Canberra (30 Agosto 2012) -
Mezzi di soccorso dell’Australia e dell’Indonesia sono ancora alla ricerca di
superstiti del naufragio di un barcone, con bordo oltre 150 persone, affondato
ieri in acque indonesiane ma diretto verso il territorio australiano di
Christmas Island, nell’Oceano indiano. Solo ventidue persone sono state tratte
in salvo, stamane, a ovest di Giava. Ieri mattina, le autorità australiane
avevano ricevuto una richiesta di soccorso per un barcone con problemi al
motore che stava affondando fra Giava e Sumatra, a circa 220 miglia nautiche da
Christmas Island. Ma fino a tarda sera gli elicotteri non erano riusciti a trovare
alcun segno dell’imbarcazione. Il ministro degli Interni australiano, Jason
Clare, ha confermato che sei persone sono state ripescate in mare, ma il numero
di dispersi resta ignoto. «Abbiamo gravi timori per molte altre persone», ha
dichiarato Clare alla stampa. (O.R.)
31 agosto 2012
30 agosto 2012
25 agosto 2012
24 agosto 2012
Una colección que fomenta el diálogo interreligioso y por TV
Buenos Aires - El martes 28 de agosto, desde las 9 hasta las 11, en el
auditorio de la Universidad de Belgrano (Zabala 1837), el rabino Abrahám
Skorka, rector del Seminario Rabínico Latinoamericano; el cardenal Jorge Mario
Bergoglio, arzobispo de Buenos Aires y primado de la Argentina, y Marcelo
Figueroa, presentarán la Colección Diálogo Interreligioso, que nació del
programa “Biblia, Diálogo Vigente”, que comparten.
Los autores, se explica en la invitación, “profundizarán además esta
temática tan vigente en el mundo de hoy como es la de defender un diálogo
permanente y fecundo” entre los credos.
La solidaridad, la fe y la razón, la oración y la dignidad, son los temas
que abarca esta obra editada por Editorial Santa María.
El programa “Biblia, Diálogo Vigente” se emite por el Canal 21, del
arzobispado de Buenos Aires.
Informes: prensa@c21tv.com.ar y teléfono 4342-0580.
23 agosto 2012
Taiwan ricorda il card. Shan, comunicatore della fede anche nella malattia
di Xin Yage
Giornali, tv, gente importante e semplice ricordano la sua figura, il suo impegno nel dialogo interreligioso e nell'aiuto ai poveri. Grande sostenitore dei media come strumento di evangelizzazione. Anche nella malattia ha aiutato molti a scoprire la fede e l'amore dentro il dolore.
Giornali, tv, gente importante e semplice ricordano la sua figura, il suo impegno nel dialogo interreligioso e nell'aiuto ai poveri. Grande sostenitore dei media come strumento di evangelizzazione. Anche nella malattia ha aiutato molti a scoprire la fede e l'amore dentro il dolore.
Taipei - Da ieri sera tutti i
telegiornali parlano del cardinale di Taiwan, Paul Shan Kuo-Hsi, deceduto ieri
pomeriggio, mercoledì 22 agosto 2012. Oggi la sua foto appare in prima pagina
su tutti i maggiori quotidiani dell'isola, con numerosi articoli nelle pagine
interne. Il presidente Ma Ying-jiou e moltissime persone della politica, della
cultura e dell'educazione hanno offerto abbondanti e toccanti interviste su di
lui.
Oltre alla "gente
importante", anche la "gente semplice" ne ha un ottimo ricordo.
Appena uscito di casa una signora sui 65 anni, vedendo la sua foto sul
giornale che porto con me, mi dice che "il cardinale ha fatto tantissimo
per Taiwan". Un monaco del tempio buddista del quartiere aggiunge altri particolari:
"Si è sempre impegnato con entusiasmo alla causa del dialogo
interreligioso, diventando a Taiwan, e nel mondo cinese in genere, una figura
di costante riferimento. Qui a Taiwan la sua collaborazione coi Maestri
buddisti Xingyun e Shengyen è stata apprezzata da tutti: ci ha aiutato
tantissimo e lui stesso ha ricevuto un grande aiuto, ad esempio nella
costruzione del Monte delle Beatitudini a Kaohsiung".
Proprio collaborando con laici
cristiani e con i moltissimi amici appartenenti a religioni diverse, si è
battuto in maniera energica per la difesa dei più deboli nella società, a
cominciare dalle tribù aborigene di Taiwan e dai lavoratori più poveri.
"Ricordo che quando era vescovo di Hualian e poi Kaohsiung, ha offerto
molte borse di studio a giovani sacerdoti aborigeni per incoraggiarli ad
approfondire la loro preparazione in Europa" racconta, ancora commosso
padre Rao, parroco della Sacra Famiglia di Taipei.
È stato presente in modo attivo
nel mondo dei media: alla fine degli anni Settanta è stato presidente del
Kuangchi Program Service, servizio di produzione televisiva di Taipei, in cui
ha dato un forte impulso ai programmi di educazione per bambini e giovani,
caratterizzato da un forte impegno per rendere visibili le povertà e ingiustizie
sociali di quegli anni. Il signor Chen, ora in pensione, era direttore
artistico di due importanti programmi quando il cinquantenne padre Shan ha
incominciato come direttore della televisione. "Povero lui: arrivava dal
mondo della scuola, era stato direttore del liceo Sant'Ignazio qui a Taipei,
non sapeva nulla di televisione!" commenta commosso il signor Chen.
"Lo stesso giorno in cui è arrivato sono andato nel suo ufficio con un
mattone, sì proprio un mattone per costruire i muri, e gliel'ho messo sulla sua
scrivania chiedendogli: 'cos'è questo?' e mi ha risposto: 'un mattone'. 'Solo
un mattone?' gli ho chiesto, e lui mi ha detto: 'Ho capito, avete bisogno di un
nuovo studio televisivo!', 'No!' quasi gli urlo in faccia, poveretto lui,
'da questo mattone possono nascere mille storie, qui in televisione ci vuole
creatività!'. E quello che mi ha colpito è stata poi la sua umiltà, infatti
l'anno seguente ha accettato di andare in Inghilterra per un corso di
specializzazione sulla produzione televisiva. E in più ci ha costruito il nuovo
studio televisivo, facendo il giro di mezza Europa per raccogliere i fondi
necessari. Inoltre ha imparato ad usare un linguaggio semplice, accessibile
alla gente, abbandonando quello solo culturale che aveva imparato lavorando
nelle scuole".
Padre Jerry conosciutissimo a
Taiwan e in Cina per i suoi programmi televisivi, conferma: "Credo che
quegli anni qui con noi lo abbiano influenzato moltissimo, da allora è sempre
stato molto cordiale con i media in genere e ha spinto gli altri vescovi a fare
altrettanto! Ricordo ad esempio che in occasione della morte di Madre Teresa
siamo stati gli unici due, dal mondo cattolico, a offrire testimonianze e
commenti sui media di lingua cinese sulla vita e la missione di quella grande donna.
Lui era un po' deluso dalla scarsa partecipazione dei suoi colleghi: 'devo
incoraggiarli ad essere più costruttivi' mi ha ripetuto spesso in
quell'occasione".
P. Jerry sottolinea "la
straordinaria visibilità tra la gente comune che il cardinale ha raggiunto dopo
aver saputo di essere ammalato". Cinque anni fa gli è stato diagnosticato
un tumore ai polmoni. Invece di abbatterlo e deprimerlo moralmente, questo è
stato l'inizio di un'altra fruttuosa parte della sua esistenza. Negli ultimi
tempi, in una conversazione tra amici, riconosceva che la malattia gli aveva
permesso, negli ultimi cinque anni, di incontrare gente di credo religiosi
diversi e dalle provenienze più disparate, addirittura più che nei precedenti
50 anni.
Il libro dal titolo " huo
chu ai" pubblicato nel 2009, che è un incoraggiamento ai lettori "a
dare vita all'amore". In esso parla della sua esperienza come malato di
cancro, che lo ha reso ancora più conosciuto e amato. Da allora è stato in
moltissime scuole e convegni a portare la sua testimonianza. In un altro libro
intitolato "gao bie sheng ming zhi lu" in cui sono raccolte le
testimonianze per il suo "cammino di addio alla vita", dopo aver
saputo la diagnosi da parte dei medici, parla del suo tornare a essere bambino
anzitutto sul piano fisico, dovendo dipendere in tutto dagli altri.
Nelle sue riflessioni capovolgeva
la domanda: da "Perché succede a me?" a "Perché non dovrebbe
succedere a me?" vedendo nella malattia un'opportunità e un dono da parte
di Dio, che gli ha permesso di aprirsi agli altri sentendosi "amico di
tutti" come risultato della sua propria debolezza fisica. Questa è senza
dubbio l'eredità spirituale più ricca che il cardinale Shan Kuo-Hsi lascia ai
giovani di Taiwan.
Da Chieri all'Africa: due missionarie laiche raccontano
Dal 15 giugno al 4 agosto 2012,
Fernanda Matta e Rosalba Menzio, due vivaci e non più giovani ex-allieve, sono
state missionarie in Africa (Kenya e Rwanda), offrendo il loro qualificato
servizio di sarte per la confezione degli abiti da Figlia di Maria Ausiliatrice
per le novizie e per le suore. "L'inizio di questa avventura - scrive
Rosalba - risale al 2006, quando per la prima volta sono andata nella missione
di Makuyu, in Kenya, dai Salesiani. Sono ritornata nel 2008 e nel 2009 e in
quel periodo ho conosciuto tante suore, tra cui sr Delfina Ceron, ora
missionaria in Rwanda, che ha richiesto, per gli anni successivi, uno specifico
aiuto nella creazione delle divise religiose".
