di Piero Gheddo
L'impegno verso "i lontani" e i non cristiani. L'attenzione alle esperienze delle giovani Chiese da cui imparare l'entusiasmo della fede. La vera sfida al cristianesimo viene non dal buddismo, ma dal secolarismo. I suoi dubbi sulla tenuta di una "moralità laica" senza il sostegno del cristianesimo.
Milano - Poche ore prima
che nel duomo di Milano si celebrino i funerali del card. Carlo Maria Martini,
p. Piero Gheddo ci presenta alcuni aspetti preziosi e poco noti della
personalità del defunto arcivescovo di Milano, che mostrano il suo cuore di
evangelizzatore e di profeta nel tentativo di annunciare il Cristo al mondo
secolarizzato e illuminista. In ciò egli ha anticipato i temi della "nuova
evangelizzazione" e dell'Anno della Fede lanciato da Benedetto XVI. Per
una strana manipolazione, proprio quel mondo liberal e illuminista, oggetto
della sua cura, ha fatto di tutto per mostrare un card. Martini dalla
"parte del mondo" e contro la Chiesa di Wojtyla e di Ratzinger.
Ancora in questi giorni si sta
manipolando la sua morte, mostrando questa grande figura di fede come un
propugnatore dell'eutanasia, avendo rifiutato l'accanimento terapeutico (cosa
che tutta la Chiesa rifiuta), o un sostenitore delle coppie di fatto. Il mondo
spesso usa la Chiesa per andare contro alla Chiesa. Ha avuto ragione papa
Benedetto XVI a liquidare le ideologiche contrapposizioni fra
"conservatori" e "progressisti", affermando che egli
""ha servito generosamente il Vangelo e la Chiesa".
L'arcivescovo di Milano
(1980-2002) Carlo Maria Martini è stato un grande della Chiesa cattolica del
nostro tempo, anche se non sempre la sua linea di pensiero e di pastorale è
stata compresa e per questo a volte contestata. Per capirlo bisogna partire da
una delle caratteristiche più evidenti in lui, ma non comuni nell'episcopato,
nel clero e nel Popolo di Dio dell'Occidente cristiano. Era convinto che chi ha
ricevuto da Dio il dono della fede deve spendersi per comunicarlo ad altri,
dialogare e coinvolgere quelli che ancora non conoscono Cristo o se ne sono
allontanati. Direi che è stato un profeta della missione e spiego perché.
All'inizio del suo episcopato, un
parroco della periferia sud-ovest di Milano mi invita a parlare ai fedeli per
prepararli alla visita del cardinale, alla quale poi ho partecipato. A pranzo
il vescovo chiede al parroco:
- Quanti abitanti hai nella tua
parrocchia? Circa 15mila risponde.
- E quanti vengono abitualmente
alle Messe domenicali? Più o meno 2mila.
- Per tutti gli altri, la
parrocchia cosa fa? Che iniziative avete per raggiungerli?".
- Il parroco risponde con una
battuta: "Eminenza, io e i miei due viceparroci, con le sette suore di due
comunità, ringraziamo il buon Dio che gli altri non vengono. Altrimenti, come
faremmo ad assisterli?". Poi mi diceva: "Sono stato in tre
parrocchie, ma non ho mai sentito il vescovo farmi questa domanda".
I santi e le Chiese di missione
Nel 1983 quando al mattino andavo
spesso in aereo a Roma (e tornavo nel pomeriggio) per incontri alla Cei su temi
missionari o per il "Comitato ecclesiale contro la fame nel mondo",
ero in coda per l'imbarco, quando mi sento chiamare. Era il card. Martini che
mi dice: "Vieni con me, così ci conosciamo meglio". Siamo saliti
sull'aereo passando da un'uscita riservata ai Vip e ci siamo seduti in posti
riservati. Dopo la preghiera personale col Breviario, rivolgo all'arcivescovo
una domanda, risponde brevemente e poi dice: "Parlami tu della tua vita di
missionario giornalista". Ho cominciato a parlare con entusiasmo
infervorandomi, tanto che Martini mi dice: "Perché ti scaldi tanto? Dimmi
con calma questo e quello,,,,". Ricordo questo fatto perché mi ha stupito
la capacità che aveva, lui che sembrava così freddo e distaccato, di dare
confidenza, di farmi sentire a mio agio; e poi anche la curiosità di conoscere
la mentalità dei missionari che vivono in culture e fra popoli così diversi dal
nostro; e cosa convince un pagano a convertirsi a Cristo e come avviene il
passaggio da una religione all'altra, ecc. Insomma, era l'opposto di come
immaginavo, lui faceva domande io rispondevo ed era veramente interessato al
primo annunzio e alle conversioni dei non cristiani che avvenivano e avvengono
nelle missioni.
