«Serve una rete di prima accoglienza per 100mila persone, i Cie vanno
chiusi, ma malgrado il boom di arrivi del 2014 non siamo sotto assedio. È il
sistema che fa acqua: come dimostrano i 3.700 minori spariti nel nulla».
Intervista al direttore della Fondazione Migrantes.
“Chiesa senza frontiere: madre di
tutti”. E poi "Un supplemento di accoglienza, come supplemento di
cittadinanza", ma anche viceversa. Due titoli, due coordinate di fondo per
dire in modo efficace quello che la Chiesa, pensa dice e fa sul delicato tema
della migrazioni. Le prime, sono parole di papa Francesco nel suo Messaggio per
la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2015, che si svolge domenica
18; il secondo è la sintesi della relazione di mons. Gian Carlo Perego,
direttore generale della Fondazione Migrantes, che oggi presentando la prossima
giornata, con mons. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento (e cardinale
di fresca nomina) nonché Presidente della Commissione Episcopale per le
migrazioni e mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei, hanno fatto un quadro
netto e deciso della situazione.
"Le migrazioni forzate nel
2014 sono state l'urgenza più impellente e la più significativa provocazione al
nostro Paese per ridisegnare non solo le possibilità egli strumenti di
accoglienza e di tutela dei richiedenti asilo, ma anche per ripensare l'Europa
e l'Italia con un supplemento di cittadinanza". E hanno dato dei numeri
(VEDI BOX) che, partendo dalle drammatiche premesse, individuano un obiettivo
da perseguire: "la fragilità di decine di Paesi, le 27 guerre in atto,
disastri ambientali crescenti, dittature,violenze e persecuzioni politiche e
religiose, chiedono all'Europa uno sforzo maggiore non per presidiare le
frontiere, ma per superare a tutela della dignità della persona umana.
Dato questo quadro Vita ha chiesto a mons. Perego quali sono le
proposte concrete della la Fondazione Migrantes.
Primo – come ho detto in
conferenza – rileviamo la necessità di inserire almeno nei comuni con più di
5mila abitanti, almeno un’unità di accoglienza dei richiedenti asilo,
attraverso progetti che estendano il progetto SPRAR (Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati, ndr.) almeno a 50mila rifugiati, con una
partecipazione adeguata dei comuni del Nord Italia. Al tempo stesso consolidare
una rete di prima accoglienza almeno per 100.000 persone, strutturata sul
territorio nazionale attraverso il mondo dell’associazionismo, della
cooperazione sociale e delle realtà ecclesiali, che permetta da subito la
tutela di chi arriva nel nostro Paese da drammatiche situazioni.
E poi?
Segnaliamo la grave carenza di
accoglienza e tutela dei minori non accompagnati, nonostante le indicazioni
delle norme su adozioni e affidamento, previste dalla Legge 28 marzo 2001 e il
titolo VIII del Codice Civile. Abbiamo assistito fino a un centinaio di minori
in strutture, comunità, scuole non adatte alla tutela, con un coinvolgimento
insignificante delle famiglie e delle associazioni per l’affido. Chiediamo che
da subito sia garantita la tutela di chi arriva in Italia per evitare anche,
come è successo nel 2014, che scompaiano nel nulla 3500 minori. Infine
chiediamo che al più presto si arrivi alla chiusura di strumenti come i CIE
(Centri di identificazione e di espulsione, ndr), figli di una stagione
ideologica e costosissima di trattamento dei migranti. Nota positiva è che nel
2014 i 10 Cie ancora superstiti, vedono oggi la presenza solo di 276 persone a
fronte di 1748 posti. E’ importante evidenziare che l’Italia non è stata
invasa, per molte persone è stata terra di passaggio per raggiungere famiglie e
comunità in altri paesi europei dove, tra l’altro, esistevano maggiori
possibilità lavorative, ma anche strumenti e modalità di accoglienza più
efficaci.
Quale giudizio dà Fondazione Migrantes sul passaggio dall’operazione
Mare Nostrum a Frontex?
Più volte abbiamo ricordato come questo passaggio è un indebolimento non tanto del controllo della frontiera del Mediterraneo ma del Mediterraneo in quanto tale. Di fatto Mare Nostrum è stato un canale umanitario perché le persone potessero arrivare in sicurezza in Europa attraverso la Sicilia. Averlo abolito significa creare uno spazio di mare di oltre 40 miglia dove nessuno, se non i trafficanti, potranno passare, un mare che non sarà presidiato. E allora in questo senso c’è il rischio di aumentare i morti.
Più volte abbiamo ricordato come questo passaggio è un indebolimento non tanto del controllo della frontiera del Mediterraneo ma del Mediterraneo in quanto tale. Di fatto Mare Nostrum è stato un canale umanitario perché le persone potessero arrivare in sicurezza in Europa attraverso la Sicilia. Averlo abolito significa creare uno spazio di mare di oltre 40 miglia dove nessuno, se non i trafficanti, potranno passare, un mare che non sarà presidiato. E allora in questo senso c’è il rischio di aumentare i morti.
