Basilea - In una scena molto
efficace del film "Terraferma" di Emanuele Crialese, ambientato a
Lampedusa, i pescatori dell'isola discutono, in una sorta di assemblea, se
l'antica legge del mare, che vieta di lasciare in balia delle acque chi si
trovi in pericolo, non sia più da rispettare, in base a moderne leggi scritte,
volute dall'Unione Europea. Il film in effetti si ispira alle vicende reali di
alcuni equipaggi di navi incriminati per favoreggiamento all'immigrazione
clandestina, quando invece non avevano fatto altro che soccorrere migranti
nelle loro disperate traversate del Mediterraneo.
Il “Mare Nostrum” è diventato non
solo una pericolosa frontiera, un immenso cimitero per migliaia di persone, ma
anche uno spazio in cui si intrecciano e si scontrano interessi e questioni di
carattere politico, giuridico e umanitario. Mentre purtroppo anche nell'estate
del 2012 non sono cessati i naufragi e le morti di migranti lungo le coste
italiane e in altri punti caldi come i confini tra Turchia e Grecia e tra
Marocco e Spagna, sul fronte del diritto si vanno chiarendo alcuni aspetti
legali inerenti alle responsabilità degli stati.
A livello europeo si sta
riflettendo sull'importante impatto che può avere nella gestione delle
frontiere la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha
condannato l'Italia per il respingimento verso la Libia – avvenuto nel 2009 – di
una nave di migranti fermata in acque internazionali e la successiva consegna
delle persone alle autorità di Tripoli. La Corte ha riaffermato un principio
fondamentale: il legittimo esercizio della sovranità statale, che si attua nel
controllo delle frontiere e nella lotta all'immigrazione irregolare, non può
avvenire a prezzo di violare i diritti umani dei migranti e dei rifugiati,
nemmeno quando non è ancora chiaro il loro status giuridico o ci si trova al di
fuori del territorio nazionale. Una volta che i migranti e i potenziali
rifugiati erano stati intercettati e trasferiti su una nave italiana, l'Italia
era tenuta a evitare che fossero riconsegnati alla Libia. Il Governo, infatti,
era già a conoscenza, in base a numerosi rapporti, del fatto che nei centri di
detenzione libici avvenivano – e avvengono – gravi violazioni dei diritti
umani. Inoltre, le persone fermate in alto mare non avevano avuto la
possibilità, com'era loro diritto, di chiedere asilo politico. Un diritto che
non avrebbero potuto esercitare in Libia, paese che non ha firmato la
Convenzione di Ginevra per i rifugiati.
La sentenza sta già avendo degli
effetti molto importanti, perché di fatto condanna tutta la strategia dei
respingimenti adottata dal Governo italiano nel 2009. Il 28 luglio scorso, il
Governo Monti ha annunciato formalmente al Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa la rinunciaalla politica dei respingimenti. Il Mediterraneo non può
essere una "no-law-zone", cioè un'area in cui non vige alcun diritto,
né tanto meno una "Guantanamo in mare aperto".
Ma le conseguenze riguardano
tutti gli altri stati dell'Unione Europea. Si mette un vero e proprio punto di
domanda alla cosiddetta "esternalizzazione" delle frontiere europee,
cioè la tendenza dell'Unione Europea a spostare i controlli di frontiera e a
bloccare i flussi migratori in aree internazionali o sul territorio di paesi
terzi, dando addirittura in appalto queste attività a delle agenzie private. La
responsabilità di uno stato non finisce ai confini nazionali; vale a dire che,
se un paese dell'UE consegna dei migranti irregolari ad un altro stato o affida
a quest'ultimo il compito di fermare i movimenti migratori, è tenuto a
verificare che il tutto avvenga senza violare la Convenzione Europea dei
diritti dell'uomo.
Quanto affermato dalla Corte di
Strasburgo può produrre una "svolta culturale" in cui il rispetto dei
diritti umani non è considerato in contraddizione, ma complementare alle
legittime preoccupazioni riguardo alla sicurezza e al controllo dell'immigrazione.
Una seconda "svolta" potrebbe consistere nel costruire dei ponti per
l'accesso sicuro e protetto al territorio dell'Unione Europea per coloro che
hanno diritto di asilo, in modo da evitare la "roulette russa" del
Mediterraneo, ad esempio attraverso il reinsediamento (resettlement) per i
rifugiati riconosciuti dall'Alto Commissariato dell'ONU.
In questo tempo di crisi
economica e politica per l'Europa, certo è difficile pensare ad una immeditata
nuova apertura umanitaria nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Ma a
lungo termine la riaffermazione chiara della responsabilità per la vita e la dignità
di ogni essere umano, anche in situazioni giuridiche incerte, è un segnale
positivo e incoraggiante per il futuro di questo continente. (L.
Deponti/CSERPE)
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