2 settembre 2016

La Svizzera respinge 7mila profughi


Ismail ha solo 17 anni, ma si è già lasciato alle spalle un viaggio infernale attraverso il deserto e il Mar Mediterraneo. Ha sfidato la morte, pur di fuggire dall’Eritrea ed è arrivato in Italia, da solo, nell’aprile 2016. In base a quanto previsto dal programma europeo di relocation, di distribuzione, ha chiesto di essere trasferito in Svizzera dove già vive un fratello maggiore. Nel frattempo, anche i suoi fratellini (10 e 14 anni appena) sono riusciti ad arrivare in Italia. Ismail li raggiunge e decide di portarli a Como: da lì spera di poter passare la frontiera e chiedere asilo in Svizzera. Ma al valico di Chiasso, i tre fratelli vengono respinti, per ben cinque volte. Stesso destino per Mussie, 16 anni: voleva raggiungere il fratello, che in Svizzera ha ottenuto lo status di rifugiato. Dopo ben quattro tentativi andati a vuoto, il ragazzino si presenta alle guardie di frontiera con una dichiarazione di voler presentare domanda di protezione internazionale. Di nuovo, non ha potuto chiedere asilo ed è stato rimandato in Italia.

Due storie di frontiere sbarrate e di diritti negati contenute nel dossier realizzato da Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e dall’associazione svizzera 'Firdaus' in cui si denunciano numerose violazioni della normativa vigente sul diritto d’asilo da una parte e dall’altra della frontiera che separa Como da Chiasso. «Tra luglio e agosto le autorità svizzere hanno effettuato quasi 7mila riammissioni in Italia di cittadini stranieri, di cui almeno 600 hanno riguardato minori non accompagnati », denunciano le due associazioni.

Si tratta di persone che sono state fermate dalle autorità elvetiche e che sono state rimandate in Italia per ingresso o soggiorno irregolare. Tornando così ad affollare il parco davanti alla stazione ferroviaria di Como dove, da settimane, vivono diverse centinaia di migranti (400-500), prevalentemente eritrei ed etiopi.

Particolarmente gravi le violezioni dei diritti dei minori non accompagnati, stigmatizzate nel rapporto: la maggior parte dei ragazzini rimandati in Italia, infatti, «non è stata collocata in strutture di accoglienza per minori, né per essi risulta essere stato nominato un tutore, secondo quanto previsto dalla legge», denuncia il rapporto.

«Quasi tutti i migranti che abbiamo ascoltato riferiscono di non aver mai ricevuto adeguate informazioni riguardo a tali diritti e più in generale sulla protezione internazionale, né all’arrivo in Italia né successivamente – spiega Anna Brambilla dell’Asgi –. Sia alle frontiere italiane che a quelle svizzere si riscontra una grave carenza di servizi di informazione e orientamento legale, oltre che di interpreti delle lingue maggiormente diffuse tra questi migranti». Inoltre, in base alle informazioni raccolte, molte delle persone respinte hanno un familiare a cui ricongiungersi una volta varcata la frontiera. Pertanto, in base a quanto previsto dal Regolamento Dublino, avrebbero diritto a riabbracciare i propri familiari.

«Dal nostro punto di vista, il diritto di chiedere asilo non è stato e non sarà garantito se ciascuna delle persone respinte dal confine svizzero non potrà nuovamente esprimersi sulla propria volontà di chiedere protezione internazionale alla Svizzera», aggiunge Lisa Bosia Mirra, presidente dell’associazione Firdaus.

Dal canto suo, la polizia di frontiera svizzera ha risposto precisando che i migranti vengono ascoltati da un agente che deve valutare le intenzioni del soggetto (se vuole chiedere asilo o meno) ma in questa fase non è prevista la presenza di mediatori. Al termine di questo colloquio è l’agente a decidere se la persona è realmente intenzionata a chiedere asilo o meno. Il respingimento – infatti – avviene sulla base di un accordo bilaterale siglato tra Roma e Berna nel 1998, che prevede anche una procedura semplificata per la riammissione dello straniero rintracciato nella zona di frontiera che non vuole chiedere asilo in Svizzera. Ancor più difficile, a questo punto, capire come mai Robiel e Ismail, che volevano raggiungere i propri familiari residenti nei cantoni elvetici, siano stati rimandati in Italia.

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