Poi Rosalba ha coinvolto
nell'esperienza anche Fernanda, valida sarta, e così, nelle estati del
2011 e del 2012, eccole prima a Nairobi e poi nuovamente a Makuyu per
questa prestazione. A luglio del 2012, infine, sono riuscite a raggiungere sr
Delfina Ceron in Rwanda, la splendida terra dalle mille colline, come la
definiscono gli abitanti del luogo, dove hanno ancora riparato e rappezzato
abiti... "La nostra esperienza - raccontano ancora - è stata
positiva e gratificante sotto tutti i punti di vista: dalla convivenza con le
suore e con le aspiranti, all'incontro con i bambini, i ragazzi delle scuole e
con tutte le persone che abbiamo conosciuto. In Kenya siamo andate a visitare
due villaggi, ospiti delle famiglie di due aspiranti: ci ha commosse
l'accoglienza che ci hanno riservato. Con i bambini e con i ragazzi delle
scuole professionali dei Salesiani nelle quali i giovani imparano il mestiere
di tipografo, falegname, muratore, meccanico, fresatore, anche se non ci
capivamo, bastavano solo sguardi, strette di mano, un gioco fatto insieme, per
creare una forte amicizia. Inoltre, la permanenza in Africa è stata
caratterizzata dalla partecipazione alla vita comunitaria delle FMA,
condividendo tutta la giornata con le sorelle e con il personale laico,
partecipando al matrimonio del fratello di una suora, con la visita ad altre
comunità (Mazzarello, Mutiuni, Embu, Siakago), festeggiando insieme alla
comunità ispettoriale la festa di Madre Mazzarello. Testimonia Fernanda:
"Conoscendo già la Comunità, quest'anno ci siamo sentite di più a casa
nostra, nello spirito salesiano, condividendo tutto con le suore. Abbiamo
trascorso giornate bellissime, con tanto lavoro e con la sofferenza di
non riuscire a fare tutto". A Chiusura dell'esperienza, la visita al
Santuario di Kibeho, dove a tre ragazzi è apparsa la Madonna, con
la gioia di aver conosciuto uno dei veggenti.
La legge del mare: gestione delle frontiere e diritti umani dei migranti
Basilea - In una scena molto
efficace del film "Terraferma" di Emanuele Crialese, ambientato a
Lampedusa, i pescatori dell'isola discutono, in una sorta di assemblea, se
l'antica legge del mare, che vieta di lasciare in balia delle acque chi si
trovi in pericolo, non sia più da rispettare, in base a moderne leggi scritte,
volute dall'Unione Europea. Il film in effetti si ispira alle vicende reali di
alcuni equipaggi di navi incriminati per favoreggiamento all'immigrazione
clandestina, quando invece non avevano fatto altro che soccorrere migranti
nelle loro disperate traversate del Mediterraneo.
Il “Mare Nostrum” è diventato non
solo una pericolosa frontiera, un immenso cimitero per migliaia di persone, ma
anche uno spazio in cui si intrecciano e si scontrano interessi e questioni di
carattere politico, giuridico e umanitario. Mentre purtroppo anche nell'estate
del 2012 non sono cessati i naufragi e le morti di migranti lungo le coste
italiane e in altri punti caldi come i confini tra Turchia e Grecia e tra
Marocco e Spagna, sul fronte del diritto si vanno chiarendo alcuni aspetti
legali inerenti alle responsabilità degli stati.
A livello europeo si sta
riflettendo sull'importante impatto che può avere nella gestione delle
frontiere la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha
condannato l'Italia per il respingimento verso la Libia – avvenuto nel 2009 – di
una nave di migranti fermata in acque internazionali e la successiva consegna
delle persone alle autorità di Tripoli. La Corte ha riaffermato un principio
fondamentale: il legittimo esercizio della sovranità statale, che si attua nel
controllo delle frontiere e nella lotta all'immigrazione irregolare, non può
avvenire a prezzo di violare i diritti umani dei migranti e dei rifugiati,
nemmeno quando non è ancora chiaro il loro status giuridico o ci si trova al di
fuori del territorio nazionale. Una volta che i migranti e i potenziali
rifugiati erano stati intercettati e trasferiti su una nave italiana, l'Italia
era tenuta a evitare che fossero riconsegnati alla Libia. Il Governo, infatti,
era già a conoscenza, in base a numerosi rapporti, del fatto che nei centri di
detenzione libici avvenivano – e avvengono – gravi violazioni dei diritti
umani. Inoltre, le persone fermate in alto mare non avevano avuto la
possibilità, com'era loro diritto, di chiedere asilo politico. Un diritto che
non avrebbero potuto esercitare in Libia, paese che non ha firmato la
Convenzione di Ginevra per i rifugiati.
La sentenza sta già avendo degli
effetti molto importanti, perché di fatto condanna tutta la strategia dei
respingimenti adottata dal Governo italiano nel 2009. Il 28 luglio scorso, il
Governo Monti ha annunciato formalmente al Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa la rinunciaalla politica dei respingimenti. Il Mediterraneo non può
essere una "no-law-zone", cioè un'area in cui non vige alcun diritto,
né tanto meno una "Guantanamo in mare aperto".
Ma le conseguenze riguardano
tutti gli altri stati dell'Unione Europea. Si mette un vero e proprio punto di
domanda alla cosiddetta "esternalizzazione" delle frontiere europee,
cioè la tendenza dell'Unione Europea a spostare i controlli di frontiera e a
bloccare i flussi migratori in aree internazionali o sul territorio di paesi
terzi, dando addirittura in appalto queste attività a delle agenzie private. La
responsabilità di uno stato non finisce ai confini nazionali; vale a dire che,
se un paese dell'UE consegna dei migranti irregolari ad un altro stato o affida
a quest'ultimo il compito di fermare i movimenti migratori, è tenuto a
verificare che il tutto avvenga senza violare la Convenzione Europea dei
diritti dell'uomo.
Quanto affermato dalla Corte di
Strasburgo può produrre una "svolta culturale" in cui il rispetto dei
diritti umani non è considerato in contraddizione, ma complementare alle
legittime preoccupazioni riguardo alla sicurezza e al controllo dell'immigrazione.
Una seconda "svolta" potrebbe consistere nel costruire dei ponti per
l'accesso sicuro e protetto al territorio dell'Unione Europea per coloro che
hanno diritto di asilo, in modo da evitare la "roulette russa" del
Mediterraneo, ad esempio attraverso il reinsediamento (resettlement) per i
rifugiati riconosciuti dall'Alto Commissariato dell'ONU.
In questo tempo di crisi
economica e politica per l'Europa, certo è difficile pensare ad una immeditata
nuova apertura umanitaria nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Ma a
lungo termine la riaffermazione chiara della responsabilità per la vita e la dignità
di ogni essere umano, anche in situazioni giuridiche incerte, è un segnale
positivo e incoraggiante per il futuro di questo continente. (L.
Deponti/CSERPE)
22 agosto 2012
ASIA/SIRIA - Oltre 12mila fedeli cristiani "alla fame" nel villaggio di Rableh: si invoca il diritto umanitario
Rableh - Oltre 12mila fedeli
greco-cattolici sono intrappolati nel villaggio di Rableh, a ovest di Qusayr,
nell'are di Homs. I viveri scarseggiano, i fedeli sono " a pane e
acqua", mancano le medicine per curare i malati e i feriti. E' l'allarme
lanciato da fonti locali di Fides che, invocando il rispetto del diritto
umanitario, confermano quanto la stampa internazionale sta riferendo sulla
situazione a Rableh.
Da più di dieci giorni il
villaggio di Rableh è soggetto a un rigoroso blocco da parte dei gruppi armati
dell'opposizione, che lo circondano su tutti i lati. Uno dei responsabili di
una parrocchia locale, B.K., che chiede l'anonimato per motivi di sicurezza, ha
riferito a Fides che nei giorni scorsi tre giovani del villaggio sono stati
uccisi da cecchini: George Azar di 20 anni, un altro di 21 anni, Elias Tahch
Semaan Semaan, 35 anni, sposato e padre di quattro figli.
Alcuni rappresentanti
dell'iniziativa popolare per la riconciliazione "Mussalaha" sono
riusciti a portare un piccolo carico di aiuti umanitari al villaggio. Un
rappresentante di "Mussalaha" ha rassicurato i fedeli affermando che
"si farà di tutto per permettere la consegna di aiuti umanitari".
Un appello è stato lanciato da
Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios III Laham, visibilmente commosso, a
tutti gli uomini di buona volontà perchè "venga salvata Rableh e tutti gli
altri villaggi colpiti in Siria, e giunga finalmente la pace nel nostro amato
paese". Anche il Nunzio Apostolico in Siria, S. Ecc. Mons. Mario Zenari,
ha invitato tutte le parti coinvolte "al rigoroso rispetto del diritto
internazionale umanitario", ricordando che la risoluzione della crisi in
Siria dipende prima di tutto sai dai suoi cittadini.
L'Agenzia Fides ha appreso,
inoltre, che il monastero greco-cattolico di San Giacomo il Mutilato a Qara,
che attualmente ospita una comunità di 25 persone da nove paesi e una ventina
di rifugiati, nei giorni scorsi è stato colpito da bombardamenti di un
elicottero d'attacco che intendeva colpire alcuni gruppi ribelli. Nessuna
vittima, ma diverse parti del monastero, risalente al VI secolo d. C., sono
state danneggiate. La Superiora del monastero, madre Agnès-Mariam de la Croix
ha aggiunto la sua voce a quella della gerarchia locale, chiedendo la fine
della violenza e "di adottare la logica del dialogo e della
riconciliazione". Autorità cristiane locali chiedono alle parti in lotta
di risparmiare le aree dove vivono i civili e di salvaguardare il patrimonio
culturale e religioso del paese.
