17 gennaio 2015

Per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - L’ecumenismo spirituale della conversione

Nella Chiesa di Roma, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si conclude con la celebrazione dei vespri nella basilica di San Paolo fuori le Mura, che è presieduta dal Vescovo di Roma e che vede anche la partecipazione di rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane.

Questa ormai salda tradizione di preghiera per l’unità dei cristiani all’interno della comunità ecumenica fu avviata dal beato Papa Paolo vi il 4 dicembre 1965, quando, poco prima della conclusione del concilio Vaticano ii, egli invitò gli osservatori ecumenici a una celebrazione liturgica nella basilica di San Paolo fuori le Mura per ringraziarli per la loro partecipazione al concilio e congedarsi da loro con queste parole, denotanti grande sensibilità: «E così la vostra partenza non metterà fine, per Noi, alle relazioni spirituali e cordiali alle quali la vostra presenza al Concilio ha dato avvio; non chiude, per Noi, un dialogo iniziato silenziosamente, ma ci spinge al contrario a studiare come potremmo proficuamente proseguirlo. L’amicizia rimane» (Discorso durante la celebrazione per impetrare l’unità dei cristiani, 4 dicembre 1965). Richiamare alla memoria, con gratitudine, questo evento liturgico celebrato cinquant’anni fa è particolarmente appropriato, trattandosi della prima preghiera pubblica per l’unità dei cristiani presieduta dal Papa all’interno della comunità ecumenica.
La preghiera per l’unità dei cristiani continua a essere anche oggi il segno distintivo della ricerca ecumenica dell’unità. Con la preghiera, esprimiamo infatti la nostra convinzione di fede basata sulla consapevolezza che noi uomini non possiamo fare l’unità, né decidere la forma e il tempo della sua realizzazione, ma possiamo soltanto riceverla in dono. La preghiera per l’unità ci ricorda che la condizione di fondo anche dell’ecumenismo consiste nella dipendenza, nel bisogno di ricevere aiuto. La preghiera ci incoraggia a riconoscere la nostra propria povertà nell’impegno ecumenico e a vedere noi stessi come “mendicanti di Dio”, espressione usata da sant’Agostino per definire gli uomini. La preghiera per l’unità ci rammenta che anche nel lavoro ecumenico, come nella vita e nella fede, non tutto è il risultato di un fare e che, piuttosto, dovremmo imparare a lasciare spazio all’azione non manipolabile dello Spirito Santo e a fidarci di lui almeno quanto ci fidiamo dei nostri stessi sforzi. Il lavoro ecumenico a favore dell’unità dei cristiani è principalmente un compito spirituale, portato avanti nella convinzione che lo Spirito Santo, iniziatore dell’opera ecumenica, proseguirà e porterà a compimento ciò che ha cominciato e, nel far questo, ci mostrerà il cammino. Nell’ecumenismo, saremo in grado di compiere ulteriori passi soltanto se ritorneremo alle sue radici spirituali e approfondiremo la sua forza spirituale. L’ecumenismo potrà infatti crescere in ampiezza soltanto se si radicherà nella sua profondità spirituale.
di Kurt Koch
Cardinale presidente del Pontificio Consiglio
 per la promozione dell’unità dei cristiani

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