
Cile
|
Sr.
Bohórquez Aída Lucía
|
Colombia
|
Sr.
Guillén María Margarita
|
El Salvador
|
Sr.
Dauwalter Suzanne
|
Stati
Uniti
|
Sr.
De la Rosa Theda
|
Filippine
|
Sr.
Samson Eleanor
|
Filippine
|
Sr.
Louis Alexandra
|
Haiti
|
Sr.
Chacko Mary
|
India
|
Sr.
Cherayath Anna Rani
|
India
|
Sr.
Cherian Mary
|
India
|
Sr.
Yun Hee Kyung Elisabetta
|
Corea
|
Sr.
Abi Khalil Marlène
|
Libano
|
Sr. Domínguez Areco Laura Elizabeth
|
Paraguay
|
Sr. Bui thi Thuy Phuong Maria
|
Vietnam
|
Sr. Nguyen thi Le My Teresa
|
Vietnam
|
Salesiani e Gesuiti alleati per l'integrazione
GENOVA - Una “santa alleanza” per l’integrazione. Così potrebbe chiamarsi quella sancita tra salesiani e gesuiti impegnati a Genova - nello specifico a Sampierdarena - per aiutare i giovani, e non solo giovani, immigrati ad inserirsi nel tessuto sociale italiano.
Insegnanti di italiano e di altre materie fondamentali si alternano all’Opera Don Bosco di Sampierdarena per insegnare agli immigrati, per lo più ecuadoriani.
“Qui tante persone - spiega una delle insegnanti, Maria Ximena - vengono a studiare dopo aver lavorato, perché per prima cosa bisogna lavorare per mantenere la propria famiglia. Vogliono studiare per formarsi, perché ci tengono e per realizzare anche altri progetti. I programmi scolastici sono quelli proposti dal Ministero della Pubblica Istruzione dell’Ecuador e inoltre aggiungiamo la lingua italiana in modo che questo diploma venga riconosciuto anche sul territorio italiano”.
“Una cosa fondamentale - aggiunge Maria Ximena - è che al ritorno ad esempio in Ecuador riescono a trovare lavoro grazie al diploma di maturità conseguito qui in Italia”.
“Noi - ci racconta ancora Maria Ximena - qui non siamo soli. Senza l’aiuto dell’Opera Don Bosco e anche del Dipartimento Educazione della Compagnia di Gesù tutto questo non sarebbe possibile. Lavoriamo in rete, volontari, salesiani e gesuiti: questa è una cosa meravigliosa. Il nostro responsabile a Quito è un padre gesuita. Oltre a Genova, lavoriamo anche a Roma e Milano e sono circa un migliaio finora i ragazzi che hanno conseguito il diploma di scuola superiore, duecento dei quali nella sola Genova”.
23 settembre 2016
22 settembre 2016
Spedizione salesiana missionaria 2016
22/9/2016 - Mornese (Italia)
Le neomissionarie, nell’ambito del percorso formativo missionario, si sono recate a Mornese-Nizza e Torino Valdocco, dal 18 al 25 settembre 2016, per vivere l’esperienza nei luoghi salesiani.
L’obiettivo dell’esperienza ai luoghi delle origini è di avvicinarsi al cuore missionario di Madre Mazzarello e delle prime sorelle per riflettere più in profondità sulla chiamata alla vocazione missionaria ad gentes e per trasformare in preghiera vissuta la propria risposta a questa chiamata.
Di confrontarsi con le prime tre spedizioni missionarie, con il respiro missionario di Mornese e di Nizza, con lo sguardo allargato di M. Mazzarello che voleva, anche lei, andare in America. Di vivere l’incontro con Don Bosco, che non solo ha sognato le Missioni, ma ha consumato la sua vita perché i suoi figli e le sue figlie raggiungessero i confini del mondo per portare il Vangelo della gioia e della speranza a tanti giovani e bambini/e.
Accompagnate da suor Blanca Sanchez, collaboratrice dell’Ambito per le Missioni e da suor Luigina Silvestrin, della comunità dei Mazzarelli che fa da guida nella visita ai luoghi di Madre Mazzarello, il gruppo delle missionarie (15 neomissionarie e 4 già missionarie), dal 18 al 22 settembre 2016 è a Mornese, poi a Nizza Monferrato e dal 24 al 25 settembre a Torino per partecipare all’Harambée, insieme ai neomissionari sdb e ai volontari di ritorno dall’esperienza del volontariato.