IN COLLEGAMENTO CON BACAU
Anche quest’anno la Scuola di Mondialità dell’Ispettoria Triveneta, tra le diverse esperienze estive con destinazioni: Etiopia, Madagascar, Congo e Brasile, ha organizzato un’esperienza missionaria nell’Europa dell’Est, dando la possibilità ad un piccolo gruppo di volontari di vivere per un mese (dall’11 luglio al 6 agosto) in una comunità salesiana sdb, impegnata tra i giovani non sempre fortunati. Siamo partiti in 5: due ragazze, due adulti pensionati e suor Stefania con destinazione Bacau (Romania) e ci siamo messi a disposizione dell’oratorio, partecipando alle varie attività proposte (Estate Ragazzi, animazione pomeridiana e serale, mini GREST di una settimana nel villaggio di Traian) e mettendoci a servizio anche in base alle esigenze del momento (preparazione dei materiali per le attività di animazione, pulizie della casa, aiuto in cucina, lavoretti di riparazione, pittura di cancelli e pareti della cappellina…); tutto è servito ad unirci come gruppo, imparando ad affrontare insieme fatiche e difficoltà, e a fare comunione con i sacerdoti che ci hanno ospitato, condividendo con loro il lavoro, i pasti, i momenti di preghiera e di svago. Abbiamo conosciuto a Bacau, una realtà ben organizzata ed accogliente, che sta crescendo anche dal punto di vista spirituale, pur con tutte le difficoltà di un Paese ancora povero e dal futuro politico incerto, mentre abbiamo accostato anche il lavoro pastorale degli sdb, in particolare, nella parrocchia del villaggio di Traian. In Romania non c’è un’idea di pastorale come la possiamo avere noi in testa e negli occhi, nei nostri oratori, e diversi parroci della zona chiedono un supporto estivo ai salesiani per il GREST, perché è un’ ottima esperienza per aggregare ragazzi e bambini.
Siamo tornati arricchiti e consapevoli di aver ricevuto dei doni, come la semplicità e l’accoglienza che ora cercheremo di testimoniare nella nostra vita quotidiana tra amici, conoscenti e non.
Sr. Stefania Belloni
100 millones de cristianos en todo el mundo sufren persecución
El 70% de la población mundial sufre de algún tipo de persecución
religiosa, según un estudio publicado por el Foro de Investigación Pew
sobre Religión y Vida Pública (Pew Research Forum on Religion & Public
Life). La estadística ha sido enfatizada por Open Doors USA, que espera
utilizar estos datos para despertar a la gente en su campaña y ayudar a los
cristianos perseguidos.
“One With Them (Uno Con Ellos)”,
es el nombre de la campaña de Open Doors, lanzada para afirmar y reforzar el
concepto de que somos uno con el cuerpo de Cristo en todo el mundo. Para los que viven en el continente
americano, esto significa mostrar solidaridad con nuestros hermanos y hermanas
que sufren en el mundo, dijo Carl Moeller, president/CEO of human rights
watchdog group Open Doors USA.
La campaña, ha consistido en
vender pulseras negras de silicona diseñadas para ser un
recordatorio, el color es para recordar la difícil situación de los cristianos
perseguidos en todo el mundo. “La
idea detrás de los accesorios que se ven como alambre de púas, es generar un
diálogo sobre el tema”, explica Moeller.
“El brazalete se produjo cuando uno de los empleados llegó a nuestra
oficina y puso un pedazo de alambre de púas en mi escritorio y dijo: podríamos
hacer una pulsera como estas”, dijo Moeller.
“Creemos que las pulseras se
utilizan para difundir muchas causas”, continuó, agregando que se le ha
preguntado por el significado de su brazalete en muchas ocasiones. Él explica
que él siempre lleva uno y por la curiosidad de las personas él habla sobre la
persecución religiosa que sufren los cristianos.
Esta es otra acción que debería
ayudar a popularizar el Día Internacional de Oración por la Iglesia Perseguida,
una campaña de Puertas Abiertas, que realiza de cada año. “La oración es a la
vez un término objetivo a corto y largo plazo, [y] estamos muy interesados en
ver que la persecución se convierta en una preocupación mayor por parte de la
iglesia”, concluye Moeller.
De acuerdo con el estudio
realizado por el Pew Research Forum on Religion & Public Life, hay 100
millones de cristianos que sufren persecución en más de 60 países de todo el
mundo, simplemente a causa de su fe en Jesucristo.
Fuente: Noticiacristiana.com / EEUU
Senza libertà religiosa non c'è civiltà. Sua Beatitudine Crysostomos II chiede giustizia per i cristiani ciprioti
(di Antonio Gaspari)
RIMINI - Cinquecentoventi chiese cristiane trasformate in magazzini, musei e moschee. Opere d’arte trafugate e vendute, il patrimonio artistico trascurato e svenduto. Centoottantamila ciprioti cacciati e sostituiti con trecentomila coloni dall’Anatolia e trentamila soldati turchi.
Questi alcuni dei risultati di trenta anni di occupazione del 38% dell’isola di Cipro da parte della Turchia.
La denuncia è stata fatta Sua Beatitudine Crysostomos II, Arcivescovo di nuova Giustiniana e di tutta Cipro, nel corso di un intervento al Meeting di Rimini il 20 agosto.
Nel corso dell’incontro che aveva per titolo: “libertà religiosa: il principio e le sue conseguenze”, l’arcivescovo ha raccontato di restrizioni e violenze subite dai cristiani ciprioti.
Per visitare luoghi sacri come la tomba dell’apostolo Barnaba i cristiani devono pagare il biglietto agli occupanti. Secondo Sua Beatitudine lo stato Turco sta tentando di cancellare le tracce della religione cristiana nella parte di Cipro da loro controllata.
“Tutto ciò – ha sottolineato – provoca sofferenza e dolore”, soprattutto se si pensa che pur essendo Cipro membro dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, non riesce ad avere giustizia.
Per l’Arcivescovo cipriota la libertà religiosa non si può limitare solo a strumento di tolleranza politica, perché la libertà religiosa è frutto di un approfondimento dei valori morali ed etici insiti nel cuore dell’uomo.
“Il cristianesimo ha il dono di illuminare tutta l’umanità – ha affermato Crysostomos II – per questo motivo”, ha concluso, “quando si spegne il fulcro della cristianità si spegne la luce di tutto l’universo”.
D’accordo con l’Arcivescovo cipriota, Franco Frattini, già ministro degli Esteri ed ora presidente della Fondazione Alcide de Gasperi, il quale ha sostenuto che “la libertà religiosa non consista solo nella possibilità di rapporto personale con l’eterno, ma debba essere professata pubblicamente”.
A questo proposito Frattini ha criticato l’esercito turco che ha interrotto la solenne celebrazione di Natale e ha costretto il vescovo a visitare i credenti sotto la protezione delle Nazioni Unite.
Salman Shaik, direttore del Brooking Doha Center e membro del Saban Center per la politica del Medio Oriente, musulmano sposato con una donna cristiana, ha spiegato che la libertà religiosa è il punto focale da cui ripartire dopo le rivolte della primavera araba.
Secondo Shaik una delle strade per ottenere il rispetto della Libertà Religiosa è l’inclusione delle minoranze nella creazione dei nuovi governi.
Gianni Alemanno sindaco di Roma è intervenuto nel dibattito lamentando l’indifferenza delle autorità europee e dei media europei nei confronti delle violazione dei diritti umani, ed ha citato a proposito la vicenda che vede una bambina disabile pakistana Rimsha Masih, accusata di blasfemia la quale corre il rischio di essere uccisa solo per aver strappato alcune pagine di un libro che si utilizza per lo studio preparatorio dell’arabo e del Corano.
21 agosto 2012
10ª Settimana nazionale di formazione e spiritualità missionaria
Loreto 26-31 agosto 2012
FEDE, PAROLA, MISSIONE "ho
creduto, perciò ho parlato (2 cor 4,13)"
Abbiamo scelto come titolo un
versetto di Paolo, che peraltro è la citazione da un salmo. Sarà anche lo
slogan della Giornata missionaria mondiale in Italia e caratterizzerà la
proposta formativa dell’ottobre missionario e anche dell’anno intero. La sua
suggestione è potente. Dice insieme che il nostro Dio è il Dio vero perché
parla; che la sua parola non è una parola che zittisce ma che fa parlare; che
facendo parlare, la sua parola ci rende capaci di una risposta che ci permette
di dire «io» (non è questa la libertà?) e quindi di essere finalmente qualcuno,
anzi uno, cioè ciascuno unico e figlio nella relazione con il Dio Padre che
genera e che chiama per nome.
L’itinerario si snoderà scandendo
diversi aspetti. Partiremo dalla costatazione che qualcosa come una fede /
fiducia è necessaria sempre nelle relazioni tra persone. Se non credo non
rivolgo una parola all’altro mettendoci dentro me stesso; ma se sono in grado
di rivolgere una simile parola a un altro è perché a suo tempo (e anche ora)
qualcuno ha creduto in me e me l’ha rivolta per primo.
La fiducia, insomma, è la
dimensione essenziale (insieme alla speranza e alla carità) di ogni relazione
degna di un uomo. Su questo sfondo ci interrogheremo sulla fede di Gesù e sulla
fede di Dio in noi. Per arrivare infine all’esercizio della fede, colto in tre
momenti qualificanti: la preghiera, la missione e la sempre necessaria
conversione.
Iglesia católica hará traducción de La Biblia en náhuatl
México - La Iglesia católica hará una sola traducción al náhuatl de la
Biblia y de los textos litúrgicos, a partir de un tronco común, donde se
aglutinarán las variantes que hay en las diversas regiones del país, con un
glosario y notas explicativas.
El obispo de San Cristóbal de las Casas, Felipe Arizmendi Esquivel,
responsable de la Dimensión de Pastoral de la Cultura, detalló que tras el
taller de náhuatl que se llevó a cabo en la Basílica de Guadalupe, se acordó
formar una Comisión Nacional de Pastoral Náhuatl para coordinar la traducción.
De acuerdo con el prelado, se
elaboró un texto unificado del Padre Nuestro, que se anexa, y que se compartirá
con las comunidades para tomar en cuenta sus observaciones.
