14 luglio 2011

DIRITTI E FUTURO, LA VOCE DELLE DONNE


“Il nuovo stato dovrà parlare con la voce delle donne. Siamo una parte importante della popolazione e rivendichiamo il nostro ruolo nella vita del paese”. Ha lo sguardo deciso e i modi determinati Melania Itto, rappresentante del ‘Media women in South Sudan’, associazione per i diritti femminili e la lotta alla discriminazione.
La MISNA la incontra durante una pausa del programma ‘Juba Sunrise’ che conduce ogni mattina sulle frequenze di ‘Radio Bakhita’, prima emittente del Network delle radio cattoliche sudanesi.
“Sono nata a Khartoum, dove la mia famiglia si era trasferita, ma sono originaria dell’Equatoria orientale. Sono tornata definitivamente in Sud Sudan nel 2006, dopo la firma degli accordi di pace e ho trovato un paese molto arretrato, in cui le donne – soprattutto nelle zone rurali – vivono marginalizzate e diventano, in alcuni casi, merce di scambio tra clan e famiglie” spiega la responsabile, affrettandosi ad aggiungere che tuttavia, “il ruolo svolto dalla polazione femminile negli anni della guerra è stato immenso”.
Quando non imbracciavano il fucile, cosa non rara nei villaggi e testimoniata dall’alta percentuale di soldatesse ancora presenti tra le fila degli ex-ribelli dello Spla (Esercito popolare per la liberazione del Sudan), le donne cucinavano per i combattenti e provvedevano alle cure necessarie dei feriti.
“Non deve stupire. In molti casi si trattava dei loro mariti, figli, fratelli. E comunque prendendosi cura dei miliziani sapevano che, da qualche altra parte del paese, c’era una donna che avrebbe fatto lo stesso con i loro figli” osserva.
La tanto attesa indipendenza, celebrata il 9 luglio scorso, giunge in un momento in cui le donne del Sud Sudan pagano ancora un altissimo prezzo per il sottosviluppo e la povertà diffusa, lasciate in eredità da oltre 20 anni di conflitto. Il paese è in assoluto al mondo quello con il più alto tasso di mortalità materna durante il parto, pari ad una donna su sette.
“Da queste parti una bambina ha più probabilità di morire di parto che di finire le scuole elementari” afferma Itto, aggiungendo che il problema “è strettamente connesso con quello del matrimonio forzato di giovani bambine al di sotto dei quindici anni, una piaga diffusa soprattutto nelle campagna e tra le comunità di allevatori di bestiame”.
In queste comunità le figlie femmine sono usate spesso come merce di scambio con il bestiame, il che provoca razzie e scontri armati fra tribù e clan locali dall’esito incontrollato.
“Quando, in cambio di una donna, una famiglia ha pagato molte mucche, vuole che questa partorisca per suo marito tanti figli. E in assenza di cure e degli esami necessari, la morte durante il parto diventa cosa comune” spiega ancora la giornalista, guardando la luce nello studio di registrazione che da verde diventa rossa, segno che la diretta sta per cominciare.
“Due giorni fa siamo diventati uno stato indipendente – dice ai microfoni, introducendo una pediatra infantile ospite della trasmissione – ma per tante di noi la strada da percorrere è ancora lunga, non ci fermeremo qui”.

Fonte: www.misna.org

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