È stato significativo a Mornese, non solo conoscere i luoghi di Madre Mazzarello (se così fosse sarebbe soltanto turismo!), ma vivere nello spirito del Giubileo della Misericordia, attraversando appunto la Porta Santa del Tempio di Madre Mazzarello e conoscendo più in profondità le radici carismatiche per poi portare dovunque lo spirito di Mornese e costruire nel posto della loro destinazione, la “casa dell’Amor di Dio”.
Le neo-missionarie hanno frequentato il corso intensivo di Italiano da luglio fino a settembre. Al loro rientro, continuano lo studio dell’Italiano e il 10 ottobre incominciano il Corso Annuale di Formazione Missionaria alla Pontificia Università Urbaniana. Inoltre, nel mese di ottobre daranno inizio alla loro esperienza apostolica alla Comunità Sant’Egidio, alla Parrocchia Santa Maria della Speranza e all’Oratorio della Basilica del Sacro Cuore a Roma.
Le missionarie, invece, iniziano il Corso di Formazione Permanente di Pastorale Missionaria, alla Pontificia Università Salesiana (UPS), per tre mesi.
Nella Basilica di Maria Ausiliatrice, domenica 25 settembre, coroneranno l’esperienza con la Consegna del Crocifisso missionario, insieme a sdb e laici impegnati, assumendo l’impegno di essere missionarie salesiane portatrici del carisma di Don Bosco e M. Mazzarello nel Mondo.
Rifugiati e responsabilità nell’anno della misericordia. Non i confini ma le persone
Apostolato militare a congresso. È in corso a Vught, nei Paesi Bassi, il congresso dell’Apostolato militare internazionale. Pubblichiamo stralci dell’intervento dell’arcivescovo ordinario militare per l’Italia intitolato «I rifugiati alla luce della Laudato si’ e dell’anno della misericordia».
(Santo Marcianò) Lo scarto dei rifugiati non è solo il rifiuto che può esserci alle frontiere ma inizia da una cultura che divide il mondo in ricchi e poveri, potenti e deboli, facendo sempre ricadere sui deboli le conseguenze di ogni ingiustizia e discriminazione, anche quella contro il creato.
«È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa […]. La mancanza di reazione di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (Laudato si’, 25). Nella denuncia di Papa Francesco, la parola «responsabilità» risuona in tutta la sua chiarezza.
C’è una responsabilità disattesa, verso l’uomo e il mondo, verso la giustizia e la pace, che ha permesso e continua a permettere l’emergenza dei rifugiati. C’è però anche chi, come l’Italia, si è assunta una tale responsabilità di soccorso e di accoglienza: al 31 dicembre 2015, un totale di 103.792 stranieri risultava ospitato in diverse strutture. È una responsabilità accolta soprattutto da militari e forze dell’ordine italiani: Marina, Aeronautica, Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri. Coordinati dalla Guardia costiera e in collaborazione con altri, costoro riescono a compiere un lavoro che le stesse istituzioni spesso non sono capaci di organizzare e, d’altra parte, considerano la propria missione di difesa della vita come prioritaria anche rispetto a limiti imposti da leggi e accordi internazionali. In questa «responsabilità» si colgono, dunque, inedite sfumature della missione dei militari, quasi un “nuovo profilo” disegnato sul serio e significativo impegno di combinare l’accoglienza con la sorveglianza, la protezione dei cittadini con il soccorso agli stranieri.
Custodire il Paese e chi nel Paese arriva. Custodire e difendere: non i confini ma le persone. Oltre alle operazioni di soccorso, pensiamo al compito di difesa dalle organizzazioni criminali che trovano sostentamento nelle reti internazionali, al ruolo nella tratta di esseri umani, fenomeno sconvolgente e più volte denunciato dal Santo Padre, o all’arresto degli scafisti. Ciò esige grande competenza e senso di collaborazione e chiede che la tecnologia, anche la più raffinata, sia sempre a servizio del salvataggio di vite umane. Ma un’altra responsabilità spetta alla politica internazionale: il senso di condivisione tra i vari Paesi.
