31 gennaio 2013


Con Nauru festeggiamo l’anniversario dell’Indipendenza (1968). I cattolici sono 3.300 (33,2%) su 10.210 abitanti. La nunziatura apostolica a Nauru è stata istituita il 1° giugno 1992.

(dall’Agenda Biblica e Missionaria – EMI)

30 gennaio 2013

Non c'è fede senza missione


Padre Giuseppe Buono del PIME spiega in un libro come "La Fede si rafforza donandola"
Di Antonio Gaspari

ROMA - E’ nelle librerie il volume di P. Giuseppe Buono, del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME), docente di Missiologia e di Bioetica e Religioni, dal titolo: La fede si rafforza donandola. Il cammino missionario della fede nel mondo, (Edizioni IF.PRESS).
Abbiamo chiesto a Padre Buono le ragioni di questo suo nuovo libro e il religioso missionario ci ha risposto ricordando che Benedetto XVI durante l'omelia per il battesimo di 20 bambini nella Cappella Sistina il 13 gennaio scorso, ha detto: “Non vi è niente di più grande che conoscere Cristo e comunicare agli altri l'amicizia con Lui".
“Ho ritrovato in queste parole del Papa – ha spiegato padre Buono - il motivo principale che mi hanno spinto a scrivere queste riflessioni sulla fede che è un dono da donare. L’affermazione: “la fede si rafforza donandola” è del beato Giovanni Paolo II, al numero 2 della sua enciclica Redemptoris missio.
In qualità di superiore regionale del PIME per l’Italia Meridionale Padre Buono invitò  Giovanni Paolo II a visitare e pregare sulla tomba di Padre Paolo Manna, primo superiore generale del PIME, fondatore della Pontificia Unione Missionaria, proclamato beato il 4 novembre 2001.
In quell’occasione, 13 novembre 1990,  Giovanni Paolo II, dopo un intenso momento di riflessione e preghiera, disse: “Qui si capisce davvero che la Chiesa è veramente missione!”.
Per questo motivo è sembrato doveroso a padre  Buono riflettere sul dinamismo intrinseco e naturale della fede, che “ci è data affinchè la trasmettiamo agli altri”. Dice infatti Gesù nel primo mandato agli apostoli: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!”
Nella presentazione al libro, monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha scritto: “Questa pubblicazione di Padre Giuseppe Buono, del Pontificio Istituto Missioni Estere, è un aiuto offerto ad ogni credente per intraprendere un cammino di approfondimento della fede consapevole” perché  “la missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni”.
Secondo il Presidente del Pontificio Consiglio nella condizione generale di crisi della fede che caratterizza il mondo secolarizzato i cristiani rischiano di dimenticare che. “La fede è un atto personale: è la libera risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio che si rivela”.
In questo contesto monsignor Fisichella ha sostenuto che “l'impegno della Chiesa per la nuova evangelizzazione non è un'aggiunta causata dalla situazione di crisi che essa sperimenta, ma esprime l'esigenza imprescindibile che ogni cristiano, vivendo appieno le esigenze del Battesimo, si senta chiamato a testimoniare la gioia e la bellezza dell'incontro con Cristo”.
Quindi, ha concluso il presidente del Pontificio Consiglio “La fede è la risposta del nostro amore all'amore di Cristo per tutti gli uomini” perché  è “solo l’amore a Dio, che genera l’amore per il prossimo” e questo può far nascere nel cuore del cristiano la spinta missionaria, che si riflette nel paolino: “l’amore di Cristo ci spinge…”.
In una postfazione non ancora pubblicata il prof. Lucio Fino, già decano della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli, Presidente del Movimento Ecclesiale di Impegno culturale, ha sottolineato il ruolo dei fedeli laici nella trasmissione della fede.
Facendo riferimento al documento conciliare “Apostolicam actuositatem” il prof. Fino spiega che la Chiesa tutta è chiamata a una grande sfida culturale, ovvero perché “non potrà più considerare la vocazione dei laici fondata soltanto sulla collaborazione alle attività interne delle parrocchie, dei decanati o di una diocesi, ma dovrà essere fortemente impegnata a sostenere la loro creatività e le loro iniziative per la missione della evangelizzazione”.
“Dovrà cioè favorire e valorizzare lo sviluppo delle diverse esperienze comunitarie - quelle dei movimenti, dei gruppi ecclesiali, dei cenacoli e delle associazioni - da considerare tutte come preziosi laboratori di laicità”.
Sul tema della Fede che si rafforza donandola, padre Buono attiverà un seminario accademico alla Pontificia Facoltà Teologica per l’Italia Meridionale, Sez. San Tommaso d’Aquino, a Napoli; terrà una lezione all’Istituto Superiore di Scienze  Religiose Mater Ecclesiae, dipendente dalla Pontificia Università San Tommaso D’Aquino di Roma, durante un Corso teologico-pastorale e altre lezioni e incontri in varie realtà in Italia e all’estero.

Maharashtra asked to ensure Christians' safety


The demand comes after a recent attack on a Christian prayer meeting.

Mumbai:  A Catholic forum has urged Maharashtra government to ensure safety of Christians in the state, particularly in the Sindhudurg region.
“Hindutva fundamentalists are hyperactive in the area, threatening Christians from attending prayer meetings,” said Joseph Dias, president of the Catholic Secular Forum (CSF).
In a report to state chief minister Prithviraj Chavan and Home Minister R R Patil, Dias expressed concern about the situation after he undertook a fact-finding tour of the coastal area in the wake of the Jan. 11 attack on 600 Christians attending a prayer meeting in Sawantwadi Municipal Hall by the New Life Grace Ministry Church.
Permission for the prayer was taken and police was also informed as the Christians were anticipating trouble.
In the middle of the worship a group of men barged into the hall and disrupted the prayer meeting.
“The Hinduva fundamentalists abused and threatened the Christian villagers. They then beat them up,” Dias said.
The CSF suspects that fundamentalists active in the Sanathan Sanstha and anti-minority political parties or forces are responsible for such communal disturbances.
Dias said that in view of the communally charged situation in the Sindudurg district, all prayer meetings are being held under police protection and need police permission, which is a gross violation of a Christian’s constitutional right to freedom of religion.
He alleged that police are mute spectators and at times even appear to have “colluded with the attackers.”

