21 maggio 2013

Pentecoste 2013 - La testimonianza di Paul Bhatti

Santo Padre,
carissimi amici, è un grande onore e una gioia essere qui in mezzo a voi. Sono molto grato a papa Francesco per avermi dato l’opportunità di condividere, con tutti voi, i dolori e le speranze dei cristiani del Pakistan.
Nel mio Paese, i cristiani sono una piccola minoranza, molto povera. La fede in Gesù, l’amore per il Vangelo, l’unità con la nostra madre Chiesa, sono la nostra sola ricchezza. Molte volte subiamo discriminazioni, e anche violenze, come è successo recentemente a Lahore, dove più di 100 case di un quartiere cristiano sono state date alle fiamme, invocando la legge sulla blasfemia. Una legge che spesso alcuni usano per scopi personali. Ma, come discepoli di Gesù, vogliamo essere uomini di pace, in dialogo con i nostri fratelli musulmani e delle altre religioni. Vogliamo testimoniare con l’amore e la misericordia la nostra fede in Gesù.
E’ stata questa la testimonianza del mio fratello più giovane, Shahbaz Bhatti, che ha dato tutta la sua vita per il Vangelo. E’ stato ucciso da estremisti a 43 anni.
Shahbaz inizò la sua missione tra i poveri e gli emarginati quando frequentava la scuola nel nostro villaggio natale, Khushpur. Un Venerdì Santo, di fronte alla croce di Gesù, si sentì chiamato – sono le sue parole - a “corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese”.
Così, per tutta la sua vita, nonostante avversità e minacce, è stato fedele alla sua missione di essere vicino ai poveri, di testimoniare l’amore di Gesù, lavorando affinché nella società divisa e violenta del Pakistan si affermassero l’amore e la capacità di vivere insieme. I bisognosi, i poveri, gli orfani, diceva, “sono la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo”.
Ha sognato un Pakistan senza discriminazioni e pacifico, dove fedeli di tutte le fedi potessero godere di pari diritti, di libertà religiosa e di pari opportunità per il progresso del paese.
Quando è divenuto Ministro federale per le minoranze, ha lavorato perché si affermassero l’armonia, la tolleranza e l’uguaglianza in una società libera. Non ha mai smesso di essere con i poveri. Quando il Pakistan veniva colpito da inondazioni e terremoti, Shahbaz era lì, vicino a coloro che soffrivano.
Noi gli chiedevamo di essere cauto, in quanto la sua vita era in grave pericolo, ma lui sorrideva dicendo: "Mi sono messo nelle mani di Gesù e lui mi proteggerà".
La sua fede era nutrita dalla preghiera e dalla lettura costante del Vangelo. Ogni mattina, prima di uscire di casa, Shahbaz restava solo in preghiera, almeno mezz’ora, con la sua Bibbia.
Oggi quella Bibbia, una vera e propria reliquia, è custodita qui a Roma, nella basilica di San Bartolomeo, memoriale dei nuovi martiri del nostro tempo, affidata ai miei amici della Comunità di Sant’Egidio, a cui sono grato.  I cristiani in Pakistan sono felici che la sua Bibbia sia qui a Roma, accanto alla memoria di tanti nuovi martiri e degli apostoli Pietro e Paolo.
Shahbaz Bhatti ha reso testimonianza a Gesù Cristo con il suo sangue. Ma la sua vita e la sua fede  hanno dato frutto. Ho visto, dopo la sua morte, quanta gente lo amava: i cristiani, che avevano trovato in lui una protezione, una voce forte. Ma anche tantissimi musulmani - gente del popolo, studiosi, imam delle moschee - indù e sikh, piangevano e parlavano di lui dicendo che era un uomo di pace, un uomo di Dio. La sua grande fede ha superato le montagne di divisione tanto alte nel mio Paese. E ha seminato un amore più alto di queste montagne.
Le sue parole e i suoi gesti hanno dato coraggio ai cristiani pakistani. Io, che vivevo ormai lontano, sono tornato nel mio Paese, per continuare la sua missione per la promozione dell'armonia interreligiosa, per l’educazione e lo sviluppo delle comunità povere ed emarginate.
Come me, tanti uomini e donne di buona volontà hanno raccolto la sua testimonianza. Oggi, in Pakistan, noi cristiani siamo meno soli. Dopo le violenze di qualche mese fa, abbiamo ricevuto la solidarietà di altre comunità religiose: quelle con cui Shahbaz aveva aperto un dialogo.
Vorrei chiedere a lei, Santo Padre, le sue preghiere e il suo sostegno perché possiamo continuare la missione di Shahbaz ed essere una potente testimonianza di Cristo, portando speranza e pace, perché tutti siano rispettati e amati. Veramente essere cristiani cambia la vita di un popolo!
Santo Padre, ho sempre nel cuore le sue parole pronunciate nel Giovedì Santo “non lasciatevi rubare la speranza”. E vorrei dirle che noi cristiani del Pakistan non lasceremo che le prove, le difficoltà, rubino la nostra speranza, che è fondata sull’amore di Gesù e sulla fede dei martiri, ma continueremo a testimoniare il Vangelo della mitezza, del dialogo, dell’amore per i nemici, della tenerezza. Questa è la nostra fede e per questa fede vogliamo vivere e se necessario anche morire. Come Shahbaz.
Cari amici, chiedo a voi tutti dal profondo del mio cuore la vostra vicinanza nella comunione e nella preghiera a noi cristiani e a tutto il popolo del Pakistan: questo ci dà forza e ci libera dalla paura. Che Dio porti pace al nostro paese e protegga tutti gli uomini che sono soggetti a violenze e discriminazioni a causa dello loro fede.
Non dimenticateci!  
Grazie.

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