Nel 1986 mi telefonano dalla
Curia per chiedermi se accetto di far parte del Consiglio pastorale diocesano
di Milano per i prossimi sei anni. Rispondo positivamente ma aggiungo: "Io
non so quasi nulla della diocesi di Milano. Ci vivo da molti anni, ma non seguo
la vita della diocesi essendo impegnato nel conoscere e descrivere il
mondo missionario". Poco dopo mi telefona il card. Martini: "Padre
Gheddo, ti metto io nel Consiglio affinché tu porti in diocesi la vita e le
voci delle missioni. Credo che abbiamo molto da imparare dalle giovani Chiese,
ma forse siamo poco attenti a questo. Nei vari temi di cui parliamo, penso che
tu abbia raccolto molti esempi e novità di vita che le Chiese fondate dai
missionari possono oggi dare a noi come stimolo per la nostra conversione al
Vangelo". Ho accettato e il Consiglio pastorale era una cosa seria. Si
fissavano in anticipo i temi e si discutevano prima negli incontri di decanato
e poi nell'incontro mensile del Consiglio stesso, dove si presentavano
interventi scritti, alla Villa Sacro Cuore di Triuggio, dal sabato pomeriggio
alla domenica dopo pranzo e portava facilmente il discorso verso la sua meta
preferita: come la diocesi ambrosiana annunzia Cristo ai non credenti?
Una volta il tema era l'oratorio e si discuteva di catechesi, disciplina,
rapporto prete e dirigenti laici, economia, organizzazione delle varie
iniziative. Il cardinale interviene per dire che anche l'oratorio è
un'"opera buona" della Chiesa e citava quanto disse Gesù parlando
della lampada che deve essere posta sul candelabro: "Così deve risplendere
la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e
rendano gloria al Padre che sta nei Cieli" (Matt. 5, 16).
Quando è morto il servo di Dio
missionario in Amazzonia Marcello Candia (31 agosto 1983), Martini l'aveva
visitato il giorno prima alla Clinica S. Pio X ed era rimasto impressionato
della sua sopportazione alla sofferenza atroce del cancro al fegato (Marcello
lo definirei "l'uomo della croce") e al funerale ha detto parole
commosse. Quando è uscita la biografia "Marcello dei Lebbrosi" l'ho
consegnata personalmente all'arcivescovo. Qualche mese dopo mi dice: "Ho
letto la biografia di Marcello Candia. Bravo, era veramente un santo! Ma sai il
capitolo che mi è piaciuto di più? Uno degli ultimi intitolato "Santo
nonostante se stesso", nel quale parli dei difetti di Marcello, della sua
natura non facile da viverci assieme, dei suoi scrupoli. Lo rendi un uomo come
gli altri, non un santo imbalsamato da nicchia. Grazie!". E poi è stato il
Cardinale Martini che ha appoggiato la proposta della sua causa di
beatificazione, senza il suo intervento forse non sarebbe iniziata. Ha
anche accolto volentieri la proposta di fare la Causa di beatificazione di
Clemente Vismara (in rogatorio per la diocesi di Kengtung in Birmania dove
padre Clemente ha lavorato 65 anni) e ultimamente ha approvato cordialmente per
scritto la proposta di iniziare la Causa di beatificazione di mons. Aristide
Pirovano (1915-1997), che era andato a trovare in Amazzonia
brasiliana.
Alla metà degli anni '80, Milano
aveva una giunta socialista in Comune. Gli ospedali e le cliniche cattolici
erano pesantemente penalizzati da controlli continui. Il direttore sanitario
della "Columbus", ospedale delle Suore della Madre Cabrini (di cui
ero aiutante del cappellano), dott. Pasquale Cotza, mi diceva: "Tutte le
settimane abbiamo controlli dei Carabinieri, della Polizia, dei Vigili del
fuoco, dei Nas. Ci fanno cambiare le porte e altre strutture, hanno dato
perfino una multa salata perché il pavimento della cucina è scivoloso. Se
facessero questi controlli a Niguarda, dovrebbero chiudere tutto
l'ospedale". Le suore, già in crisi di vocazioni, avevano intenzione di
vendere la Clinica e chiedono il parere al Cardinale, il quale viene a trovarle
e fa un discorso chiaro e forte (ero presente): "C'è un piano per
statalizzare gli ospedali cattolici, dobbiamo reagire. Sorelle, non cedete,
l'assistenza sanitaria cattolica ha un valore esemplare in città e ha una
grande tradizione". Le suore non hanno venduto solo grazie al sostegno dato
dall'arcivescovo.
I media missionari, il buddismo e
i non credenti
Quando invece ci siamo incontrati
a Tokyo in Giappone (1985 o 1986), in un intervento alla Sophia University dei
gesuiti si è scusato di non poter parlare in giapponese. L'ho seguito in vari
interventi e nella solenne visita alla Soka Gakkai, dove tra gli scenari
fantastici della scalinata d'accesso e del tempio, ho potuto scattare foto da
manifesto. Ricordo che diceva: "Il buddismo è interessante come il mondo
non cristiano al quale le missioni cattoliche annunziano Cristo, ma la sfida al
cristianesimo e alla Chiesa cattolica si gioca soprattutto di fronte alla
secolarizzazione, relativismo, individualismo e ateismo consumistico della
modernità".
