31 luglio 2016

III Seminário de Espiritualidade Salesiana (Inspetoria BRE) - Mensagem da Conselheira para as Missões



III Seminário de Espiritualidade Salesiana (Inspetoria BRE)

Calendario Missionario AGOSTO 2016

1/8: S. Alfonso M. de’ Liguori (1696-1787), avvocato e teologo moralista, poi vescovo, fondatore dei Redentoristi, promotore di missioni popolari. È dottore della Chiesa.
1/8: Ricordo di Mons. Pierre Claverie, domenicano algerino, vescovo di Orano (Algeria), ucciso, assieme al suo autista, in un attentato da terroristi islamici (+1996).
2/8: S. Eusebio di Vercelli (+371), strenuo evangelizzatore, difensore della fede contro gli ariani, perseguitato ed espulso; grande organizzatore della Chiesa nella regione subalpina.
2/8: B. Zefirino Giménez Malla (1860-1936), laico spagnolo di etnia rom, promotore di buoni rapporti fra la sua gente e i vicini, martire nella persecuzione durante la guerra civile spagnola. È il primo rom beatificato.
2/8: Venerabile Servo di Dio Nicola Mazza (1790-1865), sacerdote di Verona, dove fondò un Istituto per educare ragazzi virtuosi, intelligenti e poveri, fra i quali S. Daniele Comboni, apostolo dell’Africa.
3/8/1914: Apertura del Canale di Panama, una delle più importanti vie mondiali di comunicazione marittima, commerciale e turistica fra gli oceani Atlantico e Pacifico.
4/8: S. Giovanni M. Vianney (1786-1859), sacerdote francese, per 40 anni “curato di Ars”, evangelizzatore, confessore e catechista, promotore di missioni popolari; è modello e patrono del clero parrocchiale.
4/8: B. Federico Janssoone (1838-1916), francescano francese, missionario in Terra Santa e poi in Canada; organizzò pellegrinaggi e aiuti per i poveri della Palestina.
5/8: Anniversario della Fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA – 1872).
6/8: Festa della Trasfigurazione del Signore: “Il tuo volto, Signore, brilli davanti a tutti i popoli”.  - 6/8: B. Papa Paolo VI (1897-1978), morto la sera della festa della Trasfigurazione.
6/8: B. Anna M. Rubatto (1844-1904), suora italiana, missionaria in America Latina e fondatrice, deceduta a Montevideo. È la prima beata dell’Uruguay.
6/8: Ricordo del card. Guglielmo Massaja (1809-1889), missionario cappuccino italiano, pioniere dell’evangelizzazione dei Galla, nell’Alta Etiopia.
6 e 9/8/1945: Anniversari delle terribili esplosioni delle bombe atomiche, lanciate dall’esercito nordamericano, rispettivamente, su Hiroshima e Nagasaki (Giappone).
7/8: BB. Agatangelo Nourry e Cassiano Vaz López-Netto, sacerdoti cappuccini francesi, missionari in Siria, Egitto ed Etiopia, dove furono martirizzati (Gondar, +1638).
8/8: S. Domenico di Guzmán (1170-1221), sacerdote spagnolo, missionario itinerante ed evangelizzatore fra gli eretici in Francia, fondatore dell’Ordine dei Predicatori (i Domenicani).
8/8: S. Maria E. MacKillop (Sidney +1909), religiosa e fondatrice. È la prima Santa australiana.
9/8: S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1891-1942), tedesca di origine ebraica; convertitasi al cristianesimo, divenne monaca carmelitana e fu martirizzata ad Auschwitz (Polonia). È compatrona d’Europa.
9/8: Beati Michael Tomaszek (31 anni) e Zbigniew Strzalkowski (33 anni), martiri francescani conventuali polacchi, uccisi il 9 agosto 1991 da terroristi di Sendero Luminoso a Pariacoto (Chimbote, Perù).
9/8: Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni (istituita dall’ONU nel 1995).
10/8: S. Lorenzo, diacono e martire (+258), servitore dei poveri della Chiesa di Roma.
11/8: S. Chiara di Assisi (+1253), seguace di S. Francesco e modello cristiano nella vita di povertà, austerità, carità e contemplazione.
11/8: B. John Henry Newman (1801-1890), teologo e filosofo inglese, convertitosi dall’anglicanesimo, poi cardinale. I suoi motti erano: “La santità, prima di tutto”; “Il cuore parla al cuore”.
11/8: B. Maurizio Tornay (1910-1949), sacerdote svizzero dei Canonici Regolari di S. Agostino, missionario in Cina e nel Tibet, dove fu martirizzato.
12/8: San Daniele Comboni fu consacrato a Roma (1877) vescovo del Vicariato dell’Africa Centrale “il più vasto del mondo”, con sede a Khartoum, dove Comboni morì (10.10.1881).
14/8: S. Massimiliano M. Kolbe, francescano conventuale polacco, fondatore della Milizia dell’Immacolata in Europa e Giappone; si offrì a morire al posto di un padre di famiglia nel campo di concentramento di Auschwitz (+1941).
15/8: Solennità dell’Assunzione di Maria al Cielo. L’attività missionaria della Chiesa porta a compimento la profezia di Maria: “tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1,48).
15/8: S. Giacinto Odrovaz (1183-1257), sacerdote domenicano polacco, incaricato da S. Domenico di diffondere l’Ordine dei Predicatori; evangelizzò la Boemia e la Slesia.
15/8: B. Isidoro Bakanja, martire (+1909): giovane catechista africano, morto in una piantagione del Congo-Belga, in seguito a percosse subite dal colono, al quale egli perdonò.
16/8: S. Stefano, re di Ungheria (969-1038), promosse nel suo paese la diffusione del Vangelo e l’organizzazione della Chiesa.
16/8: Ricordo di Fr. Roger Schutz, fondatore e priore della comunità ecumenica di Taizé (Francia), pugnalato a morte da una donna squilibrata (+2005).
17/8: Ricordo dei martiri di Mombasa, Kenya (oltre un centinaio), fra i quali tre missionari agostiniani portoghesi, uomini, donne e bambini, nativi e portoghesi (+1631).
18/8: SS. Martiri di Utica (Tunisia), raggruppati sotto il nome di ‘Massa Candida’ (s. III-IV).
18/8: S. Alberto Hurtado Cruchaga (1901-1952), gesuita del Cile, fondatore del Hogar de Cristo per accogliervi i senza tetto.
18/8: Ricordo di Kim Dae-Jung (1924-2009), presidente della Corea del Sud (1998-2003), cattolico, premio Nobel per la Pace (2000), lottò per affermare i valori democratici e i diritti civili, e operò attivamente per la riconciliazione con la Corea del Nord.
19/8: BB. Ludovico Flores e 14 compagni martiri: missionari stranieri e navigatori giapponesi, uccisi a Nagasaki (Giappone, +1622).
19/8: S. Giovanni Eudes (1601-1680), sacerdote francese, fondatore, dedito alle missioni parrocchiali, alla formazione dei sacerdoti e alla diffusione del culto ai SS. Cuori di Gesù e Maria.
19/8: S. Ezechiele Moreno Díaz (+1906), sacerdote spagnolo degli Agostiniani Recolletti, missionario nelle Filippine e in Sudamerica; fu vescovo di Pasto (Colombia).
19/8: Ricordo dell’incontro (1985) di Giovanni Paolo II con 80mila giovani musulmani nello stadio di Casablanca (Marocco).
20/8: S. Bernardo (1091-1153, abate di Chiaravalle e riformatore dell’Ordine cistercense; maestro e predicatore efficace, percorse l’Europa in molteplici e complesse missioni. È dottore della Chiesa.
21/8: B. Vittoria Rasoamanarivo (Madagascar, 1848-1894), laica, sposata e poi vedova, principessa del Madagascar; dopo l’espulsione dei missionari, si dedicò alla cura dei cristiani e alla difesa pubblica della Chiesa.
22/8: Memoria della B.V. Maria Regina, madre del Principe della pace, il cui Regno non avrà fine.
23/8: S. Rosa da Lima (Perù, 1586-1617), laica terziaria domenicana, dedita alla preghiera e alla penitenza per la conversione dei peccatori, la salvezza degli indigeni e dei popoli del lontano Oriente. (In Perù e in altri paesi si celebra il 30 agosto).
23/8: Giornata Internazionale del Ricordo della Tratta negriera e della sua Abolizione (istituita dall’UNESCO, 1998).
24/8: S. Bartolomeo, apostolo, evangelizzatore e martire in India, secondo la tradizione.
24/8: S. Emilia di Vialar (Francia, 1797-1856), ardente missionaria per la diffusione del Vangelo nelle regioni lontane e fondatrice delle Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione.
24/8: B. Maria Incarnazione Rosal (1820-1886), nata in Guatemala, fondatrice e itinerante in varie nazioni americane, morta durante una fondazione a Tulcán, Ecuador. È la prima beata guatemalteca.
24/8: B. Miroslav Bulesic, sacerdote e martire della Croazia (1920-1947), ucciso appena dopo aver amministrato il sacramento della cresima. Ai propri nemici e persecutori mandò questo messaggio: “La mia vendetta è il perdono”.
25/8: S. Giuseppe Calasanzio (1558-1648), sacerdote spagnolo, iniziò a Roma la prima scuola popolare gratuita d’Europa (le Scuole Pie) e fondò con questo fine la congregazione degli Scolopi.
25/8: BB. Michele Carvalho e 4 compagni martiri (gesuiti, domenicani e francescani), bruciati vivi per la fede in Cristo, in Giappone (+1624). - In date e luoghi diversi del Giappone, si ricordano altri gruppi di martiri; per es., altri 15 martiri a Nagasaki (+1627).
25/8: B. Maria del Transito (Córdoba, Argentina, 1821-85), religiosa e fondatrice con grande spirito missionario.
25/8: B. Maria Troncatti (1883-1969), salesiana di Brescia, infermiera durante la I Guerra Mondiale; partì per l’Ecuador (1922), dove si spese interamente al servizio delle popolazioni della selva, per la loro evangelizzazione e promozione umana.
25/8: B. Alessandro Dordi (60 anni) martire, sacerdote diocesano di Bergamo (Italia), ucciso il 25 agosto 1991 da terroristi di Sendero Luminoso a Rinconada (Chimbote, Perù).
26/8: S. Teresa di Gesù Jornet Ibars (1843-1897), religiosa spagnola, fondatrice delle Piccole Suore degli Anziani Abbandonati (Desamparados).
26/8: S. Maria di Gesù Crocifisso Baouardy (1846-1878), araba palestinese, delle Carmelitane Scalze, fondatrice del Carmelo di Betlemme, dove morì a 32 anni. Papa Francesco la canonizzò (2015) e disse: “umile e illetterata, seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con estrema chiarezza, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo”.
26/8: B. Lorenza (Leucadia) Harasymiv (1911-52), religiosa dell’Ucraina, arrestata per la sua fede e morta martire in un campo di concentramento a Kharsk, presso Tomsk (Siberia russa).
27/8: S. Monica (+387), missionaria con la preghiera di intercessione per implorare la conversione di suo figlio Agostino.
28/8: S. Agostino (Africa del nord, 354-430): convertitosi, fu battezzato a Milano da S. Ambrogio (Pasqua del 387); fu poi vescovo di Ippona. È dottore della Chiesa, maestro universale di esperienza umana, teologica e spirituale.
28/8: S. Junípero Serra (1713-1784), sacerdote francescano spagnolo, missionario in Messico e fra le popolazioni americane della California. Papa Francesco lo proclamò Santo (2015).
29/8: S. Eufrasia del S. Cuore di Gesù (Rosa Eluvathingal), suora carmelitana dell’India (1877-1952). Per la sua vita di unione con Dio, la gente le diede il soprannome di “Madre orante”.
29/8: B. Flaviano Michele Melki (1858-1915), vescovo siro cattolico, martire del “Genocidio assiro”, ucciso a Djézireh, nell'attuale Turchia, durante i massacri perpetrati ai danni degli armeni e di altri cristiani, su istigazione dei “Giovani Turchi”.
29/8: Martirio di S. Giovanni Battista, testimone della verità, ucciso dal re Erode Antipa.
- * Intorno a questa data, il Martirologio Romano fa memoria di numerosi martiri (vescovi, sacerdoti, religiose, laici) uccisi in luoghi e tempi diversi: persecuzioni in Inghilterra, Rivoluzione Francese, guerra civile in Spagna, campi di concentramento, e altri. – È un’altra data in cui si può far memoria di tutti i missionari martiri di ogni tempo e luogo.
30/8: ‘Giornata dei Martiri dell’Orissa’ (India), per ricordare il sacrificio di oltre 101 persone che hanno perso la vita durante i massacri anticristiani nel 2007 e 2008. Lo hanno stabilito i Vescovi della Conferenza regionale dell'Orissa.
31/8: Ven. Servo di Dio Marcello Candia (1916-1983), medico missionario italiano, modello di carità; venduta la sua fabbrica, si trasferì in Brasile, dove realizzò un grande ospedale a Macapà e un lebbrosario a Marituba. Un suo messaggio: “Non si può condividere il Pane del cielo, se non si condivide il pane della terra”. 