È ancora duplice la prospettiva: la cura degli uomini è tutt’uno con la cura della terra, della «casa comune», nella «consapevolezza che siamo una sola famiglia umana» e «non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettono di isolarci» (Laudato si’, 52). È proprio vero quanto nell’enciclica afferma Papa Francesco. Ma è altrettanto forte il suo grido levato verso il vecchio continente: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?» (Discorso per il conferimento del premio Carlo Magno). E il grido si fa sogno: «Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo» (ibidem), confessa Francesco.
Noi Chiesa, noi Chiese d’Europa, sentiamo che questo sogno ci è affidato, come una vera e propria vocazione. E se la Chiesa tutta non può non essere inquietata da questa emergenza umanitaria, ancor più la Chiesa che è tra i militari se ne deve sentire interpellata. L’accoglienza pastorale dei rifugiati porta alla luce un nuovo, vasto, e direi entusiasmante campo di evangelizzazione e carità per l’Apostolato militare internazionale, attento all’annuncio evangelico e alla promozione della cultura della pace. Come Chiesa, siamo anzitutto chiamati a identificare e fronteggiare con decisione, ogni qualvolta si presenti, la piaga scoperta di una mentalità discriminatoria e xenofobica che fa dei nostri mari nuovi campi di sterminio. E siamo chiamati a ricordare, assieme al Pontefice, come «l’Europa, aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, abbia gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti» (Discorso al corpo diplomatico, 11 gennaio 2016).
Ma l’opera di evangelizzazione non si esaurisce qui. Il Vangelo è il segreto che, da una parte, nutre la carità dei militari ma che pure ne sostiene la vita, soprattutto coloro che sono coinvolti in operazioni difficili o costretti a constatarne il fallimento, qualora i tentativi di salvare vite umane si trasformino, a esempio, in recupero di cadaveri. Il Vangelo educa al senso della vita e della morte, a una vita interiore capace di crescere e testimoniare la speranza nel trascendente e nell’eterno. Il Vangelo è anche la via con la quale i nostri militari possono combattere le radici della guerra: rintracciarne le cause remote e lottare contro le ingiustizie, le violenze, la povertà, l’ignoranza, la discriminazione; raggiungerne le radici antropologiche, costruendo modelli di convivenza, dialogo, pace, perdono; modelli che dimostrino come il rispetto e la riconciliazione non siano strade perdenti, neppure in senso socio-politico. E non è forse questa la prospettiva dell’enciclica Laudato si’ e l’invito dell’anno della misericordia?
Ecco, dunque, la missione consegnata oggi ai militari cristiani e a tutto il mondo militare: trasformare quei confini, che altri vogliono serrare, in varchi di accoglienza nella nostra «casa comune», in porte sante, attraversando le quali i rifugiati possano «fare esperienza della divina misericordia anche grazie alle persone che li aiutano» (Angelus, 17 gennaio 2016).
Rifugiati: l’accoglienza è un impegno anche per i militari
L’intervento dell’Ordinario Militare, mons. Marcianò al congresso internazionale di Vught (Olanda)
Custodire persone, non confini. È il messaggio lanciato dall’Ordinario Militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, al Congresso dell’Apostolato Militare Internazionale, in corso a Vught (Olanda). Il presule ha relazionato ieri sul tema: I rifugiati alla luce della Laudato Si’ e dell’Anno della Misericordia.
“Lo scarto dei rifugiati – ha ribadito Marcianò – non è solo il rifiuto che può esserci alle frontiere ma inizia proprio da una cultura che divide il mondo in ricchi e poveri, potenti e deboli, facendo sempre ricadere sui deboli le conseguenze di ogni ingiustizia e discriminazione, anche quella contro il creato”.
“C’è però anche chi, come l’Italia, – ha aggiunto il vescovo – si è assunta una tale responsabilità di soccorso e di accoglienza… Ed in questa «responsabilità» si colgono, dunque, inedite sfumature della missione dei militari, quasi un ‘nuovo profilo’, disegnato sul serio e significativo impegno di combinare l’accoglienza con la sorveglianza, la protezione dei cittadini con il soccorso agli stranieri. Se la Chiesa tutta non può non essere inquietata da questa emergenza umanitaria, ancor più la Chiesa che è tra i militari se ne deve sentire interpellata”.
