Amnesty international
I diritti di milioni di persone in fuga da conflitti e persecuzioni, o in cerca di lavoro e migliori condizioni di vita per se stesse e le loro famiglie, sono stati violati da governi che hanno mostrato di essere interessati più alla protezione delle frontiere nazionali che a quella dei loro cittadini o di chi quelle frontiere oltrepassava chiedendo un riparo o migliori opportunità. “L’assenza di soluzioni efficaci per fermare i conflitti sta creando una sottoclasse globale. I diritti di chi fugge da quei conflitti non vengono protetti. Troppi governi stanno violando i diritti umani in nome del controllo dell’immigrazione, agendo ben al di là delle legittime misure di controllo alle frontiere” – ha dichiarato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia, presentando a Roma l’edizione italiana del Rapporto annuale 2013 pubblicata da Fandango Libri.
“Queste misure non colpiscono solo le persone in fuga dai conflitti.
Milioni di migranti sono trascinati in un ciclo di sfruttamento, lavori forzati
e abusi sessuali dalle politiche contrarie all’immigrazione. Questa situazione
chiama in larga parte in causa la retorica populista, secondo la quale
rifugiati e migranti sono responsabili delle difficoltà in cui s’imbattono i
governi nazionali” – ha aggiunto Sami.
Nel 2012, una lunga serie di emergenze dei diritti umani ha spinto alla
fuga numerosissime persone, dalla Corea del Nord al Mali, dalla Repubblica
Democratica del Congo al Sudan, costrette a cercare riparo all’interno dei loro
stati od oltre frontiera. Un altro anno è andato perso per la popolazione
della Siria, dove poco o nulla è cambiato se non il sempre più alto numero
delle vite perse o distrutte. Milioni di siriani sono stati costretti a fuggire
dal conflitto. Il mondo è stato a guardare, mentre le forze armate e di
sicurezza di Damasco continuavano a compiere attacchi indiscriminati e mirati
contro i civili e a sottoporre a sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie,
torture ed esecuzioni extragiudiziarie sospetti oppositori e, a loro volta, i
gruppi armati proseguivano a catturare ostaggi e a compiere esecuzioni sommarie
e torture, seppur su scala minore.
La scusa che i diritti umani sono “una questione interna” è stata usata per
bloccare ogni azione internazionale sulle emergenze dei diritti umani, come
quella della Siria. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, cui è affidata la
sicurezza globale e che è accreditato ad avere leadership, ha ancora una volta
mostrato di non saper svolgere un’azione politica unitaria e
concertata. “Il rispetto per la sovranità degli stati non può essere usato
come scusa per non agire. Il Consiglio di sicurezza deve adoperarsi per fermare
gli abusi che distruggono le vite umane e costringono le persone a lasciare le
loro case. Deve farlo, rigettando la teoria, ormai logora e moralmente
corrotta, che gli omicidi di massa, la tortura e le morti per fame non devono
riguardare nessun altro stato”.
Chi ha cercato, nel corso del 2012, di fuggire da conflitti e persecuzione
attraversando i confini internazionali ha trovato di fronte a sé incredibili
ostacoli. È stato più difficile per i rifugiati varcare le frontiere che per le
armi alimentare la violenza nei luoghi dai quali cercavano di allontanarsi.
Tuttavia, l’adozione nell’aprile 2013 di un Trattato delle Nazioni Unite sul
commercio di armi ha fatto nascere la speranza che le forniture di armi che
possono essere usate per commettere atrocità saranno fermate. “I rifugiati
e gli sfollati non possono più essere considerati ‘lontani dal cuore, lontani
dalla mente’. La loro protezione riguarda tutti noi. Il mondo privo di frontiere
dei moderni strumenti di comunicazione rende sempre più difficile tenere le
violazioni nascoste dentro i confini nazionali e offre a tutti un’opportunità
senza precedenti di agire per i diritti di milioni di persone sradicate dalle
loro case” – ha commentato Sami.
I rifugiati che sono riusciti a raggiungere altri Paesi per chiedere asilo
si sono spesso trovati nella stessa barca – non solo metaforicamente – coi
migranti che lasciavano il loro paese in cerca di una vita migliore per se
stessi e le loro famiglie. Molti degli uni e degli altri ora sono costretti a
vivere ai margini della società, penalizzati da leggi e prassi inadeguate,
presi di mira da quella forma di retorica nazionalista e populista che alimenta
la xenofobia e accresce il rischio di atti di violenza nei loro
confronti. L’Unione europea ha posto in essere misure di controllo alle
frontiere che mettono a rischio la vita dei migranti e dei richiedenti asilo e
non garantiscono la sicurezza delle persone che fuggono da conflitti e persecuzione.
In varie parti del mondo, migranti e richiedenti asilo finiscono regolarmente
nei centri di detenzione e persino in container per la navigazione o gabbie
metalliche.
I diritti di un’ampia parte dei 214 milioni di migranti non sono stati
protetti né dai loro governi né dagli stati in cui si sono trasferiti. Milioni
di essi hanno lavorato in condizioni che possono essere definite di lavoro
forzato o assimilabili alla schiavitù, poiché i governi li hanno trattati da
criminali e le grandi aziende si sono mostrate interessate più ai profitti che
ai diritti dei lavoratori. I migranti privi di documenti sono stati
maggiormente a rischio di sfruttamento e di violazioni dei diritti
umani. “Coloro che vivono fuori dai loro paesi, senza uno status e senza
il minimo benessere, sono le persone più vulnerabili del mondo e sono spesso
condannate a una vita disperata nell’ombra. Un futuro più giusto è possibile se
i governi rispetteranno i diritti umani di tutti a prescindere dalla loro
nazionalità. La protezione dei diritti umani deve riguardare tutti gli esseri
umani, a prescindere da dove si trovino” – ha concluso Sami.