En este marco, el obispo
coordinador del taller adelantó que se llevará a cabo una segunda reunión, del
6 al 8 de noviembre próximos, para llegar a un texto común y único del Ave María,
El Credo y de todo el Ordinario de la Misa, con la Plegaria Eucarística II.
Arizmendi Esquivel refirió que en
el taller de Cultura Náhuatl participaron 56 personas, la mayoría sacerdotes,
casi todos hablantes de esta lengua, entre ellos, Juan Manuel Sierra, oficial
de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos,
encargado de hacer la revisión de las traducciones.
Así como delegados de las
arquidiócesis de México, Puebla y Tulancingo; y de las diócesis de Ciudad
Valles, Cuernavaca, Huejutla, Huautla, Orizaba, San Andrés Tuxtla, Tehuacán,
Texcoco, Tlapa y Tuxpan.
Fuente: La Jornada
"Siamo stati attaccati e uccisi, ma la speranza rimane"
Al Meeting di Rimini monsignor Ignatius Kaikama spiega come sostenere
la pace e la convivenza evitando rabbia e odio
di Antonio Gaspari
RIMINI - Un piccolo gruppo di
estremisti cerca di incendiare e scatenare la guerra civile in Nigeria. Si
chiamano Boko Haram, dicono di essere contro l’educazione e la cultura
occidentale, attaccano e incendiano chiese cristiane, sparano sui fedeli. Da
gennaio hanno ucciso più di 800 persone. Il Governo non fa nulla ed i militari
sono incapaci di prevenirli e fermarli. Di fronte alle offese, diversi
cristiani sono tentati di rispondere con le armi, la tentazione è forte, ma
sarebbe l’inizio di una guerra civile.
Ospite del Meeting di Rimini,
monsignor Ignatius Kaikama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza
Episcopale della Nigeria, ha spiegato il 19 agosto, alla gente ed ai
giornalisti che quando le chiese vengono bruciate, le proprietà distrutte, gli
amici, i parenti uccisi, scatta una rabbia “difficile da calmare”.
“Gli attacchi – ha raccontato –
hanno messo a dura prova la fede di molti, perché non è facile parlare di amore
e di perdono in queste condizioni”.
L’11 marzo di questo anno i Boko
Haram hanno attaccato la Chiesa di San Finbar e hanno ucciso 15 persone.
“Quando sono arrivato sul posto –
ha narrato l’arcivescovo – tutto era distrutto. I giovani erano arrabbiati e
tristi e mi chiedevano di fare qualcosa, alcuni mi accusavano di essere troppo amico
dei musulmani e volevano imbracciare le armi. Mi sono voltato e mi sono
inginocchiato di fronte alle immagini sacre. Improvvisamente i ragazzi hanno
fatto silenzio. Gli ho detto di tornare a casa e di non far prevalere nei loro
animi la rabbia e l’odio”.
“Anche se sono solo e se sono
sottoposto ad attacchi, la grazia del Signore è sempre con me”, ha sottolineato
monsignor Kaikama.
“Siamo stati attaccati e uccisi
ma la speranza rimane”, ha aggiunto.
Intervistato da ZENIT, il
presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, ha spiegato che i
cristiani si trovano in tutta la Nigeria, al Nord e al Sud. E’ vero che ci sono
zone del Paese dove si vorrebbe instaurare la Sharia cacciare o convertire a
forza i cristiani, ma è anche vero che nella maggior parte dei casi e tra la
gente non é difficile instaurare buoni rapporti tra cristiani e musulmani.
A questo proposito monsignor
Kaikama ha dato vita ad un centro di formazione nella sua Diocesi a Jos, dove
cristiani e musulmani studiano insieme. Si tratta di un centro per la pace e il
dialogo.
Attualmente il presidente della
Nigeria è un cristiano e monsignor Kaikama pensa che gli attacchi dei
fondamentalisti siano sostenuti da forze politiche che vogliono abbattere il
governo e creare confusione. Non ci sono prove sufficienti che i Boko Haram
siano sostenuti da forze esterne al paese.
In ogni caso, - secondo
l’arcivescovo – l’unica soluzione è quella di rafforzare il dialogo e la pace.
Monsignor Kaikama ha raccontato
che la Chiesa cattolica dedica molto tempo ad aiutare la gente, fornendo
educazione, servizi sanitari, acqua potabile e tanto altro.
Per favorire pace e amicizia
l’arcivescovo nigeriano ha condiviso i pasti con i musulmani. Pochi giorni fa è
stato invitato alla Moschea per festeggiare la fine del Ramadan.
Il presidente della Conferenza
Episcopale della Nigeria ha concluso il suo intervento sottolineando che Gesù è
morto sulla croce con le braccia aperte per “abbracciare tutta l’umanità”, ed
ha chiesto preghiere per porre fine alla violenza e garantire che la Nigeria
rimanga unita.
18 agosto 2012
Sacerdote pakistano: comunità di base, luogo di incontro e valorizzazione della fede
di Jibran Khan
P. Benjamin Joseph è il primo prete locale dell’arcidiocesi di Lahore. Ha lavorato in parrocchie, centri e scuole in tutto il Punjab. Egli sottolinea l’importanza delle comunità di base e auspica maggiore collaborazione fra sacerdoti e catechisti. In passato ha promosso pellegrinaggi a santuari mariani e campi estivi per giovani.
Lahore - Rinnovare la comunione
fra i fedeli in Pakistan, rafforzando i legami all'interno delle comunità di
base; promuovere l'educazione, quale via privilegiata per il progresso e il
miglioramento delle condizioni di vita; rafforzare la collaborazione fra preti
e catechisti, per un migliore insegnamento della religione cristiana. Secondo
p. Benjamin Joseph sono questi gli obiettivi che ogni sacerdote dovrebbe
perseguire, nello svolgimento quotidiano della propria missione. Ordinato l'8
gennaio del 1967, egli è il primo prete locale dell'arcidiocesi di Lahore e
negli anni ha lavorato al servizio di numerose parrocchie, istituti educativi e
comunità sparse per la provincia del Punjab.
P. Benjamin è convinto
dell'importanza delle Comunità ecclesiali di base, che devono essere in grado
di "sostenersi" e contribuire allo sviluppo della fede e della
persona umana. Per questo egli lancia un appello agli istituti educativi e al
comitato per l'istruzione, invitandoli a "prestare ascolto alla
gente" e a contribuire al loro sviluppo. E auspica al contempo una
migliore "preparazione" dei catechisti, che devono operare a stretto
contatto coi sacerdoti, per un'opera di evangelizzazione che sia davvero
"efficace".
Nel corso della sua missione, p.
Benjamin Joseph ha osservato in prima persona i cambiamenti nel Paese e
l'impatto del cristianesimo in Pakistan, dove i fedeli sono una esigua
minoranza - spesso perseguitata - rispetto alla larghissima maggioranza
musulmana.
I primi anni di sacerdozio li ha
trascorsi a Kasur, dove ha vissuto - almeno all'inizio - una situazione di
emarginazione rispetto ai missionari stranieri anche per questioni di natura
linguistica. In seguito, questo limite iniziale si è trasformato in una
risorsa, che gli ha permesso di svolgere il ruolo di mediatore linguistico e
occuparsi di questioni legali con la polizia e i giudici.
Da sempre egli promuove la
partecipazione attiva dei laici nella vita della Chiesa, un fattore
determinante per la diffusione della fede. P. Joseph ha insegnato, contribuito
allo sviluppo di scuole e istituti educativi, uniti a campi estivi per giovani
(il primo nel 1976, nel Punjab) per aiutarli a crescere in comunione e unità. E
nel mese di maggio, dedicato alla Madonna, ha guidato a più riprese
pellegrinaggi al Santuario mariano di Mariamabad.
¿Qué es eso de la Pachamama?
"PACHAMAMA es un culto de un pensamiento sencillo, de acción comunitaria, de veneración y admiración, de profundo reconocimiento que tenemos con ella, en intimidad como espíritu comunitario"
“Ante la confusión propagada en la población y en las instituciones… ¿Qué es y qué significa la PACHAMAMA? El Consejo del Movimiento Indígena de Jujuy, manifiesta: que nuestras Naciones Indígenas Qullanas, Aymaras, Quechuas, Guaranies, Mapuches, con sus respectivos pueblos, junto a otros del mundo, somos Generadores y Sostenedores de nuestra Civilización milenaria: el pensamiento, la Naturaleza -Cósmica, de estructura propia en lo ideológico, político, filosófico, amáutico y espiritual en el concepto comunitario, no individual como sostienen las religiones. Pues somos Sol, Tierra, Aire y Agua, elementos que generan vida. Sin ellos no existimos. Estos elementos son los que están contenidos en un solo vocablo: ¡Pachamama! Allí está entonces su significado.
“Nosotros, en este contexto integramos la Pachamama como espíritus energéticos comunitarios sin principio ni fin, en dualidad complementaria y recíproca permanente y donde los componentes que constituimos la PACHA (El Todo), somos todos hermanos, nada más que en estados diferentes (agua, aire, vegetales, animales, minerales, el rayo, etcétera). PACHA: es el Todo, tiempo y espacio. MAMA: es la Madre de la Naturaleza del Planeta Tierra. Es nuestro marco ideológico y político el de los indígenas, que afirma la cultura e identidad cósmica de origen, pensamiento aplicable por toda la Humanidad del Planeta Tierra, sin distinción de color de piel. No somos racistas ni hipócritas. La Naturaleza-Cósmica no excluye a nadie. La visión indígena milenaria en la organización de vida de los Pueblos es diferente a la idea individual y privada del liberalismo, sostén del capitalismo (raíz del egoísmo, la mezquindad, la envidia, el racismo y la mentira) y del homocentrismo.
