4 gennaio 2013

Cristiano indiano: l’Arabia saudita riconosca libertà di culto ai migranti


di Nirmala Carvalho

Appello di Brian O’Connor, rapito e torturato nel 2004 con false accuse di proselitismo. Secondo il cristiano, riconoscere questo diritto ai non musulmani sarà “un cambiamento positivo” per il Paese. Indagine del Centro studi per lo sviluppo: i figli dei migranti indiani soffrono più di altri di ribellione, instabilità emotiva e abuso di droga.

Mumbai - "L'Arabia saudita deve concedere libertà di culto ai migranti cristiani, e la possibilità di costruire chiese nel Regno. Il valore pubblico della religione deve essere riconosciuto come realizzazione di ogni essere umano": è l'appello lanciato su AsiaNews da Brian O'Connor, cristiano indiano che nel 2004 è stato imprigionato, incatenato e torturato per sette mesi e sette giorni nel regno saudita, con l'accusa di fare proselitismo. Liberato grazie a una campagna internazionale a cui aveva aderito anche AsiaNews, l'uomo afferma che "riconoscendo questo diritto, ci sarà un cambiamento positivo per l'intero Paese".
L'Arabia saudita non riconosce, né protegge, alcuna espressione religiosa diversa dall'islam. "I migranti indiani - sottolinea Brian O' Connor - praticano la propria religione nell'intimità delle loro case, ma sono vittime di irruzioni e arresti da parte della polizia religiosa [Muttawa]. È urgente e fondamentale che gli indiani cristiani, indù, e tutti i migranti non musulmani possano godere di piena libertà di culto. Senza essere discriminati, né perseguitati".
Sulla situazione dei migranti indiani, il prossimo 7 gennaio a Kochi (Kerala) sarà presentato il volume India Migration Report 2013 - Social Cost of Migration. Realizzato da Irudayan Nayan, del Centro studi per lo sviluppo, su commissione del ministero per gli Affari indiani all'estero, il libro analizza le vulnerabilità patite dalla diaspora indiana in Arabia saudita e in Medio oriente.
Secondo lo studio "Condizioni di vita e lavoro dei migranti con medio-basse qualifiche" (contenuto nel volume), i figli di migranti indiani in Arabia Saudita sono più soggetti di altri a episodi di ribellione, instabilità emotiva e abuso di droga. "Il prezzo sociale più doloroso e tangibile - spiega Nayan - è la separazione dei figli dai genitori, costretti a migrare da soli in cerca di lavoro". È soprattutto, aggiunge, "l'assenza materna a provocare una rottura, favorendo la fragilità di bambini e ragazzi".
Nel 2011, almeno 289.297 indiani sono emigrati in Arabia saudita per cercare lavoro.

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