Il Papa a Beirut parla di pace e
di dialogo, ma nel Sudan del nord i pochi cristiani sono costretti al silenzio
dopo gli attacchi dei fondamentalisti alle ambasciate tedesca, inglese e
americana
DAVIDE DEMICHELIS
KHARTOUM
Bocche cucite a Khartoum. I
cristiani preferiscono non fare commenti, non esporsi a ritorsioni da parte del
governo. Esprimere valutazioni sugli attacchi alle ambasciate tedesca, inglese
e americana, avventurarsi in congetture sui mandanti e gli esecutori, può
irritare la suscettibilità di politici e funzionari pubblici. E così, anche fra
i missionari, la parola d'ordine è: silenzio.
I cristiani ed i loro luoghi di
culto negli ultimi anni sono stati rispettati dalla popolazione, che al 95 per
cento è di religione islamica. “I manifestanti hanno attaccato le ambasciate,
non le chiese”, commenta un missionario, che chiede di non essere citato.
“Ancora una volta, secondo me, la religione è stata strumentalizzata. Io da
anni giro per le strade con il crocifisso al collo, eppure mai nessuno mi ha
insultato né attaccato”.
Ma allora chi potrebbe avere
armato la mano dei 10mila manifestanti? Negli ultimi anni la tensione in Sudan
è cresciuta, soprattutto a causa della crisi economica e delle divisioni con il
Sud Sudan, che ha proclamato l'indipendenza dal nord, il nove luglio dell'anno
scorso.
La gran parte dei cristiani
sudanesi proviene dal Sud. Molti erano emigrati a nord, ma sono dovuti tornare
nelle loro regioni natali dopo la separazione fra i due Stati. E così, nel
Sudan settentrionale, i cristiani sono notevolmente diminuiti: oggi sono fra il
quattro e il cinque per cento della popolazione.
Il generale Omar Al Bashir,
presidente e leader del Partito del Congresso, è a capo di questa dittatura
militare dal 1989. Un lungo periodo in cui sono cambiate molte cose. Fino a 15
anni fa il suo più stretto alleato era il politico e religioso Hassan al
Turabi, leader del Fonte Islamico Nazionale. Poi l'alleanza fra il presidente e
il religioso si è spezzata, fino a condurre il leader dei fondamentalisti
islamici sudanesi in prigione, era il 2004. Al Bashir ha continuato a governare
il Paese nonostante la condanna del Tribunale penale internazionale per i
crimini contro l'umanità di cui si è reso colpevole nella regione del Darfur,
(i soldati governativi hanno ucciso da 200 a 400mila persone). Il Presidente
non dovrebbe uscire dal Paese, per evitare di cadere nelle maglie della
giustizia internazionale. In Sudan però, non corre rischi.
Gli attacchi alle ambasciate dei
Paesi occidentali potrebbero causare gravi problemi al governo. Molti cristiani
però, temono che queste difficoltà possano contagiare anche i rapporti fra le
diverse confessioni religiose: “Speriamo di non piombare nuovamente nella
spirale del fondamentalismo islamico”, commenta un religioso. E chiede, anche
lui, di restare anonimo.
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