Intervento del
cardinale Antonio Maria Vegliò alla XX Sessione Plenaria del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
CITTA' DEL VATICANO, 22 Maggio 2013 - Pubblichiamo di
seguito il discorso rivolto dal cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del
Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ai
partecipanti alla XX Sessione Plenaria del dicastero, inaugurata questa mattina
a Roma.
La Plenaria si svolge a Palazzo San Calisto
(Trastevere) e termina la sera di venerdì 24 maggio.
***
Eminenze,
Eccellenze,
Sacerdoti,
Religiosi e Religiose,
Signore e
Signori,
Introduzione
Buongiorno e benvenuti a questa ventesima Assemblea Plenaria. Siamo qui riuniti per riprendere il nostro cammino verso una
migliore comprensione della migrazione forzata in rapporto alla nostra fede e
alla solidarietà con chi è costretto a lasciare la sua casa, e per individuare
risposte più adeguate. La presenza e la sofferenza di persone forzatamente
sradicate sono una sfida per la nostra fede, un invito a riflettere ancora una
volta su cosa significhi essere cristiani e quali risposte siano necessarie.
Nel suo
Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2011, Papa
Benedetto XVI ha affermato che “È in modo particolare la santa Eucaristia a
costituire, nel cuore della Chiesa, una sorgente inesauribile di comunione per
l’intera umanità. In effetti, l’esercizio della carità, specialmente verso i
più poveri e deboli, è criterio che prova l’autenticità delle celebrazioni
eucaristiche”.[1] Questo è stato espresso in modo diverso da Papa Francesco: “Ho
detto «straniero»: penso a tanti stranieri ... : cosa facciamo per loro? ...
Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo
amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi”.[2]
Il cambiamento delle migrazioni
La migrazione e il modo di intenderla sono cambiati. Anni fa la differenza tra migrazione volontaria e involontaria
(migranti per motivi di lavoro e rifugiati) è stata definita più nettamente.
Attualmente tale differenza è diventata vaga e indistinta, a volte anche
controversa e contestata.
La migrazione
forzata è costituita da movimenti migratori involontari. Minacce alla vita,
come persecuzione, conseguenze di conflitti o altre violazioni dei diritti
umani, costringono le persone a spostarsi. Alcuni attraversano le frontiere
internazionali e così diventano rifugiati, mentre altri restano in una diversa
regione del loro Paese e sono considerati internally displaced persons (IDP).
Due categorie distinte.
Un altro gruppo
di sfollati interni è costituito da quanti abitavano in luoghi in cui il
Governo ha deciso di realizzare progetti infra-strutturali di sviluppo. Il
mondo deve anche confrontarsi con le vittime e le conseguenze dei disastri
naturali. Vi sono calamità naturali sufficientemente visibili, ma cosa si può
dire di disastri a lenta insorgenza, come la perdita dei raccolti causata da un
ulteriore anno di siccità? La popolazione ricorre a contromisure e un
componente della famiglia migrerà temporaneamente. Si tratta forse di abbandono
volontario, come nel caso dei lavoratori migranti o di persone costrette ad
andarsene perché le loro famiglie possano sopravvivere? Lo stesso vale per
l’innalzamento del livello degli oceani. Chi fornirà qualche forma di
protezione e in base a quale mandato?
Il traffico di
esseri umani esiste nella maggior parte dei Paesi, sotto forme molte diverse.
Si tratta di persone che sono state ingannate sugli obiettivi del lavoro e
quindi sono soggette a sfruttamento. Non possono più dire una parola sul loro
destino, né sulla propria vita. Unico scopo è quello di trarre profitto ovunque
lavorino o qualunque cosa facciano. Le cause profonde del traffico di esseri
umani non risiedono soltanto nella povertà e nella disoccupazione. La domanda
di manodopera a basso costo, di prodotti a basso prezzo o di “sesso esotico o
inusuale” sono pure cause primarie del traffico. Le diverse forme di traffico
costituiscono violazione dei diritti umani, che richiedono approcci e misure
adeguate per restituire la dignità alle vittime.
Statistiche di
questo fenomeno nella sua totalità sono difficili da ottenere e da
interpretare. Tuttavia, si stima che almeno 100 milioni di persone abbiano
lasciato a malincuore le loro case o si trovino in esilio. C’è anche da tener
presente che nel prossimo futuro gli effetti del cambiamento climatico
genereranno movimenti di popolazione su larga scala e grandi sfide per la
mobilità umana.
Espansione dei mandati e della protezione
A fianco delle persone forzate all’emigrazione sono impegnate diverse
organizzazioni e i loro mandati.
L’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) è incaricato di
trattare i diversi aspetti delle persone rifugiate, inclusa la ricerca di
soluzioni. Esso è regolato dalla Convenzione dei rifugiati del 1951. Trattati,
estensioni, cambiamenti nella realtà e la giurisprudenza hanno portato a
un’ulteriore interpretazione e all’ampliamento del concetto di rifugiato.
