SIRIA. IL DRAMMA DEI SEQUESTRI
Le testimonianze riportate dal
sito di un’ong francese: la paura, il coraggio, il rapporto con i sequestratori
GIORGIO BERNARDELLI
MILANO
Rapiti a scopo di estorsione nel
caos totale della Damasco ormai sconvolta dalla guerra. Cristiani posti davanti
al rischio concreto della morte, potendo contare solo sulla propria fede. È un
altro spaccato terribile del conflitto siriano quello pubblicato dal sito dell'Oeuvre
d'Orient, ong francese da decenni attiva nella solidarietà verso i cristiani
d'Oriente e con molti legami nel Paese.
«Quella dei sequestri - scrive l'Oeuvre
d'Orient - è una pratica che aumenta giorno dopo giorno, facendo crescere
l'inquietudine tra le famiglie, gli amici, la parrocchia e la popolazione
civile, anche nelle zone finora risparmiate dai combattimenti. Si ha paura di
uscire di casa da soli anche solo per andare al lavoro, a scuola, in chiesa.
Una volta rilasciate - aggiunge - le vittime di solito si rifugiano nel
silenzio. Noi invece abbiamo potuto raccogliere qualche testimonianza
discreta».
I racconti sono introdotti solo
da sigle, ma con indicazioni molto precise. B.T. - ad esempio - è un
commerciante di legumi di 42 anni, rapito una sera fuori dal suo negozio. Oggi
- racconta il sito - «non lascia più la chiesa, invita tutti al pentimento e
alla meditazione della Sacra Scrittura, ha sempre il Rosario in mano». Anche
G.S., 31 anni, racconta: «Sotto tortura ho avvertito quanto fossero preziose le
sofferenze di Cristo Salvatore...».
Dai racconti emerge che non tutti
i rapitori sono uguali. A.G., 68 anni, catechista, racconta di essere
addirittura riuscito a poco a poco a instaurare un dialogo con loro: «Mi
ascoltavano parlare del Vangelo, dell'amore del prossimo, del perdono -
riferisce - e alcuni prendevano appunti. Mi hanno parlato a loro volta
dell'islam. Questo dialogo fraterno ha finito per avvicinarci». Un altro -
vittima di un sequestro politico - dice di aver sentito i suoi sequestratori
dire: «Noi non siamo terroristi, ma rivoluzionari che cercano la libertà e la
democrazia, dovete comprenderci. Abbiamo sbagliato a combattere, abbiamo perso tutto
per niente».
C'è però anche chi - al contrario
- durante il rapimento ha vissuto un'esperienza di una crudeltà inaudita, come
assistere alla tortura del proprio figlio. «Ho capito la sofferenza della
Vergine Maria davanti alla sofferenza di suo Figlio - racconta -. Nonostante la
mia timidezza cronica, ho trovato le parole per difendere la croce e la mia
fede, Maria mi ha sostenuto. Dite però ai cristiani che non c'è più posto in
questo Paese e che devono partire».
«Le nostre piccole comunità cristiane
sono lacerate da un tira e molla doloroso tra il pericolo della morte e la vita
di fede - commenta la fonte siriana che ha fatto giungere al sito francese
queste testimonianze -. Tuttavia anche da questo calvario scaturiscono delle
sorgenti di speranza. E da questo grande fuoco risorge la fede e il coraggio
apostolico che si erano assopiti».
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