Roma - Il
Pontificato di Paolo VI è caratterizzato non solo da una ricchezza magisteriale
di riferimenti al tema delle migrazioni e della mobilità umana, ma anche da una
vera e propria riorganizzazione della pastorale migratoria, alla luce
dell’ecclesiologia conciliare, che vede, come dirà lo stesso Pontefice in un
discorso del 18 ottobre 1973, “a questa mobilità del mondo contemporaneo”
corrispondere “la mobilità della pastorale della Chiesa”. In tal senso, un
primo importante documento è la Pastoralis
migratorum cura, pubblicata il 15
agosto 1969, a cui segue l’istruzione della sacra Congregazione dei vescovi De pastorali migratorum cura, dove, dopo
aver richiamato il diritto di migrare, si ricorda, tra l’altro, la necessità
che la cura pastorale tenga in debita considerazione il patrimonio spirituale e
culturale dei migranti. La revisione organizzativa continua anche con il motu
poprio Apostolicae caritatis,
pubblicato il 19 marzo 1970. Nella premessa del documento il Pontefice
evidenzia come ormai il campo della sollecitudine pastorale della Chiesa «si è
allargato al massimo nella nostra età, nella quale, grazie al mirabile sviluppo
della tecnologia, sono diventati molto facili i viaggi di qualsiasi genere e si
sono straordinariamente intensificati i reciproci rapporti tra cittadini e
nazioni, ed i contatti tra gli uomini. Proprio per questo l’azione pastorale
dev’essere rivolta non soltanto a coloro che vivono entro i limiti ben definiti
delle parrocchie, delle associazioni e di altri istituti similari, ma anche a
coloro che di propria scelta o per qualche necessità lasciano i loro luoghi di
residenza. Bisogna, inoltre, esaminare da un punto di vista scientifico,
stabilendo anche opportune intese, quali siano le cause di tale fenomeno e le
loro conseguenze, per vedere poi come questi uomini, che si spostano e si
muovono, possano essere aiutati nel loro progresso umano e religioso, e da
quali pericoli debbano essere difesi». Alle strutture pastorali della Santa
Sede create da Pio XII e riguardanti l’emigrazione, l’apostolato marittimo e
aereo, Paolo VI ha aggiunto nel 1965 l’Opera dell’Apostolato dei Nomadi e nel
1967 ha dotato la Sacra Congregazione per il Clero di un ufficio per garantire
l’assistenza religiosa a chi viaggia per turismo. Tutte queste opere legate
alla mobilità e alle migrazioni saranno affidate, nel 1970, alla Pontificia
Commissione per la pastorale dell’emigrazione e del turismo, strumento nuovo
della “la materna sollecitudine della Chiesa, che guarda con attenzione ai
segni ed alle necessità dei tempi, e questa sua testimonianza attiri dolcemente
le anime”. All’organizzazione Paolo VI unirà una rinnovata e originale
riflessione magisteriale, a partire dalle mutate condizioni delle migrazioni di
massa, dal Terzo Mondo verso l’Europa e il Nord America, con un aumento anche
di profughi. Una prima e importante riflessione in tal senso Paolo VI la
propone nell’enciclica ‘Populorum
progressio’, dove sottolinea il rapporto tra tutela delle migrazioni e
sviluppo. La riflessione del Papa continua nella lettera apostolica Octogesima adveniens del 14 maggio 1971.
La lettera, elaborata per l’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum di Leone XIII (15 maggio 1891), sottolinea come
stiano nascendo nuovi problemi sociali da affrontare in spirito evangelico. Tra
i nuovi problemi sociali il Papa ricorda: il declino della produzione agricola
e la tendenza a gravitare sulle città: “L’esodo permanente dalle campagne, la
crescita dell’industria, la continua spinta demografica, l’attrazione dei
centri urbani conducono a concentramenti di popolazione, dei quali a fatica si
riesce a immaginare l’ampiezza, tanto che già si parla di megalopoli,
raggruppanti parecchie decine di milioni di abitanti” (n.8). Tra le vittime
delle nuove situazioni d’ingiustizia, provocate dalle migrazioni dalla campagna
alla città e dal Terzo al Primo Mondo, vi sono tutti quei migranti che sono
oggetto di discriminazione “a causa della loro razza, della loro origine, del
loro colore, della loro cultura, del loro sesso o della loro religione”.
Lottare contro tali discriminazioni è doveroso, perché “[i]n seno ad una patria
comune, tutti devono essere uguali davanti alla legge, trovare uguale accesso
alla vita economica, culturale, civica, sociale, e beneficiare di un’equa
ripartizione della ricchezza nazionale” (n.16). Nei loro confronti si deve
dunque “superare un atteggiamento strettamente nazionalistico” e “creare uno
statuto che riconosca un diritto all’emigrazione, favorisca la loro
integrazione, faciliti la loro promozione professionale e consenta a essi
l’accesso a un alloggio decente, dove, occorrendo, possano essere raggiunti
dalle loro famiglie” (n.17). Il tema della fratellanza universale è presente,
invece, nel messaggio del 10 dicembre 1973 (venticinquesimo anniversario della
dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) e, unito a quello della parità
fra i diritti dell’uomo e della donna, innerva gli ultimi anni del pontificato.
Fratellanza, parità, diritti universali si legano allora al motivo più generale
dell’evangelizzazione del mondo contemporaneo, perché “tra evangelizzazione e
promozione umana – sviluppo, liberazione – ci sono […] dei legami profondi” (Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975,
n.31). Proprio alla fine del Pontificato e della vita di Paolo VI, la
Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo presenta
una lettera su Chiesa e mobilità umana
(28 maggio 1978), che riassume tutti i temi sin qui ricordati. Anzitutto si
riprende una lettura aggiornata dei volti della mobilità alla fine del decennio,
per una pastorale senza frontiere, attenta a coloro che “lasciata l’abituale
residenza, cercano all’estero nuove ragioni e strumenti di vita; si tratta in
gran parte di lavoratori, ma anche di tecnici delle imprese, di esuli e
profughi in cerca di libertà”. La beatificazione di Paolo VI ripropone
parole e gesti di un Pontefice, che ha posto al centro dell’azione pastorale la
tutela della dignità di ogni persona, anche migrante. (Mons. Gian Carlo Perego
- Direttore generale Fondizione Migrantes)
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