Eminenze, Eccellenze,
Signore e Signori,
Cari Amici,
E’ per me una gioia partecipare, anche a nome del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso del quale sono Segretario, a questo Incontro internazionale per la pace, in occasione del 30° anniversario della storica giornata voluta da San Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986, e che ha il titolo “Sete di pace. Religioni e culture in dialogo”. Ringrazio tutti gli organizzatori, in particolare la Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, le Famiglie Francescane e la Comunità di Sant’Egidio.
Permettetemi anche di ringraziare l’iniziativa di Uomini e Religioni per la costanza e la tenacia con le quali ha portato avanti lo ‘spirito di Assisi’ nonostante i venti contrari, a volte vere e proprie bufere, che avrebbero potuto spegnere quella fiamma accesa trent’anni fa qui ad Assisi.
Sono lieto di condividere con voi, in quest’occasione, alcune riflessioni sull’attualità dello ‘spirito di Assisi’ e su che cosa esso significhi a distanza di trent’anni.
Vorrei iniziare con un ricordo del mio predecessore S.E. Mons. Marcello Zago, purtroppo prematuramente scomparso, allora Segretario del Segretariato per i Non-Cristiani oggi Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che nel suo diario personale, la sera del 27 ottobre 1986, descrivendo la scena dei gruppi delle varie religioni che si dirigevano verso la piazza antistante la Basilica di San Francesco, tra la folla che applaudiva, scriveva: «A me che guidavo il corteo venne improvvisamente in mente il Concilio di Efeso. Allora, il popolo accolse tripudiante i padri conciliari che avevano riconosciuto Maria Madre di Dio, e così ratificò tale dichiarazione dogmatica. Qui ad Assisi mi sembrava che il popolo, in maggioranza cattolico e confluito da tante parti del mondo, non solo applaudisse i convenuti, ma approvasse il dialogo e l’ecumenismo promosso dalla Chiesa fin dal Concilio Vaticano II» (Cfr. P. Fabio Ciardi, omi, Intervento nel decimo anniversario della scomparsa di S.E. Mons. Marcello Zago, Frascati, 1 marzo 2011, in www.omi.it).
Questa bella immagine descrive bene la Giornata di Preghiera per la Pace del 1986, un fatto storico accaduto 30 anni fa, ma che ha assunto il carattere di una puntuale profezia nonché di un modello da seguire. Infatti il suo spirito volle incoraggiare ulteriori iniziative per costruire ponti di amicizia attraverso le frontiere religiose sia a livello locale che di base in tutto il mondo per ispirare una cultura del dialogo e della pace. Papa Giovanni Paolo II condivise questa intenzione con i leaders di diverse religioni, ai quali si rivolse dicendo: “Continuiamo a vivere lo spirito di Assisi”. Con parole impegnative Giovanni Paolo II li invitò a “riconoscere le loro responsabilità e a dedicarsi con rinnovato impegno al compito della pace, a porre in atto le strategie della pace con coraggio e lungimiranza” (Giovanni Paolo II, Discorso conclusivo nella Piazza Inferiore di San Francesco, 27 ottobre 1986).
Credo di poter dire che l’intuizione di San Giovanni Paolo II abbia ancora oggi tanto da dirci. Quel ritrovarsi insieme per pregare, l’anelito alla pace ed il considerare l’altro non più un estraneo ma un fratello con il quale condividere un cammino, ha ancora oggi tutta la sua validità e direi che è una preziosa indicazione per tutti noi di come vivere il dialogo interreligioso.
Vorrei anche sottolineare come l’evento di Assisi, pur nella sua unicità ed esemplarità, si inserisce in un cammino di riflessione iniziato anni prima dalla Chiesa cattolica.
Lo stesso Giovanni Paolo II, due mesi dopo la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Assisi, spiegò il significato, il limite ed il possibile cammino per continuare lo ‘spirito di Assisi’. Nel suo discorso del 22 dicembre 1986 ai Membri della Curia Romana, Giovanni Paolo II riflettè in profondità sull’evento di Assisi. La Sua allocuzione rappresenta la più completa riflessione teologica del magistero cattolico sul significato di quella storica giornata: “L’evento di Assisi può così essere considerato come un’illustrazione visibile, una lezione dei fatti, una catechesi a tutti intellegibile, di ciò che presuppone e significa l’impegno ecumenico e l’impegno per il dialogo interreligioso raccomandato e promosso dal Concilio Vaticano II. Infatti, la chiave appropriata di lettura per un avvenimento così grande scaturisce dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale associa in maniera stupenda la rigorosa fedeltà alla rivelazione biblica e alla tradizione della Chiesa, con la consapevolezza dei bisogni e delle inquietudini del nostro tempo, espressi in tanti ‘segni’ eloquenti (cfr. Gaudium et Spes, 4)” (Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 1986).
