18 gennaio 2015

P. Albanese e Ovadia su libertà espressione e rispetto fedi

In questi giorni è sempre vivace il dibattito sul rapporto tra libertà di espressione e rispetto delle religioni, in un contesto di accresciuta tensione e allerta terrorismo. In vari Paesi musulmani si registrano proteste per le nuove vignette di Charlie Hebdo. Fausta Speranza ha intervistato a questo proposito padre Giulio Albanese, direttore delle riviste delle Pontificie opere missionarie, e Moni Ovadia, scrittore, drammaturgo e cantante ebreo. Sentiamo padre Albanese:

R. - Ho ricevuto proprio in questi giorni una mail davvero affettuosa da parte di un missionario che lavora in un Paese mediorientale, il quale esprimeva a chiare lettere la sua sofferenza, il suo disagio, perché chiaramente quello che sta succedendo in Europa, soprattutto a seguito di questo attentato terroristico infame, qualcosa davvero di aberrante e che va sempre stigmatizzato. Purtroppo la reazione di certa satira, di certa vignettistica, non fa altro che gettare benzina sul fuoco, e poi a pagarne le conseguenze in certi Paesi - dove comunque delle componenti di intransigenza, di fondamentalismo sono radicate anche a livello culturale - sono coloro che comunque vengono dall’Occidente. Dato che l’islam - non dimentichiamolo - ha una valenza anche teocratica in cui l’aspetto politico è intimamente connesso a quello religioso, spesso si fa di tutte le erbe un fascio. Credo che oggi la vera sfida sia sul piano dialogico: il giornalismo, da questo punto di vista, a mio avviso, è davvero la prima forma di solidarietà, deve scuotere le coscienze. Quindi, per carità, assolutamente mai legittimare le scelte violente da parte di questi jihadisti, ci mancherebbe. Bisogna però anche avere buon senso e soprattutto evitare di radicalizzare il confronto tra Oriente ed Occidente. La sfida si gioca anche sul piano culturale in modo perspicace. In fondo, quello che ci chiedono i nostri missionari è, davvero, moderazione.

D. - In qualche modo l’espressione di Papa Francesco con il pugno all’insulto alla madre ci ha voluto ricordare che umanamente - certo non dovrebbe essere così - ma umanamente c’è da aspettarsi una reazione ad un insulto …
R. – Certamente. Non dimentichiamo che le culture sono diverse, le sensibilità sono diverse. E naturalmente proprio perché viviamo in un mondo villaggio-globale, dove questa umanità dolente di cui tutti noi facciamo parte sta vivendo le sue intrinseche contraddizioni, credo che la comunicazione sia davvero strategica. Ed è per questo che dobbiamo avere atteggiamenti radicalmente diversi da quelli di certa vignettistica, di certa propaganda e satira che certamente non fanno altro – lo si voglia o no – che acuire il divario tra Oriente ed Occidente.

D. - Bisognerebbe accompagnare una globalizzazione che è nei fatti, in quanto con grande velocità si va da un posto ad un altro, con una maturazione culturale: è così?
R. - Certo. Bisogna investire in modo perspicace soprattutto sulla società civile nel mondo islamico, perché deve essere questa e soprattutto i giovani nell’ambito universitario a rappresentare il volano di questa crescita, di questo sviluppo. Credo che questa sia una sfida che finora è rimasta disattesa, perché gli occidentali – non dimentichiamolo – hanno fatto poco o niente per promuovere gli intellettuali moderati che ci sono oggi nel mondo islamico per aiutare la società civile in questi Paesi in una maniera o nell’altra a sperimentare questo incontro con la modernità. Questo è il risultato. Allora credo che le responsabilità siano davvero reciproche da una parte e dall’altra. Guai a legittimare il jihadismo, guai a legittimare il fondamentalismo. Bisogna però, in una maniera o nell’altra, far si che quella che noi chiamiamo “la piattaforma dei diritti umani, dei diritti inalienabili della persona” possa esser rispettata davvero da tutti. Questo significa un impegno anche da parte di chi fa politica.
Ascoltiamo la riflessione di Moni Ovadia:

R. – Dico una cosa: la libertà di espressione è uno dei punti più alti a cui si è arrivati nelle società democratiche. Come dicevo, sono contrario alle censure. Mi sembra che il primo emendamento della Costituzione americana dica che nulla ti deve essere fatto, prima che tu ti sia espresso, e quindi se poi ci sono le configurazioni della calunnia, della diffamazione, allora per quello ci sono i tribunali. Detto questo, una riflessione, una discussione aperta e un confronto se la satira debba o non debba avere limiti, questa è un’altra cosa. Nell’ambito di un confronto, però, è sul piano della coscienza, cioè sul piano di ciò che attiene alla coscienza della persona. Questo sì. Io faccio, infatti, un esempio estremo: se qualcuno irridesse le vittime della pedofilia, ne facesse cioè un’immagine sconcia, volgare, io credo che ci sarebbe una reazione di rifiuto. Allora, possiamo capire che la questione della fede è molto, molto delicata, perché per i credenti, i fedeli - quelli naturalmente veri, onesti, sinceri - attiene ad una dimensione molto, molto intima. L’autentico credente dedica alla fede la sua vita, mette cioè a disposizione le sue fibre più intime. Allora, ecco, bisognerebbe fare – io credo – una riflessione, aprire una discussione, possibilmente non lo starnazzare dei talk show.

D. – Secondo lei, chi fa satira dovrebbe porselo il problema che poi ci sono popoli magari lontani che possono rimanere vittime di una reazione esagerata, che non ci piace, è condannabile ma non possiamo dimenticare che esiste?
R. – Questa è una questione delicatissima. Tutti ci dobbiamo porre il problema. E il problema va posto in termini che ogni forma di espressione che naturalmente tocchi qualcun altro, ponga un problema ovviamente di riflessione e di coscienza a ciascuno di noi. Pensi che io sono stato accusato di raccontare storielle antisemite! Naturalmente questa cosa era falsa. Io racconto solo umorismo ebraico. Le storielle magari sono anche autodelatorie, anche molto molto sapide, però assolutamente non antisemite. E’ una questione delicata. Le ripeto, credo che vada aperta una discussione e un confronto, non censura, perché la censura porta sempre verso disastri, soprattutto se a priori: una riflessione che faccia appello alla coscienza di ogni persona. Naturalmente, ripeto, per dirimere comunque controversie, anche se c’è l’offesa e la calunnia, ci sono i tribunali. Questo vale anche all’interno della fede. Per esempio, nell’ebraismo ci sono i tribunali rabbinici. Non so come dire, si va a quelli laici e a quelli rabbinici. E credo che lo stesso valga per la Chiesa. Le questioni che attengono appunto alla percezione dell’offesa e al fatto di non accettarla, dovrebbero appunto essere sempre portate, comunque, nell’ambito della giustizia.


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