“Il nuovo stato dovrà parlare con
la voce delle donne. Siamo una parte importante della popolazione e
rivendichiamo il nostro ruolo nella vita del paese”. Ha lo sguardo deciso e i
modi determinati Melania Itto, rappresentante del ‘Media women in South Sudan’,
associazione per i diritti femminili e la lotta alla discriminazione.
La MISNA la incontra durante una
pausa del programma ‘Juba Sunrise’ che conduce ogni mattina sulle frequenze di
‘Radio Bakhita’, prima emittente del Network delle radio cattoliche sudanesi.
“Sono nata a Khartoum, dove la
mia famiglia si era trasferita, ma sono originaria dell’Equatoria orientale.
Sono tornata definitivamente in Sud Sudan nel 2006, dopo la firma degli accordi
di pace e ho trovato un paese molto arretrato, in cui le donne – soprattutto
nelle zone rurali – vivono marginalizzate e diventano, in alcuni casi, merce di
scambio tra clan e famiglie” spiega la responsabile, affrettandosi ad
aggiungere che tuttavia, “il ruolo svolto dalla polazione femminile negli anni
della guerra è stato immenso”.
Quando non imbracciavano il
fucile, cosa non rara nei villaggi e testimoniata dall’alta percentuale di
soldatesse ancora presenti tra le fila degli ex-ribelli dello Spla (Esercito
popolare per la liberazione del Sudan), le donne cucinavano per i combattenti e
provvedevano alle cure necessarie dei feriti.
“Non deve stupire. In molti casi
si trattava dei loro mariti, figli, fratelli. E comunque prendendosi cura dei
miliziani sapevano che, da qualche altra parte del paese, c’era una donna che
avrebbe fatto lo stesso con i loro figli” osserva.
La tanto attesa indipendenza,
celebrata il 9 luglio scorso, giunge in un momento in cui le donne del Sud
Sudan pagano ancora un altissimo prezzo per il sottosviluppo e la povertà
diffusa, lasciate in eredità da oltre 20 anni di conflitto. Il paese è in
assoluto al mondo quello con il più alto tasso di mortalità materna durante il
parto, pari ad una donna su sette.
“Da queste parti una bambina ha
più probabilità di morire di parto che di finire le scuole elementari” afferma
Itto, aggiungendo che il problema “è strettamente connesso con quello del
matrimonio forzato di giovani bambine al di sotto dei quindici anni, una piaga
diffusa soprattutto nelle campagna e tra le comunità di allevatori di
bestiame”.
In queste comunità le figlie
femmine sono usate spesso come merce di scambio con il bestiame, il che provoca
razzie e scontri armati fra tribù e clan locali dall’esito incontrollato.
“Quando, in cambio di una donna,
una famiglia ha pagato molte mucche, vuole che questa partorisca per suo marito
tanti figli. E in assenza di cure e degli esami necessari, la morte durante il
parto diventa cosa comune” spiega ancora la giornalista, guardando la luce
nello studio di registrazione che da verde diventa rossa, segno che la diretta
sta per cominciare.
“Due giorni fa siamo diventati
uno stato indipendente – dice ai microfoni, introducendo una pediatra infantile
ospite della trasmissione – ma per tante di noi la strada da percorrere è
ancora lunga, non ci fermeremo qui”.
Fonte: www.misna.org
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