“En agosto del calendario gregoriano, en todo el Hemisferio Sur, la PACHAMAMA comienza a abrir sus entrañas para que la fecunden. Es la vida. Este mes está íntimamente ligado al Ciclo Solar, Año Nuevo Indígena, Inti Raimi (fiesta del sol) y al Ciclo Agrario, que se inicia el 21 de junio, y al Capaj Raimi (reducido al Carnaval por la cultura europea), que es la gran fiesta del florecimiento, y va desde el 21 de diciembre (comienzo del verano) hasta el 21 de marzo (inicio de otoño). Capaj Raimi es la manifestación de la alegría y la confraternidad en homenaje a la fecundidad de la PACHAMAMA, donde celebramos la continuidad de nuestra existencia, el multiplico, el nacer, el crecer. Capaj Raimi es cuando se encuentra a recoger los primeros frutos de las plantas y sembradíos. Los campos están en su apogeo, siendo el mes de febrero el mes de su florecimiento. Los animales retozan. Los hombres, mujeres, niños y ancianos, nos unimos en un festejo por la vida, el trabajo y el amor, insertos en el equilibrio armónico de LA PACHA (el TODO) ¡Todo ello conforma la PACHAMAMA!
“La ceremonia-ritual de la PACHAMAMA no forma parte de ningún negocio, menos turístico. Sus símbolos no son medios de propaganda. Sólo exigimos respeto. No somos místicos. PACHAMAMA es un culto de un pensamiento sencillo, de acción comunitaria, de veneración y admiración, de profundo reconocimiento que tenemos con ella, en intimidad como espíritu comunitario. Esta acción se puede realizar todos los días en el lugar y en el marco apropiado. El mes de agosto es nuestro fundamento ideológico y político, porque damos de comer a la Tierra en manifestación siempre dual (macho y hembra), en entrega sublimal depositamos en el hoyo hecho en la tierra, con la frente hacia donde sale el sol, el Tata Inti, parte de todo aquello que nos concede tomando los alimentos propios del lugar y de la región. Por no renunciar a nuestra Cosmovisión propia, se entregó la vida por la PACHAMAMA, pues ella se brinda a todos por igual, a nadie individualmente, sin distinción. Es la razón de tener héroes y mártires Indios cósmicos: Atahualpa, Tupac Amaru, Micaela Bastidas, Tupac Katari, Bartolina Sisa, Apu Mallku, Pedro Vilcapaza y Manuela Copa, Diego Willkiphujo (llamado Viltipoco), los hermanos de Quera y Abra de la Cruz, entre otros miles de anónimos, también hermanos de otras naciones y pueblos indígenas.
“La PACHAMAMA es una comunión permanente de vida, pues el hombre es tierra que piensa, es tierra que anda sin misterio de ninguna naturaleza. El misterio crea temor, crea miedo, es un miedo para someter a los Pueblos. Cabe recordar y aclarar: las desviaciones y tergiversaciones que vivimos en estos tiempos con respecto a la ceremonia a la PACHAMAMA y otras son originadas en la influencia del pensamiento del cristianismo y del liberalismo, sostén del concepto individual y privado, que se inicia con la invasión al continente el 12 de octubre de 1492, día fatídico para los que sostenemos nuestro pensamiento en la Naturaleza - Cósmica, lugar de los indígenas y de su funcionamiento comunitario.
“El definir una persona como indígena no pasa por su color de piel únicamente, ni por su nombre ni apellido, sino por su definición del pensamiento ideológico y político que sostiene. Somos cíclicos, donde ningún elemento generador de vida: sol, tierra, aire y agua, prescinden del otro, donde todo es uno en LA PACHA, el TODO. Esto fuimos y somos como integrantes de la naturaleza, pueblos Indígenas, y no respondemos al concepto de organizar los Pueblos desde lo individual y privado. Razón para tener MEMORIA de la fecha que trastocó nuestra organización de vida. Por lo que sigue siendo nuestro pensamiento milenario, que respalda actualmente el Convenio 169/89 OIT, alternativa a los sistemas vigentes”.
Otramerica - http://otramerica.com
http://www.ecoportal.net
17 agosto 2012
Al via domenica il Meeting di Rimini, incentrato sul rapporto dell’uomo con l’infinito
R. – Non è evidente forse che esista questa coscienza della natura religiosa dell’uomo, però è evidente che o l’uomo si guarda come una natura che proviene da qualcosa che è priva delle contraddizioni, che è priva dei suoi stessi antecedenti, o oggi nella situazione drammatica, in questa terra che trema, non può non domandarsi da dove viene e in che cosa consiste il suo valore.
D. – L’uomo oggi come può far proprio il desiderio d’infinito? Perché davanti ai problemi della quotidianità servono concretezze e spesso l’uomo non ha la forza di guardare avanti...
R. – Forse, come don Giussani ci ha sempre insegnato, se l’uomo si guardasse in azione, se l’uomo guardasse la sua vita, si accorgerebbe che la sua vita è tutta intessuta di un desiderio di giustizia, di felicità, di bellezza, che non è mai appagato. C’è una dimensione di esigenza infinita nella vita dell’uomo che, in fondo, gli fa intuire che lui è fatto per qualcosa di infinito.
D. – Come si può cogliere l’infinito? Forse attraverso il cuore e la ragione, in questo rapporto che più volte il Papa ha sottolineato?
R. – Sì, certamente, perché appunto il cuore dell’uomo desidera l’infinito, perché nulla gli basta. D’altra parte, nel momento in cui l’uomo si guarda ragionevolmente non può non riconoscere che ieri non c’era e oggi c’è, che adesso c’è, perché qualcuno lo sta facendo. Quindi, cuore e ragione rimandano proprio l’uomo a riconoscere questa sua natura di rapporto con l’infinito.
D. – Questa ricerca dell’infinito come può migliorare oggi la vita dell’uomo nella società attuale, nelle problematiche, nella crisi economica?
R. – E’ interessantissimo questo e sarà un grande tema del Meeting di quest’anno, perché un uomo che si concepisce in questo modo è un uomo che ha una coscienza vivida della sua libertà, della sua irriducibilità, del diritto che tutti gli uomini hanno alla libertà. E’ un uomo che ha una coscienza vivida anche del cuore degli altri, di quelli che fanno percorsi culturali, religiosi diversi dai suoi. E’ un uomo che matura dentro di sé un amore e una passione alla vita e alla realtà, ai bisogni degli altri. Il rapporto con l’infinito struttura l’uomo come una creatura diversa, come uno non proteso al potere, ma proteso a servire il rapporto con l’infinito, suo e dei suoi fratelli uomini.
D. – Questa ricerca dell’infinito come può cambiare la vita politica dell’Italia di oggi, dell’Europa di oggi?
R. – Credo che questa sia una grande scommessa, una grande sfida. Noi abbiamo veramente bisogno di vedere uomini definiti da questo rapporto con l’infinito, che fanno politica, che guidano i nostri Paesi. Abbiamo bisogno di vedere da loro che cosa significa il rapporto con l’infinito giocato nella storia.
D. – Il Meeting quest’anno come prevede di affrontare queste problematiche, con quali iniziative?
R. – Mostre, spettacoli e convegni, che sono il tessuto del Meeting, oltre che convivenza, oltre che presenza dei 4 mila volontari, oltre che amicizia fra le persone. Il Meeting apre questo convegno dedicato proprio al tema dei giovani e della crescita, con la presenza del presidente del consiglio, Mario Monti. Noi siamo molto onorati di avere anche quest’anno le massime autorità dello Stato, proprio perché questo in noi rafforza la consapevolezza della responsabilità storica che abbiamo. Il Meeting poi proseguirà con il tema dell’uomo religioso, affidato al nostro vecchio grande amico, oggi cardinale, Julien Ries, e al professore Shodo Habukawa, abate del Muryoko-in Temple in Giappone. Poi, importanti ospiti internazionali, da Mary Ann Glendon a Wael Farouq, al cardinale Tauran, al presidente dell’assemblea generale dell’Onu, al rettore dell’Università di al-Azhar, al ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, su tutto questo orizzonte di questioni europee e internazionali, legate ai grandi temi della convivenza fra gli uomini.
La Comunità di Sant'Egidio esprime cordoglio per la morte di Abuna Paulos, Patriarca della Chiesa Etiopica Ortodossa e si unisce al dolore dell’intero popolo etiopico.
“Abbiamo appreso con profondo dolore la notizia della morte di Abuna Paulos –
ha dichiarato il Presidente Marco Impagliazzo – Sin dalla sua elezione al
soglio patriarcale, all’inizio degli anni Novanta, aveva stretto un rapporto di
grande stima e di profonda simpatia con la Comunità di Sant’Egidio, alla quale
voleva bene. Ci ha sempre incoraggiati, sulla via del dialogo ecumenico,
dell’impegno per la pace e dell’amore per l’Africa. E’ stato un vero amico per
noi e ricordo con commozione oggi – ha proseguito Impagliazzo – i tanti
incontri di preghiera per la pace nello spirito di Assisi a cui ha partecipato.
Si stava preparando a venire anche a quello di Sarajevo, il 9 settembre”.
Abuna Paulos, patriarca dal 1992, ha raccolto il testimone di un’antica Chiesa
martire, che ha attraversato gli anni durissimi della dittatura e della guerra.
Lui stesso ha subito persecuzioni per la sua fede, pagando con il carcere e
l’esilio la sua fedeltà al Vangelo.
E’ stato un grande protagonista della rinascita della Chiesa in Etiopia, ma
anche una delle più autorevoli voci del cristianesimo africano. Figlio di una
Chiesa di monaci e di popolo, ha incarnato la fede semplice e forte di milioni
di cristiani. Nello stesso tempo, quella fede ha saputo trasmettere con umiltà
e autorevolezza in tutto il mondo contemporaneo, come fece a Roma, durante il
Sinodo dei Vescovi della Chiesa cattolica dedicato all’Africa, nell’ottobre del
2009.
Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2012
"Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con
la laicità dello Stato"
di I promotori della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
"Islam, cristianesimo,
Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello
Stato".
E’ questo il tema che quest’anno
proponiamo all’attenzione delle comunità cristiane e musulmane per l’undicesima
edizione della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico.