29 gennaio 2013

Borneo: istituto teologico aperto a religiosi e laici, per promuovere l’annuncio del Vangelo


A Pontianak nasce il San Giovanni della Croce, all’insegna del motto “Amare Dio e farlo amare”. Esso è un segno della ricchezza della Chiesa locale, dove la fede “porta frutti”. Sacerdote indonesiano: il mondo ha bisogno di testimonianze cristiane, dove Gesù sia “il centro della vita”. 

Jakarta - Un centro dove imparare ad "Amare Dio e farlo amare", come recita il suo motto, e un luogo dove approfondire le basi del Vangelo per adempiere all'opera di annuncio che è "compito di ciascun cristiano". Con questo spirito è nato in un quartiere di Pontianak, capoluogo della provincia indonesiana di Kalimantan Occidentale, sull'isola del Borneo, l'Istituto teologico e filosofico di San Giovanni della Croce, inaugurato nei giorni scorsi. Come riferisce ad AsiaNews p. Yohanes Indrakusuma, il centro è dedicato al religioso e poeta spagnolo del XVI secolo riformatore dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, perché è "al tempo stesso un teologo e Dottore della Chiesa".
Concluso l'iter dei lavori, l'istituto ha preso forma ed è stato inaugurato in via ufficiale il 12 gennaio scorso dall'arcivescovo di Pontianak. A questo, spiegano gli ideatori del progetto, si affiancheranno nel tempo altre strutture, fra cui in centro spirituale e di ricerca, dormitori e un convento per frati e suore. Esso rappresenta un segno della ricchezza della Chiesa indonesiana, dove la fede "è viva" e porta frutti" anche in un contesto a larga maggioranza islamica".
Nato nel 1938 in una piccola cittadina di East Java da una famiglia di origine cinese, p. Yohanes Indrakusuma ha compiuto studi di teologia a Roma e Parigi, dopo aver ricevuto l'ordinazione sacerdotale nel 1967. Attivo in diverse aree dell'arcipelago, egli è convinto che l'Istituto di teologia "eserciterà una grandissima influenza" sul futuro della Chiesa cattolica in Indonesia. L'obiettivo è quello di "formare persone con una fede profonda", che facciano di Gesù Cristo "il centro della loro vita, a prescindere dal fatto che siano sacerdoti, religiosi o laici attivi nella pastorale".
Il mondo ha bisogno di testimonianze cristiane, racconta p. Yohanes, capaci di ricordare a tutti che "Cristo è una presenza viva" e tocca tanto i laici, quanto preti e suore. "Abbiamo realizzato - conclude il sacerdote - che non solo preti e religiosi devono diventare uomini e donne di Dio, ma anche tutti i laici che verranno formati all'Istituto teologico di San Giovanni della Croce" perché possano diventare "davvero uomini e donne di Dio, che vivono nello Spirito Santo" e siano "strumento nelle Sue mani".
In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa sette milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione totale. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze, discriminazioni e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come nel caso della Yasmin Church a Bogor (West Java) o la Hkbp Filadelfia a Bekasi. Tuttavia, in diversi frangenti e aree i cattolici restano una parte attiva della società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze (cfr. AsiaNews18/01/2013 Jakarta, cattolici in aiuto alle vittime dell'alluvione). 

IL PAPA PREGA PER LE FAMIGLIE MIGRANTI E PER CHI SPERIMENTA GUERRE


Le intenzioni di Benedetto XVI per il mese di febbraio 2013

Città Del Vaticano - Il Pontefice propone ogni mese due intenzioni di preghiera, la prima generale e la seconda missionaria. 
Ecco le due intenzioni affidate da Benedetto XVI all’Apostolato della Preghiera per il mese di febbraio 2013, che inizia venerdì prossimo. 
L'intenzione generale dice: “Perché le famiglie migranti, in particolare le madri, siano sostenute ed accompagnate nelle loro difficoltà”. 
Quella missionaria invece afferma: “Perché le popolazioni che sperimentano guerre e conflitti possano essere protagoniste della costruzione di un avvenire di pace”. 


26 gennaio 2013


Siamo in festa con l’Australia, che celebra l’Australia Day. La Chiesa cattolica è suddivisa in 39 diocesi. I cattolici sono 5 milioni su una popolazione di 20 milioni.
Con l’India celebriamo la festa nazionale. La popolazione indiana è, in grande maggioranza, di religione induista (80,45%); i cristiani sono presenti con il 2,3% della popolazione.

(dall’Agenda Biblica e Missionaria – EMI)

25 gennaio 2013

Don Nur, il prete figlio (anche) dell'islam

Ieri a Domodossola ha pregato al funerale musulmano del padre Adel. In questa intervista a «Mondo e Missione» racconta la sua storia e la sua vocazione


È morto a Domodossola Adel Nassar, il padre di don Nur, il giovane sacerdote della diocesi di Novara figlio di un padre musulmano di origine egiziana e di una madre cattolica (ne abbiamo già parlato altre volte su questo sito). Come racconta in questo articolo il Corriere della Sera ieri al funerale islamico di Adel, tenutosi all'aperto perché la piccola sala del centro islamico non poteva contenere tutti, c'era ovviamente anche lui a pronunciare la propria preghiera. La testimonianza viva di un incontro possibile, frutto di una storia ben precisa di accoglienza reciproca.

Per questo riproponiamo a quanti hanno avuto modo di conoscere solo in queste ore chi è don Nur, l'intervista a lui realizzata da Chiara Zappa e pubblicata sul numero di novembre 2012 di Mondo e Missione. «Quando ripenso alla mia storia - diceva allora - mi rendo conto di che cosa significhi davvero l'espressione "tutto è grazia"».

Clicca qui per leggere il testo integrale dell'intervista

Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo...


Quel che il Signore esige da noi


 SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12,28a).

