19 gennaio 2013

«Noi, cristiani rapiti a Damasco, salvati dalla nostra fede»


SIRIA. IL DRAMMA DEI SEQUESTRI
Le testimonianze riportate dal sito di un’ong francese: la paura, il coraggio, il rapporto con i sequestratori
GIORGIO BERNARDELLI
MILANO
  
Rapiti a scopo di estorsione nel caos totale della Damasco ormai sconvolta dalla guerra. Cristiani posti davanti al rischio concreto della morte, potendo contare solo sulla propria fede. È un altro spaccato terribile del conflitto siriano quello pubblicato dal sito dell'Oeuvre d'Orient, ong francese da decenni attiva nella solidarietà verso i cristiani d'Oriente e con molti legami nel Paese.
«Quella dei sequestri - scrive l'Oeuvre d'Orient - è una pratica che aumenta giorno dopo giorno, facendo crescere l'inquietudine tra le famiglie, gli amici, la parrocchia e la popolazione civile, anche nelle zone finora risparmiate dai combattimenti. Si ha paura di uscire di casa da soli anche solo per andare al lavoro, a scuola, in chiesa. Una volta rilasciate - aggiunge - le vittime di solito si rifugiano nel silenzio. Noi invece abbiamo potuto raccogliere qualche testimonianza discreta». 
I racconti sono introdotti solo da sigle, ma con indicazioni molto precise. B.T. - ad esempio - è un commerciante di legumi di 42 anni, rapito una sera fuori dal suo negozio. Oggi - racconta il sito - «non lascia più la chiesa, invita tutti al pentimento e alla meditazione della Sacra Scrittura, ha sempre il Rosario in mano». Anche G.S., 31 anni, racconta: «Sotto tortura ho avvertito quanto fossero preziose le sofferenze di Cristo Salvatore...». 
Dai racconti emerge che non tutti i rapitori sono uguali. A.G., 68 anni, catechista, racconta di essere addirittura riuscito a poco a poco a instaurare un dialogo con loro: «Mi ascoltavano parlare del Vangelo, dell'amore del prossimo, del perdono - riferisce - e alcuni prendevano appunti. Mi hanno parlato a loro volta dell'islam. Questo dialogo fraterno ha finito per avvicinarci». Un altro - vittima di un sequestro politico - dice di aver sentito i suoi sequestratori dire: «Noi non siamo terroristi, ma rivoluzionari che cercano la libertà e la democrazia, dovete comprenderci. Abbiamo sbagliato a combattere, abbiamo perso tutto per niente». 
C'è però anche chi - al contrario - durante il rapimento ha vissuto un'esperienza di una crudeltà inaudita, come assistere alla tortura del proprio figlio. «Ho capito la sofferenza della Vergine Maria davanti alla sofferenza di suo Figlio - racconta -. Nonostante la mia timidezza cronica, ho trovato le parole per difendere la croce e la mia fede, Maria mi ha sostenuto. Dite però ai cristiani che non c'è più posto in questo Paese e che devono partire». 
«Le nostre piccole comunità cristiane sono lacerate da un tira e molla doloroso tra il pericolo della morte e la vita di fede - commenta la fonte siriana che ha fatto giungere al sito francese queste testimonianze -. Tuttavia anche da questo calvario scaturiscono delle sorgenti di speranza. E da questo grande fuoco risorge la fede e il coraggio apostolico che si erano assopiti». 

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