I motivi che ci spingono a
proporre tale tema sono:
1.
La nostra Carta Costituzionale, a 65 anni dalla
sua promulgazione, è ancora largamente inattuata ed anzi continuamente
calpestata nei suoi principi fondamentali e necessita, quindi, di una sua
robusta difesa che si può attuare con la sua conoscenza e con lo stimolare
iniziative concrete dal basso per la sua attuazione.
2.
L'Islam in Italia, come è sottolineato in
numerosi studi sull’argomento, fa ancora fatica a diventare un “islam
italiano”, è ancora un fenomeno legato molto strettamente all'immigrazione, pur
essendoci già le seconde e forse anche terze generazioni degli immigrati
musulmani arrivati in Italia 40 anni fa, che però sono ancora legati alle loro
terre d'origine di cui vivono intensamente come proprie le vicissitudini
attuali.
3.
C'è, infine, sia tutta la questione della
costruzione delle moschee, che sono di fatto bloccate in tutta Italia (vedi ad
esempio la vicenda di Genova) , sia la questione dell'intesa, che è del tutto
in alto mare e non solo per i musulmani.
Invitiamo così anche quest’anno a
celebrare, il prossimo 27 ottobre 2012, la Undicesima Giornata ecumenica del
dialogo cristiano-islamico, nella convinzione che sono “Beati quelli che si
adoperano per la pace” (Mat 5:9), perché Dio (Allah) “chiama alla dimora della
pace” (Sura 10, 25) perché Lui è “La Pace” (Sura LIX, 23 ), perché il
dialogo è lo sforzo sulla via di Dio che ci compete e ci onora.
Con un fraterno augurio di
Shalom, salaam, pace
I promotori della giornata
ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Roma li, 28/06/2012
Per l'elenco dei promotori, per
le adesioni e le iniziative vedi la pagina:
Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani 2013
Viene dall’India il sussidio per
la prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Ogni anno il
sussidio che accompagna le celebrazioni di quest’iniziativa, che prese il via
nel 1908, è affidato a un gruppo ecumenico di un Paese diverso.
Quest’anno il compito è stato
affidato all’India: nell’opera sono stati impegnati il Movimento studentesco
cristiano dell’India, cui aderiscono circa 10mila universitari, e la
Federazione degli universitari cattolici di tutta l’India, coadiuvati, per la
versione definitiva, dalla Commissione internazionale del Consiglio ecumenico
delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei
Cristiani. Una condanna forte al sistema delle caste, il grido di dolore dei
dalit, gli esclusi, che sono per la maggior parte cristiani, ma anche le
persecuzioni contro i cristiani e le altre minoranze religiose.
Sono questi gli argomenti
affrontati dal sussidio redatto dagli studenti cristiani dell’India, che
accompagnerà la riflessione e la preghiera nella prossima Settimana per l’unità
dei cristiani, che sarà celebrata nel gennaio 2013.
Bartolomeo I: Non trasformate Santa Sofia di Trabzon in una moschea
Trabzon - Non vi è "nessuna necessità" a trasformare
l'antica chiesa di Aghia Sofia a Trabzon in una moschea; è meglio che essa
rimanga un museo aperto a tutte le confessioni: Bartolomeo I, patriarca
ecumenico di Costantinopoli, ha espresso con nettezza la sua opposizione
all'idea sostenuta dal vicepresidente del governo turco, Bulent Arinc che
vorrebbe trasformare questo monumento della cristianità in un luogo di culto
esclusivo per i musulmani.
La chiesa di Aghia Sofia (Santa
Sofia) è un gioiello di architettura antica e risale all'epoca degli imperatori
Comneni (1204-1461). Essa testimonia la millenaria presenza dei cristiani
del Ponto sul Mar Nero, spazzati via in seguito ai vari genocidi ed epurazioni
prima dagli ottomani, poi dai neo-turchi.
Ieri il patriarca ecumenico ha
visitato la chiesa e ha incontrato il sindaco della città, Genc. Davanti ai
giornalisti, Bartolomeo I ha spiegato: "Noi rispettiamo tutte le moschee e
tutti i luoghi di preghiera, ma in questo caso - trasformare Santa Sofia in
moschea - non vedo alcuna necessità per il culto".
E ha aggiunto. "Noi siamo a
favore del mantenimento della chiesa di Santa Sofia in museo. Del resto, come
ha dichiarato lo stesso capo della comunità [islamica] locale, [qui] vi sono
già molte moschee per soddisfare il culto dei fedeli ed esse rimangono in gran
parte vuote".
Il patriarca ha ricordato le
recenti dichiarazioni del presidente della comunità musulmana del luogo, Zeki
Baytar, che alla proposta di Arinc ha reagito con forza, minacciando addirittura
una rivolta, e ha detto: "Prima riempiamo le moschee, poi, se necessario,
trasformiamo Santa Sofia in una moschea".
"Se Santa Sofia di Trabzon
viene trasformata in moschea - ha spiegato ancora Bartolomeo I - essa verrà
messa a disposizione solo dei nostri fratelli musulmani. Al contrario, se
rimarrà come museo, potrà offrire i suoi servizi a tutta la comunità
internazionale, con cospicui profitti per i suoi abitanti".
Fra i giornalisti presenti, molti
ricordano le parole dello stesso Bulent Arinc, pronunciate durante la sua
visita al Fanar - la sede del patriarcato - nel gennaio 2011: "Come
governo abbiamo il dovere di soddisfare le necessità di questi nostri cittadini
che hanno una presenza secolare su queste terre".
Non stupisce perciò la presa di
posizione del patriarca ecumenico. Ma stupisce la politica del governo turco
che nei confronti delle minoranze fa "un passo avanti e uno
indietro", a seconda delle circostanze e congiunture politiche. Proprio
per questo in Turchia crescono sempre più coraggiosi focolai di voci
anti-conformiste.
Trabzon, nell'estremo nord-est
della Turchia, è abitata da una popolazione di quasi 300mila abitanti. Di
questi poche decine sono cristiani. Il 5 febbraio 2006 è stato assassinato il
sacerdote italiano Andrea Santoro ad opera di un giovane nazionalista islamico.
16 agosto 2012
Libertà, Religione, Democrazia
I temi internazionali della
XXXIII edizione del Meeting per l'Amicizia fra i Popoli a Rimini
RIMINI - Islam, politica,
democrazia, libertà religiosa. Sono questi i temi di carattere
internazionale che vedranno durante la settimana della manifestazione
riminese avvicendarsi testimonianze e personaggi di spicco provenienti
dall’Europa, dall’America, dall’Africa, dal Medio Oriente.
Un percorso che inizia domenica
19 (ore 12.30) con la testimonianza di Ignatius Kaigama, Arcivescovo di
Jos e Presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, uno dei paesi
in cui la presenza dei cristiani in questo momento è più a rischio.
Proseguirà lunedì 20 agosto (ore
11.15) con il convegno “Libertà religiosa: il principio e le sue conseguenze”.
Insieme al sindaco di Roma Gianni Alemanno, promotore a Roma dell’Osservatorio Internazionale
per libertà religiosa, e al già ministro degli esteri Franco Frattini,
sempre in prima linea su questo tema, interverranno S.B. Chrysostomos II,
Arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro, Usama Elabd, Rettore
dell’Università di Al Azhar, e Salman Shaikh, Director of the Brookings
Doha Center and Fellow at the Saban Center for Middle East Policy.
Il dibattito si sposterà il
pomeriggio (ore 19.00) sull’Islam, in particolare nel convegno “Islam oggi
tra educazione e ragione” con Wael Farouq, Vicepresidente del Cairo
Meeting e Docente presso l’Istituto di Lingua Araba all’Università
Americana del Cairo, Abdel-Fattah Hassan, Docente di Letteratura Italiana
alla Ain Shams University del Cairo, Robert Reilly, Senior Fellow for
Strategic Communication at the American Foreign Policy Council, già
direttore di Voice of America.
Mercoledì 22 agosto (ore 11.15)
sarà la volta dell’incontro “Europa: una, nessuna, centomila”, questo il
titolo dell’appuntamento con il Presidente del Parlamento Europeo Martin
Schulz, insieme a Mario Mauro, Capo Delegazione del PdL al
Parlamento Europeo, Luís Miguel Poiares Maduro, Director of the Global
Governance Programme, European University Institute.
Egitto, Canada e Santa Sede discuteranno
invece di giustizia e democrazia. Dall’Egitto arriverà Tahani Al Gebali,
Vicepresidente della Corte Costituzionale Suprema egiziana e Presidente
del Cairo Meeting, dal Canada Jason Kenney, Ministro Federale
Canadese dell’Immigrazione e Multiculturalismo, per il Vaticano Silvano
Maria Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede per le Nazioni Unite
a Ginevra. L’appuntamento è per giovedì 23 agosto (11.15) per capire
il futuro delle nostre democrazie, nel contesto occidentale in
cui sembrano ridotte a mera procedura.
Sempre giovedì 23 (ore 17.00) a
tema “Desiderio e politica” con l’egiziano Wael Farouq e la già
ambasciatrice americana presso la Santa Sede e presidente della Pontificia
Accademia delle Scienze Sociali Mary Ann Glendon.
Venerdì 24 (ore 17.00)
l’appuntamento principale su questi temi con l’incontro “Politica
internazionale e libertà religiosa”, con Nassir Abdulaziz Al-Nasser,
Presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, S. Em. Card. Jean-Louis
Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso,
Giulio Terzi di Sant’Agata, Ministro degli Affari Esteri.