8° Giorno - Camminare insieme nella celebrazione. I testi biblici parlano in questo giorno di una celebrazione, non nel senso di celebrare un traguardo di successo, ma come segno di speranza in Dio e nella sua giustizia. In modo analogo, la ricorrenza della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è il nostro segno di speranza che l’unità sarà raggiunta nei tempi e con i mezzi di Dio.


Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.




24 gennaio 2013

Quel che il Signore esige da noi


SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12,28a).

7° Giorno - Camminare nella solidarietà. Camminare umilmente con Dio significa camminare in solidarietà con coloro che lottano per la giustizia e per la pace. Camminare nella solidarietà ha implicazioni non solo per il singolo credente, ma anche per la stessa natura e per la missione dell’intera comunità cristiana. La Chiesa è chiamata e resa capace di condividere la sofferenza di tutti, attraverso il sostegno e la cura dei poveri, dei bisognosi, degli emarginati. Questo è implicito nella nostra preghiera per l’unità dei cristiani.


Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.




23 gennaio 2013

Tamil Nadu, le suore salesiane tra le bambine ridotte in schiavitù


di Santos Digal

A Chennai la St. Joseph’s Special Care Home dà cibo, vestiti e un’educazione integrale a giovani tra i 4 e i 18 anni orfane, abbandonate o vittime di lavoro minorile. La storia di Rashmi, venduta come domestica a 6 anni, picchiata e abusata dal suo datore di lavoro. Nell’ostello attività sportive, giochi e gare di canto completano lo sviluppo delle ragazze, per dare loro “il miglior futuro possibile”.

Chennai - Dare una casa, cibo, vestiti, cure, educazione, ma anche momenti di gioco e attività sportive di vario tipo a bambine e ragazze vittime di abusi, orfane, o strappate al lavoro minorile in India. Un gruppo di suore Figlie di Maria Ausiliatrice (salesiane di don Bosco) combatte così lo sfruttamento delle donne indiane di domani. Nella St. Joseph's Special Care Home di Chennai (Tamil Nadu), otto religiose si prendono cura di 150 giovani tra i 4 e i 18 anni. Le ospiti giungono all'ostello attraverso le famiglie d'origine - troppo povere per poterle mantenere -, la polizia o un'ordinanza del giudice che le pone sotto "tutela dello Stato". La St. Joseph infatti è una struttura d'accoglienza riconosciuta dal governo.
Negli anni l'ostello ha accolto bambine e ragazze con storie e percorsi diversi l'una dall'altra. Una delle più emblematiche, racconta ad AsiaNews suor Clara, direttrice del centro, è quella di Rashmi, arrivata nel 2009. "Rashmi - ricorda la religiosa - aveva solo 6 anni quando è stata ridotta in schiavitù. La madre non sapeva come mantenere i suoi 10 figli, così l'ha venduta a un uomo d'affari di Chennai, che l'ha assunta come domestica. Per due anni la bambina ha cucinato, lavato e pulito la casa di quest'uomo, che a ogni errore o compito svolto male picchiava la piccola. Un giorno, alcuni vicini hanno sentito delle urla, hanno capito che Rashmi veniva maltrattata e abusata e hanno chiamato la polizia". Insieme agli agenti, le suore hanno salvato la piccola, portandola alla St. Joseph, mentre l'uomo è stato arrestato. "Nel giro di sei mesi - spiega suor Clara - Rashmi è sbocciata. Ha imparato a parlare tamil [prima parlava solo hindi, lingua del Rajashtan, da dove proveniva ndr], ha tanti amici, va a scuola e riceve una dieta salutare. Più di ogni altra cosa, riceve l'amore e le cure che merita".
Le ragazze del centro vanno a scuola negli istituti vicini: al momento, 56 sono alla St. Anne's High School; 15 alla St. Agnes Middle School; due al college; sei ricevono lezioni private. Le suore danno loro uniformi, zaini, libri e materiale di cancelleria. Se le ragazze hanno problemi, le religiose le salesiane le aiutano nei compiti. "Tutti i nostri sforzi - nota suor Clara - puntano a dare loro il miglior futuro possibile". È per questo che nell'ostello c'è spazio anche per i giochi e il divertimento: gare di canto, saggi di danza e mostre di pittura, gare scolastiche, oltre a momenti dedicati all'attività fisica, dalla corsa al tiro a segno. Inoltre, otto ragazze stanno imparando a cucire.
Un altro momento importante sono i corsi di formazione sui diritti umani, il traffico minorile e la violenza sessuale, per fare conoscere alle ragazze tali fenomeni e spiegare loro come combatterli. "Quella della St. Joseph - ribadisce suor Clara - è una famiglia, perché ci prendiamo cura di queste giovani donne con amore, pazienza e compassione. Grazie al contributo della gente, possiamo farle crescere con dignità, assistendole nella loro crescita in modo integrale".

ASIA/TERRASANTA - In tremila città di tutto il mondo, domenica la preghiera per la pace in Terra Santa


Roma - Domenica 27 gennaio, in tremila città di tutto il mondo si pregherà per la pace in Terra Santa nel contesto della V Giornata Internazionale di intercessione, promossa nel 2009 da alcune realtà giovanili cattoliche. Da anni "il popolo della Pace" fa suo l'invito del Santo Padre Benedetto XVI che continua ad incoraggiare gli sforzi di quanti si stanno impegnando per la pace. Il Papa incoraggia "ad adottare decisioni coraggiose in favore della pace e porre fine a un conflitto con ripercussioni negative in tutta la regione medio-orientale, travagliata da troppi scontri e bisognosa di pace e riconciliazione". La Giornata Internazionale di Intercessione per la Pace in Terra Santa, secondo gli organizzatori, "è diventata negli anni segno e stimolo per quanti vogliono davvero coltivare questo forte desiderio che nella Terra di Gesù regni quella pace e quella giustizia che può diventare segno di unità e crescita per tutto il mondo". Per aderire alla Giornata inviare una mail a ufficiostampa@papaboys.it comunicando la città, il nome della chiesa e l'orario della celebrazione.