Ulteriori sviluppi sui diritti umani
messi in luce nel Rapporto annuale 2013
Nel corso del 2012, Amnesty International ha documentato specifiche restrizioni alla libertà d’espressione in almeno 101 paesi, torture e maltrattamenti in almeno 112 paesi. Metà degli abitanti del pianeta è rimasta costituita da cittadini di seconda classe per quanto riguarda la realizzazione dei loro diritti, poiché molti paesi non hanno agito nei confronti della violenza basata sul genere. Militari e gruppi armati hanno commesso stupri in Ciad, Mali e Repubblica Democratica del Congo; i talebani in Afghanistan e Pakistan hanno ucciso donne e ragazze; in paesi quali Cile, El Salvador, Nicaragua e Repubblica Dominicana, a donne e ragazze rimaste incinte a seguito di stupro o la cui gravidanza poneva a rischio la loro salute o la loro vita è stato negato l’accesso a servizi sicuri di aborto. In tutta l’Africa conflitti, povertà e violazioni dei diritti umani da parte di forze di sicurezza e gruppi armati hanno messo in evidenza la debolezza degli strumenti regionali e internazionali per la difesa dei diritti umani. Nelle Americhe, procedimenti giudiziari in Argentina, Brasile, Guatemala e Uruguay hanno fatto fare importanti passi avanti alla giustizia nei confronti delle violazioni del passato. Il sistema interamericano di protezione dei diritti umani è stato criticato da diversi governi.
Nella regione Asia e Pacifico la libertà d’espressione è stata repressa in
Cambogia, India, Maldive e Sri Lanka e i conflitti armati hanno danneggiato la
vita di decine di migliaia di persone in Afghanistan, Myanmar, Pakistan e
Thailandia. Il governo di Myanmar ha rilasciato centinaia di prigionieri
politici ma altrettanti rimangono ancora in carcere. In Europa e Asia
Centrale, i governi hanno potuto ancora sottrarsi alle responsabilità per i
crimini commessi nel continente europeo nel contesto del programma di rendition
degli Usa. Nei Balcani, le possibilità di ottenere giustizia per i crimini
commessi nelle guerre degli anni Novanta si sono allontanate. Le elezioni in
Georgia sono state un raro esempio di transizione democratica in un’area,
quella delle ex repubbliche sovietiche, in cui regimi autoritari hanno
mantenuto la loro presa sul potere. In Medio Oriente e Africa del Nord,
nei paesi in cui sono terminati regimi autocratici si è assistito tanto a un
aumento della libertà d’informazione e a crescenti opportunità per la società
civile quanto a passi indietro, costituiti da attacchi alla libertà
d’espressione per motivi legati alla morale e alla religione. In tutta la
regione, attivisti politici e per i diritti umani hanno continuato a subire la
repressione, tra cui arresti e torture. Nel mese di novembre il conflitto di
Israele e Gaza ha conosciuto una nuova escalation. A livello globale, la
pena di morte ha continuato la sua ritirata nonostante alcuni passi indietro
come le prime esecuzioni in Gambia dopo quasi 30 anni e la prima impiccagione
di una donna in Giappone dopo 15 anni.
La situazione in Italia
Durante la presentazione del Rapporto annuale 2013, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha commentato il capitolo relativo all’Italia. “Anche quest’anno, il capitolo dedicato all’Italia testimonia di una progressiva erosione dei diritti umani, di ritardi e vuoti legislativi non colmati, di violazioni gravi e costanti se non in peggioramento” – ha dichiarato Marchesi. “Una situazione con molte ombre, tra cui l’allarmante livello raggiunto dalla violenza omicida contro le donne, gli ostacoli che incontra chi chiede verità e giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello stato o sono stati torturati o maltrattati in custodia, la stigmatizzazione pubblica sempre più accesa di chi è diverso dalla maggioranza per colore della pelle o origine etnica”. “La situazione dei diritti umani nel nostro paese ci ha spinto, all’inizio del 2013, a lanciare un vero e proprio ‘pacchetto di riforme’, l’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia, sottoponendola ai leader delle coalizioni in corsa per le elezioni politiche e a tutti i candidati. I leader di quattro formazioni politiche che compongono l’attuale governo (Berlusconi, Bersani, Monti e Pannella) hanno aderito all’Agenda così come 117 attuali deputati e senatori. È stato un risultato importante, ma ora è arrivato il momento di mantenere le promesse: ci aspettiamo che coloro che hanno firmato l’Agenda, in tutto o in parte, tengano fede agli impegni specifici presi con Amnesty International e con coloro che si sono informati, durante le elezioni, sulle loro posizioni in materia di diritti umani” – ha aggiunto Marchesi.
“È più che mai giunto il momento di fare riforme serie nel campo dei
diritti umani. Non ci sono alibi. Non regge l’alibi della crisi, ammesso che
considerazioni economiche possano valere a fronte della necessità di proteggere
valori fondamentali. Anche le violazioni dei diritti umani costano, e spesso di
più della loro tutela. Né rappresenta un'obiezione valida la presunta
limitazione dell'agenda del governo. Il parlamento è stato eletto e il governo
è in carica: entrambi sono tenuti a svolgere le rispettive funzioni
nell'interesse generale e a garantire l'attuazione delle convenzioni
internazionali che il nostro paese si è impegnato a rispettare” – ha concluso
Marchesi.
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