Città del Vaticano - “Le comunità
ecclesiali locali devono lavorare assieme per stabilire un comune approccio
umano ai problemi e alle difficoltà inerenti la migrazione (ad esempio
collaborando con le Conferenze Episcopali, i Governi, le organizzazioni non
governative, e le organizzazioni a carattere religioso), al fine di tutelare i
diritti dei migranti e prevenire il traffico di esseri umani, lo sfruttamento e
altri crimini del genere. Insistendo sul lavoro all’interno delle reti sociali
(che inizia dal semplice scambio di contatti, come indirizzi e-mail, numeri di
telefono, dettagli Skype e indirizzi degli operatori pastorali per i migranti)
si può rafforzare una pastorale più generalizzata”. E’ una delle
Raccomandazioni contenute nel documento finale del VII Congresso Mondiale della
Pastorale dei Migranti che si è svolto da lunedì 17 a venerdì 21 novembre
scorso sul tema “Cooperazione e sviluppo nella pastorale delle migrazioni”.
Al Congresso hanno partecipato 284 delegati provenienti da oltre 90 Paesi dei
cinque continenti. Tra di loro alcuni Cardinali e il Patriarca Maronita di
Antiochia, Arcivescovi, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, membri di
Istituti secolari, operatori pastorali laici, nonché numerosi rappresentanti di
associazioni o movimenti cattolici, ecclesiali e laici. Per i partecipanti i
pastori della Chiesa “devono parlare con una sola voce in materia di
migrazione. La Chiesa è una voce profetica per la corretta integrazione dei
migranti nelle comunità di accoglienza, tenendo presente l’universalità della
comunità cattolica ecclesiale. Ciò comporta un approccio pastorale più ampio e
che vada oltre l’aspetto puramente caritatevole”. Inoltre la Chiesa “può fare
un uso migliore dei mezzi di comunicazione per incrementare i diritti dei
migranti. La sensibilizzazione a livello parrocchiale locale, l’incoraggiamento
a votare per la giustizia e l’uguaglianza, la creazione di centri studi e le
pubblicazioni hanno la capacità di trasformare la narrazione sulla migrazione.
L’opinione pubblica – scrivono - deve essere adeguatamente informata in merito
alla vera situazione dei migranti non solo nel Paese di accoglienza, ma anche
in quello d’origine”. “Poiché il fenomeno della migrazione irregolare –
continua il documento - è motivo di sfruttamento del lavoratore migrante e
della sua famiglia, i fedeli devono sostenere politiche di immigrazione più
giuste ed inclusive da parte dei Governi, che aiutino il migrante nella sua ricerca
di opportunità di lavoro e di migliori condizioni di vita, salvaguardino il
ruolo della famiglia e delle donne, e al tempo stesso prevengano lo
sfruttamento e/o il traffico di migranti lavoratori e altre forme di abuso”. Il
comunicato finale, dopo aver riassunto le fasi salienti del Congresso, che si è
concluso con una udienza con Papa Francesco, sottolinea che la migrazione
“continua ad essere un segno dei tempi, in cui la centralità della persona
umana e la dignità umana acquisiscono un’importanza sempre maggiore”. La
“dignità umana di ciascun migrante – si afferma - è di somma importanza. Le
variabili religiose, etniche, sociali e culturali, la cittadinanza o la
mancanza di essa, non cambiano questo fatto che conferisce a ciascun individuo
un valore e una dignità inerenti e incommensurabili, in cui ogni vita umana è e
deve essere considerata sacra. I benefici che possono derivare dalla presenza
dei migranti superano di gran lunga i fattori puramente economici, e ne
traggono giovamento non solo i Paesi che ricevono, ma anche quelli d’origine, e
in alcuni casi perfino le comunità di transito”. Il documento evidenzia la fede
e la pietà popolare dei migranti, “espressione della loro esperienza personale
della fede cristiana, e rappresentano un legame tra la Chiesa di partenza e
quella di arrivo. L’integrazione non implica né una separazione artificiale né
un’assimilazione, ma dà piuttosto l’opportunità di identificare il patrimonio
culturale del migrante e riconoscere i suoi doni e talenti per il bene comune
dell’intera comunità ecclesiale”. “Le moderne politiche migratorie – spiegano i
partecipanti - tendono a sottolineare la dimensione individuale della decisione
di una persona di migrare, concentrandosi sull’aspetto lavorativo della
migrazione invece di prendere in considerazione la famiglia migrante. In
effetti, la politica migratoria nazionale è spesso una delle cause all’origine
della separazione familiare e dell’eventuale conseguente rottura delle
relazioni familiari”.
Nessun commento:
Posta un commento