Padre Bob McCahill ha 77 anni. È un missionario americano dei Maryknoll e
continua a pedalare in sella alla sua bicicletta per strade di campagna del
Bangladesh. Incontra e aiuta i malati, soprattutto i
bambini. Una testimonianza di amore cristiano tra i musulmani e gli indù.
Su queste strade tutti lo conoscono come Bob Bhai (Fratello Bob: “bhai” è
la parola bengalese per fratello). Sono 38 anni che Padre Bob serve i poveri del
Bangladesh. E’ anche un intrepido ciclista. Macina
decine di chilometri ogni giorno, a volte anche 70, per visitare i villaggi e
incontrare i bambini più bisognosi di assistenza medica. Da quando è arrivato
nel 1975 ha risieduto in 10 città diverse.
Di solito rimane solo tre anni in una città. Secondo
una sua definizione: “il primo anno è quello del sospetto, il secondo quello
della fiducia e il terzo quello dell’affetto ed è anche quello che contrassegna
il tempo di passare a un’altra città per continuare il mio ministero di
amicizia e di guarigione tra i musulmani e gli altri”.
Quando arriva in una città, prende in affitto una stanza fino a quando non
riesce ad avere una capanna di fortuna allestita per lui nella periferia. La capanna è fatta di sottili bastoni di iuta piantati sul terreno
argilloso. Il tetto è rinforzato con
un foglio di polietilene per proteggere l’interno dalla pioggia.
La piccola
capanna può facilmente contenere le poche cose che servono al missionario. Un
letto in legno, uno sgabello basso su cui Bob si siede a pregare, leggere o
scrivere. C’è anche una piccola mensola per tenere alcuni libri essenziali, una
stufa a cherosene con un fornello e un secchio per l’acqua. Le scorte di cibo
(riso o pane) pendono dal tetto in sacchetti di plastica per evitare di
condividere gli alimenti con i topi. Nel rifugio di notte è ospitata anche la sua bicicletta.
La giornata di Bob inizia molto presto. Si alza dal letto alle 3 e 30 e
dopo un’ora di meditazione celebra la messa quotidiana. Mentre è ancora buio
presto prepara la colazione e fa le piccole faccende di casa, prima di impostare
il programma della giornata. Intorno alle 6 e 30 è pronto a mettersi in viaggio
verso i villaggi per incontrare e aiutare i malati, soprattutto i bambini che
devono affrontare infermità e deformità.
Ovunque vada, Bob incontra persone curiose che gli fanno molte domande. Da
parte sua Bob ama sfidare, chiedendo ad esempio: qual è lo scopo della vita?
“Dopo aver fatto questa domanda – racconta il missionario – vedo davanti a me
sguardi perplessi. Allora io dico: ‘I cristiani credono che lo scopo della vita
sia l’amore’. Questa affermazione sorprende i musulmani che a loro volta
credono nell’amore, ma non hanno mai veramente pensato che lo scopo della vita
fosse l’amore”. Molti bengalesi musulmani considerano i vari programmi
missionari cristiani come mezzi usati per convertirli. Ma Padre Bob dissente:
“Non sono uno che fa proseliti ma un evangelizzatore.
L’atto d’amore è evangelizzazione, soprattutto tra le persone che sospettano
che un missionario venga a convertirli e utilizzi l’assistenza sanitaria,
l’istruzione e lo sviluppo sociale a tal fine. Siamo qui per donare a queste
persone amore e rispetto e lasciarli in uno stato d’animo che permetterà loro
di fare lo stesso, pur rimanendo musulmani. Quello che stiamo facendo, e cioè
amare, ha un impatto molto forte sulle persone”.
Venerdì sera
padre Bob si trasferisce a Dhaka in compagnia dei malati e dei loro parenti per
farli curare nei diversi ospedali. Il viaggio dura tutta la notte perché si
deve cambiare spesso bus e salire sui traghetti per attraversare i fiumi. Una volta arrivato a Dhaka, il missionario deve
orientarsi tra il traffico caotico di biciclette, taxi, automobili, autobus
grandi e piccoli che intasano la città densamente popolata.
Tutti guidano in
modo aggressivo e spericolato. Dopo aver verificato che i suoi malati sono
stati ricoverati negli ospedali per le cure, padre Bob va a trovare le persone
che ha accompagnato in città settimane o addirittura mesi prima e che sono
ancora ricoverati. Trascorre parte
della sua settimana passando da un ospedale all'altro, incontrando i pazienti,
infermieri e medici.
La vita è
missione e la missione è la vita di padre Bob. Che non solo vive per i poveri,
ma vive come coloro che serve. Ciò gli dona la pace interiore. Quello che fa
non lo fa per essere lodato: ha seguito una chiamata maturata attraverso la
preghiera e l’impegno. Padre Bob è un Vangelo vivente e la sua vita è un segno
della cura amorevole di Dio, specialmente per coloro che sono malati. Ha
iniziato la sua vita missionaria nelle Filippine.
Dopo 11 anni di
lavoro di lui si diceva che era “pieno di idee e felice”. Si è offerto di
lavorare nel Bangladesh. “Volevo essere un prete-servo qui in Bangladesh” racconta
oggi. In un paese flagellato da disastri naturali, carestie, inondazioni e
guerre, ha voluto dare il suo piccolo contributo per alleviare le sofferenze
della gente. Il fatto che il
Bangladesh è un paese musulmano è stato un fattore secondario nella sua
decisione.
Ma ben presto ne
ha visto il lato positivo: “Il fatto che il Bangladesh sia un paese islamico è
un grosso vantaggio, perché quello che stiamo facendo al servizio dei poveri è
anche al servizio dei musulmani. Per loro ha un grande significato perché hanno
un detto per il quale ‘servendo i poveri, serviamo Allah’”. Presto padre Bob si
sposterà in una nuova città e continuerà il suo ministero di amicizia e di
guarigione tra i musulmani.
Nessun commento:
Posta un commento