Nel Sud Sudan, è in corso una crisi umanitaria senza precedenti, alla quale la comunità internazionale è chiamata a porre rimedio con la massima urgenza. E’ l’appello di Medici Senza Frontiere (Msf) che, nei suoi campi di raccolta, dà assistenza sanitaria alle migliaia di profughi che fuggono giornalmente dai territori di confine, dove continua a combattersi un sanguinoso conflitto tra Nord e Sud Sudan per la gestione delle regioni petrolifere. Su questa situazione, oggi si è svolta una conferenza stampa a Roma, con la presenza dell’infermiera di Msf, Chiara Burzio, appena rientrata dal Sud Sudan, intervistata da Giancarlo La Vella:
R. – La situazione è sempre più grave. Se non si riceveranno gli aiuti necessari, peggiorerà di giorno in giorno. Adesso, infatti, con la stagione delle piogge, gli aiuti faticano ad arrivare per la condizione delle strade, che non sono adeguate e non sono praticabili. In più, con le piogge e l’acqua stagnante, ci può essere il problema di malattie ed epidemie come il colera. La situazione, quindi, sta peggiorando. I profughi sono persone che sfuggono dalle violenze al di là della frontiera e vengono a cercare rifugio nel Sud Sudan. A piedi percorrono la strada tra i due Stati e cercano rifugio nei campi, che abbiamo allestito temporaneamente.
D. – Presto all’emergenza già esistente potrebbe aggiungersi un'ulteriore emergenza, che è quella dei tanti sud sudanesi che vivono nel Nord e che potrebbero essere rimpatriati. Come vi state preparando a questa nuova ondata di profughi?
R. – Msf ha già allestito tre campi per rifugiati, per accogliere le persone che arrivano dallo Stato del Nord e non facciamo alcuna differenza sulle etnie, se sono del Sud o del Nord: siamo pronti ad accogliere chiunque.
D. – Quali sono le emergenze maggiori cui dovete porre rimedio?
R. – Sono emergenze che in Italia o in Europa, non sono considerate tali, ma che in un posto come il Sud Sudan sono mortali, come la disidratazione, la malnutrizione, la diarrea o le infezioni polmonari. Là il fatto di non avere l’acqua significa morire.
D. – Com’è possibile stimolare un intervento maggiore da parte della comunità internazionale?
R. – Facendo parlare di più del Sud Sudan, per ottenere così una risposta concreta, immediata a questa emergenza. Più se ne parla e più la gente conosce il Sud Sudan, conosce quali sono i problemi e magari si sente in dovere di aiutare.
D. – Quali sono le situazioni più gravi, anche dal punto di vista umano, su cui siete intervenuti?
R. – La cosa più grave è veder morire le persone per disidratazione. Queste persone camminano chilometri e chilometri sotto il sole, senza poter avere un bicchier d’acqua o comunque senza avere cibo e quindi sono costrette a mangiare le foglie degli alberi. Arrivano in condizioni talmente catastrofiche, che, anche se qualcuno cerca di aiutarli, dal punto di vista medico spesso ormai è troppo tardi.
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