23 aprile 2015

CENTRO ASTALLI: I RIFUGIATI CI RESTITUIRANNO UN VOLTO UMANO

Nel mondo ci sono 50 milioni di persone in fuga, grazie agli sbarchi da noi ne arrivano meno di 180mila. Ma non siamo capaci di accoglierli.

C’è un tema su cui sembrano concentrarsi le fratture che feriscono la nostra società: quella tra coscienza civile e verità dei fatti; tra paura e speranza; tra diritto (inteso come insieme delle leggi) e diritti; tra legge e umanità. È quello dei rifugiati e richiedenti asilo, tema in questi giorni inscindibile dalle immagini dei naufragi e dei morti che affollano il Mediterraneo, ma che nonostante questo sembra tirare fuori il peggio della nostra società: dalle sparate di politici bulli che sfidano gli italiani e farsi passare per rifugiati in modo da ricevere gli aiuti che ad essi verrebbero dati (pur sapendo bene che nessun italiano, mai, percorrerebbe queste strade fatte di povertà, incomprensione e paura), alle intemperanze di cittadini che sui social network perdono ogni ritegno e invocano la strage totale, contro questi nuovi “invasori”. Ignoranza? Razzismo? Cattiveria? Sicuramente, la nostra società civile «a tratti sembra aver smarrito il senso dell’umano».

È questa l’espressione che ha usato padre Camillo Ripamonti questa mattina alla presentazione del Rapporto annuale 2015 del Centro Astalli, la struttura dei Gesuiti che si occupa dei rifugiati. Sullo sfondo una cifra che non è mai stata raggiunta dalla seconda guerra mondiale: nel 2014 cinquanta milioni di persone in fuga, numero certamente destinato a crescere.  La crisi siriana, da sola, ha messo in fuga 11 milioni di civili, il 45% della popolazione. Quelli che arrivano da noi sono, in realtà pochissimi, se pensiamo che il Libano ha 2 milioni di profughi su 4 milioni di abitanti. In Italia i migranti arrivati via mare sono stati nel 2014 meno di 170.800, e 64.900 circa hanno fatto domanda di asilo: gli altri hanno proseguito il loro viaggio verso altri Paesi europei.

Il percorso a ostacoli dell’integrazione
Secondo il centro Astalli, il nostro sistema di accoglienza è migliorato, ma non abbastanza. Lo SPRAR, cioé il sistema di accoglienza e protezione per richiedenti asilo e rifugiati, offre più di 22mila posti, da 3.500 che erano. 2.500 sono a Roma.  Ma ci sono regioni che non collaborano: Lombardia e Veneto accolgono un rifugiato ogni 2.000 abitanti, metà di quelli accolti dalle regioni, nonostante siano quelle più ricche di risorse di ogni tipo.
Dopo la prima accoglienza, davanti ai rifugiati si prospetta un percorso a ostacoli, che ritarda e a volte impedisce la conquista dell’autonomia e di un minimo di sicurezza, impossibili se non si riesce ad avere casa e lavoro.  Particolarmente faticosa è la vita delle famiglie (quasi impossibile il ricongiungimento), delle donne sole, delle vittime di tortura, più vulnerabili e bisognose di cure anche psichiatriche. E la burocrazia non perdona, così come l’applicazione troppo rigida delle norme: l’ultimo caso è quello della Questura di Roma che, come ha denunciato il direttore dei programmi del centro Astalli Bernardino Guarino, «sta rifiutando il rinnovo dei permessi di soggiorno a quelli che hanno una cosiddetta residenza virtuale presso gli Enti che sono autorizzati a rilasciarla da una delibera del Comune di Roma (Centro Astalli, Casa dei Diritti Sociali, S. Egidio, Caritas ed altri).

I numeri del Centro Astalli
I numeri del lavoro del Centro Astalli sono impressionanti: 34mila persone hanno avuto accesso ai servizi nelle sette sedi che esistono in Italia, 21.100 a Roma. Le persone accolte nei centri di accoglienza sono 299 e quelle vittime di tortura o violenza che sono state accompagnate sono state 556. I pasti distribuiti in un anno sono stati 91.550, 2.900.000 i costi sostenuti. Tutto questo grazie a 446 i volontari e 49 operatori professionali.
Ma una cosa è chiara: un problema di queste dimensioni non può essere affrontato dal Terzo settore da solo, né dalle sole amministrazioni. Serve un lavoro di rete vero e costante, oltre che politiche adeguate e coraggiose (Padre Ripamonti ne ha parlato nell’intervista rilasciata ieri a Reti Solidali)
Un lavoro che possa ridare speranza ai rifugiati, ma soprattutto a noi stessi perché, secondo padre Ripamonti, «forse proprio i rifugiati potranno restituirci quel volto umano che stiamo rischiando di perdere».