Il più grande fenomeno migratorio mondiale degli ultimi decenni, il trasferimento dei contadini cinesi verso le città, è causa di discriminazioni. Ma alcune novità potrebbero migliorare le condizioni di vita di questa immensa forza lavoro. Anticipiamo l'inchiesta pubblicata sul numero di agosto-settembre di Popoli.
Un documentario intitolato in inglese Last Train Home (2009) racconta dell’incredibile esodo di 130 milioni di cinesi che, tra gennaio e febbraio, su treni e autobus affrontano il viaggio dalle città industriali verso i villaggi di origine della Cina interna per festeggiare con le famiglie il Capodanno lunare. Se freddo e neve paralizzano la rete ferroviaria, come accadde nel 2008, milioni di persone trascorrono giorni di attesa nelle stazioni. Il regista Lixin Fan racconta questo spostamento di massa attraverso le vicende di una madre che, partita dalla campagna quando la figlia aveva solo otto mesi, nelle brevi ferie del Capodanno trascorse a casa ritrova un’adolescente che la considera quasi un’estranea.
Concentrati su fenomeni più vicini a noi, ci si dimentica facilmente che i flussi migratori più imponenti degli ultimi decenni sono state le migrazioni interne della Cina. Al loro confronto, impallidiscono i dati della presenza cinese in Italia (210mila persone), ma anche fenomeni epici come 25 milioni di italiani emigrati nel primo secolo dall’Unità o il numero di tutte le persone che vivono nella Ue e sono nate in un Paese straniero: 47 milioni.
In Cina la scala numerica è molto diversa: secondo i dati emersi dal censimento del 2010, la popolazione, definita «fluttuante», di chi vive e lavora lontano dai propri luoghi di origine era di 230 milioni di persone, che quest’anno potrebbero salire a 250 milioni. L’ufficio statistico ha calcolato che più di un terzo dei 19 milioni di abitanti di Pechino sono immigrati dai distretti rurali. Le autorità avevano pianificato per la capitale una popolazione di 18 milioni nel 2020, segno che il controllo non è totale.
Gli enormi spostamenti di popolazione che il boom economico cinese ha provocato negli ultimi trent’anni cambiano il volto del Paese. Il censimento ha verificato il sorpasso della popolazione urbana su quella rurale; nell’epoca di Mao la prima era solo un quinto. Questo movimento ha riguardato soprattutto i contadini delle province interne diretti verso i centri manifatturieri della regione costiera. Secondo uno studio Usa, solo dal 1990 al 2005 si sarebbero spostati oltre 80 milioni di persone. Così il Guangdong - la più dinamica delle province industriali - sulla costa Sud, e lo Shandong a Est, raggiunti rispettivamente i 104 e i 96 milioni di abitanti, hanno superato l’Henan (94 milioni), provincia più interna, tradizionalmente la più popolosa dell’«Impero di mezzo».
Henan, come Sichuan, Hunan, Anhui hanno visto uscire in un quindicennio oltre 5 milioni di abitanti ciascuna, diretti verso l’«Eldorado» Guangdong, le costiere Jiangsu e Zhejiang e la metropoli di Shanghai, le zone con grandi complessi industriali orientati all’esportazione.
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