Da Addis Abeba non arrivano
notizie. Nella capitale etiopica si svolgono i negoziati che dovrebbero portare
ad un cessate il fuoco nella guerra in Sud Sudan ma le due delegazioni, quella
del presidente Salva Kiir e quella del suo ex vice Riek Machar, dopo tre
giorni, non hanno ancora dato notizie di se. Alcune notizie non ufficiali
dicono che i mediatori africani non sono nemmeno riusciti a fare incontrare le
due delegazioni. Non posso fare a meno di immaginarmi la scena: staranno in
qualche hotel di lusso, a spese dell’Unione Africana, a porre condizioni, a
fare richieste preliminari, a prendere tempo a favore dei loro capi che in
patria si fanno la guerra. Dal Sud Sudan invece le notizie arrivano e sono
drammatiche: combattimenti in ogni stato, Nuer e Dinka lanciati in una catena
infinita di vendette, centinaia di migliaia di profughi e sfollati interni
abbandonati a se stessi perché il personale di quasi tutte le agenzie
umanitarie per lo sviluppo e anche per l’emergenza è stato evacuato. Si ha
l’impressione che per i diplomatici che “cercano” un cessate il fuoco ad Addis
Abeba le sofferenze dei civili che scappano dalle città, che abbandonano i loro
animali da pascolo e le loro terre siano una variabile che viene buona per le
trattative, che aumenta il loro potere contrattuale. Minacciare un massacro
etnico, allargare le braccia davanti al dramma degli abitanti di Bor, città che
è stata conquistata dai Nuer, poi perduta a vantaggio dei Dinka e poi
riconquistata, ma ormai rasa al suolo e disabitata, è un gesto che può rendere
più forti diplomaticamente e mettere in difficoltà l’avversario. Ciò che sta
accadendo è emblematico: un paese come il Sud Sudan che ha anelato
all’indipendenza, che ha votato in modo commovente nel Referendum per la
secessione dal Nord, che ha esultato inneggiando al futuro che, assieme ai
propri dirigenti, avrebbe potuto costruire, ha dei leader che non si merita.
Due personaggi, con il loro entourage, che si battono per il potere personale,
che non esitano a lanciare Dinka e Nuer allo scontro frontale, che hanno fatto
la guerra tutta la vita e non sanno fare altro. I popoli del Sud Sudan non si
meritano nemmeno la nostra comunità internazionale che sta mantenendo in qualche
Hotel di Addis Abeba le due delegazioni che dovrebbero mettersi d’accordo per
un cessate il fuoco. Su leader di questo tipo bisognerebbe far aleggiare lo
spettro di una inchiesta della Corte Penale Internazionale. Che non si illudano
di poter ottenere più potere o una vittoria grazie a qualche migliaio di morti
in più, per guerra o per fame, o per epidemie.
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