Roma - “Le migrazioni, che in
genere sono concepite come un fattore di sradicamento culturale e di perdita
dell’identità individuale, sociale e religiosa, possono costituire anche un fattore
di crescita, con risvolti positivi tanto da un punto di vista antropologico e
culturale quanto teologico e pastorale”. E’ quanto ha detto p.
Luigi Sabbarese, docente all’Università Urbaniana, parlando sul tema
“Girovaghi, migranti, forestieri e naviganti nella legislazione ecclesiastica”
durante il corso di pastorale migratoria promosso a Roma dalla Fondazione
Migrantes. Forestieri, girovaghi, migranti, esuli, profughi, nomadi,
naviganti rappresentano – ha spiegato - dal punto di vista pastorale “categorie
specifiche di fedeli. Per la particolare situazione di mobilità, essi vengono a
perdere il riferimento stabile alle strutture territoriali della Chiesa,
rendendo così necessaria una diversa cura pastorale impostata su base personale
e regolata da una particolare normativa sia nel Codice di diritto canonico per
la Chiesa latina sia nel Codice dei canoni delle Chiese orientali”. I migranti,
inserendosi in una Chiesa particolare e collaborando con essa, contribuiscono –
ha concluso - ad un “suo sviluppo più universale laddove la Chiesa particolare,
oltre ad impegnarsi a salvaguardare l’identità culturale dei migranti e a
consentire loro un’autentica esperienza di vita cristiana, fa essa stessa
esperienza della sua unità e cattolicità nella ricchezza delle diversità,
acquisendo nuova coscienza del suo essere Chiesa-comunione”.
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