Per tanto tempo, molti credenti di diverse religioni hanno vissuto lontano gli uni dagli altri. Per i cattolici la Chiesa, grazie al Concilio Vaticano II, da una parte ha incoraggiato l’adesione alla loro identità cattolica di base, mentre dall’altra li ha spinti a costruire legami di amicizia con persone di altre tradizioni religiose. Come è noto, il Concilio Vaticano II promulgò la Nostra Aetate, la “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane” della quale, il 28 ottobre 2015, abbiamo celebrato il 50° anniversario. La Nostra Aetate sottolinea il fatto che: “I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti (…)” (NA, 1).
Ecco qui allora una delle motivazioni profonde dell’incontro di Assisi del 1986 che ha sostenuto lo spirito di quella giornata e che continua ad essere a trent’anni di distanza, oltre che di grande attualità, uno dei motivi ispiratori dell’odierno dialogo interreligioso. Mi riferisco alla consapevolezza di appartenere ad un’unica comunità e di avere un comune destino. Ed è bene in questo frangente storico, tanto doloroso e difficile, far riemergere con forza questa consapevolezza. Nessuno di noi può dirsi estraneo agli altri. Non solo perché viviamo costantemente interconnessi e, pertanto, sempre informati di tutto ciò che avviene nel mondo. C’è un legame più profondo che nasce dalla nostra stessa natura umana e che, per chi crede, trova compimento nelle nostre convinzioni di fede.
Lo ‘spirito di Assisi’ non è un vago sentimentalismo, una memoria nostalgica che ha ben poco da dirci. E’ esattamente il contrario! Esso si nutre di scelte concrete che furono indicate da San Giovanni Paolo II e alle quali ciascuno di noi è chiamato a restare fedele ed a lavorare perché si rinvigoriscano sempre più.
Innanzitutto una delle scelte concrete, che può apparire scontata ma è di vitale importanza, è quella di pregare per la pace.
Il successo della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Assisi nel 1986 e la sua memoria ispiratrice anche dopo trent’anni, sono una prova che, nel mondo, un vasto numero di persone aspira ardentemente alla pace e desidera pregare per essa. L’evento del 1986 ha inequivocabilmente affermato che la pace non è possibile senza la preghiera. Si può notare che questo desiderio dei credenti, di pregare per la pace, stia aumentando e che ovviamente trovi la sua manifestazione in incontri interreligiosi, come quello al quale stiamo partecipando, più o meno grandi, formali e non. Ancora una volta ricordo quanto detto da San Giovanni Paolo II: “Là si è scoperto, in modo straordinario, il valore unico che la preghiera ha per la pace; e anzi che non si può avere la pace senza la preghiera, e la preghiera di tutti, ciascuno nella sua propria identità e nella ricerca della verità. (…) Anche questo si è visto ad Assisi: l’unità che proviene dal fatto che ogni uomo e donna sono capaci di pregare: cioè di sottomettersi totalmente a Dio e di riconoscersi poveri davanti a lui. La preghiera è uno dei mezzi per realizzare il disegno di Dio tra gli uomini (cf. Ad Gentes, 3). In questo modo si è reso manifesto che il mondo non può dare la pace (cf. Gv 14, 27), ma che essa è un dono di Dio e che bisogna impetrarla da lui mediante le preghiere di tutti” (Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 1986).
Ecco allora una prima scelta concreta che nasce dallo ‘spirito di Assisi’: essere uomini e donne che pregano per la pace, con uno spirito umile, consapevoli che la pace è un dono di Dio.
Da essa deriva necessariamente l’impegno ad essere costruttori di pace.
Viviamo oggi in una società purtroppo segnata da grande violenza e da un’incessante strumentalizzazione delle religioni. La pace, laddove esiste, è minacciata. Le religioni sono accusate di fomentare l’odio e di causare violenza. Così scriveva Papa Francesco l’anno scorso in occasione dell’Incontro internazionale, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e svoltosi a Tirana (Albania): “In questo nostro mondo, la fede in Dio ci fa credere e ci fa gridare a voce alta che la pace è possibile. E’ la fede che ci spinge a confidare in Dio e non rassegnarci all’opera del male. Come credenti siamo chiamati a riscoprire quella vocazione universale alla pace deposta nel cuore delle nostre diverse tradizioni religiose, e a riproporla con coraggio agli uomini e alle donne del nostro tempo”.
Noi, qui riuniti, desideriamo dimostrare che la religione non è un problema ma è parte della soluzione per portare l’armonia e la pace nella società. Pertanto spetta ai leaders religiosi insegnare alle loro comunità a scoprire le ragioni più profonde, basate sull’insegnamento delle rispettive tradizioni religiose, per vivere insieme in armonia e pace. Le parole di San Giovanni Paolo II risuonano ancora con forza nelle nostre orecchie poichè sono state parole profetiche. Egli invitò l’umanità a seguire un sentiero comune. Invitò i leaders religiosi a diventare strumenti di pace e con parole forti li mise in guardia: “Dobbiamo imparare a camminare insieme in pace ed armonia oppure andremo da un’altra parte e rovineremo noi stessi e gli altri” (Ai rappresentanti delle varie religioni del mondo in conclusione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, 27 ottobre 1986).
