di Piero Gheddo
La pista per la Nuova Evangelizzazione è già aperta, ma il cammino per
una "Chiesa dialogante" è ancora lungo. Non c'è alcuna rottura fra
Francesco, Benedetto, Giovanni Paolo I e II, Paolo VI, ecc., ma Francesco porta
la novità del metodo missionario.
Milano - Paolo VI e il Concilio
hanno lanciato il dialogo interreligioso con il Decreto "Nostra
Aetate" e l'enciclica "Ecclesiam suam" (1964), due documenti da
riprendere per leggerli e studiarli in riferimento non solo alle missioni (dove
la Chiesa dialoga con le grandi religioni), ma al nostro Occidente cristiano,
per la Nuova evangelizzazione, che vuol riportare alla fede e alla vita
cristiana i moltissimi battezzati che in chiesa non ci vengono più.
L'"Ecclesiam Suam" presenta la Chiesa e la missione in una luce
diversa da quanto noi immaginiamo:
1) Nella visione tradizionale la
Chiesa ha il pieno possesso della Verità, i missionari sono mandati a tutti gli
uomini per annunziare e convertire a Cristo. E' una visione giusta ma statica,
non dinamica.
2) Per Paolo VI la Chiesa è in
cammino per raggiungere la pienezza della Verità, che noi uomini non conosciamo
mai fino in fondo, perché Dio supera infinitamente la nostra mente e il nostro
cuore. Nel corso dei secoli, lo Spirito Santo guida la Chiesa a fare passi in
avanti verso la piena comprensione della Parola di Dio e del Vangelo.
3) Ecco il significato della
"missione alle genti" e dell'annunzio, che non è un’imposizione o una
proclamazione, ma un dialogo con l'altro, per capirlo e farsi capire, per
testimoniargli con la nostra vita e trasmettergli con la nostra povera parola
la fede che salva; ma nel tempo stesso, ascoltarlo per conoscere i "semi
del Verbo" che Dio ha messo in tutti gli uomini e conoscere i suoi valori
religiosi e umani che il suo popolo e la sua civiltà hanno maturato. La
missione non è solo un dare, ma un dare e un ricevere nel dialogo fraterno.
Tutto questo ha origine nella
Trinità stessa, che salva l'umanità attraverso il "dialogo della
salvezza" ("colloquium salutis"). Per Paolo VI il dialogo
è un sinonimo di missione. Nel confronto e dialogo con i membri delle religioni
non cristiane l’Ecclesiam suam afferma: "Noi non possiamo evidentemente
condividere queste varie espressioni religiose", tuttavia non si può non
avere per loro il "rispettoso riconoscimento dei valori spirituali e
morali" che posseggono e occorre collaborare con esse "negli ideali
che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza
umana, della buona cultura".
Nell'enciclica il dialogo è lo
strumento attraverso il quale giungere insieme tra i dialoganti ad una più
profonda comprensione della Parola di Dio. Per Paolo VI, il dialogo della
Chiesa significa una totale e continua apertura a chiunque sia disposto ad
ascoltare il messaggio di Cristo; è la natura stessa della Chiesa, nata per
evangelizzare tutti gli uomini e le culture, che deve entrare in dialogo, cioè
nel "colloquium salutis" (dialogo della salvezza), con tutti gli
uomini.
Ho riletto l'Ecclesiam suam con
crescente ammirazione per Paolo VI, che parla del dialogo con le grandi
religioni, ma anche del "dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno"
(n. 15), cioè con i non credenti, gli agnostici, gli atei, che sono soprattutto
nell'Occidente un tempo "cristiano"; e poi delinea le virtù
necessarie, le modalità, lo spirito del dialogo su temi religiosi. Leggendo
l'Ecclesiam suam, pensavo a Papa Francesco, che sta realizzando l'insegnamento
di PaoloVI e del Concilio, finora poco recepiti nella Chiesa. Questa la
provvidenziale novità di Francesco, che vuole "una Chiesa
dialogante". L’Ecclesiam suam scrive: "La Chiesa deve venire a
dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa
si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio" (n. 67). E il mondo,
"ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, bisogna accostarlo e
parlargli. Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
affinché sia salvato per mezzo di lui (Giov. 3, 17)" (nn. 70, 71).
"La Chiesa può rapportarsi
col mondo rilevando i suoi mali, anatematizzandoli e muovendo crociate contro
di essi" (n. 80); ma oggi ci vuole il dialogo, "suggerito
dall'abitudine ormai diffusa di così concepire le relazioni fra il sacro e il
profano, dal dinamismo trasformatore della società moderna, dal pluralismo
delle sue manifestazioni, nonché dalla maturità dell'uomo, sia religioso che
non religioso, fatto abile dall'educazione civile a pensare, a parlare, a
trattare con dignità di dialogo" (n. 80)... Questa forma di rapporto
indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di
chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed
abituale" (n. 81). "Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie
che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo
stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari, spingendo il
nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le
sue ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio
di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle
opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro
insegnamento e ci darà merito per la fatica d'averlo esposto all'altrui
obiezione, all'altrui lenta assimilazione" (n. 86).