L’accoglienza pastorale dei rifugiati, per Marcianò “porta alla luce un nuovo, vasto, e direi entusiasmante campo di evangelizzazione e carità per l’Apostolato Militare Internazionale, attento all’annuncio evangelico e alla promozione della cultura della pace”.
Ecco, dunque, la missione consegnata oggi ai militari cristiani e a tutto il mondo militare: “trasformare quei confini, che altri vogliono serrare, in varchi di accoglienza nella nostra «casa comune»; in Porte Sante, attraversando le quali i rifugiati possano «fare esperienza della Divina Misericordia anche grazie alle persone che li aiutano”.
Suor Ada BISCI
Carissime sorelle, il 12
settembre 2016, mentre cenava e discorreva serenamente, nell’Ospedale italiano
di Damasco (Siria), gestito dalle FMA, è passata alla Casa del Padre la nostra
carissima Suor Ada BISCI. Nata a Sava
(Taranto) il 14 febbraio 1929. Professa a Ottaviano (Napoli) il 6 agosto 1956. Appartenente
all’Ispettoria Medio Oriente “Gesù Adolescente”.
“Confida sempre nel Signore, anima mia, in Lui la tua salvezza”.
Suor Ada ci regala di proprio
pugno alcuni dettagli della sua vita. Sentiamola raccontarsi con le sue tipiche
espressioni: “Sono nata e cresciuta a Sava, in provincia
di Taranto, sono la quarta di sei fratelli e sorelle. La mamma era casalinga,
sapeva fare di tutto, perfino dipingere quadri. Il papà, oltre la coltivazione
dei campi, prediligeva il commercio. Da piccola ho frequentato la scuola delle
Suore della Carità di San Vincenzo a Taranto. Dopo aver conseguito il diploma magistrale,
ho insegnato nelle scuole elementari di Sava”.
In seguito suor Ada ottenne l’abilitazione
all’insegnamento di lettere nella scuola media con la specializzazione in storia.
Già in missione, conseguì l’abilitazione all’insegnamento dello spagnolo e
della storia.
"La mia vocazione è nata nell’Azione cattolica. Quando avevo 17 anni,
manifestai alla mamma il desiderio di essere religiosa; mi guardò con tanta
compiacenza. Quando giunsero a Sava le FMA, io ebbi modo di conoscere da vicino
ciò che studiavo nella Storia della pedagogia italiana dell’800.
La mia mamma è morta nel 1948, a 46 anni. In quel dolore la mia famiglia
conobbe un nuovo periodo di fervore spirituale. Avevo deciso l’entrata
nell’Aspirantato, ma il papà e i fratelli erano del parere che rimanessi a casa
per aiutare in famiglia. E così dovetti aspettare. Intanto il desiderio
cresceva e lo alimentavo con la devozione a Maria Immacolata. Il 14 agosto 1953
partii per l’Aspirantato di Napoli Vomero, dove mia sorella, Pierina, diciottenne,
mi aveva preceduto l’anno prima. La sorella Antonietta assunse la
responsabilità della casa, anche se lei, a nostra insaputa, aspirava alla vita
religiosa claustrale.
Il 31 gennaio 1954, nell’iniziare il Postulato, presi coscienza della
grande coincidenza con l’anno mariano, ed iniziai una nuova amicizia con Maria
Ausiliatrice. Il noviziato a Ottaviano fu per me una scuola di ascesi
salesiana. Il 6 agosto 1956: giorno della professione, non finivo di
ringraziare il Signore e promisi di fare di tutta la mia vita un inno di ringraziamento
alla Santissima Trinità. Dopo la professione sono stata insegnante di quinta
elementare nella Casa “Maria Ausiliatrice” 35 a Torino, mentre mi preparavo a partire per la missione. Il 30 agosto 1957 sono partita per il Perú. Ho avuto come Ispettrice
la carissima Madre Antonietta Böhm che mi è stata di grande sostegno. Ho
vissuto in varie comunità, con diverse mansioni fino al 1977, anno della mia partenza
per Teheran (Iran), dove la S. Sede aveva affidato alle nostre sorelle una
grande scuola che era prima delle suore di S. Anna. Mi consolava il pensiero
che la Casa apparteneva all’Ispettoria mediorientale, opportunità per visitare
la Terra Santa sia per gli Esercizi Spirituali che per altri incontri
ispettoriali”.
