Mille al giorno, lungo gli argini
del Nilo, nel fango di strade che non esistono. Ritornano nella terra dei padri
da Khartoum e da altre regioni del Sudan dove adesso, con l’indipendenza del
Sud, rischiano di diventare stranieri.
“Dalla fine di ottobre abbiamo
censito 315.157 persone” dice alla MISNA Giovanni Bosco, portavoce dell’Ufficio
dell’Onu per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha), una macchina
organizzativa che in questi mesi sta lavorando su più fronti.
Salva Kiir, il presidente del Sud
Sudan, ha sostenuto ieri che il suo governo concederà la cittadinanza a tutti i
“fratelli del Nord” che lo desiderano per motivi familiari, professionali o di
altro tipo. “Gli daremo la priorità sia negli investimenti che nel mercato del
lavoro” ha aggiunto il capo di Stato, un guerrigliero che ha combattuto
Khartoum per 22 anni, fino agli accordi di pace del 2005.
Le parole di Kiir si spiegano con
la preoccupazione per i circa 800.000 sud-sudanesi che, secondo le stime del
suo governo, si trovano ancora al di là della nuova frontiera. “Khartoum –
sottolinea Bosco – ha licenziato 60.000 dipendenti pubblici e ufficiali
sud-sudanesi perché, con l’indipendenza del Sud, non è più tenuta a rispettare
le quote previste dalle intese del 2005”. I timori sono giustificati perché
finora i negoziati bilaterali sui diritti di cittadinanza non hanno portato ad
alcun accordo definitivo e perché il periodo entro il quale presentare un
permesso di soggiorno per evitare l’espulsione dovrebbe durare appena nove
mesi.
Sorge anche da qui, e non solo
dall’entusiasmo per la nascita del nuovo Stato, quel fiume di migranti che da
Khartoum e Kosti si riversa nella regione di Upper Nile. “Siamo nel pieno della
stagione delle piogge – sottolinea il portavoce di Ocha – e le condizioni delle
strade ostacolano il trasferimento di queste persone in altre zone”.
L’Upper Nile è una delle regioni
del Sud Sudan dove negli ultimi mesi si sono verificati scontri tra comunità
assetate di risorse o tra militari dell’esercito e combattenti
irregolari. Secondo le Nazioni Unite, nel territorio del nuovo Stato ci
sono sette focolai di crisi. Dall’inizio dell’anno gli sfollati causati da
violenze e scontri armati sono già 273.000, mentre in tutto il 2010 non era
stata superata quota 220.000. Preoccupano le scorrerie dell’Esercito di
resistenza del Signore (Lra) nelle regioni meridionali al confine con
Repubblica democratica del Congo e Repubblica centrafricana, ma anche i
movimenti di George Athor, un ex generale di etnia dinka che sta alimentando
disordini nell’area di Jonglei, o l’insofferenza di Paolino Matip, un ex
ufficiale nuer che durante la guerra civile si alleò con Khartoum. Alcuni mesi
fa, nel tentativo di scongiurare nuovi problemi prima della proclamazione
d’indipendenza di sabato scorso, il governo del Sud Sudan lo ha nominato
vice-capo di Stato maggiore dell’esercito. Ma ora Matip, assicura una fonte
della MISNA che lo ha incontrato di recente, sarebbe pronto a riprendere le
armi perché gli hanno dato “uno stipendio” ma non “un comando”.
Fonte: www.misna.org
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