30 luglio 2016

18° Domingo Tiempo Ordinario - Ciclo C


SUD SUDAN / FEDELI ALL'IMPEGNO I MISSIONARI NON ABBANDONANO LA GENTE


Padre Moschetti, superiore dei comboniani nel paese, smentisce la notizia di un disimpegno e di una fuga dei religiosi. «Noi siamo con la Chiesa locale, unico punto di riferimento e speranza per tante persone vittime di violenza e di saccheggi».

di Efrem Tresoldi

Alcuni giorni fa un quotidiano italiano riportava l’intervista a un anonimo missionario da poco rientrato da Juba, capitale del Sud Sudan, che dichiarava di aver lasciato il paese dopo essere stato supplicato dalla gente a farlo, a motivo delle condizioni di totale insicurezza e violenza in cui vive la popolazione sudsudanese.

L’impressione ricavata dall’intervista è che tutti i missionari e missionarie la pensino nello stesso modo e siano sul piede di partenza. Un’impressione fuorviante che non riflette la realtà dei fatti. Lo spiega in maniera chiara padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei missionari comboniani in Sud Sudan. «Si tratta di casi sporadici, di pochi missionari che hanno deciso di lasciare. La maggioranza di noi vuole restare. E non è vero che la gente ci incoraggi a lasciare. Al contrario, noi siamo con la Chiesa locale l’unico punto di riferimento e speranza per tante persone traumatizzate e terrorizzate dalla violenza e dai saccheggi. La gente viene da noi e nelle parrocchie per trovare protezione quando ci sono attacchi».

I missionari e missionarie rimasti in Sudan sono 350 (gli internazionali), di cui una quarantina italiani, e 150 i locali, mentre sono 47 le congregazioni che operano nel paese. Alla stregua della gente del posto, i missionari corrono i loro stessi rischi e ne condividono le paure. Racconta padre Moschetti: «Nei giorni scorsi ci siamo trovati nel mezzo del fuoco incrociato tra i soldati dell’esercito regolare del presidente Salva Kiir e i militari leali al vice-presidente Riek Machar, che si sono scontrati nei pressi della residenza presidenziale a pochi passi dalla casa della comunità comboniana in cui vivo con altri cinque confratelli. Lo scontro ha lasciato sul terreno oltre duecento morti, ma a questi vanno aggiunte altre centinaia di vittime negli scontri dei giorni successivi».

Finora regge il cessate il fuoco in vigore da martedì 12 luglio, ma la tregua resta appesa a un filo. Nel frattempo molti hanno lasciato la capitale: stranieri del personale delle ambasciate, funzionari dell’Onu e membri di ong, ma anche migliaia di sudsudanesi, che si sono rifugiati in Uganda.

Non cessano soprusi, violenze e saccheggi. «Negli ultimi giorni i soldati fedeli al presidente Salva Kiir hanno portato via 4.500 tonnellate di derrate alimentari dai depositi del Programma alimentare mondiale, destinate a 250mila persone alloggiate nei campi profughi a Juba e in altre località. Il furto porterà alla fame tanta gente che è già a corto di scorte», deplora padre Moschetti.