A chiudere la settimana su questi
temi sarà un’esperienza di amicizia tra uomini, tra coloro che sono i
fondatori e nuovi compagni dell’evento culturale più eccezionale nato in
Egitto negli ultimi due anni a cavallo della primavera araba: “Dal Meeting
di Rimini al Meeting Cairo: un cammino di libertà” sarà l’incontro
conclusivo del Meeting che racconterà l’esperienza di questo Meeting nato
in Egitto, nel 2010 la prima edizione, per opera di alcuni amici musulmani
che hanno frequentato la manifestazione riminese nelle edizioni
passate. Un'esperienza che si è allargata coinvolgendo altri soggetti
della società egiziana, come l’Università di Al Azhar, la chiesa
Copto Ortodossa e quella copto Cattolica.
A Rimini racconteranno sabato 25
agosto (ore 15.00) il loro cammino, nel contesto così difficile e decisivo
per l’Egitto, il Vescovo Generale della Chiesa Ortodossa Copta H.G. Bishop
Armiah, il vicario della Chiesa Copta Cattolica in Egitto S.Ecc. Mons.
Kyrillos Kamal William Samaan, il Giudice e Presidente della Corte Cairo Sud
Hossam Mikawi, la già parlamentare egiziana Marianne Malak insieme a don
Ambrogio Pisoni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Wael
Farouq.
La prossima edizione del Meeting
Cairo si terrà infatti al Cairo dal 2 al 4 novembre con il titolo
“Educazione alla libertà”.
Taiwan: giovani cristiani, buddisti e taoisti insieme per il dialogo interreligioso
di Xin Yage - L'opera della Conferenza Taiwanese per la religione e la
pace, che ogni anno organizza eventi interreligiosi fra i giovani. A quello di
quest'anno - il 13mo - hanno partecipato rappresentanti di 10 fedi diverse.
Docente taiwanese esalta il lavoro di p. Alberto Poulet Mathis, sacerdote
gesuita precursore del dialogo interreligioso sull'isola di Taiwan.
Taipei - Formare ragazzi dal
cuore aperto e con occhi rivolti al futuro, è la missione della Conferenza
Taiwanese per la religione e la pace (Tcpr). Lanciata nel 1994 dal sacerdote
gesuita francese Alberto Poulet Mathis, ogni anno la Tcpr organizza un incontro
sul dialogo interreligioso, che quest'anno è giunto alla 13ma edizione ed è
avvenuto a Hualian, sulla costa orientale di Taiwan dal 2 al 5 agosto scorsi.
All'evento hanno partecipato giovani rappresentanti di 10 religioni, fra cui:
buddisti, taoisti, cattolici, protestanti e ikuantao. Chen Caiqi, professoressa
in una delle più importanti scuole cattoliche di Taipei e studiosa della Tcpr,
spiega che "l''obiettivo principale dell'incontro è far conoscere i
giovani fra loro per evitare che vi siano facili fraintendimenti tra le
religioni. Dialogando e lavorando insieme, i ragazzi stringono autentiche
amicizie che aprono la strada a future collaborazioni e a un arricchimento
reciproco".
Gli incontri, divenuti ormai una
tradizione a Taiwan, si tengono sempre in estate. Chen Caiqi sottolinea che
quest'anno all'organizzazione hanno partecipato anche gli studenti degli anni
precedenti: in tal modo si mantiene una continuità di rapporti e i più anziani
testimoniano la loro amicizia ai nuovi arrivati.
La docente ricorda il grande
lavoro per il dialogo interreligioso di p. Poulet Mathis, il fondatore del
Tcrp. Egli è stato il primo a proporre il dialogo interreligioso fra i giovani.
"P. Alberto - racconta Chen Caiqi - era considerato dai noi taiwanesi il
simbolo del dialogo fra le fedi. Conversare insieme a lui portava a un livello
profondo. Lui sapeva entrare nella mente di noi taiwanesi. Egli non aveva paura
ad adottare il modo di pensare di buddisti, taoisti o musulmani". Dopo la
sua morte nel 2010 al suo posto è stato nominato p. Paolino (in cinese Baolin),
giovane sacerdote saveriano originario del Congo. "P. Paolino - afferma -
è la persona ideale per continuare questo lavoro iniziato da p. Alberto. Egli
ha collaborato e studiato con lui per molti anni e ha la sensibilità adatta per
comunicare con persone di religioni differenti".
15 agosto 2012
PREGHIERA
ALLA VERGINE ASSUNTA IN CIELO*
O Vergine Immacolata, Madre di
Dio e Madre degli uomini.
1. — Noi crediamo con tutto il
fervore della nostra fede nella vostra assunzione trionfale in anima e in corpo
al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le
schiere dei Santi;
e noi ad essi ci uniamo per
lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure
creature, e per offrirvi l'anelito della nostra devozione e del nostro amore.
2. — Noi sappiamo che il vostro
sguardo, che maternamente accarezzava l'umanità umile e sofferente di Gesù in
terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza
increata, e che la letizia dell'anima vostra nel contemplare faccia a faccia
l'adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza;
e noi, poveri peccatori, noi a
cui il corpo appesantisce il volo dell'anima, vi supplichiamo di purificare i
nostri sensi, affinché apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio
solo, nell'incanto delle creature.
3. — Noi confidiamo che le vostre
pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre
angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra
sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che voi sentiate la voce di
Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo
figlio;
e noi, che vi invochiamo nostra
Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della
nostra vita mortale.
4. — Noi abbiamo la vivificante
certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal
sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle
persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli ;
e noi, fra le tenebre di questa
valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà
sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra
Patria.
5. — Noi crediamo infine che
nella gloria, ove voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, voi siete;
dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi;
e noi, da questa terra, ove
passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo
verso di voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la
soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio,
Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine
Maria.
* Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Dodicesimo
anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 281 - 282 Tipografia
Poliglotta Vaticana
A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 15, pp. 781 - 782.
Fonte: http://www.vatican.va
14 agosto 2012
XI Festival Internacional de Cine y Video de los Pueblos Indígenas
Lima, Perú (OCLACC).- Con el lema "Tejer la palabra y la
imagen desde la mirada de las mujeres indígenas", este año el XI Festival
Internacional de Cine y Video de los Pueblos Indígenas, tendrá lugar en Bogotá
y Medellín entre finales de septiembre e inicios de octubre 2012.
El Festival busca fortalecer la
voz y la imagen de las mujeres indígenas de Colombia y el continente,
constituyéndose en un espacio de intercambio y capacitación para reflexionar y
compartir experiencias de las mujeres indígenas sobre el uso creativo y
transformador de la comunicación y su papel en la gestación y el desarrollo de
las innovaciones sociales.
El Festival es impulsado por la
Organización Nacional Indígena de Colombia (ONIC), la Coordinadora
Latinoamericana de Cine y Comunicación de los Pueblos Indígenas (CLACPI), la
Organización Indígena de Antioquia (OIA), la Asociación de Cabildos Indígenas
del Norte del Cauca (ACIN) y la Fundación Cine Documental/Investigación Social
de Colombia.
Pretende ser una respuesta
inicial al "enorme vacío que existe actualmente en Colombia y en la región
en torno a las estrategias de comunicación, difusión y producción de material audiovisual
e informativo sobre la situación de los pueblos indígenas y de las mujeres
indígenas en particular".
Trata también de responder a la necesidad de promover la construcción de
propuestas comunicativas que "tomen en cuenta las especificidades de los
territorios, los contextos y la cosmovisión de las mujeres indígenas". Una
comunicación para visibilizar experiencias, denunciar abusos y "recopilar
la memoria histórica de nuestros pueblos indígenas", señala la nota.
Según el Comité organizador del
XI Festival, se han seleccionado 60 obras, entre ellas, producidas por
realizadoras indígenas. Las obras elegidas serán proyectadas durante la muestra
central en Bogotá y la muestra itinerante en Medellín, los días 23 al 30 de
setiembre y del 3 al 6 de octubre, respectivamente.
Para más información visite el sitio web del XI Festival
Fuente: Comunicaciones CAOI
PARLA UN MUSULMANO CONVERTITO A CRISTO
Scritto da Bernardo Cervellera
Nei giorni scorsi il sito di Notre Dame de Kabylie ha diffuso un video in cui un ex musulmano, Mohammed Christophe Bilek, racconta la sua conversione al cristianesimo. Il video è tratto dalla trasmissione "Dieu merci (Grazie a Dio)", sul tema della "Persecuzione dei cristiani", per la catena televisiva Direct 8.
Mohammed Christophe Bilek è nato in Algeria nel 1950 e vive in Francia dal 1961. È l'autore di due libri, "Un algerino non troppo cattolico" (1999, Cerf) e "Sant'Agostino raccontato a mia figlia". Dagli anni '90 egli è anche il responsabile del sito Notre Dame de Kabylie, per l'evangelizzazione dei musulmani e il dialogo islamo-cristiano.
Il video mette in luce il rischio per i musulmani convertiti di essere accusati di apostasia e perdere la vita, ma nonostante ciò l'intervistato ribatte l'importanza del battesimo, dell'incontro con Gesù Cristo e dell'appartenere alla Chiesa.
La testimonianza di Mohammed Christophe cozza contro le considerazioni di sacerdoti e vescovi dei Paesi a maggioranza islamici che, per timore di conseguenze sui convertiti e sulle comunità, preferiscono rallentare o addirittura escludere il battesimo per i musulmani che vogliono convertirsi.
Proibito battezzare?
Settimane fa, il vescovo di un Paese del Medio oriente arabo mi raccontava che una delle sue comunità è stata minacciata di chiusura da parte della polizia solo perché i fedeli stavano pubblicizzando un incontro di confronto e dialogo fra cristiani e musulmani. La polizia temeva che questo fosse il primo passo verso il cosiddetto "proselitismo" e "l'apostasia". "Se questa è la reazione a un incontro sul dialogo - concludeva il vescovo con amarezza - figuriamoci quale sarebbe per una conversione!".
A causa di ciò, e per salvare almeno la libertà di culto che si garantisce in quel Paese, il vescovo frena ogni conversione e battesimo.
