Il film del 1987 "Arrivederci Ragazzi" affronta il tema della Shoà con lo sguardo di due ragazzi
“Per me la vera educazione sta nell’insegnarvi a far buon uso della libertà”. Questo è il principio educativo che padre Jean adotta nel suo collegio carmelitano per ragazzi nel film di Louis Malle Arrivederci Ragazzi, del 1987. La pellicola, vincitrice del Leone D’Oro al Festival del Cinema di Venezia, si basa su un ricordo d’infanzia dello stesso regista.
La trama ruota attorno alla storia dell’amicizia di due ragazzi durante la seconda guerra mondiale.
Gennaio 1944. Julien Quentin, figlio di una ricca famiglia borghese parigina, è costretto ad andare in un collegio di religiosi, poiché Parigi è sotto bombardamento. La nostalgia per la madre porta in lui molta insofferenza, ma la sua routine cambia con l’arrivo di un nuovo ragazzo, Jean Bonnet.
Quest’ultimo viene subito preso di mira da tutti i ragazzi, i quali lo scherniscono e lo isolano. Julien, nondimeno, fa di tutto per rendere la sua permanenza insopportabile, iniziando una forte rivalità con il nuovo arrivato, che sembra competere senza problemi con il giovane borghese quanto a intelligenza e sagacia.
L’ostilità però, lascia presto il posto ad un nuovo sentimento: la curiosità. Julien infatti si accorge che il suo rivale non riceve lettere da nessuno; inoltre Jean è segnato da una continua malinconia. Frugando nel suo armadietto, Julien scopre il segreto di Jean: il suo vero nome è Jean Kippelstein ed è un ragazzo ebreo che ha trovato rifugio nel convento sotto falso nome, per poter scappare dalle persecuzioni razziali dei tedeschi; come lui altri due ragazzi ebrei sono nel convento.
Superate le ostilità Julien inizia a capire i sentimenti del giovane ebreo, riesce a scalfire la sua corazza e ad entrare in empatia con lui; la loro, adesso, è una bella amicizia.
Ma la guerra non guarda in faccia a nessuno… il giovane garzone del convento, Joseph, deriso dai ragazzi in quanto zoppo e analfabeta, viene licenziato poiché rivendeva il cibo al mercato nero e barattava con i ragazzi del convento provviste per oggetti come sigarette o francobolli.
Ferito e cieco dalla rabbia, tradirà il collegio informando l’esercito tedesco della presenza di ebrei.
L’epilogo è inevitabile: i tre ragazzi ebrei e Padre Jean, colpevole di tradimento, verranno deportati nei campi di concentramento …
Per la prima volta, nel cinema, il tema della Shoà e della seconda guerra mondiale viene visto sotto un aspetto diverso, da un occhio diverso: quello dei bambini. Il regista ci fa osservare il mondo adulto e le atrocità ad esso connesso, attraverso lo sguardo dei ragazzi, uno sguardo delicato ma non ingenuo e superficiale.
La stessa amicizia dei due ragazzi si fonda non su gesti eclatanti o su sentimentalismi, ma su sguardi intensi, carichi di emozione, sguardi capaci di scambiare le reciproche sofferenze interiori, in grado di comunicare molto più di un dialogo. I ragazzi riescono a trascorrere le giornate in modo allegro e spensierato, forti della loro leggerezza, ma non per questo inconsapevoli. Spesso anzi, nei loro giochi e nelle loro frasi esce fuori tutta la loro ansia, la loro paura e soprattutto, la loro incomprensione.
Incomprensione verso un mondo che non gli appartiene, verso una guerra e una violenza che non vogliono e che non capiscono come possa esistere.
Qui sta la grandezza del regista e di questo film: non farci vedere la guerra e la Shoà nella sua brutalità, ma farcela sfiorare, farcela respirare attraverso piccoli momenti o gesti, così come la respirano i ragazzi nel film, senza che però perda la sua centralità e la sua importanza.