Suore comboniane soccorrono 10mila profughi siriani nel deserto giordano

di Simone Cantarini

In fuga dalla guerra essi hanno percorso a piedi centinaia di chilometri e ora rischiano di morire di fame, sete e ustioni. I rifugiati sono soprattutto donne incinte e giovani madri. Il racconto di suor Alessandra Fumagalli, comboniana e direttrice dell'Ospedale italiano di Karak. Distante 150 km da Amman la clinica è l'unica in grado di fornire aiuto a queste persone. Suor Alessandra: "Noi vogliamo far sapere al mondo della loro esistenza che rischia di passare inosservata".

Città del Vaticano (AsiaNews) - "Migliaia di donne siriane incinte e madri con figli molto piccoli rischiano di morire di fame, sete e ustioni nell'area desertica a sud della Giordania. In fuga dalla Siria esse non hanno trovato posto nei campi regolari allestiti nel nord del Paese. Insieme ai loro figli, esse hanno attraversato a piedi il deserto". È il drammatico racconto di suor Alessandra Fumagalli, religiosa comboniana e direttrice dell'Ospedale italiano di Karak (circa 150 km dalla capitale), da mesi impegnata nell'assistenza a questi profughi dimenticati. Secondo la religiosa i rifugiati siriani nella regione di Karak sono oltre 10mila e hanno come unico punto di riferimento il poli-ambulatorio gestito dalle suore.
"L'area in cui si sono stanziati - afferma la religiosa ad AsiaNews - è troppo decentrata per usufruire degli aiuti di organizzazioni internazionali e del governo giordano, che coprono solo la parte nord del Paese. L'ospedale attrezzato più vicino è ad Amman. Per avere anche banali cure mediche alcuni dovrebbero percorrere oltre 300 km nel deserto. Per questa ragione si rivolgono al nostro centro, che però essendo un ente no-profit, ha bisogno di continue donazioni per far fronte a questa emergenza". "Noi - aggiunge la suora - vogliamo far sapere al mondo della loro esistenza che rischia di passare inosservata".
Molte delle donne che si rivolgono all'ospedale sono gravide e desiderano un luogo sicuro dover far nascere i loro bambini. Tuttavia, a causa della lunga traversata dalla Siria, la gran parte di esse ha problemi, anche gravi di salute. "Alcune sono costrette a partorire nel deserto - spiega suor Alessandra - e giungono da noi per curare e riabilitare questi bimbi, ma a volte è troppo tardi ed essi muoiono per disidratazione, denutrizione e ustioni provocate dal sole rovente del deserto". Per evitare queste situazioni il personale ospedaliero deve intervenire in modo tempestivo, recandosi a volte sul posto. Ma le risorse non sono sufficienti.
Fondato dal 1939, l'Ospedale italiano di Karak è l'unica clinica attrezzata della regione e dispone di circa 40 posti letto. Esso è sostenuto dalla Catholic Near East Welfare Association (Cnewa), la speciale agenzia vaticana per l'aiuto alle Chiese cattoliche e alle genti del Medio Oriente.
Nell'ospedale lavorano sei suore comboniane e 80 dipendenti. Il 90% di essi è di religione musulmana. "I rifugiati sono tutti di religione musulmana - racconta la religiosa - la zona di Karak, non è Amman, ma è abitata soprattutto da tribù di beduini, è inospitale e per questa gente, anche per i nostri dipendenti non è immediato aiutare in modo disinteressato chi soffre". In questi anni l'ospedale ha fatto diversi corsi di formazione per il personale, soprattutto sul piano etico e di assistenza al malato. "I nostri infermieri e medici hanno imparato che ogni vita vale - continua - per questa ragione la nostra clinica è divenuta uno dei punti di riferimento anche per la popolazione locale. Noi accogliamo chiunque ne faccia richiesta, senza alcuna distinzione. Qui la gente si sente accettata".
In una anno, circa 300mila siriani hanno varcato il confine con la Giordania. Il Paese ha risposto creando campi profughi attrezzati, sufficienti però per meno della metà delle persone. Secondo dati del governo, almeno 2mila profughi hanno attraversato la frontiera nelle ultime settimane.

Quel che il Signore esige da noi


SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12,28a).

6° Giorno - Camminare oltre le barriere. Camminare con Dio significa camminare oltre le barriere che dividono e feriscono i figli di Dio. Le letture bibliche di questo giorno citano i vari modi in cui vengono superate le barriere umane, e culminano nell’insegnamento dell’apostolo Paolo: “Con il battesimo infatti siete stati uniti a Cristo, e siete stati rivestiti di lui come di un abito nuovo. Non ha più alcuna importanza l’essere Ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna, perché uniti a Gesù Cristo tutti voi siete diventati un sol uomo” (Gal 3,28).


Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.




22 gennaio 2013

Obras Misionales Pontificias lanza el primer corto español de animación sobre la misión

Este domingo, Jornada de Infancia Misionera

(Omp).- Hoy, lunes 21 de enero, se estrena "Lo que el misionero da", una producción de dibujos animados que busca mostrar qué significa ser misionero. A las puertas de la celebración de la Jornada de Infancia Misionera -el próximo domingo 27 de enero-, Obras Misionales Pontificias ha elaborado este material para poder explicarle a un niño, a través de su lenguaje favorito, la labor evangelizadora de los misioneros.
¿Se puede explicar qué es la vocación misionera en dibujos animados? Así lo afirma D. Anastasio Gil, director de Obras Misionales Pontificias. "Se trata de un medio atemporal -afirma- para que los niños y adolescentes, sin olvidar a los adultos, puedan contemplar cómo el amor a los más necesitados es la ocasión para descubrir la vocación misionera y la causa de felicidad para transmitirla a los demás".
"Si quieres ser feliz, da", afirma una voz en off. "Si quieres ser completamente feliz, dalo todo. Pero si lo que quieres es elevarte hasta volar, pídele a Dios darte completamente siendo misionero", culmina esta voz. Es la conclusión de la historia del corto, protagonizado por un joven que vive en una gran ciudad.
En la primera escena, se presenta al protagonista cuando sale de un centro comercial cargado de objetos que acaba de comprar, de forma que casi no se puede mover. De camino a casa, se cruza con varios pobres que le piden ayuda, pero él continua adelante sin hacerles caso.
Su actitud cambia cuando pasa por un comedor social y cuando ve la labor de la parroquia con los pobres. Inmediatamente comienza a dar todas las cosas que había comprado, hasta quedarse con los bolsillos vacíos. Sólo cuando el joven lo ha dado todo, comienza a elevarse, como si volara. Ya no tiene ninguna carga que lo arrastre hacia el suelo. Llega hasta las nubes y desde allí ve una aldea africana y encuentra su vocación: ir allí a ayudar a los necesitados, y a llevar la Buena Noticia.
Con esta producción de animación, Obras Misionales Pontificias cierra la campaña de Infancia Misionera, que terminará el próximo domingo 27 de enero, a las10.30, con la celebración de la Santa Misa en el colegio Santísimo Sacramento (Arturo Soria, 208 Madrid), que será retransmitida por La 2 de Televisión Española. Este corto complementa la labor pedagógica con niños del vídeo institucional de este año, "Jesús, tierra de todos", centrado el trabajo de acogida con inmigrantes.