I credenti possono divenire, e l’esperienza mostra che attraverso la collaborazione interreligiosa lo divengono, un’importante forza nel promuovere l’armonia e la pace nella società. L’armonia deve essere coltivata e la pace deve essere accolta come un dono di Dio e costruita dalle persone in ogni circostanza. Lavorare per la promozione dell’armonia e della pace è un compito di primaria importanza per i credenti. Poiché gli antichi pregiudizi, la conoscenza insufficiente, la comprensione delle credenze e delle pratiche delle altre religioni ed il timore dell’altro, hanno spesso dominato le relazioni umane, il dialogo interreligioso non è sempre un proposito facile. E’ importante non abbandonare la speranza e non attendere che arrivi una crisi per cominciare a costruire relazioni amichevoli fra credenti di diverse religioni. Noi abbiamo sempre bisogno di rinnovarci. Dobbiamo compiere gli sforzi necessari per approfondire le reciproche relazioni amichevoli attraverso le frontiere religiose, anche quando esse già vanno bene ed ancor di più quando sorgono difficoltà.
Come ho già avuto modo di accennare in precedenza l’incontro di Assisi ed il suo ‘spirito’ affondano le proprie radici nel Concilio Vaticano II che ha ispirato e ha creato i presupposti perché quell’incontro potesse svolgersi.
Nel 1986, a vent’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, siamo arrivati ad Assisi e trent’anni dopo ripartiamo proprio da qui.
Possiamo dire che attraverso il dialogo con il mondo di Paolo VI, il dialogo della pace di Giovanni Paolo II, e il dialogo della carità nella verità di Benedetto XVI, siamo giunti, in cinquant’anni, alla sfida del “dialogo dell’amicizia”, annunciato da Francesco.
Come affrontare oggi il dialogo interreligioso alla luce dello ‘spirito di Assisi’?
Prima di tutto direi che è oggi urgente, per varie comunità religiose, fare attenzione che vi sia una solida ed integrale formazione dei loro credenti. Poi l’incontro tra credenti deve avvenire in uno spirito di reciproco rispetto, fiducia ed amicizia. Nel suo primo incontro con rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, del mondo ebraico e delle grandi tradizioni religiose, Papa Francesco diceva che: “La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose - questo voglio ripeterlo: promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose (…)” (Incontro con i Rappresentanti delle Chiese e delle Comunità Ecclesiali, e di altre religioni, Discorso del Santo Padre Francesco, Sala Clementina, Mercoledì 20 marzo 2013).
Nell’incontrare altri credenti non è assolutamente necessario ricercare i comuni denominatori nelle diverse religioni; lo scopo del dialogo interreligioso non è che i credenti arrivino ad un accordo comune sulle credenze delle diverse tradizioni religiose. Infatti, i credenti, nel loro incontro con gli altri, devono attentamente notare le differenze fondamentali che esistono fra le religioni e devono apprendere a rispettarle. Il dialogo interreligioso non significa ignorare, sminuire la particolarità essenziale o distintiva di ciascuna religione. C’è quindi la sfida, come già ho accennato, a promuovere una più stretta collaborazione per creare una società più pacifica, giusta ed armoniosa.
Certo noi credenti ci troviamo oggi di fronte a difficoltà davvero grandi. Il mondo ha urgente necessità che dal nostro dialogo emergano risposte positive e pacifiche. Il dialogo interreligioso è sempre più un elemento fondamentale e necessario, non certo un lusso o un accessorio, per aiutare questo mondo a trovare la pace. In che modo condurre questo dialogo? Papa Francesco ci propone il dialogo dell’amicizia che non ha niente di semplicistico, superficiale o buonista. Nella Evangelii Gaudium ha precisato che il “dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose” (EG 250). Per questo invita a un “dialogo tenace, paziente, forte e intelligente per il quale nulla è perduto”.
Cosa fare allora perché il dialogo interreligioso, nutrito dallo ‘spirito di Assisi’, abbia un futuro? Ascoltiamo ancora Papa Francesco: “Cari fratelli e sorelle, quanto al futuro del dialogo interreligioso, la prima cosa che dobbiamo fare è pregare. E pregare gli uni per gli altri: siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – possa aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità” (Udienza Generale interreligiosa, mercoledì 28 ottobre 2015).
Dispiace costatare che, a 30 anni di distanza dal 1986, la situazione mondiale è purtroppo peggiorata ed è ancora più difficile trovare la pace. Non è pertanto urgente che i credenti di tutte le religioni prestino ascolto all’appello profetico del Papa Giovanni Paolo II, a riscoprire e mantenere vivo lo ‘spirito di Assisi’, quale motivo di speranza per il futuro? Seguendo l’ispirazione di Assisi 1986, noi dobbiamo incessantemente lavorare in collaborazione con persone di altre religioni per costruire la pace e per diffondere nel mondo la cultura del dialogo.
In conclusione, mi auguro che lo ‘spirito di Assisi’ rimanga radicato nei nostri cuori e continui ad illuminare il mondo che è segnato dalle tenebre dell’odio e della violenza.
Grazie ancora per il paziente ascolto!
#Thirst4peace, Peace Meeting Assisi 2016, Assisi 2016
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