Giuseppe Platone
Pastore della Chiesa Valdese di
Milano
Mi torna in mente quel giorno del
funerale del cardinale Carlo Maria Martini. Eravamo in piazza Fontana con i
rabbini di Milano che leggevano i Salmi dell'ascesa. Una melanconica salmodia.
Indubbiamente si era creato un momento alto di spiritualità teso a sottolineare
il vivo legame che Martini ebbe, da valente biblista qual'era, con la cultura e
la fede ebraica. Martini emeritus avrebbe voluto, così ricordo
d'avere letto da qualche parte, terminare il corso della sua vita terrena a
Gerusalemme dove ha comunque vissuto per alcuni anni. Intanto comincia a
piovere e il folto gruppo di persone che circonda il gruppo di rabbini che
leggono i Salmi chiede di potersi riparare nella Curia antistante. Il portone
viene aperto e così ci si sposta, in raccoglimento e commozione, nel grande
porticato della Curia arcivescovile. È presente anche la sorella di
Martini.
Qualche ora più tardi in Duomo si svolgeranno i funerali. Tra presenze all'interno e all'esterno sulla grande spiazzo antistante il Duomo ci saranno state almeno ventimila persone. Come un fiume lento e silenzioso che inonda il cuore della città, un fiume di credenti e non credenti, e in quella fiumana scorgo anche una pattuglia, visibilmente commossa, di protestanti. Siamo qui anche noi a salutare un uomo credente di cultura e grande sensibilità che ha saputo stare, per ventidue anni, «dentro» la città servendola e stimolandola con intelligenza nella sua perenne ricerca di senso.
Qualche ora più tardi in Duomo si svolgeranno i funerali. Tra presenze all'interno e all'esterno sulla grande spiazzo antistante il Duomo ci saranno state almeno ventimila persone. Come un fiume lento e silenzioso che inonda il cuore della città, un fiume di credenti e non credenti, e in quella fiumana scorgo anche una pattuglia, visibilmente commossa, di protestanti. Siamo qui anche noi a salutare un uomo credente di cultura e grande sensibilità che ha saputo stare, per ventidue anni, «dentro» la città servendola e stimolandola con intelligenza nella sua perenne ricerca di senso.
La liturgia funebre che si svolge
in Duomo è complessa (per la mia sensibilità la trovai esageratamente pomposa,
eccessiva). Per permettere di seguire i vari passaggi della liturgia venne
consegnato un opuscoletto di una trentina di pagine. Con testi biblici e
preghiere di suffragio. Tutto era grandioso, solenne. Ero seduto accanto ai
rappresentanti del Consiglio delle chiese cristiane di Milano, organismo che
Martini stesso volle e che inaugurò - ormai quindici anni fa - con i partner ecumenici,
predicando proprio nel tempio valdese.
Il cardinale Scola ad un certo
punto nella sua omelia, ripercorrendo la parabola teologica di Martini biblista
e uomo di grande spiritualità, sottolinea, tra le altre cose, la spiccata
«sensibilità ecumenica e quella per il dialogo interreligioso, la cura che Martini
aveva per i poveri, i più bisognosi, la sua ricerca di vie di
riconciliazione....».
E proprio questo tema della riconciliazione mi ha mentalmente rinviato alle intense giornate di Graz (Austria), nel giugno del 1997, quando, in occasione della Seconda assemblea ecumenica europea ebbi modo d' incontrare il cardinale Martini. Utilizzai in seguito stralci della conversazione che ebbi con lui per scrivere un articolo che apparve su Riforma (n. 28/97) intorno ai temi della «riconciliazione delle memorie». Un tema quest'ultimo, mi accorsi fin da subito, che lo appassionava. Mi disse, a proposito della questione di come e quando riconciliare le reciproche memorie storiche, che sarebbe stato importante, sulle varie sponde confessionali, istituire «gruppi di studio che, al di là dei miti e delle semplificazioni, esaminassero i documenti storici del passato per ricostruire problematiche che non si possono eliminare solo perché sono dolorose da ricordare». E fu lungo quel nostro discorrere passeggiando tra gli stand dell'Assemblea ecumenica europea di Graz. Camminava volentieri, con molta calma. Abbiamo fatto almeno un paio di chilometri insieme. La conversazione fu infiorettata anche da qualche battuta sulla cittadina di Cavour, nel pinerolese, che lui conosceva bene. Mi pare di ricordare che ci andasse in vacanza da ragazzino. Gli rivolsi, scherzosamente, qualche battuta in piemontese che simpaticamente ricambiò. Quella sera in camera annotai sul mio taccuino: «Martini più che il raffinato stratega di politiche ecclesiali mi sembra un credente sinceramente e totalmente coinvolto dall'evangelo. Milano non è Roma».