Quel che il Signore esige da noi


 SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12,28a).

5° Giorno - Camminare come amici di Gesù. Riflettiamo sulle immagini bibliche dell’amicizia e dell’amore umano come modelli dell’amore di Dio verso tutti. Comprendere noi stessi come diletti amici di Dio ha conseguenze sulle relazioni all’interno della comunità di Gesù. Nella Chiesa, comunità in cui tutti, in pari misura, sono i diletti amici di Gesù, ogni barriera di esclusione è incoerente.


Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.




21 gennaio 2013

Card. Vegliò: proteggere la dignità dei migranti


Parigi – “La fede cristiana chiede ai credenti di non considerare gli immigrati come delle merci, degli stranieri in situazione irregolare o delle semplici vittime, ma come degli esseri umani che hanno diritto a una considerazione complessiva dei loro bisogni e dei loro contributi specifici ed economici, sociali e culturali”. Lo ha detto sabato il card. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio dei Migranti e Itineranti, intervenendo a Parigi al colloquio “I cattolici e le migrazioni”. Il colloquio è stato organizzato dal Centro d’informazioni e studi sulle migrazioni internazionali (Ciemi), dal Servizio nazionale della pastorale dei migranti e dalla diocesi di Parigi. I dati: 214 milioni di migranti internazionali, circa il 3% della popolazione mondiale, un numero in costante crescita (nel 2005 erano 191 milioni) nonostante la crisi economica. Più di 740 milioni di persone che migrano all’interno dei rispettivi Paesi. Se si sommano le due cifre si tratta di un miliardo di persone, un settimo della popolazione mondiale. Per la Chiesa, ha sottolineato il presidente del Pontificio Consiglio durante l’incontro, “i diritti dell’uomo sono radicati nella persona”, per cui “l’appello alla solidarietà significa promuovere il riconoscimento dei diritti dei migranti a superare ogni discriminazione basata sull’etnicità, la cultura e la religione”. “La Chiesa - ha ribadito - è chiamata a essere il difensore fermo e servizievole dei diritti delle persone di spostarsi liberamente all’interno del loro Paese e, quando sono spinte da povertà, insicurezza e persecuzioni, di lasciare la loro casa per vivere dignitosamente”. In questo senso, “la Chiesa ha la responsabilità di assicurare che l’opinione pubblica sia correttamente informata sulle cause delle migrazioni”, deve “opporsi al razzismo, alla discriminazione e alla xenofobia dovunque e sempre, nel momento in cui si manifestano: all’interno delle proprie comunità, nei Paesi o nei continenti”. La solidarietà con gli immigrati, ha proseguito, “richiede che essi siano accompagnati e inclusi nel processo decisionale che inciderà e deciderà sull’orientamento delle loro vite. La solidarietà significa anche assumersi la responsabilità di chi si trova in situazioni penose”. Questa è la domanda di fondo a cui il card. Vegliò ha dato risposte. La principale è “l’incontro con Gesù Cristo, la strada verso la conversione, la comunione e la solidarietà”. Anche perché il volto delle migrazioni è cambiato, molti provengono dai Paesi africani, asiatici, medio-orientali o dall’Europa dell’Est, quindi “i cattolici non costituiscono più la maggioranza dei migranti”. “In questa situazione - ha detto - la Chiesa non si preoccupa solo di salvaguardare e promuovere l’impegno dei cattolici nella fede, ma anche di proclamare il Vangelo al più vasto numero di migranti che non hanno ancora mai sentito parlare di Cristo, come pure di rinnovare la proclamazione del Vangelo a chi ha perso il senso vivo del cristianesimo”. Per la Chiesa, ha sottolineato, “la migrazione non è solo un problema politico, ma una questione umana e morale fondamentale”: “I migranti non sono solo numeri per la Chiesa, ma nostri fratelli e sorelle, il nostro ‘prossimo’ come proclamato dal Vangelo”. “Essere il nostro prossimo non dipende dal luogo di nascita del migrante né dai documenti che possiede”; è perciò indispensabile “proteggere la dignità di ogni essere umano”. La Chiesa, ha affermato, “pensa che solo un sistema migratorio giusto permetterà agli immigrati di realizzare le loro aspirazioni fondamentali facendo, in questo modo, il bene di tutti. È il motivo per cui la Chiesa partecipa al dibattito sulla situazione attuale dei migranti e offre la sua assistenza per l’elaborazione di una legislazione giusta, che possa arricchire la vita dei nuovi arrivati e servire il bene della nazione di accoglienza”. Il processo d’integrazione, ha puntualizzato, ha però bisogno di “opportunità politiche, sociali ed economiche, ma anche della costruzione di un senso di comunità e valori condivisi”.

