Monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presiede la
Commissione episcopale per le migrazioni e la Fondazione Migrantes:
"Ancora oggi continuiamo a guardare al Sud del mondo con logiche di colonizzazione...
Tante situazioni di lavoro nero e sfruttamento a noi fanno comodo perché ne
traiamo profitto. Ci sono dei giochi equivoci da parte nostra: non li vogliamo
però li sfruttiamo"
Patrizia Caiffa
“Noi cristiani dobbiamo cavalcare
la profezia e avere il coraggio di andare controcorrente. Dobbiamo ricordarci
che i migranti sono uomini e anche per loro Cristo è morto. La profezia è
sempre scomoda. Dobbiamo renderci conto che il Vangelo ci chiede di schierarci
sempre dalla parte degli ultimi”. Questo l’appello di monsignor Francesco
Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale
per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, in vista della Giornata
mondiale del migrante e del rifugiato che la Chiesa celebrata in tutto il mondo
il 19 gennaio.
Nel messaggio per la Giornata,
intitolato “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”, Papa Francesco
invita a una conversione degli atteggiamenti nei confronti dei migranti: al
posto della cultura dello scarto, la cultura dell’incontro. Che ne pensa?
“Già il titolo del messaggio è
significativo: il Papa ci invita non solo a prendere atto di una situazione ma
a proiettarsi in avanti verso un mondo migliore. Noi siamo molto sulle
difensive riguardo al discorso delle migrazioni. Papa Francesco ci chiede di avere
il coraggio di superare questa cultura dello scarto e cominciare a pensare a
come il mondo può migliorare se si è attenti ad uno sviluppo autentico. Ci
ricorda che gli immigrati non sono pedine e non sono solo numeri. Con i poveri
le statistiche non si possono fare. Ogni immigrato è un volto, una storia.
Oramai, con 250 milioni di persone che si spostano, i migranti costituiscono
quello che chiamano ‘il sesto continente’. È qualcosa di cui tener conto”.
Il Papa chiede poi di gestire “in modo nuovo, equo ed efficace” le migrazioni, indicando due strumenti: la cooperazione internazionale e la solidarietà. Vuol dire che finora non è stato fatto abbastanza?
“Siamo consapevoli che finora non è stato fatto abbastanza. Ancora oggi
continuiamo a guardare al Sud del mondo con logiche di colonizzazione. Se gli
immigrati vengono qui è perché ci stanno chiedendo gli interessi di un gioco
che noi abbiamo fatto a spese loro. Come si fa a dire che l’Africa è un continente
povero quando l’Africa è un continente ricco, che ha tutte le materie che a noi
mancano. Noi andiamo lì a prenderle e loro continuano a restare poveri. Noi
continuiamo ad essere i popoli ‘ricchi’ che decidono le sorti del mondo. Una
cosa è colonizzare, un’altra è cooperare. Fino a quando ci saranno divari tra Paesi
ricchi e poveri, e tra poveri e ricchi all’interno di un Paese, non ci sarà mai
cooperazione. Cooperazione è dire: io ti do quello che posso e che ho, tu mi
dai quello che puoi e che hai. Purtroppo nel gestire i flussi dobbiamo tenere
conto sia delle nostre esigenze, perché la nostra economia ha bisogno degli
immigrati, sia dei problemi che ci sono dall’altra parte del mare. Bisogna che
i Paesi ricchi li aiutino perché questa gente non fugga da conflitti e miseria.
Ma sembra che tutto questo interesse non ci sia”.
Papa Francesco evidenzia poi la necessità di superare paure, pregiudizi, precomprensioni, con un appello ai media a smascherare gli stereotipi e offrire un’informazione corretta. Una grande responsabilità...
“I media hanno delle grandi responsabilità perché fomentano l’idea della paura
e nella mente della gente l’immigrato è uguale ad un criminale. Ma ricordiamo
che chi arriva qui è sempre il più forte perché deve sopravvivere a viaggi
lunghi, al deserto, a torture. Quindi arrivano i migliori, non i peggiori.
Dobbiamo evitare di fare il rapporto criminalità-immigrazione-malattie perché
creare paure è creare distanze e continueremo a non vedere. Anche perché tante
situazioni di lavoro nero e sfruttamento a noi fanno comodo perché ne traiamo
profitto. Ci sono dei giochi equivoci da parte nostra: non li vogliamo però li
sfruttiamo”.
Però il video che denunciava le condizioni del centro di Lampedusa è stato un servizio utile. Cosa pensa di quanto sta avvenendo a seguito di quel servizio?
“Sì è stato utile. Ma perché si è gridato allo scandalo solo quando è stato
visto il video e quando sono morte 300 persone? Perché a noi fa comodo creare
emozioni e avere reazioni immediate che non sono più gestibili. A noi non era
permesso entrare nel centro. Ma è chiaro che un centro di quel tipo non può
mantenere lì le persone per mesi, senza fare niente. Deve essere un centro di
passaggio per due o tre giorni. È diversa l’accoglienza nella terraferma o in un’isoletta.
I gestori hanno la loro importanza ma bisogna cambiare la modalità di gestione.
Il problema è che noi gestiamo le cose sociali al ribasso: ma gli uomini non
sono oggetti”.
Cosa dovrebbe fare la politica?
“La politica deve avere il coraggio. Nessuno può fermare il vento e la storia.
Non si può pensare improvvisamente di chiudere le porte. Perché la storia e la
geografia ci dicono che quei poveri hanno bisogno di vivere e sopravvivere. La
politica deve prenderne atto e smettere di affrontare questo fatto
semplicemente come un’emergenza”.
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