Dopo 22 anni di guerra e altri 6
di incessanti tensioni con Khartoum, il Sudan meridionale celebra il suo sogno:
l’avvenuta secessione dall’ex nemico. Ma, a pochi giorni dalle attesissime
celebrazioni del 9 luglio, pace e riconciliazione appaiono ancora lontani. A
parlare di quanto sta avvenendo (nell'intervista in audio) è mons. Michael
Didi (nella foto), vescovo della diocesi di El Obeid, che comprende il
territorio di Abyei e Kadugli.
Sabato 9 luglio nasce
ufficialmente il 55° stato africano. La nuova Repubblica del Sud Sudan si
prepara a tagliare lo storico traguardo con una settimana di eventi che
culmineranno nelle solenni celebrazioni che sanciranno la separazione dal Nord
decretata, con consensi plebiscitari, al referendum di gennaio. I
festeggiamenti, però, non nascondono le tensioni e i dubbi sul futuro del paese
dopo il riaccendersi dei combattimenti nei contesi territori lungo il confine:
Kordofan Meridionale, Blu Nile, Abyei.
La data del 9 luglio segna la
fine di un complicato percorso avviato il 9 gennaio 2005 con la firma degli
accordi di pace tra Juba e Khartoum a chiusura di 22 anni di guerra. Ma segna
anche l'inizio di un nuovo cammino che si preannuncia altrettanto difficile:
resta ancora, più che mai irrisolta, infatti, la questione della divisione
delle risorse petrolifere concentrate lungo la linea di confine e la
conseguente determinazione di appartenenza politica di questi territori.
Il nuovo governo guidato dagli ex
guerriglieri del Sudan people's liberation army/movement (Spla/Splm) sta ancora
fronteggiando l'occupazione della regione petrolifera di Abyei da parte
dell'esercito del Nord, avvenuta lo scorso 15 maggio, ma resta aperto anche il
fronte del Kordofan Meridionale, popolato da sostenitori del Sud ma
appartenente politicamente al Nord. Si consuma qui, attorno alla capitale
Kadugli, quella che organizzazioni internazionali per i diritti umani e
testimoni sul posto definiscono come "massacri di civili" ad opera
dell'esercito nordista.
La miccia che ha innescato le
tensioni sfociate in seguito negli scontri armati e nei bombardamenti di Khartoum su Kadugli, è stata la
vittoria, alle elezioni del 2 maggio, del candidato del National Congress of
Sudan (Ncs) Ahmed Haroun, divenuto governatore della regione petrolifera.
Haroun, uomo molto vicino al presidente Omar Hassan el-Bashir è, come lui,
ricercato dalla Corte penale internazionale dell'Aja per crimini di guerra e
contro l'umanità commessi in Darfur tra il 2003 e il 2004.
L'intervento massiccio
dell'esercito nordista a Kaduni è arrivato poche settimane dopo la nomina del
nuovo governatore. A metà giugno Khartoum ha imposto un ultimatum per il ritiro
dei militari dell'Spla dai territori a nord del confine coloniale del 1956,
entro il 30 giugno. I sudisti hanno rifiutato di ritirare i propri soldati -
molti dei quali originari del Kordofan Meridionale e del vicino Blu Nile -
dispiegati in queste zone di confine in base agli accordi di pace del 2005.
Il 6 giugno reparti corazzati delle forze armate di Khartoum sono entrati a Kadugli, provocando la fuga di migliaia di civili.
Il 6 giugno reparti corazzati delle forze armate di Khartoum sono entrati a Kadugli, provocando la fuga di migliaia di civili.
Nuove tensioni e venti di guerra
sono calati minacciosamente sul Sud Sudan ad offuscare la gioia di una meta a
lungo inseguita: la storica secessione. Gli sforzi degli apparati di mediazione
africani riuniti ad Addis Abeba hanno prodotto due accordi, rispettivamente per
la smilitarizzazione di Abyei e per un cessate-il-fuoco in Sud Kordofan e Blu
Nile. In entrambi i casi si tratta di una fragile base per riprendere i
negoziati. (m.t.)
(In audio l'intervista a mons.
Michael Didi, vescovo della diocesi di El Obeid, a cura di Michela
Trevisan)
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