Medio oriente: 25 milioni di cattolici in sofferenza


È la cifra resa nota dal Cnewa (Catholic Near East Welfare Association) a Gerusalemme: povertà, guerra e persecuzioni mettono in ginocchio i cattolici di quell’area

MARCO TOSATTI
ROMA - Nel Vicino Oriente oltre 25 milioni di cattolici soffrono in condizioni di povertà, vittime di guerre e persecuzioni. E’ questa la cifra – impressionante – fornita da mons. John E. Kozar, segretario di Catholic Near East Welfare Association (Cnewa), l’ufficio del Papa che si occupa di offrire supporto pastorale ed umanitario alle Chiese e alle genti del Vicino Oriente durante una conferenza che si è svolta nei giorni scorsi presso la sede dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

“La maggior parte delle persone in Occidente conosce solo la Chiesa Latina. Si sa poco del ricco patrimonio e delle tradizioni delle Chiese Cattoliche Orientali. In molti casi, queste sono le Chiese più storiche e antiche che compongono la Chiesa Cattolica”, ha detto mons. Kozar. Egitto, Iraq, Israele, Giordania, Libano, Palestina e Siria ospitano cristiani; e li troviamo anche nella penisola araba, in Iran e in Turchia.  Ed è possibile trovare cristiani di rito orientale in luoghi come Eritrea, Etiopia e India. Ma sono Chiese “in grande sofferenza perché si trovano in aree di grande tensione, di guerra e d'ingiustizia, con annesse una serie di grandi difficoltà. E molti di questi cristiani cattolici sono fuggiti negli ultimi anni a causa delle persecuzioni, dell'instabilità economica e degli sconvolgimenti politici”.

CNEWA cerca di aiutare i cristiani che fuggono da persecuzioni, povertà, ingiustizie e conflitti che caratterizzano questa parte del mondo. In Siria offre prodotti alimentari di base, abbigliamento e un posto dove dormire per chi è costretto a fuggire dalla violenza della guerra civile. A Gaza CNEWA rafforza lo spirito della piccola e impaurita popolazione cristiana aiutando i religiosi che operano sul posto. In Giordania, una terra traboccante di rifugiati provenienti dall'Iraq e dalla Siria, CNEWA lavora nel campo della solidarietà.

Issam Bishara, Direttore regionale per Libano Siria ed Egitto, ha parlato di un luogo di rifugio a nord di Beirut, situato a lato di una collina che si affaccia sul Mediterraneo, un campo profughi chiamato Dbayeh. Dbayeh è uno dei 12 campi profughi in Libano. Ma Dbayeh è unico nel suo genere: è abitato solo da famiglie cristiane - circa 4.200 (quattromiladuecento) persone in totale - ed è l'unico campo profughi nel Paese dove è vietato introdurre armi da fuoco.

“Purtroppo, le famiglie che abitano nel campo di Dbayeh vivono ancora in condizioni difficili e possono contare solo su aiuti esterni per la loro sopravvivenza. Il governo nazionale ha grandi difficoltà a fornire aiuto, in particolare in questo momento dove il paese è sopraffatto da circa 160.000 (centossessantamila) nuovi rifugiati provenienti dalla vicina Siria”, ha dichiarato Bishara.

Mentre la guerra continua in Siria, centinaia di migliaia di profughi siriani hanno lasciato le loro case e le città. La maggior parte si sono stabiliti nei campi profughi in Turchia e Giordania, mentre le famiglie cristiane sfollate hanno trovato rifugio nelle città siriane costiere di Marmarita e Safita, nei villaggi della "Valle Cristiana" e in molte aree del Libano da familiari e amici. CNEWA ha creato un programma di emergenza per coordinare gli aiuti dei cattolici, specialmente verso quelle famiglie cristiane che non ricevono aiuti da parte dei benefattori internazionali, semplicemente perché vivono fuori da questi campi profughi. E, ha concluso Bishara, “ogni giorno i nostri collaboratori - vescovi, sacerdoti, suore e volontari - devono accogliere nuovi profughi da Siria e Iraq”.

E proprio da Siria e Iraq giungono a Karak, nel sud della Giordania profughi che hanno bisogno di assistenza medica. Suor Alessandra Fumagalli ha parlato del lavoro nell’Italian Hospital di Karak. Attivo dal 1939, l’unico ospedale cristiano nella zona. “Il nostro Ospedale è stato tra i primi a prestare cure mediche ai rifugiati: prima Palestinesi, poi Irakeni ad oggi presenti nel Paese e dallo scorso anno i Siriani. I campi profughi sono situati nel Nord del Paese e quindi i Siriani presenti al Sud, circa 10.000, non hanno facile accesso agli aiuti umanitari e sanitari”. Ma i bisogni di questa attività sono grandi e i mezzi pochi. Per questo Cnewa chiede a tutti un aiuto concreto per i cristiani del Medio Oriente. Per avere maggiori informazioni chi è interessato può scrivere a cnewaitalia@cnewa.org.

"Estamos llamados a un tiempo de gracia"


Protestantes, ortodoxos y católicos rezan unidos en el monasterio de Santa Clara de Valencia. Semana por la Unidad de los Cristianos

(AVAN).- Representantes de las confesiones luterana, anglicana y ortodoxa, así como fieles evangélicos en Valencia junto con grupos de católicos participan desde el viernes en la "Semana de Oración por la Unidad de los Cristianos", que se desarrollará hasta el próximo 25 de enero con oraciones en todos los templos de la archidiócesis valentina así como una peregrinación por los lugares vicentinos.
Las celebraciones ecuménicas han comenzado el viernes a las 20 horas, en la parroquia de Nuestra Señora de Tejeda de Valencia, en donde los fieles han proclamado un fragmento del evangelio y rezado oraciones de intercesión, y han proseguido la tarde-noche del sábado en el monasterio de Santa Clara de las religiosas clarisas en la avenida Pérez Galdós 119 de Valencia, ha añadido, según ha indicado hoy a la agencia AVAN Fernando Mañó, presidente de la comisión de Ecumenismo y Relaciones Interconfesionales del Arzobispado.
Las celebraciones continúan este domingo a las 13 horas, en el Centro Arrupe de Valencia y a las 19.30 horas en la parroquia de San Nicolás de Bari del Grao de Gandia. Igualmente, tendrán lugar actos ecuménicos el lunes 21 a las 19 horas en laiglesia ortodoxa rusa de San Jorge de Valencia; el martes 22 a las 19 horas en labasílica de San Vicente Ferrer de Valencia; el miércoles 23 en la iglesia evangélica de la Esperanza de Valencia a las 19.30 horas; el jueves 24 a las 20 horas en la parroquia de Nuestra Señora de Loreto de Xàbia y el viernes 25 a las 20 horas en laparroquia de san Leandro Obispo de Valencia.
Los actos de la Semana de Oración por la Unidad de los Cristianos que se realiza en todo el mundo promovida por la Santa Sede y el Consejo Mundial de Iglesias han sido organizados por la comisión diocesana de Relaciones Interconfesionales, con la colaboración del Centro Ecuménico Interconfesional de Valencia, el Oratori de Sant Felip Neri,la Asociación Ecuménica Internacional, el Centro Arrupe y las confesiones cristianas presentes en la diócesis. Durante esta semana "estamos invitados a vivir un tiempo de gracia, de oración común en nuestras comunidades", indica Fernando Mañó.

