«Diamo un’opportunità ai Fratelli musulmani di governare l’Egitto. Per 80 anni sono stati all’opposizione regalando sogni alla popolazione. Adesso che hanno vinto le elezioni vediamo cosa sapranno fare, quale modello di democrazia, di economia, di diplomazia internazionale sapranno realizzare. Sapendo anche che il contesto nel mondo arabo, in questi ultimi mesi, è cambiato e che, se vogliono rimanere al potere, non possono imprimere una svolta fondamentalista all’Egitto». Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e attento osservatore della realtà politica e sociale del suo Paese, non è pessimista sul futuro dell’Egitto, nonostante siano note le sue posizioni molto prudenti sull'evoluzione della primavera araba.
La sua posizione non è così comune tra i cristiani (copti ortodossi, la maggioranza, e cattolici). «La comunità cristiana - spiega padre Rafic Grich, portavoce della Chiesa cattolica egiziana - è un po’ preoccupata che il nuovo presidente provenga dalla componente islamista. Teme per la vita di molti fedeli, ma anche un processo di islamizzazione della società: una società che era nota a tutti per la sua apertura, indipendenza, creatività, specie in letteratura. Speriamo che nella nuova era che stiamo vivendo, i cristiani possano trovare giustizia e non discriminazione».
Padre Samir non condivide questi timori. «Hanno votato per Mohammed Mursi - osserva - soprattutto le persone più umili e meno scolarizzate (in Egitto il 40% della popolazione è analfabeta). Lo hanno fatto non sulla base del programma, ma perché un partito islamico rappresenta una sicurezza. La gente comune però non vuole un’estremista al potere e questo Mursi lo sa. Così come sa che il margine con il quale ha vinto sullo sfidante Ahmed Shafiq è risicato. Ciò significa che esiste una forte minoranza che non condivide la sua visione confessionale della politica. Di questo, Mursi non potrà non tenere conto».
Secondo il gesuita quindi non si instaurerà un regime che imporrà i precetti islamici a tutta la popolazione. Anche perché sono le stesse autorità religiose musulmane a non volerlo. In un rapporto pubblicato a gennaio, un gruppo di studio dell’Università al Azhar, massima autorità dottrinale dell’islam sunnita, ha affermato che l’islam è la fede della «giusta via di mezzo». In questo modo, i professori intendevano rivolgersi sia ai laicisti a oltranza, sia ai Fratelli musulmani e ai salafiti (una delle correnti più estremiste dell’islam, molto diffusa in Egitto e sostenuta economicamente dal Qatar). «I Fratelli musulmani - continua Samir - non possono ignorare questo invito. Ciò significa che politiche ispirate all’islam dovranno essere portate avanti con moderazione e attenzione a tutte le componenti della società».
Rimane la grande incognita delle forze armate. I militari hanno governato per 60 anni il Paese e tuttora controllano almeno un terzo dell’economia attraverso società di loro proprietà. Difficilmente si faranno da parte. «Con le elezioni presidenziali - osserva Giovanni Esti, comboniano italiano che da anni lavora in Egitto - è iniziata un’era nuova. I militari stanno cercando di rallentare un processo che però è inarrestabile e che li porterà gradualmente a un’uscita dalla scena politica.
Mursi è il primo presidente che non proviene dai ranghi militari e che ha alle spalle un’organizzazione ben strutturata e un’ideologia ben definita. È vero che i suoi poteri sono limitati, ma la sua vera forza è nell’organizzazione. Alle presidenziali, la vera vittoria è stata dei Fratelli musulmani sull’esercito. I militari non hanno concesso nulla, si sono dovuti piegare alla storia.
Riprendersi i pieni poteri per Mursi è solo questione di tempo. E i Fratelli musulmani hanno dimostrato di essere estremamente pazienti». In ogni caso, secondo padre Samir, i militari riusciranno a trovare un’intesa con i Fratelli musulmani. Un’intesa che potrebbe moderare ulteriormente il governo di Mursi perché i militari non vogliono che il Paesi si trasformi in una teocrazia e neppure in un califfato.
«I Fratelli musulmani - continua Samir - si giocheranno la partita più importante sul terreno dell’economia. L’economia egiziana sta attraversando un momento difficile. Il 40% della popolazione attiva è disoccupato, il turismo, una delle principali fonti di entrate, è in crisi. L’islam non ha una dottrina economica articolata e questo non aiuta i nuovi governanti. Nei primi tre mesi però dovranno dimostrare di essere in grado di imprimere una svolta se vogliono mantenere inalterati i loro consensi». «Il nuovo presidente - aggiunge padre Griech - dovrà aiutare anzitutto i poveri, i senzatetto e gli analfabeti. Questo è quanto chiediamo per gli egiziani, cristiani o musulmani che siano».
Enrico Casale
http://www.popoli.info
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