In fuga dalla guerra essi hanno percorso a piedi centinaia di chilometri e ora rischiano di morire di fame, sete e ustioni. I rifugiati sono soprattutto donne incinte e giovani madri. Il racconto di suor Alessandra Fumagalli, comboniana e direttrice dell'Ospedale italiano di Karak. Distante 150 km da Amman la clinica è l'unica in grado di fornire aiuto a queste persone. Suor Alessandra: "Noi vogliamo far sapere al mondo della loro esistenza che rischia di passare inosservata".
Città del Vaticano (AsiaNews) - "Migliaia di donne siriane incinte e madri con figli molto piccoli rischiano di morire di fame, sete e ustioni nell'area desertica a sud della Giordania. In fuga dalla Siria esse non hanno trovato posto nei campi regolari allestiti nel nord del Paese. Insieme ai loro figli, esse hanno attraversato a piedi il deserto". È il drammatico racconto di suor Alessandra Fumagalli, religiosa comboniana e direttrice dell'Ospedale italiano di Karak (circa 150 km dalla capitale), da mesi impegnata nell'assistenza a questi profughi dimenticati. Secondo la religiosa i rifugiati siriani nella regione di Karak sono oltre 10mila e hanno come unico punto di riferimento il poli-ambulatorio gestito dalle suore.
"L'area in cui si sono
stanziati - afferma la religiosa ad AsiaNews - è troppo decentrata per
usufruire degli aiuti di organizzazioni internazionali e del governo giordano,
che coprono solo la parte nord del Paese. L'ospedale attrezzato più vicino è ad
Amman. Per avere anche banali cure mediche alcuni dovrebbero percorrere oltre
300 km nel deserto. Per questa ragione si rivolgono al nostro centro, che però
essendo un ente no-profit, ha bisogno di continue donazioni per far fronte a
questa emergenza". "Noi - aggiunge la suora - vogliamo far sapere al
mondo della loro esistenza che rischia di passare inosservata".
Molte delle donne che si
rivolgono all'ospedale sono gravide e desiderano un luogo sicuro dover far
nascere i loro bambini. Tuttavia, a causa della lunga traversata dalla Siria,
la gran parte di esse ha problemi, anche gravi di salute. "Alcune sono
costrette a partorire nel deserto - spiega suor Alessandra - e giungono da noi
per curare e riabilitare questi bimbi, ma a volte è troppo tardi ed essi
muoiono per disidratazione, denutrizione e ustioni provocate dal sole rovente
del deserto". Per evitare queste situazioni il personale ospedaliero deve
intervenire in modo tempestivo, recandosi a volte sul posto. Ma le risorse non
sono sufficienti.
Fondato dal 1939, l'Ospedale
italiano di Karak è l'unica clinica attrezzata della regione e dispone di circa
40 posti letto. Esso è sostenuto dalla Catholic Near East Welfare
Association (Cnewa), la speciale agenzia vaticana per l'aiuto alle Chiese
cattoliche e alle genti del Medio Oriente.
Nell'ospedale lavorano sei suore
comboniane e 80 dipendenti. Il 90% di essi è di religione musulmana. "I
rifugiati sono tutti di religione musulmana - racconta la religiosa - la zona
di Karak, non è Amman, ma è abitata soprattutto da tribù di beduini, è
inospitale e per questa gente, anche per i nostri dipendenti non è immediato
aiutare in modo disinteressato chi soffre". In questi anni l'ospedale ha
fatto diversi corsi di formazione per il personale, soprattutto sul piano etico
e di assistenza al malato. "I nostri infermieri e medici hanno imparato
che ogni vita vale - continua - per questa ragione la nostra clinica è divenuta
uno dei punti di riferimento anche per la popolazione locale. Noi accogliamo
chiunque ne faccia richiesta, senza alcuna distinzione. Qui la gente si sente
accettata".
In una anno, circa 300mila
siriani hanno varcato il confine con la Giordania. Il Paese ha risposto creando
campi profughi attrezzati, sufficienti però per meno della metà delle persone.
Secondo dati del governo, almeno 2mila profughi hanno attraversato la frontiera
nelle ultime settimane.
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