L'enciclica di Paolo VI è
profonda e profetica. Ci sono passaggi significativi: "Non si salva il
mondo dal di fuori" dice il Papa e cita Gesù che si è fatto uomo per
salvarci, partecipando alla vita degli uomini del suo tempo; così chi
evangelizza deve "condividere, senza porre distanza di privilegi o
diaframma di linguaggio incomprensibile... Bisogna, ancor prima di parlare,
ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto
possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli
degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e
maestri. Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo
dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l'esempio e il precetto che
Cristo ci lasciò" (n. 59).
E poi parla dei rischi del
dialogo... "L'arte dell'apostolato è rischiosa. La sollecitudine di
accostare i fratelli non deve tradursi in un’attenuazione, in una diminuzione
della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto
all'impegno verso la nostra fede. L'apostolato non può transigere con un
compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono
qualificare la nostra professione cristiana. L'irenismo e il sincretismo sono
in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola
di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di
Cristo può essere efficacemente apostolo" (n. 91). "E solo chi vive
in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di
errori con cui viene a contatto" (n. 92).
Oggi è tramontata "l'epoca
della cristianità", quando fede e civiltà, Chiesa e Stato, mondo religioso
e mondo laico erano strettamente collegati e collaboravano. Oggi la Chiesa vive
in un mondo secolarizzato, con cristiani la cui fede è vacillante e quelli che
si dichiarano senza religione: in Polonia sono il 9,3%, in Italia il 14-15%
(circa 10 milioni!), in Spagna il 19,5%, in Germania il 21%, in Francia il 27%,
in Inghilterra il 31%! Anch'essi sono creati da Dio e redenti da Cristo;
anch'essi vanno evangelizzati e hanno dei valori morali e spirituali.
La pista per la Nuova
Evangelizzazione è già aperta, ma il cammino per una "Chiesa
dialogante" è ancora lungo. Il "dialogo della salvezza" vale
anche per le diocesi e parrocchie della nostra Italia. Ma finora si va avanti
col faticoso tran-tran tradizionale di scarsa apertura e dialogo con chi è
fuori del gregge di Cristo, anche perché i preti, come diceva un parroco di
Milano al card. Martini: "Ringrazio il cielo che vengono in chiesa solo il
15% dei miei parrocchiani, perché se venissero tutti, mi sarebbe impossibile
portare avanti la mia parrocchia". Ma la missione della Chiesa non
riguarda solo i preti e le suore. Papa Francesco insiste nel dire che vuole
"una Chiesa missionaria" e questo, come nelle missioni, riguarda
tutti i battezzati credenti e praticanti! Ecco la "rivoluzione" che
il Concilio e i Papi propongono e che Francesco porta alla ribalta nel suo modo
simpatico ed esplosivo.
I nostri vescovi dicono e
scrivono spesso che "abbiamo molto da imparare dalla Chiesa
missionaria", però sono dichiarazioni che non trovano applicazioni
concrete nella pastorale ordinaria di diocesi e parrocchie. Adesso arriva dalle
missioni Papa Francesco che in modo del tutto imprevisto spiazza tutti col suo
modo di agire e di parlare e conquista i cuori, anche di molti non
cristiani. Non c'è alcuna rottura fra Francesco, Benedetto, Giovanni Paolo
I e II, Paolo VI, ecc., ma Francesco porta la novità del metodo
missionario. Nel nostro mondo post-cristiano dove, mi dicono parroci e
viceparroci, che circa la metà dei giovani non sanno più nemmeno il Padre
Nostro e l'Ave Maria, Papa Francesco è mandato dallo Spirito Santo, porta la
Chiesa a livello della gente comune, parla a braccio (a rischio di dire anche
cose poco esatte!) e provoca gli ascoltatori, dice che il Padre è
misericordioso e perdona tutti, che vuole "una Chiesa povera per i
poveri", spariglia le carte e conquista i cuori. Insomma a me pare che sia
all'inizio di un cammino che cambierà il volto della Chiesa, casa di tutti e
per tutti. Non sappiamo come, non sappiamo dove andrà a finire, non sappiamo
niente. Noi ci fidiamo dello Spirito Santo, che ha preso Jorge Mario Bergoglio
"dalla fine del mondo" e l'ha mandato nelle nostre antiche Chiese
d'Europa quasi come una sfida al nostro modo di concepire la parrocchia, la
pastorale e la vita cristiana. Papa Francesco è davvero provvidenziale. Ho
avuto grandi esperienze missionarie in ogni parte del mondo e ho toccato con
mano quanto le vie di Dio sono diverse dalle nostre! A noi credenti spetta
pregare, dare buon esempio, seguire con amore Papa Francesco e fidarci dello Spirito
Santo. Certamente anche facendo le nostre osservazioni, ma senza accanimento
critico, senza dividere il "Corpo mistico di Cristo", senza diminuire
l'ondata benefica che questo Papa sta seminando anche nel mondo non
cristiano: una cordiale attenzione e simpatia per Cristo e la sua Chiesa.
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