di Piero Gheddo
La mostrano le vicende differenti di persone che hanno dedicato la vita alla evangelizzazione. Il beato Clemente Vismara, una vita irta di difficoltà e problemi, che ha realizzato grandi opere del Vangelo senza mai perdere l'entusiasmo per la propria vocazione.
Roma - Il 17 maggio 2013 Papa Francesco, ricevendo i responsabili delle
Pontificie Opere Missionarie, ha parlato del dovere di "tenere sempre viva
l'attività di evangelizzazione, paradigma di ogni opera della Chiesa... Il Vescovo di Roma è chiamato ad essere Pastore non solo della sua
Chiesa particolare, ma anche di tutte le Chiese. In questo compito, le
Pontificie Opere Missionarie sono uno strumento privilegiato nelle mani del
Papa". Ed ha aggiunto: "Ci sono tanti popoli che non hanno ancora
conosciuto e incontrato Cristo". Annunziare Cristo a questi popoli è
"un compito che spetta a tutti noi che abbiamo ricevuto il dono della fede
non per tenerla nascosta, ma per diffonderla".
Al termine del
suo discorso, Papa Francesco si è augurato, citando Paolo VI, che la Buona
Novella sia proclamata non da missionari "tristi e scoraggiati, impazienti
e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano
per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo e accettino di mettere in gioco
la propria vita affinché il Regno di Dio sia annunziato e la Chiesa sia
impiantata nel cuore del mondo".
Nella
"Redemptoris Missio" (1990), Giovanni Paolo II, rivolgendosi alle
giovani Chiese, ha scritto: "Dovete essere come i primi cristiani e
irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al
prossimo". La gioia di annunziare il Vangelo viene al
missionario dall'essere intimamente unito a Gesù, che, essendo unito al
Padre e allo Spirito, gli trasmette la sua gioia. Infatti, come dice San
Giovanni, "Deus Caritas est", Dio è Amore. Quando il missionario si
dona totalmente a Cristo, sperimenta la promessa che il Figlio di Dio fece agli
Apostoli: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra
gioia sia piena" (Giov. 15, 11). Non è una gioia precaria, passeggera, è
uno stato d'animo che sostiene il messaggero del Vangelo nella sua fatica,
nelle sofferenze, rinunzie, fallimenti, persecuzioni. La gioia di essere
intimamente uniti a Cristo rende efficace l'annunzio del Vangelo, perché il
missionario trasmette questa gioia, questo entusiasmo e pace del cuore.
Tutto questo
potrebbe sembrare teoria o sogno utopico. Ma non è così, anzi è confermato
dalla vita di non pochi missionari che lasciano un buon ricordo di sé. Mi fermo
alla mia esperienza. Ho scritto una quindicina di biografie di missionari
(anche non del Pime) che mi erano state richieste. Ho letto bene le loro
lettere e le testimonianze su questi personaggi e mi sono accorto che una delle
caratteristiche comuni a tutti era appunto la gioia di essere messaggeri del
Vangelo. Erano uno diverso dall'altro in tutti gli aspetti della loro missione:
da mons. Aristide Pirovano, che ha
fondato in Amazzonia la diocesi di Macapà, è stato per 12 anni superiore
generale del Pime, poi ha passato i suoi ultimi anni nel lebbrosario di
Marituba, dove ha preso il posto di Marcello Candia e ha realizzato tante opere
religiose, educative e di aiuto ai poveri; a padre Leopoldo Pastori, che poco
dopo il sacerdozio nel 1969 è stato colpito da un cancro al fegato. A poco più di trent'anni, poteva diventare un peso per sé e per gli
altri. Invece è riuscito ad andare in Guinea Bissau, dove il suo lavoro
principale era la preghiera e la direzione spirituale. Eppure tutti e due hanno
conservato fino al termine della vita la gioia e l'entusiasmo di essere
missionari e dopo morte godono di una diffusa "fama di santità". Come
spiegare questo se non che erano intimamente uniti a Cristo?
L'ultima
biografia che ho scritto è quella del beato padre Clemente Vismara ("Fatto
per andare lontano", Emi). Dopo
i quattro anni di trincea nella prima guerra mondiale e 65 anni di missione in
Birmania, in situazioni disumane di povertà estrema e di isolamento, fra
popolazioni tribali che quasi vivevano ancora nell'epoca preistorica, è morto a
91 anni (1897-1988) e i suoi confratello dicevano: "E' morto senza
mai essere invecchiato". Infatti, quando l'ho
incontrato in Birmania nel 1983 (a 86 anni), aveva ancora il sorriso di un
bambino, la vivacità e la voglia di scherzare di un giovane uomo e non voleva
parlare del suo passato, ma mi diceva: "Parliamo del mio futuro".
Aveva realizzato, in quelle situazioni, grandi opere di Vangelo, ma non si era
mai lasciato indurire dalle tremende privazioni e difficoltà.
