Per l’arcivescovo di Agrigento i
grandi del mondo dovevano andare in Africa il giorno dopo le stragi: “Davanti a
duemila morti non si può far finta di niente, abbiamo diviso il mondo in due”.
E denuncia possibili ripercussioni sull’immigrazione in Italia Perego:
“Chiudere Schengen una follia economica, politica e sociale”.
ROMA “Ogni morto dovrebbe far
pensare: se muore soltanto un uomo dovremmo fermarci tutti a riflettere, se ne
muoiono dodici dovremmo ugualmente riflettere, ma se ne muoiono duemila non
possiamo far finta di niente. È strano che solo Parigi sia diventata il
centro del mondo. Il giorno dopo si doveva andare, invece, tutti in Africa perché
duemila persone hanno subito la stessa violenza di Parigi, ma ancora una volta
abbiamo diviso il mondo nella sofferenza: noi quelli di serie A, messi tutti
insieme a dire non è giusto, mentre i duemila morti della Nigeria non li
abbiamo visti, sono morti di serie B”. A sottolinearlo, a margine della
presentazione oggi a Roma, della giornata del Migrante è stato l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, che
sarà nominato cardinale nel prossimo Concistoro di febbraio. Secondo Montenegro
i grandi della terra, così come hanno sfilato nella capitale francese, dovevano
andare anche in Africa a rendere omaggio alle vittime degli attentati di Boko
Haram.
L’arcivescovo di Agrigento, da
sempre impegnato in prima linea nella tutela dei migranti, ha espresso
preoccupazione per il clima che si potrebbe creare dopo i fatti di Parigi,
anche nel nostro paese. “Il timore di ripercussioni sugli stranieri in Italia
c’è perché si sta portando avanti una politica della paura che fa comodo
ad alcuni, gli stessi che poi fanno interessi sugli immigrati – aggiunge. A
furia di gridare ‘dai all’untore’, diventano tutti untori. Ma bisogna pensare
che anche noi abbiamo esportato violenza nelle migrazioni. C siamo difesi
dicendo che non tutti siamo mafiosi, allo stesso modo dovremmo parlare dei
nostri fratelli stranieri. Serve, dunque, una riflessione matura da parte di tutti”.
Montenegro è anche critico sulla possibilità di una limitazione di Schengen. “È
come se improvvisamente volessimo fermare il vento e chiudere un continente –
sottolinea –, invece c’è un male alla base a cui non vogliamo guardare:
l’ingiustizia a causa della quale questi popoli si spostano. Guardare in modo
diverso a questa realtà ci permetterà un’accoglienza diversa e più serena”.
Sulla stessa scia anche monsignor Giancarlo
Perego che ha definito l'ipotesi di una possibile abolizione di Schengen “una
follia politica, economica e sociale”. “Potrebbe venire la tentazione di
un ritorno alla frontiera alimentato da elementi di paura – sottolinea -
forse è arrivato, invece, il momento di investire finalmente in relazioni
e integrazione. Una restrizione di Schengen penalizzerebbe innanzitutto l’Italia,
pensiamo ai nostri giovani che lavorano all’estero o ai lavoratori frontalieri
in Svizzera. La paura e la chiusura – conclude – sono solo un motivo di
involuzione”. Durante il suo intervento, monsignor Perego ha reso noti i numeri
aggiornati dell’immigrazione in Italia. “Il 2014 in Italia è stato
l’anno del forte calo dei migranti economici, che in alcune città è diventato
anche il calo del numero degli immigrati – spiega -. Lo scorso anno è stato
segnato dalle numerose partenze di giovani italiani, di disoccupati per altri
Paesi europei”.
La Giornata del migrante si
celebrerà in tutta Italia domenica prossima, 18 gennaio. La regione scelta
quest’anno è la Basilicata dove i numeri dell’emigrazione italiana sono dieci
volte maggiori di quelli dell’immigrazione. Il messaggio scelto da Papa
Francesco per la giornata è quello di una “Chiesa
senza frontiere: madre di tutti”.“Alla globalizzazione del fenomeno
migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della
cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti – sottolinea il
pontefice - Nel medesimo tempo, occorre intensificare gli sforzi per creare le
condizioni atte a garantire una progressiva diminuzione delle ragioni che
spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale a motivo di guerre e
carestie, spesso l’una causa delle altre”.
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