24 luglio 2012

Intervista al professor Giovanni Filoramo, docente di storia del cristianesimo e delle religioni, sul contesto europeo in forte mutazione

LUCA ROLANDI
TORINO

Individualisti o comunitari, fondamentalisti o tolleranti, nel mondo sono in crisi le religioni oppure lo sono solo le istituzioni a esse legate. Uno dei fenomeni più evidenti conseguenti a questa nuova situazione è il pluralismo religioso: una mappa delle fedi diverse che si trovano a vivere in uno stesso territorio, e a condividere uno spazio comune. La religione diventa così uno degli elementi fondamentali d’identità, intorno a cui si consolidano i legami di comunità e solidarietà. Si creano le condizioni per il confronto ma anche di possibile scontro. Giovanni Filoramo, docente di Storia del cristianesimo, autore con Flavio Pajer, professore di Pedagogia e Didattica delle Religioni nella Facoltà di Scienze dell’educazione dell’UPS di Roma, del saggio “Di che Dio sei? Tante religioni un solo mondo”, svela lo scenario presente e futuro.

Professor Filoramo il pluralismo religioso ha assunto dimensioni e implicazioni inedite, la società europea è preparata?
Viviamo in una società multietnica e multiculturale: flussi migratori e globalizzazione hanno portato a straordinari mutamenti della geografia sociale e alla convivenza di gruppi di persone appartenenti a culture e tradizioni molto diverse, prima “divise” generalmente in diversi spazi geografici. In questa situazione la formazione scolastica è al centro della conoscenza e coscienza del cambiamento in una realtà plurale che comprende tutti: credenti, atei, agnostici e indifferenti al fenomeno religioso. E’ necessario quindi partire dalla difesa di una scuola laica in grado di costruire una cittadinanza europea che sia consapevole della complessità del problema religioso per tutti. Nelle situazioni locali si trova il globale. Se pensiamo ad una città come Torino e studiamo le comunità religiose che vivono nella città, si nota la presenza nel suo tessuto sociale comunità con tradizioni culturali e religiose.

L’uomo contemporaneo vive la dimensione religiosa in modo personalistico?
La complessità presenta differenti tipologie. Da una parte siamo immersi in un individualismo religioso che è il “motore immobile” dei cambiamenti che sono avvenuti in Europa. Il singolo vuole scegliere la propria religione, perché a differenza del passato non nasce con la fede, la quale è costruita nella dimensione della socialità partendo dal proprio individualismo. Quello che lo studioso Berger definisce “l’imperativo eretico” ovvero si è costretti a scegliere. Dall’altra parte c’è il ritorno delle comunità, il comunitarismo che è legato all’ immigrazione. La religione come fenomeno identitario diventa centrale portandosi dietro aspetti positivi e negativi. In questa realtà spicca il caso dell’Islam, interessante soprattutto se analizziamo, come già accade in Francia, come le terze generazioni nonostante la forza della comunità siano sempre più secolarizzate. L’Islam è ancora capace di tenere insieme i suoi fedeli oppure, già nelle sue ramificazioni e differenze, è destinato ad evolvere come gli altri monoteismi?

Il pluralismo religioso si base più sul confronto, sull’indifferenza o lo scontro?
Conta molto il quadro politico. I poli sono stati per molto tempo la scelta “comunitarista” della Gran Bretagna e quella della laicità francese. In mezzo in molti altri paesi, ci sono situazioni miste, con concordati, intese e accordi che sono oggi non rispondono più come un tempo alla nuova realtà di pluralismo religioso. La soluzione inglese non ha funzionato perché troppo separatistica ancorata ad un modello ancorato al vecchio colonialismo, non regge più alle dinamiche di movimento globale presenti nella società. Il caso francese è unico e dunque non esportabile. Restano situazioni intermedie ed in evoluzione. In questo ambito va considerato come per lo Stato il fatto centrale sia il riconoscimento giuridico. La situazione europea è molto differenziata perché è un prodotto della storia nazionale dei vari paesi.

La prospettiva di cittadinanza europea dovrà fare i conti con una nuova convivenza interreligiosa?
Nell’Europa degli ultimi decenni, che ha attraversato processi di diaspora, di disincanto e di scristianizzazione, la religione conserva un ruolo sociale in continua evoluzione. Le religioni hanno la possibilità di segnare confini individuali e collettivi, di creare e delimitare precise aree di appartenenza e di riconoscimento. Nell’intreccio di identità, valori condivisi e comunità permanenti o temporanee, avvertire “l’insostenibile leggerezza dell’inedito pluralismo religioso”, secondo una felice affermazione di Enzo Pace, non è più un’eccezione. La contraddizione di fondo è che nella sua linea teorica l’Unione Europea con il documento di Toledo fondato sulla laicità mira a promuovere una conoscenza critica dei fatti religiosi, nel rispetto delle fedi. Naturalmente le Chiese hanno posizioni diverse rispetto a questo indirizzo. Conosciamo la posizione della chiesa cattolica che in Italia, Spagna e Polonia, oppure le direttive delle chiese evangeliche, in Germania senza dimenticare l’incognita delle Chiese ortodosse che difendono fortemente l’insegnamento confessionale. La pista indicata dall’Unione Europea di affiancare o promuovere un insegnamento delle grandi tradizioni religiose nelle scuole credo sia l’unica via per fare crescere una consapevolezza del fatto religioso in tutta la popolazione, per uscire da questa frammentazione ed evitare guerre di religione ideologiche e fare crescere un’opinione pubblica europea caratterizzata da una profonda ignoranza sul tema religioso.

La sua opinione sulla posizione della chiesa cattolica.
Faccio l’esempio dell’Italia. Da un lato nella situazione attuale per la chiesa cattolica l’insegnamento della religione nella scuola è materia non negoziabile. Dall’altro c’è il paradosso di alcuni esponenti della gerarchia che auspicano, in caso di una richiesta formale delle comunità, che lo Stato riconosca l’insegnamento, per esempio della religione islamica, nella scuola pubblica.
Non ho sentito altre voci che auspicano, accanto all’insegnamento cattolico “confessionale”, un insegnamento curriculare di storia delle religioni o di cultura religiosa, sfruttando magari l’ora alternativa. Nelle situazioni concrete quello che vige è la concorrenza, mentre oggi siamo in presenza di un regime di monopolio. Tra l’altro trovo paradossale che nelle statistiche sulla dimensione del cattolicesimo nel nostro paese sia così rilevante il dato sulla scelta dell’ora di religione.

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