Un segno di speranza viene da papa Francesco che, preoccupato dell’aggravarsi della situazione, ha inviato a Juba il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio consiglio per la pace e la giustizia. Ha portato il saluto e la solidarietà del Papa alla gente del Sud Sudan, alla Chiesa, consegnando due lettere al Presidente e al Vice-presidente, invitandoli al dialogo e a ripristinare la fiducia reciproca per un cammino di riconciliazione.

«Siamo grati a papa Francesco per la visita del cardinal Turkson, che dimostra quanto gli stia a cuore la sorte del popolo del Sud Sudan», commenta il missionario comboniano. Il papa aveva già programmato di incontrare in Vaticano Kiir e Machar, poi il programma è saltato con la ripresa delle ostilità. La sua vicinanza in questo momento tanto triste per la storia della nazione ci invita alla speranza e a proseguire nell’impegno per la pace e la riconciliazione. Continuiamo ad augurarci che si realizzi il desidero espresso più volte da Francesco di fare visita personalmente alla nazione. Sarebbe un gesto di straordinaria importanza e fiducia».

Giubileo d'Oro - Sr. María del Carmen Sarmiento, missionaria ad gentes in Paraguay


28 luglio 2016

Giubileo d'Oro - Sr. Paola Oldani, missionaria ad gentes nella Patagonia.

SIGNORE, mio DIO, con cuore semplice e gioioso... ho dato tutto!
(Motto della Prima Professione)

Sempre!  Ogni giorno!
Pellegrinando nella fede,
nella speranza e nell’amore,
fino a raggiungere la PATAGONIA
se alegra mi espíritu
en DIOS mi SALVADOR
Hna. PAOLA OLDANI
1966  06-08  2016   feliz FMA

junto a  MARÍA durante  50 AÑOS
caminamos así:
"VEN... y VERÁS"

En el día del INSTITUTO de las HIJAS DE MARÍA AUXILIADORA
la comunidad RELIGIOSA – EDUCATIVA - PASTORAL
tienen el honor de invitarles a las celebraciones de la BODAS de ORO de la Hermana Paola Oldani
* en el COLEGIO el día 5 de agosto a las 11:00hs.
Sta. Misa presidida por el Obispo, Mons. MIGUEL ANGEL D’ANNIBALE.
A continuación lunch en fraternidad.  (Kirchner 529)
* en el BARRIO S. BENITO  sábado  6 de agosto a las 16:15hs.
Sta. Misa presidida por el Párroco Padre FABIAN GILI
A continuación merienda compartida. (tráiler del Padre Juan)
* en el ORATORIO de DON BOSCO en S. BENITO
domingo 7 de agosto desde las 14:30hs hasta las 17:00hs, en el cuartel de los Bomberos calle 13 y 32.
Comunidad de Río Gallegos,  AGOSTO 2016

Nel giorno del ricordo dell’inizio dell’ISTITUTO DELLE 
FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
la comunità RELIGIOSA – EDUCATIVA - PASTORALE
Ha il piacere di invitarla alla celebrazione delle NOZZE d’ORO di Suor Paola Oldani
* nel COLLEGIO il giorno 5 agosto alle 11.00.
Santa Messa. Presiede il Vescovo Mons. MIGUEL ANGEL D’ANNIBALE. Farà seguito un’agape fraterna.
* nel BARRIO S. BENITO sabato 6 agosto alle 16.15
Santa Messa. Presiede il Parroco Padre FABIAN  GILI. Di seguito verrà distribuita una merenda. (Tráiler del Padre Juan)
* nell’ORATORIO di DON BOSCO in S. BENITO
domenica 7 agosto dalle 14.30 alle 17.00, nella sede dei Pompieri in via 13 e 32.
La Comunità di Río Gallegos, AGOSTO 2016

Tagle, cristiani chini sulle ferite del mondo

Oggi le persone, la società e il pianeta stesso soffrono di molte ferite. L’infedeltà e il fallimento delle relazioni in seno alla famiglia procurano ferite a tutti i suoi membri, i quali purtroppo ne trasmettono di frequente le conseguenze alle generazioni successive. Le culture indigene e le loro tradizioni sono ferite da altre culture che pretendono di essere superiori. L’individualismo, con la sua insistenza unilaterale sui diritti della persona, ferisce molto spesso la capacità delle persone di occuparsi degli altri. L’etnocentrismo, la xenofobia, il nazionalismo e l’intolleranza religiosa sono atteggiamenti sociali che feriscono i più poveri. L’individualismo stigmatizza gli stranieri, le minoranze, i migranti e i poveri; mette loro contro la società – ovvero li discrimina – e li accusa di essere la causa di tutti i problemi.

Anche i mezzi di comunicazione e la tecnologia, pur avendo fornito un contributo positivo alla società, si sono trasformati in strumenti di violenza, di corruzione, di sfruttamento dei bambini e delle donne attraverso il «sesso virtuale». La cultura prevalentemente materialista e consumista in cui viviamo ferisce inoltre i lavoratori indifesi e l’ambiente. Sono in corso conflitti di tipo etnico, politico e religioso, che continuano a generare un numero incommensurabile di rifugiati, di vittime del traffico di esseri umani e di nuovi schiavi. Gruppi internazionali di terroristi distruggono vite, sogni, luoghi dal grande valore storico e culturale e, in definitiva, il nostro meraviglioso mondo.

Soffriamo anche per le ferite causate ai bambini, alle donne e ai poveri in generale dagli abusi perpetrati da alcune figure ecclesiali. Le ferite ci ricordano che devono essere curate. Ma come si fa? Come possiamo collaborare alla loro guarigione? Invito tutti a innalzare lo sguardo al Signore risorto e a imparare da lui. Il Vangelo di Giovanni, tra i resoconti delle apparizioni del Risorto, comprende quella di Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente! ». E gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Cerchiamo di immaginare come si sarà sentito Tommaso. Quando vede e tocca le ferite del Signore risorto, compie la suprema professione di fede. Ciò è stato vero per Tommaso ed è vero anche per la Chiesa in ogni tempo.

Il teologo Tomáš Halík dice che «Cristo gli si avvicina [a Tommaso] e gli mostra le proprie ferite. Ciò significa che la risurrezione non comporta l’eliminazione o la svalutazione della croce. Le ferite continuano a essere ferite». Le ferite di Cristo permangono nelle ferite del mondo. Halík aggiunge: «Il nostro mondo è pieno di ferite. Sono convinto che coloro che chiudono gli occhi sulle ferite del nostro mondo non hanno diritto a dire: “Mio Signore e mio Dio!”». Secondo questo autore, toccare le ferite di Cristo nelle ferite dell’umanità è condizione di una fede autentica: «Non posso credere fino a che non tocco le ferite, il dolore del mondo. Perché tutte le miserie di questo mondo e dell’umanità sono ferite di Cristo. Non ho il diritto di confessare Dio se non sono capace di prendere sul serio il dolore del mio prossimo. La fede che chiude gli occhi sulla sofferenza delle persone non è altro che un’illusione».

La fede, dunque, nasce e rinasce di continuo solo dalle ferite del Crocifisso e del Risorto, che vediamo e che tocchiamo nelle ferite dell’umanità. Solo una fede ferita è credibile, conclude Halík. Mostrando le ferite ai discepoli, Gesù vuole mantenere viva in loro la sua memoria. Le ferite di Gesù sono le conseguenze della sua relazione amorevole e ricca di compassione verso i poveri, i malati, i pubblicani, le prostitute, i lebbrosi, i bambini, gli emarginati e gli stranieri. Gesù è stato crocifisso per aver amato queste persone concrete, ferite loro stesse dalla società e dalla religione. Avendo condiviso le loro debolezze e le loro ferite, è giunto alla perfezione in quanto fratello comprensivo e non in quanto rigido giudice. C’è poi un altro aspetto da sottolineare. Tali ferite ricordano ai discepoli anche il loro tradimento e abbandono, quando, impauriti, cercarono di salvare sé stessi. Ma ciò che rende realmente l’apparizione di Gesù un mistero divino è il fatto che egli non si vendica dei suoi discepoli. Al contrario, offre loro la pace, la riconciliazione, la possibilità di cambiare e di convertirsi. Le ferite di Gesù inducono i discepoli a credere che, anche se c’è stato un tradimento, è possibile la riconciliazione. Le ferite del Signore risorto offrono ai peccatori e ai traditori la giustizia divina, non la condanna. Se vogliamo essere operatori di guarigione, dobbiamo essere consapevoli che il nostro mondo contemporaneo tendenzialmente si rifiuta di guardare e di toccare le ferite di Cristo nelle ferite delle persone.

