Il 30 agosto 2006 su Raitre nella
trasmissione “Il mio Novecento” il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo
di Milano dal 1980 al 2002, ha raccontato la sua vita. Intervistato al
Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme, il cardinale ha rivelato dettagli
inediti della sua vita, passando in filigrana il Novecento e commentando i suoi
più grandi avvenimenti: una lettura semplice e a tratti appassionante, che
spazia dai primi anni di vita fino agli anni più recenti, vissuti a cavallo tra
Milano e Gerusalemme.
Dalla trascrizione di quella
testimonianza abbiamo isolato due brani dove Martini, facendo riferimento
esplicito ai suoi contatti con i continenti e popoli extraeuropei, riflette sul
tema del dialogo con il diverso e sull’incontro con altre civiltà e culture.
Il dialogo
C’erano anche molte occasioni per
coltivare un dialogo interreligioso, anzitutto con gli ebrei, perché questa è
la prima realtà con la quale noi ci incontriamo come cristiani, lì vi troviamo
le nostre radici. Ed ebbi modo a Milano, dato che la comunità ebraica era molto
aperta, molto sensibile, di avere dialoghi di grande interesse e anche
iniziative comuni, spiegazioni comuni di parti della Scrittura. Naturalmente
tutto questo avveniva anche attraverso i viaggi, gli incontri con le diverse
comunità.
Il dialogo interreligioso poi si
sviluppò anche col mondo musulmano, soprattutto partecipando alle grandi
preghiere per la pace organizzate dalla comunità di Sant’Egidio in diverse
città d’Europa. Lì si incontrarono grandi rappresentanti del mondo musulmano
colto e ci furono dialoghi di grande interesse.
Poi col mondo dell’Oriente: lì
ebbi modo di conoscere sia la spiritualità indù, sia la spiritualità buddista.
Ricordo che una volta parlai a lungo con un vecchio monaco buddista in un
monastero, in un’isola vicino a Hong Kong. Alla fine mi disse: «Vede, noi
abbiamo un linguaggio diverso, praticamente opposto – lui parlava del nulla, io
parlavo della persona di Dio –, però in fondo diciamo le stesse cose». E mi
sembrava che fosse davvero un po’ così, cioè l’esperienza profonda era
abbastanza simile, pur essendo diversissime le parole e i concetti.
Incontro al mondo
Ho fatto molti viaggi
intercontinentali, soprattutto per predicare esercizi spirituali, ma anche per
incontrare culture e civiltà. Due li ricordo particolarmente: il viaggio in
Giappone e quello in India. Per quanto riguarda il viaggio in Giappone so che
mi dissero: «Quando comincerà a dire che non ci capisce niente, vuol dire che
ha cominciato a entrare un po’ nel mondo giapponese». Un altro mondo che mi
colpì moltissimo, questa volta davvero ebbi lo choc culturale, tanto da tornare
ammalato, fu l’India. Stetti 15 giorni in India, visitando diverse città,
cercando di entrare nelle diverse esperienze sia di preghiera, sia di povertà e
rimasi così sconvolto che a un certo punto mi ammalai.
Là tenevo dei corsi biblici, dei
corsi di esercizi spirituali, di lectio divina, e usavo sempre lo stesso
metodo, perché ritenevo che per la memorizzazione bisogna trovare un metodo
facile, in fondo è il metodo che insegna sant’Ignazio di Loyola nei suoi
esercizi. Chiamavo questo metodo, un metodo a tre gradini: lectio, meditatio,
contemplatio. Anzitutto la lectio. Io dicevo: bisogna leggere e rileggere il
testo, cercando di metterne in rilievo gli elementi importanti, la struttura,
le affinità, i contesti. Cioè rispondere alla domanda: che cosa dice questo
testo? Poi il secondo momento, la meditatio, cioè i valori del testo, i
messaggi del testo, rispondendo alla domanda: che cosa mi dice o ci dice oggi
questo testo? E terzo, la contemplatio, ossia: che cosa dico io a colui che mi
parla in questo testo? E qui inizia l’esercizio della preghiera,
dell’interrogazione, che fa sì che non sia una lezione accademica, ma sia un
esercizio in cui la persona è coinvolta nella preghiera, nell’adorazione, nella
lode, nel ringraziamento, nella richiesta di perdono, nella proposta di
cambiamento di vita. Ho visto come questo metodo semplice è stato capito da
molti. Non voglio dire che tantissimi l’abbiano messo in pratica, però almeno
hanno capito che era importante.
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