Quel che il Signore esige da noi


 SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12,28a).

4° Giorno - Camminare come figli della terra. La consapevolezza del nostro posto nella creazione di Dio ci avvicina, poiché ci rendiamo conto dell’interdipendenza fra noi e con la terra. Contemplando l’urgente appello alla salvaguardia ambientale e ad una condivisione giusta dei frutti
della terra, i cristiani sono chiamati a vivere una vita di testimonianza attiva, nello spirito dell’anno del giubileo.


Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.




20 gennaio 2013

Settimana per l'unità dei cristiani. Cammino di fede e di solidarietà


«La celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è un vero e forte segno di amore e di speranza, di aiuto spirituale e morale, e l’unità dei cristiani sarà un dono dello Spirito Santo» scrivono nella presentazione S.E. Mons. Mansueto Bianchi (Vescovo di Pistoia e Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo), il Pastore Massimo Aquilante (Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) e il Metropolita Gennadios (Arcivescovo Ortodosso d’Italia e di Malta ed Esarca per l’Europa Meridionale).
«Camminare umilmente con Dio – aggiungo, commentando il testo del profeta Michea che fa da filo conduttore alla Settimana di quest’anno – significa anzitutto camminare nella radicalità della Fede, come il nostro padre Abramo, camminare in solidarietà con coloro che lottano per la giustizia e la pace, e condividere la sofferenza di tutti, attraverso l’attenzione, la cura e il sostegno verso i bisognosi, i poveri e gli emarginati. Infatti, camminare con Dio significa camminare oltre le barriere, oltre l’odio, il razzismo e il nazionalismo che dividono e danneggiano i membri della Chiesa di Cristo».


Nacido para Evangelizar

Quel che il Signore esige da noi


SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12, 28a).

3° Giorno - Camminare verso la libertà. Siamo invitati a riconoscere gli sforzi delle comunità oppresse in tutto il globo, come i Dalits in India, mentre protestano contro tutto ciò che rende schiavo l’essere umano. Come cristiani impegnati verso un’unità sempre più ampia e condivisa, impariamo che eliminare ciò che separa le persone l’una dall’altra è un elemento essenziale della pienezza di vita e della libertà nello Spirito.


Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.




19 gennaio 2013

Suor Gemma CAPELLI

Carissime sorelle, il 15 gennaio 2013, nella Casa “Maria Ausiliatrice” di Clusone (Bergamo), il Signore ha introdotto nella gioia eterna del Paradiso la nostra cara sorella Suor Gemma CAPELLI. Nata a Almenno San Bartolomeo (Bergamo) il 20 settembre 1919. Professa a Casanova di Carmagnola (Torino) il 5 agosto 1943. Appartenente all’Ispettoria Lombarda “Sacra Famiglia” – Italia.
Almenno San Bartolomeo, territorio di notevoli bellezze naturali e artistiche, è la terra natale di suor Gemma. Cresce in una famiglia numerosa (cinque sorelle e tre fratelli), dove il sacrificio e il lavoro sono il pane quotidiano per cui, ancora giovanissima comincia a lavorare come operaia in una fabbrica tessile. Nulla sappiamo della sua vita di famiglia, ma quando entrò come postulante ad Arignano, all’età di 22 di anni, aveva già ricevuto una solida educazione cristiana e non trovò difficoltà ad inserirsi nel nuovo ambiente di spiritualità, di lavoro e di silenzio.
Dopo il periodo di formazione trascorso nel noviziato internazionale di Casanova (Torino), il 5 agosto 1943, fatta la professione religiosa, suor Gemma, viene destinata a Torino “Madre Mazzarello” come guardarobiera e refettoriera. Vi rimane due anni in attesa che venga accettata la sua domanda missionaria. La Francia diventa la sua “terra di missione” e nel 1946 parte per Lyon dove continua a donarsi nel lavoro di guardarobiera e di sacrestana.
Chi le vive accanto, a cominciare dalle consorelle, scopre in lei, la “Gemma” preziosa di cui porta il nome. Semplice, cordiale, silenziosa, sempre pronta a dare una mano nei momenti di bisogno, aperta all’ascolto. “Non bisticciava mai” dice una sorella, anzi sapeva prendere “in buona parte” qualsiasi osservazione.
Donna intelligente, acuta osservatrice, notava i bisogni delle sorelle e cercava di aiutare in silenzio e con delicatezza; chi poi si rivolgeva a lei per qualche richiesta, otteneva sempre un “sì” gentile che lasciava tanta gioia in cuore.
Nel 1965 viene nominata animatrice di comunità a Andresy, nella Regione di Île-de-France, ma vi rimane solo un anno perché nel 1967 è di nuovo trasferita a Les Pressoirs du Roi e, l’anno dopo, a Lyon, sempre come guardarobiera, fino al 1970.
Trasferita di nuovo a Sion nella regione dei Pirenei, suor Gemma per quattro anni si offre per collaborazioni varie all’interno della comunità. Le consorelle ricordano l’attenzione con cui preparava il refettorio o si prendeva cura degli ambienti: le persone erano sempre al primo posto. Tutto questo nasceva da un eccezionale spirito di sacrificio che le impediva di pensare a se stessa. La sua era una carità preveniente che non umiliava mai.
Nel 1974 viene nominata animatrice di comunità a Sion e, per un triennio, è esempio di bontà e di preghiera. La sua vita, dicono le consorelle, era tutta centrata nel Signore, per questo, tutto diveniva un gesto di amore.
Nel 1979 lascia la Francia e rientra in Italia. A Milano, in via Bonvesin de la Riva aiuta in guardaroba e poi è portinaia per due anni a Zoverallo e sei anni a Novate Milanese. Compiuti gli ottant’anni, si occupa in aiuti vari nella casa di Rho e nel 2006 la comunità di Clusone l’accoglie per un meritato riposo. Buona, semplice, lieta è la “Gemma” che continua a brillare di gentilezza e il Signore, che la trovò pronta, venne a prenderla improvvisamente durante il riposo pomeridiano.
Offriamo per lei la nostra riconoscente preghiera di suffragio.