L’ACNUR ha anche ricevuto un mandato da parte dell’Assemblea Generale, nel
1974, per ridurre l’apolidia.
L’Agenzia delle
Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi nel
Vicino Oriente (UNRWA), fondata nel 1949, si colloca al di fuori della
Convenzione del 1951 e si occupa dell’assistenza dei rifugiati Palestinesi.
Il mandato
dell’ACNUR è stato notevolmente ampliato per includere anche, a determinate
condizioni e su richiesta speciale dell’Assemblea Generale, l’assistenza
umanitaria, la protezione degli sfollati interni a causa di conflitti nelle
aree di protezione, l’alloggio e la gestione dei campi profughi. Anche i
disastri naturali forzano lo spostamento, per cui è stato chiesto all’ACNUR di
assumersi l’organizzazione del cluster di protezione a livello globale.
Le persone in
condizioni quasi di rifugio, che però non attraversano un confine
internazionale (IDP), non hanno una base giuridica e istituzionale per ricevere
protezione e assistenza umanitaria da parte della comunità internazionale. I
loro Governi sono responsabili del loro benessere e della sicurezza, ma spesso
non riescono a farlo perché non sono in grado di onorare tale obbligo, quando
addirittura non sono essi stessi ad aver causato lo sfollamento. Un passo
avanti per affrontare queste situazioni è stata la pubblicazione, nel 1998, dei
Principi Guida sugli Sfollati Interni, che trattano di tutte le forme di
sfollamento interno, e la Convenzione di Kampala del 2012, che è il primo
strumento regionale al mondo a imporre la protezione legale per i diritti e il
benessere di chi è costretto a fuggire entro i confini del suo Paese d’origine.
Il traffico di
esseri umani è affrontato sotto diversi aspetti da una pluralità di soggetti,
dall’ILO[3], l’ACNUR[4], l’OIM[5], l’UNODC[6], l’OSCE[7], ognuno attento a un
particolare aspetto del fenomeno. Tutte queste organizzazioni e altre ancora,
tra cui le Organizzazioni non Governative, sono convocate due volte l’anno
dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), per
collaborare come Alleanza Contro il Traffico di Persone.
Indebolimento dell’impegno e misure restrittive
Tuttavia, nonostante i progressi compiuti, si può osservare anche un’altra
tendenza contrastante, costituita dall’allargamento dei mandati e dalla maggior
attenzione verso chi è costretto a emigrare. L’atteggiamento
dei Paesi industrializzati e nei Paesi del Sud è cambiato in senso negativo,
allo scopo di rendere più difficile la vita ai richiedenti asilo. Tale
cambiamento riguarda l’abbassamento degli standard umanitari e l’introduzione
di misure restrittive. Ciò contribuisce al contrabbando di persone in viaggi
pericolosi.
I Paesi del Sud
ritengono che la condivisione degli oneri relativi ai costi sociali ed
economici non sia stata sufficientemente affrontata dalla comunità
internazionale. Ne è conseguita una diminuzione dell’ospitalità e dell’accordo
a ricevere flussi ingenti di rifugiati per un periodo indefinito di tempo. Ne
sono state gravemente colpite le tre soluzioni durature: il rimpatrio
volontario, il reinsediamento e l’integrazione.
La presenza di
persone forzatamente sradicate è vista come un problema, e non come un segno di
un più profondo dilemma. Questo va di pari passo con un atteggiamento di
irrigidimento dell’opinione pubblica e sta minacciando lo spazio di protezione.
La Protezione
La protezione
non è una semplice concessione data al rifugiato. Il rifugiato e lo sfollato
sono soggetti con diritti e doveri. Se questi diritti esistenti fossero
rispettati e se ci fossero maggiori e più tempestivi investimenti economici e
finanziari per superare le emergenze e per avviare la ricostruzione della
società, farebbe davvero la differenza.
La protezione
comprende tutte le attività finalizzate a ottenere il pieno rispetto dei
diritti della persona in conformità alla lettera e allo spirito dei competenti
organi di legge. Si compone di diritti civili e politici, come anche di diritti
economici, sociali, culturali e religiosi. Tra questi diritti vi sono la
libertà di movimento all’interno del Paese, la pratica della religione e
l’educazione religiosa, il diritto al lavoro e l’accesso alla questione abitativa.
Non ottemperare
a questi diritti ha conseguenze drammatiche. I rifugiati diventano quasi del
tutto dipendenti dall’assistenza umanitaria internazionale per il cibo e altre
necessità. Circa 7 milioni di persone, escludendo la popolazione dei rifugiati
Palestinesi, sono costrette in situazioni prolungate, della durata media
attualmente di quasi 20 anni. Ciò significa che un’intera generazione di
bambini non conosce altra realtà che la situazione del campo profughi.