Abbiamo paura a guardare e a toccare le ferite perché ci spaventa vedere in faccia la nostra mortalità, la nostra debolezza, la nostra realtà di peccatori, la nostra vulnerabilità. Ci affascina l’idea che, se abbiamo molti soldi, una buona assicurazione, se siamo ben protetti dentro le nostre case, possediamo l’ultimo modello di qualche automobile e i più aggiornati apparecchi elettronici e frequentiamo una buona palestra, possiamo essere immortali. Ci costa riconoscere che eliminiamo le persone ferite dai dintorni delle nostre case, le facciamo sparire quando abbiamo visite importanti e nascondiamo le loro baracche dietro pareti decorate da piacevoli murales. Nell’ottobre 2015 ho visitato il campo profughi di Idomeni, in Grecia, vicino alla frontiera con l’ex repubblica iugoslava di Macedonia. Erano arrivate fin lì migliaia di persone affamate, stanche e disperate, in fuga dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan in guerra. Avevano potuto portare con sé solo qualche indumento e il loro tesoro più prezioso: la propria famiglia. Là le ferite si potevano vedere, se ne poteva sentire l’odore, le si poteva toccare. In quel luogo vi era molta angoscia, ma c’era anche molto coraggio, molta dignità e un grande e valido impegno a mantenere viva la speranza.

Ho parlato con una donna greca che stava sovrintendendo alla distribuzione di cibo, vestiti e medicine. Era un’operatrice attiva nel campo. Le ho domandato se faceva parte del suo lavoro. Mi ha risposto di no, che si era offerta come volontaria. Sorpreso dal fatto che aggiungesse un servizio al lavoro ordinario, le ho chiesto perché. Mi ha risposto: «Anche i miei antenati sono stati profughi. Ho la condizione di rifugiata nel Dna. Questi profughi sono miei fratelli e mie sorelle. Non li posso abbandonare». Sono parole di amore e di misericordia che provengono da generazioni di persone ferite. Quando, poco dopo, stavo per andarmene da quel luogo, ho visto un cartello che indicava l’uscita: in greco, c’era scritto Exodos. Esodo. Sì, Dio è alla guida del suo popolo. Il Signore risorto sta conducendo i feriti sulla via che, dal terrore della morte, va verso la speranza di una vita nuova. In quel campo c’era il Signore risorto. L’ho incontrato lì, tra i feriti.

27 luglio 2016

Migrantes: l'assassinio di p. Jacques "non indebolisca la cultura dell'incontro"

Roma - L'assassinio di Padre Jacques “non indebolisca la cultura dell'incontro”. E' quanto chiede Mons. Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, commentando il "barbaro assassinio" del sacerdote francese avvenuto ieri mattina in Francia durante la celebrazione della Santa Messa.
Un episodio che "scuote le coscienze di ognuno di noi", evidenzia il direttore dell'organismo pastorale della CEI sottolineando che si tratta di "un nuovo omicidio che colpisce un innocente, come tanti altri nel mondo, che rappresenta - agli occhi del terrorismo - un simbolo della civiltà occidentale. Mentre preghiamo il Signore, ricco di misericordia, per il parroco ucciso e per la persona ferita siamo vicini al vescovo e al presbitero dell' arcidiocesi di Rouen, alla Chiesa di Francia. Dobbiamo - aggiunge - avere il coraggio di mantenere il nostro cuore libero dall'odio, ponendoci di fronte al nuovo martirio in terra europea con la mente rivolta alle parole di Gesù: 'Avete inteso che fu detto: ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per coloro che vi maltrattano e vi perseguitano'".
Per Mons. Perego "ogni cedimento alla cultura della vendetta, alla superficiale e pericolosa coniugazione tra terrorismo e islam, tra migrazione e terrorismo, genera paura, odio, conflittualità diffusa e indebolisce la cultura dell'incontro, la civiltà dell'amore, la sola che può dare un futuro all’Europa". (Raffaele Iaria)

Valiant Women


I write today of two women in South Sudan, one a missionary whose life was tragically ended in unprovoked violence last week; and one a young woman who, against the odds, has just graduated from Loreto School in Rumbek: two women of great character from very different backgrounds, whose own words convey strong and moving messages.

The first is Sr Veronica SSpS, a Holy Spirit Sister, a medical doctor and hospital administrator well known to many of us. I attach a brief summary of the event of her tragic death last week, as written by her congregation. In early 2014, not long after violent conflict erupted in South Sudan, Veronica herself wrote the following, faith-filled words:
Recently somebody asked me why I am staying here under such circumstances. Why- Because Jesus continued his way and did not give up when it became difficult. He accepted suffering, hardships and carried the cross till the end. He remained obedient to the will of the Father. He was always with the people. He did not abandon them. He was even ready to accept the death, because he loved them. Being a woman disciple of Jesus I am following the footsteps of Jesus in the power of the Holy Spirit. I cannot leave the people of South Sudan because I love them. They are happy that we stay with them, pray with them and work together building this young and fragile country. The people need our support, prayer and help. At this junction I would like to thank to all who supported us with their prayers, sacrifices and finances. We are called to be a sign of hope especially in the time of darkness. God will never abandon us because he is he is our Emmanuel=God with us.

The second young woman, whom I have met on my visits to Loreto for School Board meetings, wrote as follows. I have changed only her name.
‘I am Mary Theresa Legge. I am the first born in a family of quiet a good number of children, six stepmothers and several aunts and uncles. The size of the family made it too hard for me to attend my studies regularly. This was because I had to do my domestic duties which at times prevented me from going to school. This was worst especially when I was in primary.
My stepmothers with whom I stayed wanted me to sit at home doing domestic work as my young step siblings went to school. My mother got pregnant when she was a young girl by my father. Her father did not want my father so he gave her to another man and my father took me. He gave me to my stepmothers with whom I stay today. These women were not good to me and kept pushing me from one person to another working for them. Sometimes, I went to school late because I had to first sweep a large compound, wash the dishes, fill the pots with water and prepare breakfast before going to school. I found the school gate locked and consequently I received a lot of beatings from my teachers. This made me cry bitterly because nobody understood what I was going through.
If I went to school without doing any one of my domestic duties, my stepmother beat me and refused me from eating lunch and supper. Lunch was not a problem to me because I was used to live without it. In the morning when I went to school, I had to carry the money with me so that I passed by the market to buy what to cook for supper after school. I dropped my school bag on arriving home and went straight to the kitchen to prepare supper. I only rested at night when I shared one thin mattress with my two cousins. My father used to leave very early in the morning and come late in the evening. He did not know much of what I was going through and I did not make any step to tell him because he would have even beat them. That was the last thing I wanted, so I chose to keep it for myself.
Most of my age mates who experienced life almost like mine looked for husbands and advised me to do the same. They said it was the only way I would have found peace and love but I refused. My father struggled to make sure I stayed in school though I was academically poor. Resources to educate me were also a huge problem with all the number of children he had. I struggled to finish primary school.
I miraculously passed my exams. This gave me more hope and interest to continue my studies. After my primary school, I had no idea of what I could do next. My father could not manage to continue my studies because he lost the only lumbering machine which was the only source of our income. It was stolen by the co-workers of my father. God with mighty works and opened another way as I was almost giving up. He got a job and I also heard of Loreto which my father suggested immediately when he got a job. I prayed so hard to God so as I get an admission and God answered my prayers. The first day I arrived at school, I was taken to the dormitory by my ‘school mother’. The fact that Loreto was a boarding school made me so happy. As I stood there that day, I knew it would have been my next home. A home that I had loved so much and longed for.
The school made me discover my very self that God had given me but did not know. As I stayed in school doing my studies, I started doing very well academically. I discovered that I only needed a place like this to resurrect. I have discovered that boarding school is the best for girls to wake up and discover themselves like I did. Today, I have finished my secondary education and working with my school, getting experience as I wait for God to open a way for me to continue. I believe that even in the darkest hour of life, God can still show his might and power.’