L’Ispettrice
Suor Mariagrazia Curti

«Noi, cristiani rapiti a Damasco, salvati dalla nostra fede»


SIRIA. IL DRAMMA DEI SEQUESTRI
Le testimonianze riportate dal sito di un’ong francese: la paura, il coraggio, il rapporto con i sequestratori
GIORGIO BERNARDELLI
MILANO
  
Rapiti a scopo di estorsione nel caos totale della Damasco ormai sconvolta dalla guerra. Cristiani posti davanti al rischio concreto della morte, potendo contare solo sulla propria fede. È un altro spaccato terribile del conflitto siriano quello pubblicato dal sito dell'Oeuvre d'Orient, ong francese da decenni attiva nella solidarietà verso i cristiani d'Oriente e con molti legami nel Paese.
«Quella dei sequestri - scrive l'Oeuvre d'Orient - è una pratica che aumenta giorno dopo giorno, facendo crescere l'inquietudine tra le famiglie, gli amici, la parrocchia e la popolazione civile, anche nelle zone finora risparmiate dai combattimenti. Si ha paura di uscire di casa da soli anche solo per andare al lavoro, a scuola, in chiesa. Una volta rilasciate - aggiunge - le vittime di solito si rifugiano nel silenzio. Noi invece abbiamo potuto raccogliere qualche testimonianza discreta». 
I racconti sono introdotti solo da sigle, ma con indicazioni molto precise. B.T. - ad esempio - è un commerciante di legumi di 42 anni, rapito una sera fuori dal suo negozio. Oggi - racconta il sito - «non lascia più la chiesa, invita tutti al pentimento e alla meditazione della Sacra Scrittura, ha sempre il Rosario in mano». Anche G.S., 31 anni, racconta: «Sotto tortura ho avvertito quanto fossero preziose le sofferenze di Cristo Salvatore...». 
Dai racconti emerge che non tutti i rapitori sono uguali. A.G., 68 anni, catechista, racconta di essere addirittura riuscito a poco a poco a instaurare un dialogo con loro: «Mi ascoltavano parlare del Vangelo, dell'amore del prossimo, del perdono - riferisce - e alcuni prendevano appunti. Mi hanno parlato a loro volta dell'islam. Questo dialogo fraterno ha finito per avvicinarci». Un altro - vittima di un sequestro politico - dice di aver sentito i suoi sequestratori dire: «Noi non siamo terroristi, ma rivoluzionari che cercano la libertà e la democrazia, dovete comprenderci. Abbiamo sbagliato a combattere, abbiamo perso tutto per niente». 
C'è però anche chi - al contrario - durante il rapimento ha vissuto un'esperienza di una crudeltà inaudita, come assistere alla tortura del proprio figlio. «Ho capito la sofferenza della Vergine Maria davanti alla sofferenza di suo Figlio - racconta -. Nonostante la mia timidezza cronica, ho trovato le parole per difendere la croce e la mia fede, Maria mi ha sostenuto. Dite però ai cristiani che non c'è più posto in questo Paese e che devono partire». 
«Le nostre piccole comunità cristiane sono lacerate da un tira e molla doloroso tra il pericolo della morte e la vita di fede - commenta la fonte siriana che ha fatto giungere al sito francese queste testimonianze -. Tuttavia anche da questo calvario scaturiscono delle sorgenti di speranza. E da questo grande fuoco risorge la fede e il coraggio apostolico che si erano assopiti». 

Quel che il Signore esige da noi


SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

“Quale offerta porteremo al Signore, al Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli, di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati?
In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio.” (Michea 6, 6-8)

La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Lungo tutta la Settimana di preghiera per l’unità, i cristiani di tutto il mondo esplorano che cosa significhi, nella comunità ecumenica, praticare la giustizia, amare la benevolenza e camminare in umiltà con Dio. Questo tema è sviluppato attraverso gli otto giorni dalla metafora del cammino. Per le comunità Dalit il cammino verso la liberazione è inseparabile dal cammino verso l’unità. E perciò, in questa Settimana, il nostro cammino con i Dalits, e con tutti coloro che anelano alla giustizia, è parte integrante della preghiera per l’unità.

Gli otto temi della Settimana, si riferiscono a diversi modi di camminare, aiutandoci così a focalizzare le varie dimensioni di un autentico discepolato, che cammina nel sentiero della giustizia e che conduce alla vita (cfr. Prov 12,28a).

2° Giorno - Camminare come corpo di Cristo. Riconoscendo la solidarietà tra il Cristo crocefisso e le “persone lacerate” del mondo, come i Dalits, cerchiamo, come cristiani, di imparare insieme ad essere noi stessi parte di questa solidarietà in modo più profondo. Ci deve essere una relazione fra l’Eucaristia e la giustizia, e i cristiani sono invitati a scoprire modi concreti del vivere eucaristico nel mondo.



Ciò che Dio ci richiede oggi è di camminare nel sentiero della giustizia, della misericordia e dell’umiltà. Questo cammino di discepolato comporta di avviarsi nella via stretta del Regno di Dio, e non sulle autostrade degli imperi di oggi. Incamminarsi in questo sentiero di giustizia mette in conto la durezza della battaglia, l’isolamento che accompagna la protesta e il rischio insito nel resistere alle “autorità e potenze” (Ef 6,12). Ciò si verifica soprattutto quando coloro che parlano in nome della giustizia sono considerati come persone che creano problemi e distruggono la pace. In questa prospettiva dobbiamo comprendere che la pace e l’unità sono radicalmente attuate solo se si fondano nella giustizia.