Il documento che
stiamo per pubblicare dichiara molto bene che almeno questi diritti esistenti
dovrebbero essere garantiti. Dobbiamo rispettare i principi, tenendo presente
che la Convenzione sui rifugiati è stata considerata uno strumento minimale,
atta a essere migliorata. Lo spirito del 1951 dovrebbe essere rianimato, per
portare a una politica aperta, che risponda integralmente ai problemi di oggi e
di domani.
Il coinvolgimento della Chiesa
Il
Cristianesimo, fin dalle sue origini, ha sempre avuto un atteggiamento aperto
al debole e allo straniero. La migrazione appartiene alla tradizione cristiana.
Tante storie della Bibbia sono legate alla migrazione: Abramo, Mosè, i genitori
di Gesù che sono fuggiti dal loro paese e hanno cercato rifugio in Egitto per
sottrarsi alla persecuzione, al Giudizio Universale con la sua domanda: quando
ti abbiamo visto ...? “Ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La
protezione degli stranieri si trova qui, allo stesso livello della
sollecitudine di Dio per i poveri, le vedove e gli orfani. Questa era basata
sulla tradizione ebraica. Lo straniero deve essere trattato allo stesso modo
degli Israeliti (cfr Lev 19,34).
La diffusione
del Vangelo, quando gli apostoli e i loro successori dipendevano
dall’accoglienza e dall’ospitalità che venivano loro offerte, ha fatto sì che
l’ospitalità diventasse marchio di fabbrica della Chiesa.
La primitiva
comunità cristiana di Roma si distingueva soprattutto per un elemento che la
rendeva diversa dal suo ambiente, cioè la sua idea di ospitalità. Se qualcuno
non aveva un posto dove andare, trovava accoglienza in quella comunità.
Più tardi questa
idea di ospitalità si è allargata. Si comprende così come ospedali e case di
riposo, nonché opere di beneficenza siano iniziate sotto il patrocinio della
comunità cristiana.
Con le
generazioni successive, l’attenzione alle persone bisognose di assistenza ha
subito cambiamenti di forma, ma la sollecitudine nei loro confronti è sempre
rimasta una componente essenziale del cristianesimo. Questo ha trovato
completamento nella Dottrina sociale della Chiesa, con principi come la
solidarietà e il bene comune. Alla base della sua visione della società c’è la
convinzione che “i singoli esseri umani sono il fondamento, la causa e il fine
di ogni istituzione sociale”.[8]
La solidarietà è
legata alla comprensione che noi siamo una sola famiglia umana, qualunque siano
le nostre differenze nazionali, razziali, etniche, economiche e ideologiche, e
dipendiamo gli uni dagli altri. La solidarietà è frutto di amore e giustizia
messi in pratica.
Come ha affermato Papa Benedetto XVI: “Accogliere i rifugiati e offrire
loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché
essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e dell’indifferenza”.[9]
Questo è stato realizzato dalla Chiesa in molti modi nel corso della storia, e
ogni volta e ogni situazione richiedono una risposta adeguata.
Collegamenti - relazioni con altri
settori
Elementi della
migrazione forzata stanno penetrando diversi aspetti della vita e toccano anche
i diversi settori di questo Dicastero. Questo certamente avrà delle
conseguenze. Ne segnalo soltanto alcune, in quanto molto probabilmente ne
sentiremo molte altre in questi giorni.
Settore Migranti: flussi
migratori misti. Dopo il loro arrivo, è necessario riservare un trattamento
diverso ai richiedenti asilo, ai migranti e ad altre persone. Il problema di
questi flussi è che spesso sono introdotti in modo irregolare in un Paese, cosa
che alla fine può condurre a mero sfruttamento, sotto forma di traffico di
esseri umani.
Settore Apostolato del Mare: l’obbligo di salvataggio in mare è ben definito nella legislazione
marittima, in quella dei rifugiati, nella normativa dei diritti umani e negli
strumenti operativi. Tuttavia capita sempre più spesso che i comandanti si
trovino in una situazione difficile tra l’obbligo di offrire assistenza e le
gravi conseguenze economiche che ciò comporta. Inoltre, a volte i membri
dell’equipaggio vengono messi sotto processo per i loro tentativi di soccorso.
Le persone sono attratte dalla promessa di posti di lavoro meglio
retribuiti. Alla fine, però, si ritrovano a lavorare su
navi contro la loro volontà, in condizioni di sfruttamento nel settore della
pesca, diventando così vittime del traffico di esseri umani.
Settore dell’Aviazione civile: molte volte i richiedenti asilo in arrivo negli aeroporti non
ottengono l’accesso al territorio del Paese, ma sono trattenuti in zone di
transito. Il ministero dei cappellani aeroportuali comprende coloro che sono
confinati nei centri di detenzione aeroportuali. Anche gli aeroporti sono
luoghi in cui si è visto che le persone possono essere vittime del traffico.