So much can be achieved if opportunities are given. There are currently just over 400 missionaries in South Sudan. Each would say with Sr Veronica, ‘We are called to be a sign of hope especially in the time of darkness’. What hope would other girls have, in similar situations to Mary Theresa in this polygamous society, if the Loreto Sisters had not chosen to go the Rumbek and, with the generous support of many donors, develop a quality boarding school for girls? It is not easy to be a girl or woman in South Sudan but missionary sisters certainly bring genuine hope that life can be better.

Sr Veronica wrote: ‘He (Jesus) did not abandon them. He was even ready to accept the death, because he loved them.’ Veronica, an immensely talented woman gave her life so that others may come to know, asMary Theresa said, ‘that even in the darkest hour of life, God can still show his might and power,’ a might and power, not imposed by soldiers with weapons, but delivered with the profound tenderness of one who cares for others.

We salute these two valiant women in their resolute belief, and in the power of their love.

24 luglio 2016

SOR MARTHA GARZAFOX REGRESA A CASA.

Suor Marta GARZAFOX é tornata alla Casa del Padre (15 luglio 2016).









Suor Marta GARZAFOX

Carissime sorelle, la mattina del venerdì 15 luglio 2016, nell’Ospedale Generale di Saltillo (Messico), il Signore ha chiamato a ricevere il premio eterno la nostra cara sorella Suor Marta GARZAFOX. Nata a Monterrey (Messico) il 22 febbraio 1925. Professa a North Haledon (USA) il 5 agosto 1945. Appartenente all’Ispettoria Messicana “Mater Ecclesiae”.
Marta ringraziava il Signore per averla fatta nascere in un ambiente cristiano. La famiglia era formata da due fratelli e cinque sorelle. Frequentò la scuola nel “Colegio Excélsior” di Monterrey diretto dalle FMA. Conseguito il diploma della scuola commerciale, espresse il desiderio di diventare religiosa salesiana. Di quel momento scrisse: “Crebbe in me il desiderio di essere come le mie assistenti e maestre. La direttrice, suor Dolores Tijerina, mi incoraggiò a parlare con il confessore. Mi mosse a fare questo passo l’esempio delle mie maestre, non ci fu bisogno di parole, e il Signore mi concesse di seguirle. Venni accolta da madre Ersilia Crugnola, che si trovava in visita e mi inviò ad Haledon per iniziare il cammino formativo”.
Dopo la professione religiosa, suor Marta ritornò in Messico, ma venne subito inviata come maestra e assistente a Laredo, poi svolse lo stesso compito a San Antonio, case che appartenevano alla stessa Ispettoria Messicana. In quegli anni frequentò vari corsi. Nel 1953 venne trasferita al “Colegio Excélsior“ di México dove per dieci anni fu insegnante di Commercio in lingua Inglese. Perfezionò la sua preparazione professionale e ottenne il diploma in Diritto Mercantile, di Infermiera e di Assistente sociale.
Durante il noviziato, suor Marta aveva fatto la domanda missionaria, perché desiderava andare ad “Agua de Dios” tra i lebbrosi, ma il Signore le aveva preparato un’altra missione. Nel 1963, venne inviata con altre tre consorelle ad aprire la prima casa nella regione dei mixes: Tlahuitoltepec. Era un luogo molto povero dove le FMA erano chiamate ad aprire un dispensario, preparare le catechiste, formare le famiglie, alfabetizzare ed evangelizzare la gente. Suor Marta, che era infermiera, poco tempo dopo aprì un internato per i bambini denutriti. Raccontava: “Era necessario curare quei piccoli a tempo pieno, perché se tornavano alle loro case, non avevano da mangiare; era necessario anche insegnare loro molte cose e c’era bisogno di tanta pazienza che non so dove la trovai”. Coinvolse nella missione le exallieve e le famiglie e, poco a poco, riuscì ad attrezzare il dispensario e a rispondere ai bisogni dei bambini.
Suor Marta dedicò la maggior parte della sua vita all’educazione dei mixes. Per un triennio (1970-1973) fu direttrice ad Ayutla e maestra a Matagallinas, per due anni fu incaricata del dispensario medico a Totonpepec, ma la maggior parte della sua missione si svolse a Tlahuitoltepec. In tutto lavorò tra i mixes per 33 anni. Fu soprattutto ‘madre’ e seppe guadagnarsi il rispetto e l’affetto della gente. Tanta era la fiducia della gente in lei che perfino fece parte del “Consejo de ancianos”. La sua dedizione venne riconosciuta pubblicamente e ricevette premi dalle Organizzazioni della Società Civile per il lavoro svolto in favore della donna e della gioventù indigena.
Dal 2011 si trovava a Ciudad Guadalupe, nella Casa ispettoriale per motivi di salute. L’anno seguente venne accolta nella casa “S. María de Nazareth” di Saltillo Los Valdez per ricevere le cure adeguate. In questi ultimi anni la sua salute andò debilitandosi per problemi respiratori, crisi cardiache e mancanza di ossigeno. Alcuni giorni fa soffrì una caduta e dovette essere ricoverata in ospedale, ma la sua situazione peggiorò. Morì serenamente mentre era accompagnata da una consorella.
Il Signore venne a prenderla per portarla a godere il suo amore misericordioso e per concederle il premio alla sua vita tutta donata alle opere di misericordia verso i piccoli e i prediletti di Dio. Le chiediamo di intercedere per i bisogni dell’Ispettoria e di concederci un cuore missionario.

L’Ispettrice
Suor Myrna E. Rodríguez

23 luglio 2016

Tauran: solo la cultura dell'incontro sconfigge odio e terrorismo


Non c’è altra soluzione che educare alla cultura del dialogo e dell’incontro: è quanto afferma ai nostri microfoni il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, commentando gli attentati che stanno sconvolgendo la vita quotidiana di così tante persone. Ascoltiamo il porporato in questa intervista rilasciata a Marie Duhamel:


R. – Au fur et à mesure que les nouvelles sont arrivées…
A mano a mano che arrivano queste notizie, uno si chiede: “Ma perché? L’uomo è forse fatto per la morte?”. Eventi di questo tipo non possono non suscitare queste domande fondamentali sul senso della nostra vita… Credo che in un mondo in cui tutto è precario, anche il nostro rapporto con la morte è cambiato. Una volta si diceva: “Prima o poi si dovrà morire”, ma in fondo non ci credeva nessuno. Adesso, la morte è in agguato ogni giorno: usciamo di casa ma non sappiamo se ci torneremo. E credo che questa sensazione sia estremamente inquietante per la gente …

D. – Di fronte a tale precarietà della vita, quale atteggiamento possiamo assumere?
R. – C’est d’abord l’éducation…
Sta tutto nell’educazione. E’ in famiglia che si deve iniziare a educare i figli a rispettare gli anziani, a studiare la storia. Noi non siamo i primi: siamo parte di una comunità che ha una sua storia che è necessario conoscere e assimilare. Penso anche che sia necessario elaborare una nuova filosofia dell’incontro. Non si potrà essere felici gli uni senza gli altri e ancor meno gli uni contro gli altri …

D. – E con la fiducia in Dio…
R. – En Dieu, oui, parce-que finalement …
Sì, in Dio, perché in definitiva è Lui che guida la storia …

D. – Qual è adesso il pericolo più grande?
R. – Le grand danger c’est que une fois passé la douleur et la révolte, ce soit la haine qui envahisse notre…
Il pericolo maggiore è che una volta passati il dolore e la ribellione, sia l’odio a invadere i cuori, le nostre conversazioni e i nostri atteggiamenti. Dobbiamo aiutarci vicendevolmente ad ascoltare la voce di Gesù che ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e io vi ristorerò”. Ma il dialogo continua: ci sono state testimonianze di solidarietà veramente commoventi da parte musulmana – penso al principe bin Talal di Giordania – e progredisce anche: abbiamo ripreso gli scambi con l’Università al-Azhar del Cairo. Poi, dobbiamo considerare i sentimenti della maggior parte dei musulmani che condannano queste azioni, questi crimini abominevoli. Credo che si imponga un’urgenza: ed è l’educazione. L’educazione delle giovani generazioni. La persona diversa da me, che pratica un’altra religione, non è un nemico. Siamo tutti creature di Dio, siamo l’umanità; tutti noi abbiamo ricevuto due doni straordinari da Dio: l’intelligenza per comprendere e il cuore per amare. E’ questo il messaggio che deve essere diffuso ed è questo il messaggio che i giovani devono ascoltare e devono vedere che ispira la nostra vita quotidiana.