Nel 1981, suor Anna passò alla
scuola italiana di Alessandria d’Egitto dove ha insegnato fino al 1985, anno in
cui fu trasferita al Cairo per prendersi cura delle sorelle anziane. Dal 1997
al ‘99 è stata ad Amman come vicaria e aiuto in casa. Qui è stata operata al
cuore e si è ripresa bene in salute tanto che dal 1999 fino all’ultimo è stata a
Damasco nella scuola come catechista per adolescenti e insegnante di italiano
in privato e guardarobiera. Solo nel 2016 venne trasferita al vicino ospedale
per cure. Quest’anno, ha avuto la gioia di celebrare il 60° di professione che
ha vissuto con entusiasmo eccezionale e con gratitudine a Dio per le sue grandi
manifestazioni d’amore. In questi anni di guerra, ha continuato ad amare molto
la Siria pregando e offrendo per la pace. Pregava anche per ottenere da Dio per
l’Istituto e per l’Ispettoria vocazioni di buona indole. In queste ultime
settimane è caduta ed ha avuto varie complicazioni anche di carattere
circolatorio.
Suor Ada è stata una missionaria
umile e fedele. Amava l’Ispettoria, si donava con semplicità, generosità e
precisione. Si è caratterizzata per la parola profonda, per la disponibilità incondizionata,
per la preghiera assidua, per la voce dolce e lo sguardo rispettoso verso tutti
e per la fraternità sincera.
Al funerale, oltre esprimerle il
nostro GRAZIE, abbiamo chiesto a lei di parlare al Signore, che ha tanto amato,
della travagliata Siria e di gridargli da vicino: “Basta Signore, vogliamo che
torni la vita e la speranza in questa Terra, dove i cristiani sono nati nella
storia e dove hanno testimoniato la fedeltà fino al martirio”.
Siamole larghe di suffragi.
L’Ispettrice
Suor Lina Abou Naoum
21 settembre 2016
Perù – 125 anni di presenza salesiana
(ANS – Lima) – Il Perù si appresta a festeggiare i 125 anni di presenza salesiana nel paese, una presenza frutto dell’amore di Don Bosco e che prese formalmente avvio il 28 settembre 1891. Per celebrare quest’importante avvenimento sono previste diverse attività.
Venerdì 23 settembre, presso l’istituto salesiano “San Francisco de Sales” di Breña, si esibirà la Banda Sinfonica dell’Istituto salesiano “Leone XIII” di Bogotà, Colombia. Il giorno successivo, sabato 24, alle ore 10, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, sempre a Breña, saranno celebrate le ordinazioni sacerdotali di alcuni salesiani. Infine, domenica 25 settembre, nella stessa basilica sarà celebrata una solenne Eucaristia per i 125 anni di presenza della salesiana nel paese.
Era il 1890 quando Don Michele Rua, I Successore di Don Bosco, cominciò a promuovere la presenza dei salesiani in Perù. Nominò come Direttore e fondatore don Antonio Riccardi, che Don Bosco stesso aveva mandato nella Patagonia Argentina; egli da lì partì per la sua nuova destinazione e raggiunse Callao il 27 settembre 1891, un giorno prima del resto della spedizione venuta dall’Italia, formata da due sacerdoti, un salesiano coadiutore e 9 Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali assunsero presto la cura dell’Istituto Sevilla.
Fin dal loro arrivo in Perù i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice cercarono di aiutare i giovani bisognosi: a soli tre mesi dal loro arrivo, nel mese di dicembre, aprirono l’oratorio festivo nel quartiere di Rímac, che era frequentato da un centinaio di bambini che iniziavano a conoscere e condividere il carisma di Don Bosco. Tuttavia, fu con l’apertura della Scuola di Arti e Mestieri a Breña che la salesianità in Perù prese a decollare.
Oggi il carisma salesiano è più vivo che mai e la presenza salesiana è diffusa in tutto il paese, dalle coste agli altipiani e fin nelle foreste, essendo ovunque promotore dello sviluppo integrale dei giovani, attraverso l’educazione e l’evangelizzazione.
Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito dei Salesiani del Perù.
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