Quanti pensano che il mondo sia talmente cambiato, tanto che la
"missio ad gentes" non ha più senso, sono sconfessati dagli ultimi
tre Papi dal 1965 ad oggi
di padre Piero Gheddo, del Pime
ROMA - Il chiaro orientamento ad
gentes del Vaticano II è ripreso e confermato dal magistero ecclesiale
post-conciliare fino ad oggi. Quanti pensano o anche affermano che il mondo è
talmente cambiato nell’ultimo mezzo secolo, che la “missio ad gentes” non ha
più senso, sono sconfessati dai tre ultimi Papi dal 1965 ad oggi.
Il Concilio ha portato grandi e
provvidenziali novità nella Chiesa, ad esempio il dialogo all'interno della
Chiesa e poi verso le religioni non cristiane; la “collegialità” nella
direzione delle istituzioni ecclesiali; l'apertura verso il mondo e i valori
laici; la "medicina della misericordia", come diceva Papa Giovanni,
che prevaleva sulla condanna, la protesta, la denunzia; l'inculturazione della
Liturgia nei vari popoli, lingue e culture, ecc.
L'entusiasmo del periodo
conciliare veniva da queste e da altre novità. Pochi anni dopo è venuto il
travaglio della "contestazione" sessantottina. Sono crollate le
certezze, ci siamo divisi anche per motivi politici come s'è detto, ma
soprattutto sul concetto stesso di missione alle genti, mentre non pochi
missionari andavano in crisi e le vocazioni missionarie diminuivano. Non si
sapeva più cos'era la missione, si moltiplicavano i pareri e le ipotesi, mentre
la fuga in avanti (o indietro?) di una certa teologia scardinava l'impianto di
verità su cui si basa la fede.
Tutto questo non si può certo
attribuire al Concilio, che ha dato alla Chiesa una spinta missionaria molto
forte. Persino nel primo documento approvato sulla Liturgia ("Sacrosantum
Concilium") si dice che il Concilio "si propone di... rinvigorire ciò
che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa" (Proemio); e che la
Chiesa stessa è "come segno innalzato sui popoli, sotto il quale i
dispersi figli di Dio possano raccogliersi, finchè si faccia un solo ovile e un
solo pastore" (n. 2). La Costituzione sulla Chiesa chiama Cristo
"luce dei popoli" (LG, 1) e la Chiesa "sacramento universale di salvezza"
(LG, 48), definizione ripresa dall'Ad Gentes (n. 1). L'afflato missionario del
Concilio è chiaro e forte.
Ma dal Concilio ad oggi la
sensibilità per la “missio ad gentes” nelle Chiese locali (certo in quella
italiana) è diminuita molto, nonostante le solenni affermazioni di Paolo VI
nella "Evangelii Nuntiandi": “La Chiesa mantiene vivo il suo slancio
missionario e vuole altresì intensificarlo nel nostro momento storico. Essa si
sente responsabile di fronte a popoli interi. Non ha riposo fin quando non
abbia fatto del suo meglio per proclamare la buona novella di Gesù Cristo.
Prepara sempre nuove generazioni di Apostoli. Lo constatiamo con gioia, nel
momento in cui non mancano di quelli che pensano e anche dicono che l'ardore e
lo slancio apostolico si sono esauriti e che l'epoca delle missioni è ormai
tramontata. Il Sinodo ha risposto che l'annunzio missionario non si inaridisce
e che la Chiesa sarà sempre tesa verso il suo adempimento” (n. 53).
"Evangelii Nuntiandi"
di Paolo VI (8 dicembre 1975) e "Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II
(7 dicembre 1990) sono ritenute le encicliche pastoralmente più significative
dei due Pontefici, in continuazione al decreto "Ad Gentes". Scritte a
15 anni di distanza l'una dall'altra, hanno diverse impostazioni e orizzonti;
ma sono unite nel dichiarare che la missione della Chiesa è proclamare,
annunziare, testimoniare all'umanità la salvezza in Cristo; un'opera di natura
religiosa, che porta gli uomini ad incontrare il Figlio di Dio fatto uomo per
salvarci. “Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutti
gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa” (EN, 14).
La EN è il risultato del
dibattito al Sinodo episcopale sull'evangelizzazione (Roma, ottobre 1974),
durante il quale erano emerse due tendenze: una quasi identificava
l'evangelizzazione con la liberazione dei poveri e dei popoli oppressi; per
l'altra il Vangelo converte al modello di Cristo, cioè orienta l'uomo a Dio e
all'amore del prossimo, e con questo dà il massimo contributo per eliminare le
ingiustizie. Il Sinodo non era riuscito a pubblicare un testo unitario e
rimandava tutto alla mediazione di Paolo VI.
La EN afferma che
l'evangelizzazione ha una finalità specificamente religiosa: liberare l'uomo
dal peccato, riconciliarlo con Dio: “La Chiesa collega ma non identifica
giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo, perchè sa per rivelazione,
per esperienza storica e per riflessione di fede, che non ogni nozione di
liberazione è necessariamente coerente con una visione evangelica dell'uomo; sa
che non basta instaurare la liberazione, creare il benessere e lo sviluppo,
perchè venga il Regno di Dio" (EN, 35).
Paolo VI aggiungeva (EN, 36):
"La Chiesa reputa certamente importante ed urgente edificare strutture più
umane e più giuste... ma è cosciente che le migliori strutture diventano presto
inumane se le inclinazioni del cuore dell'uomo non sono risanate, se non c'è la
conversione del cuore e della mente di coloro che vivono in queste strutture e
le dominano".