D. – Adesso più che mai è l’ora del dialogo…
R. – Il n’y a pas d’autre solution: c’est le dialogue …
Non c’è altra soluzione: è il dialogo. Come dico sempre, “siamo condannati al dialogo”.

D. – Lei è ottimista nonostante questa situazione?
R. – Un libre vient de sortir, il rassemble quelques-unes des mes interventions dans le domaine…
E’ in uscita un libro nel quale sono raccolti alcuni miei interventi in ambito interreligioso; il titolo è evocativo: “Credo nell’uomo”. Io so che per l’uomo è sempre possibile cambiare, è sempre possibile la conversione. E credo molto nel potere del cuore. So, grazie alla mia fede, che la morte non è l’ultima parola.

D. – Una parola su quanto sta succedendo in Turchia…
R. – Je ne veux pas m’engager sur le domaine politique…
Non voglio entrare nell’ambito politico, perché non rientra nelle mie competenze. Ma avere intrapreso la strada della repressione rende più difficile per la Turchia essere un ponte tra Oriente e Occidente e un partner nel dialogo interreligioso. Penso, però, che dovremo aspettare l’evolversi degli eventi …

D. – Cosa deve comprendere oggi l’umanità?
R. – Il n’y a pas d’autre philosophie…
Non esiste altra filosofia se non quella di comprendere che siamo tutti parte della stessa umanità, siamo tutti alla ricerca di Dio e dobbiamo rispettarci.

http://it.radiovaticana.va/

22 luglio 2016

Neo-missionarie a Roma




Sono arrivate a Roma, in Casa generalizia, le neo-missionarie che saranno nel cuore della Chiesa e dell’Istituto per un anno, in preparazione alla missione ad gentes. Queste sorelle formano la spedizione del 140esimo anno della Prima Spedizione Missionaria (1877 – 2017).

Il 18 luglio, il gruppo ha cominciato il corso intensivo di italiano, con la professoressa Barbara Marchisio, insegnante all’Università Gregoriana. Il corso ha una durata di due mesi, poi le neo-missionarie insieme alle missionarie che frequenteranno il Corso di Pastorale Missionaria all’UPS si sposteranno a Mornese per vivere l’esperienza carismatico-missionaria in compagnia di Madre Mazzarello e della prima comunità. Il 25 settembre, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, riceveranno il mandato e il crocefisso missionario alla presenza del Rettor Maggiore e della Madre.
Questo periodo di integrazione in una comunità internazionale come quella di Casa generalizia, è molto importante per le neo-missionarie perché è già un’esperienza per imparare e vivere l’interculturalità.

Alle neo-missionarie è stata chiesta una piccola testimonianza su quello che significa per loro prepararsi per la missione ad gentes nel cuore della Chiesa e dell’Istituto. Ecco quanto hanno condiviso:

«Significa rinnovare le radici della mia vocazione e rendermi disponibile per portare l’annuncio della Buona Notizia del Regno dove il Signore mi invierà. Non cammino da sola! Sono con me tutte le sorelle che mi accompagnano con la preghiera e le sorelle di Casa generalizia che con la loro gioia e testimonianza mi fanno vedere quanto è bello essere tutta del Signore» (suor Aída Lucía Bohórquez Gasca - CBN)

«Prepararmi bene e rafforzare il profondo desiderio di essere missionaria. Sono felice di condividere la vita con le sorelle provenienti da varie Ispettorie. È bello sentirsi chiamata a lavorare nella vigna del Signore. Desidero imparare bene la lingua italiana per capire bene tutto ciò che impareremo, per ben vivere la mia futura missione» (suor Mary Chacko - INB)

«Sono veramente riconoscente a Dio per il dono della mia vita, della mia vocazione come Figlia di Maria Ausiliatrice. Mi sento felice di essere nella casa della Madre per prepararmi alla missione ad gentes. È veramente affascinante essere in una comunità internazionale e ampliare la mia visione. Questa preparazione mi aiuterà molto, dopo, dove sarò inviata. È bello poter vivere qui, respirare lo spirito dell’Istituto, assorbire meglio la sua missione» (suor Annarani Cherayath - INM)

«Sembra un sogno, eccomi qui... missionaria della gioia e della speranza. Sono felice e riconoscente a Dio per tutti i doni ricevuti. Mi sento a casa… è un regalo esserci qui nella Casa della Madre! Casa che accoglie, cura, condivide la vita e vive il vero amore di Dio in mezzo a tante culture diverse. Prepararmi per la missione ad gentes proprio qui è una grande e profonda ricchezza spirituale e umana» (suor Monica Hivana - BMA)

«Ringrazio Dio che mi ha concesso il dono della vocazione salesiana e missionaria. In questo tempo di preparazione alla missione ad gentes sento che pure il mio cuore diventa sempre più forte e robusto, grande e grande ... Spero di poter vivere non secondo la mia volontà ma secondo la volontà di Dio. Lungo questo anno vorrei scoprire quale è il progetto di Dio su di me» (suor Yun Hee Kyung Elisabetta - KOR)

«Mi arricchisce la possibilità di vivere uno stile di vita interculturale. Mi sento serena e aiutata a rispondere alla chiamata di Dio. Sono molto felice: qui siamo una grande famiglia e ognuna è mia sorella. Spero di essere accompagnata per diventare una brava missionaria e assaporare l’eredità spirituale dei nostri fondatori» (suor Bui thi Thuy Phuong Maria - VTN)

«L’amore di Dio è eterno! Con questa certezza e con tanta gioia nel cuore inizio questa bella esperienza che mi invita a vivere con fiducia e sempre in cammino. Mi affido alla grazia di Dio e alla presenza materna di Maria. Figlia di Maria Ausiliatrice per sempre, dovunque Dio mi invii! (suor Domínguez Areco Laura Elizabeth - PAR)

«Sono riconoscente a Dio per l’opportunità di essere una FMA in preparazione alla missione ad gentes, nell’Istituto e nella Chiesa. Spero di poter rispondere con fedeltà e radicalità alle sfide che il Signore mi offre in questo nuovo e bel periodo» (suor Molina González Cecilia - CIL)

«È un grande dono per me vivere nella Casa Generalizia. Qui si trova la nostra fonte! Vivere in una comunità internazionale, con tante culture diverse, ma anche molto ricco di spirito e vita, per me è un'opportunità di vivere la fraternità con lo stesso spirito del Fondatore. Sento che questa è la mia casa. Vorrei imparare, condividere, prepararmi bene per la missione ad gentes. Desidero conoscere i luoghi dei nostri fondatori per ricevere la grazia di Dio e pregare per la mia vocazione, per la santità dell’Istituto e per la Chiesa» (suor Nguyen thi Le My Teresa - VTN)

«Sono molto contenta di essere presso la Casa Generalizia per prepararmi alla missione ad gentes. Stare con sorelle di diverse nazionalità è già un'esperienza di annunciare l'amore di Cristo a tutti. Mi sento così benedetta e riconoscente al Signore che mi ha aperto il mio cuore per rispondere con coraggio alla sua chiamata. Spero che, con quest’opportunità di vivere nel centro della Chiesa e dell’Istituto il Signore continui a purificare il mio cuore e tutto il mio essere in modo che possa essere veramente la sua luce ovunque Lui mi invierà» (suor De la Rosa Theda - FIL).

Quasi 3 mila morti nel Mediterraneo

Non rimanere indifferente...