La situazione è ancora più netta in Marocco - e fino a poco tempo fa in Algeria - dove le diocesi danno chiare indicazioni a non battezzare alcun musulmano che voglia convertirsi al cattolicesimo. Il motivo è che "le leggi del Paese lo proibiscono".
P. Samir Khalil racconta che alcuni anni fa ha incontrato un musulmano che da 13 anni (!) chiedeva di essere battezzato e ciò gli veniva di continuo rifiutato. I sacerdoti spiegavano che il suo battesimo avrebbe portato enormi difficoltà a lui - che per evitare la morte per apostasia avrebbe dovuto emigrare - e al prete che gli avrebbe amministrato il battesimo. Intanto, il povero musulmano si era studiato da solo i vangeli e il catechismo, praticando una vita di preghiera.
Anche in Egitto si tende a frenare le conversioni e a non battezzare, sebbene alcuni sacerdoti mi abbiano confidato di aver amministrato qualche battesimo in segreto. Interrogato da AsiaNews, un religioso da decenni in Egitto ha risposto che voler battezzare a tutti i costi è "contro il Concilio Vaticano II perché il Concilio ha sottolineato la salvezza dei non cristiani anche al di fuori della Chiesa". La conclusione sembra essere: non c'è bisogno di battezzare; ognuno si salva nella condizione in cui è.
Non vale la pena aprire qui un dibattito teologico sulla fede in Cristo e la salvezza dei non cristiani. Del resto, mi sembra che la Dominus Jesus e il documento della Dottrina della fede sul "proselitismo" ribadiscono l'importanza di un'appartenenza anche "sociale", visibile al Cristo e alla Chiesa.
Mi importa sottolineare il fatto che essere battezzato è qualcosa che cambia la vita e la percezione della vita del convertito; il cambiamento avviene ora, nella storia, e non nel futuro di una vita "eterna" dopo la morte. Per questo, offrire il battesimo a chi lo chiede non è una questione di superficie, ma un dono di vita e di speranza già oggi. Non è dunque uguale a zero il bilancio fra essere e non essere battezzati.
Il Dio "solare" dei cristiani; quello "lunare" del Corano
La fede cambia il presente in modo profondo e significativo. In un'altra testimonianza riportata su Notre Dame de Kabylie, Mohammed Christophe, spiegando la sua conversione, sottolinea la sua nuova comprensione di Dio.
Il convertito si chiede: "Se il Dio del Corano è lo stesso di quello dei cristiani, perché io, Mohammed, sono divenuto Christophe?" E la risposta è "Avendo vissuto nell'islam, avendo praticato i suoi precetti, circondato da persone ancora oggi musulmane (la mia famiglia si definisce musulmana), io non cesso di essere abbagliato dalla scoperta del Vangelo. La luce che da esso emana può suggerire un paragone, che però suppone una premessa: chi vuol discutere del Dio dell'islam deve riferirsi al Corano. Ed ecco: se si rimpiazza la parola 'Dio' con quella di 'luce', quella del Corano è una luce lunare, quella del vangelo è una luce solare....
In effetti che Dio sia unico, creatore, o qualunque altro nome gli si attribuisca, si può ammetterlo. Ma se ci si ferma a questo postulato, non è necessario abbandonare l'islam per divenire cristiano. Ma Gesù è venuto per rivelare agli ebrei e poi a tutti gli uomini che 'Dio è vostro Padre; Dio vi ama e vi vuole con Lui per donarvi la Sua vita!'. A questo punto io non esito nemmeno un istante: accetto quest'offerta non una sola volta, ma anche due! Del resto io so che [l'offerta] che mi fa il Corano è di meritare forse (perché non c'è garanzia) un paradiso carnale e materialista (s.38, 50-52), tanto da farmi pensare più a una pubblicità di qualche luogo di vacanza e di ozio, sotto il sole dei tropici, ma non mi dà alcuna certezza di 'conoscere' il mio Dio e Signore!".
Mohammed Christophe fa poi un paragone fra la figura di Cristo e quella di Maometto: "E che dire del volto di Cristo e quello di Maometto? Basteranno due citazioni: Gesù (in Giov. 10,11) dice: ' Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la vita per le sue pecore'. Maometto (in s.33,47): O profeta! Ti è lecito sposare tutte le donne che hanno la dote; tutte le prigioniere che Dio ha messo nelle tue mani!'. Siamo seri: una cosa è dire ' Vi è un solo Dio per tutti'; altra cosa è dire che Egli si interessa a me, verme insignificante, fino a volermi 'divinizzare' in Gesù.... Questa è la rivelazione che mi ha chiamato!".
Gesù, la libertà dell'uomo senza "sottomissione"
Mohammed Christophe si sofferma poi sulle questioni dell'apostasia e sul seguire Cristo fino al rischio della morte:
"[Cristo domanda:] Sei pronto a seguirmi e a lasciare tutto per me? Quando si è ben compreso ciò che Gesù richiede per amore, si misurano tutte le difficoltà per rispondere a Lui in modo affermativo. E una cosa è dirgli 'sì' con le labbra; altra cosa è lasciare tutto per Lui. A noi che veniamo dall'islam ciò ha per conseguenza di rompere con il proprio passato, la propria famiglia e comunità, le proprie certezze morali o spirituali.
Lo so, è molto più semplice rimanere musulmani. Non prendendo alcuna posizione (Beh, in fondo abbiamo lo stesso Dio), le scuse sono numerose e facili per non operare questo abbandono, accettare questa trasformazione, morire a se stesso e seguire Gesù, [in] una conversione esigente che si compie solo con il suo aiuto. È il passo che il giovane ricco del Vangelo non ha voluto fare, perché almeno all'inizio, occorre il proprio libero consenso: Gesù non mi impone di 'sottomettermi'[islam], ma di amarlo in tutta libertà. Ed ecco ancora una grande differenza: Dio ci crea liberi o schiavi? A seconda della nostra risposta, Dio non diviene più lo stesso: in un caso io incorro nella punizione riservata agli apostati o agli empi; nell'altro io sono il figlio prodigo atteso dal padre, che chiama tutti i servitori non appena mi vede all'orizzonte. Lasciare l'islam è pericoloso, lo si fa a rischio della vita. E allora, cari fratelli e sorelle dell'occidente, accogliete e sostenete quelli che lo fanno....
Insisto: io non parlo del Dio dei musulmani, ma del Dio del Corano. I musulmani sono miei fratelli e forse domani saranno miei fratelli e sorelle in Cristo. E dagli anni '90 questa non è solo una speranza, ma una realtà che mi fa gioire e lodare il Signore: Alleluia! Gesù è venuto per salvare tutti gli uomini, anche i musulmani!".
Exmusulmán denuncia la persecución a cristianos en Oriente Medio
París (Francia) - “Dejar el Islam es muy peligroso. Hacerlo es poner
en permanente peligro la propia vida”, afirmó Mohammed Christophe Bilek, un
argelino residente en Francia quien se convirtió del Islam a la Iglesia
Católica. Invitado a un programa de televisión en el canal Direct 8, habló
sobre la persecución a los cristianos y el significado que tiene el bautismo
para los musulmanes que encuentran a Cristo.
Las audaces declaraciones de Christophe Bilek, que lo convierten en blanco de la intolerancia religiosa por su apostasía, revelan una penosa realidad cotidiana en los países musulmanes.
Según declaró el padre Bernardo Cervellera para la agencia Asia News, en
países como Marruecos y hasta hace poco en Argelia, las diócesis reciben avisos
de que el bautismo de musulmanes está "prohibido por la ley".
Muchos de los sacerdotes y obispos de las regiones que sufren intolerancia religiosa optan por concentrarse en la atención a los fieles católicos y sus familias, sin exponerse a perder la poca libertad religiosa que las autoridades les permiten tener. El padre Cervellera comentó el caso de un obispo en un país árabe, quien organizó un encuentro de diálogo interreligioso y fue advertido por la policía de que existía la preocupación porque esto fuera el comienzo de actividades de "proselitismo y apostasía".
Esta es la razón por la cual en algunas diócesis no es fácil encontrar sacerdotes dispuestos a bautizar a los musulmanes. El padre Samir Khalil dijo a Asia News que conoció el caso de una persona que tuvo que esperar 13 años para acceder al bautismo y superar las advertencias de que podría ser ejecutado por apostasía y exponer al sacerdote que lo bautizara. Una mala interpretación del Concilio Vaticano II, manifestó un religioso que trabajó décadas en Egipto, justificaba una actitud de falsa prudencia, riesgosamente amparada en la posibilidad de salvación fuera de la Iglesia.
"Es mucho más fácil seguir siendo musulmán", reconoció Bilek en su intervención televisiva, pero afirmó que la diferencia es radical: "Seamos serios. Una cosa es decir: ‘Hay un solo Dios para todos’, y otra decir que Dios está interesado en mí, insignificante, hasta el extremo de ‘deificarme’ en Jesús. Esta revelación fue mi llamado", expresó. "Habiendo vivido en el Islam, practicado sus preceptos entre personas que aún son musulmanes, sigo deslumbrado por el descubrimiento del Evangelio".
El llamado a la conversión, para el cual Bilek creó la asociación católica Notre Dame de Kabylie en la década del 90, es exigente para quienes viven en una cultura fuertemente intolerante. "Para aquellos que vienen del Islam, esto significa romper con el pasado propio, con la familia y la comunidad. Hay muchas excusas para no hacer la ruptura, no aceptar la transformación, para no morir a uno mismo y seguir a Cristo". Pero en estas amenazas también se evidencia la diferencia: "En un caso, nos arriesgamos al castigo reservado a los apóstatas y descreídos, en el otro, somos el hijo pródigo esperado por su padre, quien llama a sus sirvientes apenas lo ve en el horizonte".
Bilek concluyó con un llamado a no dejar solos a quienes deben afrontar grandes dificultades para vivir su fe: "Dejar el Islam es peligroso. Se hace con el riesgo de perder la vida. Por eso, hermanos de Occidente, reciban y ayuden.
Iscriviti a:
Post (Atom)