E proprio questo tema della riconciliazione mi ha mentalmente rinviato alle intense giornate di Graz (Austria), nel giugno del 1997, quando, in occasione della Seconda assemblea ecumenica europea ebbi modo d' incontrare il cardinale Martini. Utilizzai in seguito stralci della conversazione che ebbi con lui per scrivere un articolo che apparve su Riforma (n. 28/97) intorno ai temi della «riconciliazione delle memorie». Un tema quest'ultimo, mi accorsi fin da subito, che lo appassionava. Mi disse, a proposito della questione di come e quando riconciliare le reciproche memorie storiche, che sarebbe stato importante, sulle varie sponde confessionali, istituire «gruppi di studio che, al di là dei miti e delle semplificazioni, esaminassero i documenti storici del passato per ricostruire problematiche che non si possono eliminare solo perché sono dolorose da ricordare». E fu lungo quel nostro discorrere passeggiando tra gli stand dell'Assemblea ecumenica europea di Graz. Camminava volentieri, con molta calma. Abbiamo fatto almeno un paio di chilometri insieme. La conversazione fu infiorettata anche da qualche battuta sulla cittadina di Cavour, nel pinerolese, che lui conosceva bene. Mi pare di ricordare che ci andasse in vacanza da ragazzino. Gli rivolsi, scherzosamente, qualche battuta in piemontese che simpaticamente ricambiò. Quella sera in camera annotai sul mio taccuino: «Martini più che il raffinato stratega di politiche ecclesiali mi sembra un credente sinceramente e totalmente coinvolto dall'evangelo. Milano non è Roma».
Da allora di acqua sotto i ponti
ne è passata. L'entusiasmo delle assemblee ecumeniche di Basilea «Pace nella
giustizia» (1989) e poi di Graz (1997) «Riconciliazione: dono di Dio e sorgente
di vita nuova» raccontano che tutto può di nuovo ripartire sul terreno
ecumenico con la stessa energia di quegli anni. Ma quella spinta propulsiva che
Martini aveva decisamente contribuito ad imprimere all'ecumenismo e al dialogo
(tra credenti e non credenti) sembra, oggi, aver esaurito progressivamente la
sua forza (ma spero di sbagliarmi).
Sino all'ultimo giorno Martini ha
offerto stimoli importanti per la coscienza civile (ricordo, per fare un solo
esempio le sue profonde conversazioni con il non credente Eugenio Scalfari) e
nei confronti delle chiese a cominciare dalla sua. Prima di guardare nel piatto
degli altri guardava nel suo. La nipote accanto al suo letto di morte ha
osservato: «...quando non ce l'hai fatta più hai chiesto di essere
addormentato». E così è stato. Su di lui, come protestanti milanesi,
svolgemmo una prima nostra riflessione a caldo che si concludeva, con una
formula cara a Martini e che, nell'ebraismo, accompagna la speranza della
risurrezione: Sia la sua memoria di benedizione.
All'annunzio della sua morte il
31 agosto 2012 ricordo che nel Sinodo valdese piombò un lungo silenzio. Come se
quell'aula gremita realizzasse d'aver perso un compagno di un cammino lungo e
tortuoso. O forse d'aver smarrito un riferimento di apertura, di rinnovamento
nella stagione della stagnazione ecumenica dove la brezza dello spirito ha
ceduto, ormai da troppo tempo, il posto alla bonaccia. O forse tutti e due. Per
me quel silenzio veicolato dalla morte di quell'uomo di fede parlò alle
coscienze molto più delle dichiarazioni successive di sincero cordoglio.
Ritengo che per molti tra noi quel silenzio spontaneo che calò sul nostro
Sinodo a Torre Pellice, nel cuore delle Valli valdesi, fu percepito - da molti
- come l'ultimo contributo di Martini nel laboratorio ecumenico italiano.
Era un silenzio fatto di ascolto,
riflessione, incontro con Dio e con noi stessi: cose per le quali ha vissuto,
per le quali anche noi viviamo, anche se con opzioni diverse. E in questa diversità
sta l'inesauribile ricchezza di un evangelo che quando acchiappa non ci molla
più.