20 luglio 2016

SEMANA EDUCADORES

CENTRO CULTURAL MISSIONÁRIO (CCM)

PONTIFÍCIAS OBRAS MISSIONÁRIAS (POM)

ASSOCIAÇÃO NACIONAL DE EDUCAÇÃO CATÓLICA DO BRASIL (ANEC)

A INFÂNCIA E ADOLESCÊNCIA
MISSIONÁRIA NAS ESCOLAS

3ª SEMANA DE FORMAÇÃO MISSIONÁRIA PARA EDUCADORES

Brasília, de 25 a 29 de julho de 2016
O Centro Cultural Missionário (CCM), as Pontifícias Obras Missionárias (POM) e a Associação Nacional de Educação Católica do Brasil (ANEC), promovem, em Brasília, na sede do CCM, uma Semana de Formação Missionária para educadores e educadoras com o tema: “A Infância e a Adolescência missionária nas escolas”.
Há algumas décadas, grupos de Infância e Adolescência Missionária (IAM) vêm surgindo em todo Brasil, ganhando espaço não apenas em comunidades e paróquias, mas também nas escolas católicas. Sente-se a exigência de uma formação sempre mais aprimorada dos educadores e das educadoras que acompanham esses grupos, assim como de um aprofundamento da identidade e da proposta missionária da IAM para melhor integrá-la no projeto pedagógico das escolas, e na própria formação de seus agentes.
Papa Francisco afirma em sua Exortação Apostólica Evangelii Gaudium: “as escolas católicas, que sempre procuram conjugar a tarefa educacional com o anúncio explícito do Evangelho, constituem uma contribuição muito válida para a evangelização da cultura”. Educação e missão, portanto, hão sempre de andar juntos.
Convidamos educadoras e educadores, e coordenadores de pastoral nas escolas, a participar desse importante momento de formação conjunta, para que todos e todas se sintam sempre mais capacitados e qualificados a despertar o protagonismo de nossas crianças e adolescentes com o olhar além-fronteiras.

CLIQUE PARA VER O CONTEÚDO PROGRAMÁTICO

CUSTO TOTAL DO CURSO: R$ 700,00
OBS. Para quem chegar antes e sair depois das datas do curso,
serão cobradas diárias no valor de R$ 50,00.
FORMA DE PAGAMENTO:
1. Transferência Bancária: Banco Itaú / Agência: 0522 / Conta: 01282-2.
2. Cheque Nominal ao Centro Cultural Missionário.
3. Solicitação de Boleto Bancário no preenchimento da Ficha de Inscrição.
[O Boleto será enviado via Email]

FAÇA AQUI SUA INSCRIÇÃO

18 luglio 2016

EXPERIÊNCIA MISSIONÁRIA COM O POVO INDÍGENA

Em 2014, tive a oportunidade de acompanhar dom Edson Damian, nosso bispo na diocese de São Gabriel da Cachoeira (AM), em suas viagens às paróquias do Alto Rio Negro, na região Amazônica, para colaborar com o trabalho de catequese inculturada indígena.


O processo que já vinha sendo desenvolvido há alguns anos nesta diocese, conhecida por ser a porção mais indígena do Brasil, tomou novo impulso com a elaboração, a partir dos próprios indígenas, de roteiros catequéticos incorporando valores tradicionais de suas culturas. Denominado “A Boa-Nova das Culturas Indígenas acolhe a Boa-Nova de Jesus”, esse projeto vem sendo levado adiante pelos catequistas indígenas, mas a publicação do conjunto de roteiros aguarda ainda recursos para sua efetivação.
Dom Cláudio Hummes, presidente da Comissão Episcopal Pastoral para a Amazônia da CNBB, participou da semana catequética no povoado de Iauaretê e incentivou o encaminhamento ao Vaticano do pedido de celebração da Eucaristia em língua tukano, majoritariamente falada na região.
Desde 2015 estou me dedicando à evangelização nas comunidades ribeirinhas na região do Médio e Baixo Rio Negro, tendo como base a paróquia correspondente ao município de Barcelos, com cerca de 25 mil habitantes. Trata-se da segunda paróquia mais extensa do Brasil. A cidade abarca uma realidade complexa, com turismo sazonal de pesca esportiva, o que significa um turismo feito por homens, em geral de meia idade, que viajam sem a família e dispostos a aventuras diversas. A prostituição cresce imensamente no verão, e registram-se casos comprovados de tráfico de meninas. Também o tráfico de drogas é relevante, notando-se aumento gradativo da violência criminal.
As raízes culturais indígenas continuam visíveis, mas poucas pessoas mantêm as línguas originais. A miscigenação é o denominador comum, inclusive em muitas comunidades ribeirinhas que compõem o município.
São aproximadamente 45 comunidades, e mesmo aquelas que se declaram indígenas já deixaram de falar suas línguas nativas e sofrem a influência da modernidade. Tradicionalmente católicas, as comunidades têm recebido muitas Igrejas evangélicas já consolidadas na cidade de Barcelos. Este ano, as Testemunhas de Jeová priorizaram o Rio Negro. Só para Barcelos destacaram 400 missionários que se revezam a fim de manter a permanência de cerca de 40 missionários por mês. Não existe catequese católica organizada nas comunidades, e poucas se reúnem regularmente para a celebração da Palavra de Deus. Nosso trabalho consiste em procurar formar catequistas e ministros da celebração, passando alguns dias nas comunidades que os desejam.
A paróquia local proporciona a cada ano uma semana de formação denominada Encontro Eclesial de Ribeirinhos (EER), sendo que um padre visita todas as comunidades ao menos uma vez por ano, administrando os sacramentos e fazendo o acompanhamento possível. São as chamadas itinerâncias, das quais tenho participado desde que aqui cheguei e espero continuar a fazê-lo até o final de meu período de missão, se Deus quiser.

* Maria Soares de Camargo (foto), leiga missionária de Campinas (SP) há seis anos na diocese de São Gabriel da Cachoeira. A missionária foi enviada pelo projeto dos regionais Sul 1 e Norte 1 da CNBB.

Mokrani: Is porta avanti ideologia diabolica antireligiosa


Sgomento, rabbia, sconforto. Sono alcuni dei sentimenti che prevalgono, in Francia come altrove, dopo la strage di Nizza ad opera di un uomo che, il sedicente Stato Islamico, ha definito un suo “soldato” che ha risposto all’appello a colpire gli occidentali. Il rischio è ora che si radicalizzi sempre più lo scontro tra mondo islamico e non musulmani. Un pericolo assolutamente da evitare, come sottolinea – al microfono di Alessandro Gisotti – il teologo musulmano Adnane Mokrani, docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica (Pisai):


R. – Questi atti terroristici e criminali stanno colpendo i posti più fragili e non protetti: i cittadini innocenti per strada, in aeroporto oppure al mercato… Si tratta dunque di una criminalità cieca, totalmente cieca. E in questa ideologia criminale troviamo una totale assenza del senso del sacro: non c’è più sacralità, non c’è più il sacro in questa ideologia. Prima di Nizza, hanno colpito Istanbul e a Baghdad un mercato, alla vigilia della festa per la fine del Ramadan, dove hanno bruciato vivi i bambini e le famiglie che andavano lì per comprare vestiti nuovi per la festa. Hanno colpito i luoghi sacri dell’Islam, come la Moschea del Profeta Muhammad a Medina. C’è dunque un gruppo terroristico che ha un’ideologia criminale e cieca; esso vuole creare una spaccatura – una divisione, una polarizzazione – tra il mondo islamico e l’Occidente, il mondo cristiano, gli ebrei, ecc.; ciò per nutrire una guerra, in cui loro possono pescare delle anime fragili e piene di odio.

D. – Il sedicente Stato islamico ha affermato che l’attentatore di Nizza ha risposto "all’appello di colpire l’Occidente"…
R. – Se vediamo il profilo di queste persone, in Francia o in Belgio, ci rendiamo conto che sono molto simili: sono persone con un passato di delinquenza, criminale o che sono passate dalla prigione. Queste persone, di conseguenza, nutrono un certo odio verso la società, a causa dei loro fallimenti personali. Si trovano queste persone e si manipolano i loro cervelli e le loro anime: questo è un lavoro satanico.

