Pubblichiamo la traduzione integrale in italiano dell'intervento del
Padre generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, al Sinodo dei vescovi per la nuova
evangelizzazione, in corso in Vaticano. Una densa riflessione su errori e
conseguenze di un certo approccio "missionario" e sulla necessità,
per una nuova evangelizzazione davvero efficace, di tornare ai fondamenti del
primo annuncio.
Appartenendo a un ordine
religioso missionario, mi sento in dovere di riflettere sulla storia passata
della nostra congregazione. Non possiamo parlare di Nuova evangelizzazione,
finché non siamo certi di avere imparato qualcosa dalla Prima evangelizzazione,
dalle cose che abbiamo fatto bene, dagli errori che abbiamo commesso così come
delle mancanze nell’annuncio del Signore.
Provengo da una tradizione nella
quale si incoraggia e si viene formati a cercare Dio in tutte le cose, in ogni
occasione e in ogni situazione. Sant’Ignazio su questo aspetto trasse
ispirazione, senza dubbio, dal Nuovo Testamento, dove, per esempio, san Paolo,
nel suo famoso discorso nell’areopago citando un poeta greco disse: «In Lui
(cioè in Dio) noi viviamo e ci muoviamo e, come hanno detto alcuni dei vostri
poeti: “di Lui, infatti, siamo progenie”» (At 17, 27-28). Dio è presente e vivo
in ogni comunità umana, anche se noi non vediamo immediatamente come si
manifesta e quanto è profonda la sua presenza.
Purtroppo noi, missionari, non
abbiamo fatto questo con sufficiente dedizione e così non abbiamo contribuito,
con queste scoperte, alla vita della Chiesa. Non sto dando nessuna colpa ai
missionari in generale, sto solo parlando della mia tradizione, della mia
esperienza e del mio gruppo di missionari. Sono sicuro che molti missionari,
anche gesuiti, hanno fatto meglio di quanto abbia fatto io.
Abbiamo cercato di essere
positivi nei confronti delle altre culture e tradizioni. Ma mi spiace che
abbiamo visto i segni della fede e della santità in un’ottica occidentale ed
europea (anche l’Instrumentum laboris, parlando dei frutti della fede,
specifica ai nn. 122-128 alcuni segni della fede che sono eccellenti in sé e
facilmente riconoscibili dalla Chiese occidentali). Non siamo entrati con sufficiente
profondità nelle culture nelle quali lo Spirito è stato proclamato, per
scoprire quella parte del Regno di Dio che è già lì, radicata e attiva nei
cuori e nelle relazioni delle persone. Non siamo stati disposti a trovare «il
fattore sorpresa» nel lavoro dello Spirito Santo, che fa crescere il seme anche
se il contadino dorme o il missionario è assente.
Credo che ciò possa essere
applicato sia alla Missio ad Gentes sia alla Nuova evangelizzazione nel mondo
moderno. Lo Spirito di Dio non ha oziato, ma ha lavorato nei cuori delle
persone e nelle menti dei saggi. Sta a noi ascoltare con maggiore attenzione e
con immensa umiltà per riconoscere la voce del Signore dove non ci aspettiamo
che essa possa essere ascoltata.
Nei miei anni di seminario, ricordo che rimasi impressionato da uno studio che gli allora professori Karl Rahner e Joseph Ratzinger pubblicarono sulla Rivelazione al Concilio di Trento. Secondo loro, quando il Concilio di Trento parlava di Scrittura, si riferiva al Vecchio Testamento; mentre quando parlava di Spirito intendeva che esso fosse presente sia negli scritti del Nuovo Testamento sia, ed e qui è la sorpresa, nei cuori dei fedeli.
Nei miei anni di seminario, ricordo che rimasi impressionato da uno studio che gli allora professori Karl Rahner e Joseph Ratzinger pubblicarono sulla Rivelazione al Concilio di Trento. Secondo loro, quando il Concilio di Trento parlava di Scrittura, si riferiva al Vecchio Testamento; mentre quando parlava di Spirito intendeva che esso fosse presente sia negli scritti del Nuovo Testamento sia, ed e qui è la sorpresa, nei cuori dei fedeli.
Non prestando sufficiente
attenzione a come Dio sia presente e abbia lavorato nelle persone che incontriamo,
noi abbiamo perso importanti elementi. Perciò è tempo di imparare da questa
storia, da quanto è stato perso nella prima evangelizzazione, prima di
affrontarne una nuova. Si sono verificate molte cose positive, vogliamo farle
nostre e svilupparle. Allo stesso tempo, sappiamo che sono stati compiuti molti
errori, soprattutto nel non ascoltare le persone, nel giudicare con grande
superficialità gli aspetti positivi di tradizioni e culture antiche,
nell’imposizione di forme di culto che non esprimevano la sensibilità e il modo
di rapportarsi a Dio dei popoli.
La grandezza di Cristo ha bisogno
del contributo di tutti i popoli e di tutte le culture. Ci sono molte lezioni
che possiamo imparare dal passato e che possono essere di grande utilità nella
nuova evangelizzazione. Permettetemi di menzionarne alcune:
1) l’importanza dell’umiltà nell’annunciare il Vangelo;
2) il bisogno di riconoscere «la
verità dell’imperfezione e dei limiti della nostra umanità» in ogni cosa che
diciamo e proclamiamo, senza alcuna traccia di trionfalismo;
3) la semplicità del messaggio
che cerchiamo di comunicare, senza complicazioni o eccessive razionalizzazioni,
che lo rendono opaco e incomprensibile;
4) la generosità nel riconoscere
il lavoro di Dio nella vita e nella storia dei popoli, accompagnato da sincera
ammirazione, gioia e speranza quando riscontriamo in altri la bontà e la
dedizione;
5) il messaggio più credibile è
quello che arriva dalla nostra vita, totalmente guidata dallo spirito di Gesù;
6) il perdono e la riconciliazione
sono le migliori vie per raggiungere il cuore del Signore;
7) il messaggio della Croce si
trasmette meglio attraverso la negazione di noi stessi.
Grazie per la vostra attenzione.
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