C'è chi si sta appellando all’identità cattolica del nostro Paese per
invocare una frontiera più rigida e severa. Voi come rispondete?
Non si può tutelare il diritto
all’emigrazione scegliendo i migranti, ognuno ha questo diritto innato e quindi
ogni persona, di qualsiasi paese e di qualsiasi religione ha il diritto di
mettersi in viaggio e creare una situazione di vita migliore per se o per la
sua famiglia. E’ un’assurdità sul piano giuridico e anche sul piano umano.
Semmai coma ha anche detto recentemente il card. Tauran (presidente del Pontificio
Consiglio per il dialogo inter-religioso) la religione non è il problema, ma la
soluzione del problema. Quindi dialogo religioso e incontro religioso, già
inaugurato da Giovanni Paolo II venticinque anni fa ad Assisi, e poi
continuato, sono la strada su cui costruire questa convivenza pacifica e ogni
luogo religioso è un luogo importante per costruire incontro, sicurezza e
dialogo.
Il rischio che dopo Parigi si alzi la soglia dell’intolleranza però è
alto…
Di fronte ai fatti recenti
potrebbe venire la tentazione di alimentare il rafforzamento della frontiera,
ma ora è invece giunto il momento di investire in relazione e integrazione,
sapendo noi invecchiamo e i Paesi dai quali provengono gli immigrati sono in
maggioranza giovani. Come si può fermare il desiderio, la speranza, la fame di
un popolo che guarda al futuro? Tutte le volte che ritornano le frontiere,
inoltre, si penalizzano tutti: nel momento in cui si ha bisogno di scambi,
l’Europa si chiude e si penalizza. Vedi il referendum svizzero contro i
lavoratori italiani, o la folle richiesta di abolire Schengen, o in
Inghilterra, dove in un recente sondaggio 7 su dieci hanno detto “basta agli
italiani”. Questo significa penalizzare anche gli italiani.
Voi state facendo anche una battaglia sulla cittadinanza dei nuovi
italiani?
Abbiamo aderito all’iniziativa
“L’Italia sono anch’io” e in questo senso spingiamo verso uno Ius soli
“temperato” nel senso che, con opportuni interventi di carattere culturale e
riducendo quello che la precedente legislazione richiede, passando da 10 a
cinque anni, si possono inserire strumenti che servono a favorire quella
integrazione che è la sfida più importante per costruire il nostro futuro.
Qual è la situazione in Siria, sembra scomparsa dall’agenda dei
notiziari…
Purtroppo è ancora grave. Metà
della popolazione, come sappiamo di 20 milioni di abitanti, sono profughi o si
sono messi in cammino. Speriamo che quanto prima questa situazione, che come
abbiamo visto ha generato l’arrivo in Italia di 43mila persone, possa ritrovare
quella situazione di sicurezza e di pace, che al momento non si vede. Purtroppo
attualmente non ci sono segnali positivi, e quello che è successo di recente
non aiuta, ma speriamo che la ragione politica e l’intelligenza politica
possano andare verso la ricerca di soluzioni. Le 27 guerre in atto nel mondo
sono le ragioni principali di queste migrazioni forzate.
I NUMERI -Alcuni numeri forniti
dalla Fondazione Migrantes sul flusso di immigrati dal mare nel 2014.
Nel 2014 sulle coste e nei porti
del Sud Italia sono arrivate 170.081 persone (triplicando il numero
del 2012-2013, che era di 56.192). Di questi 120.239 sono sbarcate in Sicilia
(Lampedusa e Agrigento); 22.673 in Calabria; 17.546 in Puglia; 9351 in
Campania.
La base di partenza è in
particolare la costa Libica (141.484), gli altri provengono dall’Egitto e dalla
Turchia.
Le nazionalità principali: Siria
42.425 (quasi triplicati rispetto 2013); Eritrea 34.329 (più che triplicati);
Mali 9.908 (quasi decuplicati); Nigeria 9.000 (quadruplicati); Gambia 8.691
(quadruplicati); Palestina 6017; Somalia 5756; Senegal 4.933.
In prevalenza uomini, le persone
sbarcate dalla Libia (108.144); poi donne (14.741) e minori non accompagnati
18.599.
L’accoglienza dei 170.000
sbarcati è avvenuta in una situazione di forte precarietà, sia nei porti di
arrivo che in molti centri di prima accoglienza realizzati. Nella rete di
primissima accoglienza (CDA, CARA, CPSA) con una capienza di 7.881 persone, al
1° gennaio 2015 sono presenti) 9.638 perone. Nelle strutture temporanee di
accoglienza sono oggi ospitati 35.516 persone: la prima regione per numero di
persone accolte è la Sicilia (5.404), seguono Lombardia (4.347) Campania
(3.708) e Lazio (2.804). Negli Sprar, sono invece il Lazio (4.791); Sicilia
(4.209), la Calabria (1.948; la Puglia (1.882); la Campania (1.155), “segno che
sono soprattutto i comuni del Centro-Sud – sottolinea mons. Perego – ad aver
attivato progetti Sprar”.
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