D. – Si può dire che questa è un’opera diabolica: lei faceva riferimento alla distruzione di luoghi sacri dell’Islam, oltre che – ovviamente – all’uccisione di vite umane, di persone musulmane, bambini….
R. – Sì, sicuramente. È un’ideologia antireligiosa, anche se pretende di essere religiosa. Perché il senso del sacro non c’è più; non c’è nessun limite a questa violenza! Tutti possono essere colpiti; forse anche gli stessi genitori di queste persone. E quindi questo è diabolico.

D. – Secondo lei, è presente oggi anche una riflessione interna al mondo islamico?
R. – Sicuramente c’è un grande dibattito tra i musulmani, sia nei Paesi a maggioranza islamica sia in Occidente, sulle cause di questo fondamentalismo e ideologia, e su come si possa rispondere in modo spirituale, umano, e anche democratico. C’è un grande malessere e dolore nel vedere queste stragi, che fanno molto male. Ma, sul piano teologico e pedagogico – secondo me – in Europa c’è bisogno di formazione per gli imam, affinché possano preparare persone adatte a guidare i giovani, a parlare con loro e a diminuire così i rischi della radicalizzazione.

D. – Questo è chiaramente un qualcosa che ha a che vedere con l’educazione e ovviamente guarda al medio termine. Nell’immediato – secondo lei – che cosa si può fare?
R. – Nell’immediato, innanzitutto non dobbiamo mischiare Islam e terrorismo e non dobbiamo vedere in ogni musulmano un potenziale terrorista. Non dobbiamo quindi cadere nel gioco della polarizzazione, odio e panico, perché questo aumenta i rischi, crea frustrazione e un clima favorevole al terrorismo. Di qui la missione saggia del dialogo interreligioso: dobbiamo impegnarci di più in questo campo per produrre un discorso di resistenza al male e alla violenza.

D. – Proprio quello che – ovviamente – sta facendo anche Papa Francesco, per primo…
R. – Sì, sicuramente. Il ruolo del Papa è molto prezioso, perché lui unisce; parla con parole sagge; non reagisce con l’emozione ma con la spiritualità. È un esempio da seguire, non solo per i cristiani, ma anche per i musulmani.

Sud Sudan: tra fame e paura, un futuro è possibile

La testimonianza di due religiosi lasalliani, responsabili del progetto ‘Solidarietà con il Sud Sudan’, che dal 2007 mira a garantire sanità ed istruzione nel paese


“C’è calma apparente in tutti i centri principali del paese, in realtà questa è una bomba che sta per esplodere”, così scrive da Juba fr. Bill Firman. Il religioso lasalliano è tra i responsabili del progetto Solidarietà con il Sud Sudan operativo dal 2007 nel paese, supportato da oltre 220 congregazioni religiose maschili e femminili, con cinque progetti di formazione concreti e di grande futuro.

“La gente ha paura e fame – afferma fr. Bill – In molti non hanno un riparo, né cibo. Il cugino di un diacono è stato giustiziato dai soldati ad un check point per il solo fatto che era della tribù Nuer. La frontiera con l’Uganda rimane chiusa. Molti cercano di fuggire, invano. L’aeroporto, ieri stracolmo, è aperto, ma volano solo i charter. Croce rossa, medici senza frontiere e molti altri hanno evacuato il loro personale. Ieri 20 guardie nazionali di sicurezza hanno fatto irruzione in un hotel dove si trovavano diverse ragazze australiane ed europee che hanno subito violenze. Un americano che ha cercato di aiutarli è stato colpito ad un piede. L’anarchia crescente è un problema enorme. C’è nervosismo in altre città”.

Firman ha ancora nelle orecchie i colpi dei fucili dei giorni scorsi: “Attorno alla nostra casa, i razzi nel cielo, il compound dei comboniani in mezzo ad una sparatoria; così intorno alla Cattedrale a Kator e altrove. Una storia annunciata”, scrive.

Da parte sua fr. Amilcare Boccuccia, dal 2007 al 2011 responsabile del progetto Solidarietà con il Sud Sudan, afferma invece: “Un sacerdote sudanese me lo aveva detto anni fa: ‘Voteremo senza dubbio il referendum, ma seguiranno 100 anni di guerra civile per divenire un popolo’. Pecca del colonialismo che ha usato le etnie, già tradizionalmente divise, per allontanarle ulteriormente e controllarle; e poi la maledizione del petrolio, in un paese che appare appena esplorato, con introiti usati per tenere buoni i leader delle diverse fazioni mentre la gente ha fame, di tutto”.

Fr. Bill incalza: “Il processo di pace è in panne. Le rappresaglie riprenderanno in altre parti del paese dove i ribelli sono più forti. Il governo del Sud Sudan è in bancarotta. Non paga i soldati e tanti altri dipendenti pubblici, che finiscono per rubare per disperazione. Noi? Vogliamo restare, per continuare a dare risposte di vita ed una speranza possibile”.

L’invito a visitare il Sud Sudan rivolto all’Unione dei Superiori e delle Superiore Generali è di un vescovo e risale al 2006, dopo la firma del trattato di pace di Naivasha che metteva fine alla seconda guerra civile sudanese . Un team intercongregazionale lo esplora con attenzione. “Una la priorità inequivocabile emersa: la formazione” spiega fr. Amilcare. Due gli ambiti scelti: “Istruzione – servivano oltre 100 mila insegnanti – e sanità”.

Oggi sono 264 gli insegnanti abilitati: 175 attualmente impegnati nel tirocinio del quarto anno, 114 in quello del biennio, 3.443 quelli coinvolti complessivamente nella formazione che ha visto docenti spostarsi verso le comunità più lontane per offrire percorsi di studio. Tra i paramedici diplomati ci sono 70 infermieri e 19 ostetriche. Altri 100 sono in formazione.

Cinque le città sede del progetto: Malakal per l’educazione, a nord, ora occupata dai Dinka, Wau, per la sanità dove le Suore Comboniane gestiscono il Training Hospital; al confine con il Congo, Rimenze per la promozione della donna e fiorente centro di agraria e Yambio, per la formazione degli insegnanti, aspetto di cui i lasalliani sono responsabili. Un team è inoltre organizzato per la pastorale e gira tutto il paese per lenire i traumi del conflitto e offrire nuovi percorsi, con un centro di prossima apertura a 16 km da Juba.

Oltre 5 milioni gli euro sono stati raccolti a supporto del progetto nella sola prima fase, tra il 2007 e il 2011. Tra i donatori figurano la Cei, le parrocchie italiane, ma anche tanti privati e organizzazioni in Spagna, Irlanda, Germania. “Non esiste una tradizione nel passato che ha dato a questa coscienza di popolo”, spiega fr. Firman. “Non possiamo scappare. Solo così avremo un rapporto alla pari con loro. Siamo chiamati ad investire, rischiando la vita, per seminare futuro”.

https://it.zenit.org

14 luglio 2016

Un film che racconta la nuova emigrazione italiana

Roma – The Italian way” del regista Luigi Maria Perotti è un film documentario che racconta la nuova emigrazione italiana. Disponibile su Vimeo (all'indirizzo: https://vimeo.com/172116421) è la storia di tre giovani connazionali che, dopo aver affrontato la prova dell'espatrio, si sono stabiliti all'estero affermandosi con successo nelle rispettive professioni. I protagonisti - emigrati a Rio de Janeiro, San Francisco e Londra - raccontano la loro esperienza e come formazione, esperienza, cultura, idee e creatività abbiano permesso loro di affermarsi positivamente nei nuovi contesti di lavoro e di vita, e di guadagnare l'apprezzamento e la stima di colleghi, amici e partner di differenti nazionalità. Sulla base del loro vissuto delineano inoltre alcuni aspetti tipici di "italianità", che - superando gli stereotipi - mostrano di costituire i veri punti di forza delle biografie di successo. Il documentario, prodotto dalla Stamen Film, è stato finanziato dall'Ufficio II della Direzione generale per gli italiani all'estero del Maeci nell'ambito delle attività culturali e informative a favore dei connazionali emigrati.