Settore Nomadi: molti Rom sono apolidi, persone quasi
invisibili, prive di documenti di identità, con poche opportunità di ottenere
un posto di lavoro, di studiare e di lasciare i loro poveri accampamenti. Questo si traduce spesso in accattonaggio, cui sono costretti
bambini e donne. Anche nell’ambito dei Rom è presente il traffico di esseri
umani.
Settore Studenti internazionali: agli studenti internazionali può accadere che la loro situazione
personale cambi a seguito di un colpo di Stato nel proprio Paese oppure perché
vengono coinvolti in attività consentite nel Paese di residenza, ma guardate
con sospetto in patria. Queste vicende possono portarli a diventare rifugiati in
loco.
Settore Turismo: lo sfruttamento sessuale di bambini e donne da
parte di turisti, uomini d’affari, lavoratori dei trasporti e personale
militare è un fatto ben noto. Su questo ha insistito il
Codice Mondiale di Etica del Turismo, dicendo che “lo sfruttamento di esseri
umani, in qualsiasi forma, in particolare sessuale, specialmente quando
riguarda i bambini, viola gli obiettivi fondamentali del turismo e costituisce
una negazione della sua essenza”.[10] Sono stati istituiti codici di condotta
per le imprese, in modo da affrontare la questione alla radice. L’industria del
turismo ha adottato nel 2001 il Codice di condotta per la protezione dei
bambini dallo sfruttamento sessuale nei viaggi e nel turismo. Attualmente esso
è stato sottoscritto da più di 1250 compagnie che operano in 45 Paesi diversi.
Settore Pastorale della Strada: le donne sono ben visibili sui marciapiedi delle
strade. Si tratta della prostituzione di strada e di
donne sottoposte a sfruttamento sessuale. Sono due realtà distinte. Ridurre le
donne a vittime del traffico a scopo di sfruttamento sessuale è una violazione
dei diritti umani, e accade con il ricorso alla violenza e all’inganno. Questo
ha le sue conseguenze sulla sollecitudine pastorale.
Vivere senza
fissa dimora ostacola la stabilità e i legami nella vita delle persone. I
richiedenti asilo, i rifugiati e gli apolidi molte volte incontrano difficoltà
nell’accedere a un alloggio sicuro e a prezzi accessibili, cadendo in
situazioni di vita tipiche dei senza tetto.
Conclusione
I Governi, le
Organizzazioni non Governative e, in generale, tutti hanno il dovere di
sentirsi coinvolti nelle questioni che toccano le persone forzatamente
sradicate. Una particolare responsabilità spetta alla comunità di Cristo, la
Chiesa.
Gesù si identifica
con gli stranieri, i malati, i sofferenti, i senza fissa dimora e con tutte le
vittime innocenti di violenze e abusi. Nei loro confronti egli mostra amore e
compassione.
Anche noi siamo
invitati a dare testimonianza di questo messaggio di speranza per tutti, la
Buona Novella per ogni situazione e per la vita intera di tutti gli esseri
umani. La Chiesa ha sempre bisogno di nuova consapevolezza sul modo di
accogliere gli immigrati, i richiedenti asilo, i rifugiati, coloro che sono
forzatamente sradicati, per mettere in pratica la solidarietà.
Come ha detto
Papa Francesco: “Bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere
e la sua efficacia redentrice: nelle «periferie» dove c’è sofferenza, c’è
sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti
cattivi padroni. (…) Questo io vi chiedo: siate pastori con «l’odore delle
pecore», che si senta quello, invece di essere pastori in mezzo al proprio
gregge e pescatori di uomini”.[11]
Inoltre,
dobbiamo essere pronti a ridare continuamente nuova forma ai nostri sforzi
pastorali dal momento che nuove sfide richiedono nuove risposte. Questo sarà il
programma da attuare per rimanere fedeli a Gesù Cristo, straniero in mezzo a
noi.
Grazie.
*
NOTE
[1] Cfr Giovanni
Paolo II, Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 28.
[2] Papa
Francesco, Udienza Generale, 24 aprile 2013.
[3] Ufficio
Internazionale per il Lavoro (ILO).
[4]
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR-UNHCR).
[5]
Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).
[6] Ufficio
delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).
[7]
Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OCSE-OCSE).
[8] Giovanni
XXIII, Mater et Magistra, n. 219.
[9] Benedetto
XVI, Udienza generale, 20 giugno 2007.
[10] Organizzazione
Mondiale del Turismo, Codice Etico Mondiale del Turismo, 1 ottobre 1999, art. 2
& 3.
[11] Papa
Francesco, Omelia per la Messa Crismale, 28 marzo 2013.
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