Già dalla scelta dell’ambientazione percepiamo questo suo intento: tutto avviene nel collegio di Sainte-Croix nella Francia occupata, in un piccolo mondo a sé, dove i ragazzi vivono in un contesto completamente distaccato dalla guerra; non vedono i suoi orrori e possono vivere un’esistenza tranquilla, essendo un luogo in cui i soldati non possono compiere crudeltà.
Ma questo non significa che Julien e Jean e tutti i loro amici non respirino la presenza e la portata del conflitto e in particolare della persecuzione degli ebrei: le lezioni sono interrotte dall’allarme per i bombardamenti, al ristorante un ebreo viene cacciato, Jean si deve nascondere quando arriva un controllo da parte dei tedeschi.
Il nucleo del film è il rapporto tra Julien e Jean: quello che inizialmente sembrava lo scontro tra il mondo borghese di Julien e la povertà di Jean, si trasforma presto in amicizia. Uniscono le proprie esigenze e aspettative, si riconoscono parte di una realtà incerta che vorrebbero cambiare.
Si legano con un sentimento autentico, tanto che in una scena del film, nonostante l’allarme per il bombardamento e l’obbligo di correre nel rifugio, i due preferiscono rimanere a suonare il piano, contornati da un silenzio carico di complicità. La loro amicizia così, è in grado per un momento di far dimenticare, a noi spettatori e a loro protagonisti all’interno del film, le conseguenze della guerra.
Ma la meschinità sta nelle grandi cose così come nelle piccole, sta nell’ideologia nazista così come nella vendetta di Joseph, che pur conscio delle conseguenze che avranno per dei piccoli ragazzi le sue azioni, non esita a venderli al nemico, giustificandosi anzi con Julien: “Non prendertela, sono solo ebrei… Non fare il santo, la guerra è guerra caro mio”. D’altro canto, questa è la Storia, e come dicevamo prima la grandezza di Luis Malle sta nel farcela respirare, ma non nascondere.
Sulla stessa linea e con gli stessi principi del regista, si muove la straordinaria figura di Padre Jean, che vuole si dare un’occasione di salvezza a dei poveri ragazzi, ma allo stesso tempo li pone di fronte alla realtà della vita, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi, dando loro insegnamenti duri e sinceri. Il suo “arrivederci ragazzi, a presto” al momento dell’arresto, suona allora come un triste addio, che lascia però intravedere una speranza. La speranza che i suoi ragazzi, forti degli insegnamenti ricevuti, non ripetano gli stessi errori appena commessi dall’uomo.
Nella giornata della memoria, abbiamo la possibilità di fare una scelta: ricordare quello che è successo e condannarlo, promuovere la vita in tutta la sua bellezza e ricchezza, difendendo e rispettando le diversità di ogni individuo; così come fa questo film, contrapponendo all’orrore di quegli avvenimenti l’amicizia pura, autentica e forte di due ragazzi, uno ricco e uno povero, uno cristiano e l’altro ebreo.
Ad aiutarci in questo, possono essere proprio le parole di Padre Jean all’interno del film, durante un’omelia: “Figli miei noi viviamo in tempi di discordia e di odio; la menzogna trionfa, i cristiani si uccidono tra loro, chi dovrebbe guidarci ci tradisce. Più che mai dobbiamo guardarci dall’egoismo e dall’indifferenza.
Il primo dovere di un cristiano è la carità. San paolo dice nell’epistola di oggi: fratelli non credetevi saggi, non rendete a nessuno male per male, se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere. Preghiamo dunque per coloro che soffrono, per quelli che hanno fame, per i perseguitati, preghiamo per le vittime ma anche per i carnefici”.
Caso abbastanza originale, visto che solitamente sono i libri a essere da spunto per soggetti cinematografici, dopo il film è stato pubblicato nel 1993 un libro con il titolo “Arrivederci ragazzi”, scritto dallo stesso regista.
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