Negli anni '70 era forte, anche
nel mondo cattolico e missionario, l'idealizzazione dei regimi e movimenti di
"liberazione dei poveri", nati dall'"analisi scientifica"
del marxismo, spesso dichiaratamente comunisti. Certa stampa cattolica e missionaria
ha attraversato un periodo di ubriacatura ideologica per la Cuba di Fidel
Castro, il Vietnam di Ho Chi Minh, la Cina di Mao, i Khmer rossi della
Cambogia, le "guerriglie di liberazione" delle colonie portoghesi in
Africa, i "sandinisti" del Nicaragua, ecc.
Ero presente come giornalista
all’assemblea dei vescovi latino-americani del Celam a Puebla in Messico
(gennaio-febbraio 1979) e ogni giorno frequentavo le conferenze stampa dei
vescovi e, poco distante, dei “teologi della liberazione”. Proprio in quel gennaio
la Russia aveva invaso e occupato l’Afghanistan. Un giornalista chiede se
condannano anche quel colonialismo. I rappresentati dell’associazione dicono
che invece è la liberazione del popolo afghano e un passo in avanti del
socialismo per conquistare il mondo.
Nella "Evangelii
Nuntiandi" Paolo VI precisava molto bene le caratteristiche che deve avere
la "liberazione evangelica" (n. 33): dev'essere basata su "una
visione evangelica dell'uomo" (n. 35), "esige una necessaria conversione
del cuore" (n. 36), "esclude la violenza" (n. 37); la Chiesa
deve poter dare "il suo contributo specifico" (n. 38), richiede che
siano rispettati "i fondamentali diritti dell'uomo, fra i quali la libertà
religiosa occupa un posto di primaria importanza" (n. 39).
Nessuna di queste caratteristiche
della "liberazione evangelica" era presente nei regimi e movimenti
che avevano suscitato tante indebite speranze e caloroso sostegno anche da
parte di cattolici: ma Paolo VI non fu ascoltato. La storia ha poi giudicato
quei movimenti e regimi e ha smentito i "profeti" applauditi, che
avevano scelto una "liberazione" presto rivelatasi nuova e peggiore
oppressione.
Nei difficili anni settanta e
ottanta, E.N. era il documento ecclesiale più importante dopo il Concilio
Vaticano II. Presenta la missione essenziale della Chiesa, annunziare Cristo ai
popoli, a cui tutto dev'essere finalizzato. L'evangelizzazione è
"vocazione e missione propria della Chiesa, la sua identità più
profonda" (n. 14). Tutto il resto, liturgia, sacramenti, preghiera, testimonianza,
strutture, diritto, teologia, cultura, assistenza ai poveri e ogni altra realtà
all'interno della Chiesa ricevono la loro giustificazione e senso nella misura
in cui sono orientati all'evangelizzazione.
"La Chiesa è tutta intera
missionaria" dice Paolo VI (n. 59). Verità fondamentale che è facile
ripetere come affermazione di principio, ma troppe volte disattesa nella vita
delle comunità cristiane! EN afferma che la Chiesa deve essere costantemente
rivolta ai non cristiani: “Rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo a quelli che
non li conoscono, questo è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma
fondamentale che la Chiesa ha assunto come ricevuto dal suo Fondatore (EN, 51).
Il documento di Paolo VI
rappresenta una svolta radicale nell’azione della Chiesa: l'evangelizzazione
come primo imperativo, tutto il resto viene dopo. E' stata recepita questa
svolta? Certamente sì nei vertici ecclesiali, nei "piani pastorali"
della Cei, che ha orientato la pastorale della Chiesa italiana in senso
missionario: da "Evangelizzazione e promozione umana" (1976) fino a
"Evangelizzazione e testimonianza della carità" (1990), passando per
"Comunione e comunità missionaria" (1986).
Ma nella base ecclesiale c'è
ancor oggi la forte tendenza a ridurre l'obbligo religioso di evangelizzare a
impegno sociale: l'importante è amare il prossimo, fare del bene, dare
testimonianza di servizio. La Chiesa dà spesso un'immagine riduttiva di se
stessa, come se fosse un'agenzia di aiuto e di pronto intervento per rimediare
alle ingiustizie e alle piaghe della società. Indro Montanelli esprimeva
un’opinione diffusa: “I missionari sono ammirevoli e utili quando vanno a
curare i lebbrosi ed a portare il progresso fra popoli arretrati; ma se vanno
per imporre loro la nostra religione, che neppure noi oggi pratichiamo più, a
cosa serve la loro generosità?".
Paolo VI, parlando del dovere
della testimonianza di vita, quindi dell'amore al prossimo, afferma "la
necessità di un annunzio esplicito" e spiega: “Anche la più bella
testimonianza si rivelerà a lungo impotente se non è illuminata, giustificata -
ciò che Pietro chiamava "dare le ragioni della propria speranza" (1
Pt. 3, 15) - esplicitata da un annunzio chiaro e inequivocabile del Signore
Gesù. La buona novella proclamata dalla testimonianza di vita dovrà dunque
essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c'è vera
evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita e le promesse, il Regno,
il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati...” (EN,
22).
La proclamazione del Vangelo è
l'elemento prioritario, almeno come finalità se non cronologicamente, di ogni
azione missionaria, che dà coerenza a tutti gli altri elementi (promozione
umana, dialogo interreligioso, inculturazione, azioni caritative, ecc.).
“L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del
suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di
Dio fatto uomo, morto e risorto, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono
di grazia e misericordia di Dio stesso” (EN, 27).
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