13 gennaio 2015

Montenegro: “Dopo Parigi, i nigeriani trattati come morti di serie B”

Per l’arcivescovo di Agrigento i grandi del mondo dovevano andare in Africa il giorno dopo le stragi: “Davanti a duemila morti non si può far finta di niente, abbiamo diviso il mondo in due”. E denuncia possibili ripercussioni sull’immigrazione in Italia Perego: “Chiudere Schengen una follia economica, politica e sociale”.

ROMA “Ogni morto dovrebbe far pensare: se muore soltanto un uomo dovremmo fermarci tutti a riflettere, se ne muoiono dodici dovremmo ugualmente riflettere, ma se ne muoiono duemila non possiamo far finta di niente. È strano che solo Parigi sia diventata il centro del mondo. Il giorno dopo si doveva andare, invece, tutti in Africa perché duemila persone hanno subito la stessa violenza di Parigi, ma ancora una volta abbiamo diviso il mondo nella sofferenza: noi quelli di serie A, messi tutti insieme a dire non è giusto, mentre i duemila morti della Nigeria non li abbiamo visti, sono morti di serie B”. A sottolinearlo, a margine della presentazione oggi a Roma, della giornata del Migrante è stato l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, che sarà nominato cardinale nel prossimo Concistoro di febbraio. Secondo Montenegro i grandi della terra, così come hanno sfilato nella capitale francese, dovevano andare anche in Africa a rendere omaggio alle vittime degli attentati di Boko Haram.
L’arcivescovo di Agrigento, da sempre impegnato in prima linea nella tutela dei migranti, ha espresso preoccupazione per il clima che si potrebbe creare dopo i fatti di Parigi, anche nel nostro paese. “Il timore di ripercussioni sugli stranieri in Italia c’è perché si sta portando avanti una politica della paura che fa comodo ad alcuni, gli stessi che poi fanno interessi sugli immigrati – aggiunge. A furia di gridare ‘dai all’untore’, diventano tutti untori. Ma bisogna pensare che anche noi abbiamo esportato violenza nelle migrazioni. C siamo difesi dicendo che non tutti siamo mafiosi, allo stesso modo dovremmo parlare dei nostri fratelli stranieri. Serve, dunque, una riflessione matura da parte di tutti”. Montenegro è anche critico sulla possibilità di una limitazione di Schengen. “È come se improvvisamente volessimo fermare il vento e chiudere un continente – sottolinea –, invece c’è un male alla base a cui non vogliamo guardare: l’ingiustizia a causa della quale questi popoli si spostano. Guardare in modo diverso a questa realtà ci permetterà un’accoglienza diversa e più serena”.  
Sulla stessa scia anche monsignor Giancarlo Perego che ha definito l'ipotesi di una possibile abolizione di Schengen “una follia politica, economica e sociale”. “Potrebbe venire la tentazione di un ritorno alla frontiera alimentato da elementi di paura – sottolinea -  forse è arrivato, invece, il momento di investire finalmente in relazioni e integrazione. Una restrizione di Schengen penalizzerebbe innanzitutto l’Italia, pensiamo ai nostri giovani che lavorano all’estero o ai lavoratori frontalieri in Svizzera. La paura e la chiusura – conclude – sono solo un motivo di involuzione”. Durante il suo intervento, monsignor Perego ha reso noti i numeri aggiornati dell’immigrazione in Italia. “Il 2014 in Italia è stato l’anno del forte calo dei migranti economici, che in alcune città è diventato anche il calo del numero degli immigrati – spiega -. Lo scorso anno è stato segnato dalle numerose partenze di giovani italiani, di disoccupati per altri Paesi europei”.
La Giornata del migrante si celebrerà in tutta Italia domenica prossima, 18 gennaio. La regione scelta quest’anno è la Basilicata dove i numeri dell’emigrazione italiana sono dieci volte maggiori di quelli dell’immigrazione. Il messaggio scelto da Papa Francesco per la giornata è quello di una “Chiesa senza frontiere: madre di tutti”.“Alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti – sottolinea il pontefice - Nel medesimo tempo, occorre intensificare gli sforzi per creare le condizioni atte a garantire una progressiva diminuzione delle ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale a motivo di guerre e carestie, spesso l’una causa delle altre”.


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