Il 2 dicembre 1992, alla vigilia
di San Francesco Saverio, il card. Martini viene al Pime di Milano ad aprire
l'incontro dei missionari dell'istituto impegnati nei mass media in vari paesi.
Diceva che le lettere di San Francesco Saverio dall'Oriente erano capaci di
suscitare interesse e slancio per le missioni e ancor oggi, aggiungeva,
"hanno una forza comunicativa straordinaria". Poi rivoltosi a noi
chiedeva: «Noi vorremmo che la nostra stampa missionaria fosse sempre così,
cioè che avesse sempre questa forza comunicativa del Vangelo proprio attraverso
la comunicazione delle notizie sulla diffusione del Vangelo. In altre parole,
io credo che il popolo cristiano, leggendo le riviste missionarie, dovrebbero
poter esclamare: "Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi
che annuncia la pace"...Ora io chiedo a voi: ridateci questo stupore del
Vangelo, datelo alle nostre comunità, datelo non soltanto alle terre di
missione, ma anche a noi. Siate come san Francesco Saverio tramite fra le
Indie, le terre lontane e le terre d'Europa, perché questo stupore riscaldi il
cuore di tutti». Mai mi sono trovato in così perfetta sintonia col carissimo
arcivescovo.
Una delle iniziative più
significative del card. Martini è stata "La cattedra dei non
credenti" iniziata nel 1987: i non credenti (scienziati, filosofi,
studiosi, docenti universitari, giornalisti, ecc.) erano invitati a dialogare
con l'arcivescovo sulla condizione umana (il senso del dolore, orizzonti e
limiti della scienza, l'uomo di fronte al silenzio di Dio, rendiamo ragione
della nostra speranza, la preghiera di chi non crede, ecc.). Mi sono riletto il
volumetto "In cosa crede chi non crede?" [1]: il
dibattito tra Martini e Umberto Eco, a cui si sono aggiunte altre voci:
Emanuele Severino, Manlio Sgalambro. Eugenio Scalfari, Indro Montanelli,
Vittorio Foà, Claudio Martelli. Il tema centrale posto da Martini è questo:
"Quali ragioni dà del suo agire chi intende affermare e professare
princìpi morali che possano richiedere anche il sacrificio della vita, ma non
riconosce un Dio personale?"; "Dove trova il laico la luce del
bene?".
L'arcivescovo aggiunge: "So
che esistono persone che, pur senza credere in un Dio personale, sono giunte a
dare la vita per non deflettere dalle loro convinzioni morali. Ma non riesco a
comprendere quale giustificazione ultima diano del loro operare"; e
soprattutto come la "morale laica" possa risultare convincente per le
grandi masse umane. Insomma, "l'etica ha bisogno della verità" per
avere una fondazione ferma, sicura, che dà speranza anche al di là della morte;
e questa può essere solo trascendente, che supera l'uomo limitato, debole,
peccatore che tutti conosciamo e tutti siamo. Gli Autori citati rispondono con
testi ricchi di suggestioni filosofiche e culturali, a volte non facili da
seguire. Il discorso però rimane su un piano appunto filosofico-religioso.
L'"etica laica" può essere sostenuta con ragionamenti abbastanza
convincenti, ma i concetti espressi in questo libro andrebbero poi verificati
nella realtà dei fatti e soprattutto, come diceva Martini, non si riesce a
capire come la morale laica possa risultare convincente per le grandi masse
umane" (come invece è quella religiosa).
Il card. Martini, con il suo
spirito di apertura agli altri, è riuscito a conquistare la stima e
l'attenzione degli intellettuali e dei mass media più lontani dalla Chiesa.
Presentandosi nella Cattedra dei non credenti, Martini diceva che c'era in lui
il credente e il non credente, "che si interrogano a vicenda, che
rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l'uno all'altro; il non
credente che è in me inquieta il credente che in me e viceversa". I non
credenti ammiravano in lui il suo non giudicare nessuno e non polemizzare, il
non imporre nulla, il suo impegno civile e sociale. La sua era una fede che
"si è fatta prossimo", non un "vogliamoci bene perché questo
solo è importante". No, la fede di Martini era fermissima e chiara, ma
anche aperta alla ricerca del dialogo e del confronto con le ragioni degli
altri.
Non voleva una fede addormentata,
una vita cristiana abitudinaria che conta poco nella vita. Voleva una fede che
non lascia tranquillo il cristiano ma lo mette di fronte ai non credenti e
quindi ad interrogarsi se la propria vita rende testimonianza a Cristo, se è
una luce che risplende e riscalda e illumina, oppure una fiammella di candela
vacillante o un lievito che non sa di niente. La presenza dei non credenti
vicini a noi, nella nostra stessa famiglia e società, deve interrogarci sui
motivi della nostra speranza e sulla forza della nostra fede. Anche questo è spirito
missionario.
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