Un suo compagno
di missione, padre Angelo Campagnoli, ha testimoniato al processo diocesano per
la sua beatificazione: "Clemente era un uomo di fede pratica, aveva una
visione soprannaturale della vita, un profondo abbandono in Dio. Tutto in lui
era guidato dalla fede, che era alla base della sua forza e delle sue certezze.
Era la fiducia che, nonostante tutto, sarebbe uscito qualcosa di buono. La fede
gli dava la forza di perseverare, anzi di cominciare sempre da capo, anche
quando le delusioni si ripetevano. Di qui dunque la perseveranza...Era un uomo
entusiasta della sua vocazione e, proprio perché ci credeva con passione
eccezionale, riusciva a comunicarla....E credo che la gioia sia un'altra
caratteristica, una virtù singolare di padre Vismara. Certo essa era
probabilmente una dote naturale e su questa si riposava la sua vita spirituale,
ma in lui non c'era distinzione delle due sfere".
Padre Rizieri
Badiali, anche lui suo compagno di missione: "Padre Vismara sopportava
tutte le prove con gioia, perché diceva che se eravamo perseguitati voleva dire
che tutto andava bene. Era la sua fede, una fede entusiasta, gioiosa, piena del
desiderio di salvare le anime, la vita cristiana per lui era basata sui fatti,
sull'essere conformi alla volontà del Signore... Questa fu la fede di padre
Clemente, che lo sostenne per tutta la vita fino alla morte, con una grande
allegria, una grande voglia di vivere che sentiva per sé e per i ragazzi che
accoglieva appena poteva".
Un catechista di
padre Clemente, Anselmo U, ha dichiarato: "Abbiamo sopportato assieme
molte fatiche: andavamo a visitare i villaggi lontani e spesso dovevamo dormire
sotto gli alberi e sotto le stelle, perché non eravamo ancora arrivati. Eppure
padre Vismara era sempre sereno e sorridente. Non l'ho mai visto arrabbiato.
Qualche volta si ammalava ed era molto debole: allora mi diceva di pregare e
far pregare la gente del villaggio in cui ci trovavamo".
Padre Clemente
Hla Shwe, un suo orfano oggi sacerdote: "Era certamente un uomo di
preghiera, un uomo di grande fede, direi di una fede sorridente, perché
sorrideva sempre. Comunicava tanta gioia ed entusiasmo a chiunque lo
accostasse. Anche a me, quando ci incontravamo, mi esortava sempre ad essere un
prete zelante nel lavoro apostolico, ma anche pieno di gioia e di
sorriso".
Suor Battistina
Sironi delle suore di Maria Bambina, per trent'anni con padre Clemente a
Mongping dal 1958 fino alla sua morte nel 1988, nella lunga intervista che le
ho fatto il 17 febbraio 1993 a Kengtung ha detto: "Era sempre allegro.
Quando aveva dei fastidi cantava, nella sua casa. Allora noi suore chiamavamo i
bambini e li portavamo in chiesa a pregare per il padre Clemente, che aveva grane
grosse".
Suor Battistina
è stata senza dubbio la persona che ha vissuto più a lungo vicino a padre
Clemente. Al processo diocesano a Kengtung ha testimoniato: "Non ho mai
conosciuto un uomo con una fede così grande come padre Clemente. Fu veramente
un uomo di preghiera, pieno di pietà e di carità verso tutti, specialmente i
poveri e ancor più verso i piccoli. Quando non c'era niente da mangiare, lui mi
diceva: 'Lei stia qui con i bambini che io vado in chiesa'. Andava in chiesa a
pregare e certamente poco dopo arrivava il riso necessario. Tenete conto che
c'erano già allora cento orfani a cui dare da mangiare ogni giorno! Pregava
tanto. La sera soprattutto diceva il Rosario: non l'ha mai tralasciato neppure
un giorno. Anche la Messa non è mai stata tralasciata da lui e la celebrava con
grande devozione e raccoglimento".
Nell'Anno della Fede, l'esempio del beato Clemente Vismara è provocatorio
anzitutto per noi sacerdoti e missionari, ma anche per tutte le persone
consacrate e tutti i credenti in Cristo. La fede era per
lui il motore della vita, era sempre sereno e sorridente nonostante tutte le
sofferenze, le difficoltà, le malattie; non una fede seduta, che non
disturbasse la sua tranquillità e il suo tran-tran quotidiano, ma un fede viva,
militante, che lo rendeva disponibile a rinunzie e sofferenze per fare il bene
e fuggire il male e per essere sempre a servizio del suo popolo e della Chiesa.
Se non c'è entusiasmo e gioia nelle cose che facciamo e in cui crediamo, non
c'è nemmeno il premio della gioia e della serenità di spirito e rischiamo di
invecchiare prima del tempo.
Video: Clemente Vismara
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