SAN BENEDETTO DEL TRONTO –
Durante il Convegno Fides Vita abbiamo avuto la possibilità di avvicinare e
intervistare Paul Bhatti, Ministro pakistano per l’Armonia Nazionale e
fratello di Shahbaz Bhatti, vittima dell’odio anticristiano.
Vorrei iniziare questa intervista ricordando suo fratello Shabaz
Bhatti, l’uomo politico che ha pagato col sangue la difesa delle minoranze
religiose in Pakistan. Anche se la Chiesa non lo ha ancora ufficialmente
riconosciuto come tale, egli è a tutti gli effetti un martire dei nostri
giorni.
Perdere un fratello deve essere stato drammatico per lei. La fede le ha
portato conforto, è riuscita a darle consolazione?
ShahBaz era mio fratello minore e ha dato una testimonianza molto forte. Noi crediamo, come è evidente nelle sue dichiarazioni e anche nella la sua lotta, che lui è a tutti gli effetti è martire. Il Vaticano lo ha conosciuto come tale anche se la procedura legale richiede un determinato tempo e un particolare percorso prima di un riconoscimento ufficiale. Dopo l’assassinio di mio fratello ho incontrato il Papa e lui mi ha fatto le condoglianze e mi ha subito detto che considerava Shahbaz come un martire. Perciò noi, insieme con la chiesa, siamo convinti che egli abbia vissuto il suo sacrificio come un martire. Per me chiaramente ci sono due aspetti: da una parte, come fratello col quale avevo un legame affettuoso molto forte, è stato molto scioccante, molto molto triste perché per me oltre che un fratello era un amico e sapevo che stava portando avanti un lavoro importante. D’altra parte quando oggi vedo che lui, con la sua testimonianza, ha trasmesso un messaggio a tutto mi faccio coraggio e lo ricordo con onore.
Quali erano i sentimenti di suo fratello mentre ricopriva l’incarico di
ministro per le minoranze etniche? Era sereno o consapevole dei rischi ai quali
andava incontro?
Lui parlava molto di dialogo interreligioso e oltre al dialogo cercava di attuare una relazione interreligiosa in modo tale da far convivere le diversità e questo è particolarmente difficile in una parte del mondo dove regnano l’estremismo, il fanatismo, il terrorismo e la violenza. Un conto è essere un politico e dare testimonianza in occidente e un conto è esserlo dove sai benissimo che da un momento all’altro ti possono sparare. Nonostante questo Shahbaz ha avuto coraggio, si è impegnato con convinzione per perseguire la pace e lo ha fatto senza mai nascondere la sua fede cristiana.
Il dialogo interreligioso è portato avanti solo dai cattolici oppure è
un cammino condiviso anche dagli altri gruppi religiosi?
Ora c’è una certa condivisione ma l’iniziativa è partita dai cattolici e particolarmente da mio fratello. Poi hanno aderito molti musulmani moderati. Come cattolici abbiamo cercato di creare un tavolo per intraprendere il dialogo interreligioso ed ora molti sono musulmani, indù, buddisti, sik e membri di altre comunità religiose minoritarie che si sono seduti ad esso.
Il Papa ha ricordato in più di una circostanza il sacrificio di suo
fratello. La voce del Santo Padre giunge in Pakistan ed è di sostegno alla
comunità cattolica lì presente?
Certo. Sicuramente il Papa è una
voce importante e una parola detta da lui infonde forza ai cristiani.
Specialmente quando il Papa ha parlato di mio fratello e del suo martirio, ciò
è stato di molto aiuto per la nostra famiglia e per tutta la comunità cristiana.
Uno dei valori fondamentali dell’occidente è la tolleranza. L’uomo
europeo la dà per scontata, ma purtroppo non è così in tutte le parti del
mondo. In Pakistan per esempio i cristiani vivono fra molte difficoltà. Ci può
descrivere quali sono le maggiori sofferenze che i nostri fratelli nella fede
devono affrontare?
In Pakistan attualmente i cristiani vivono una situazione molto difficile perché tutto il paese è instabile: oltre ad aver avuto 2 guerre con l’India, l’invasione sovietica, ora il nostro paese lotta contro il terrorismo insieme agli occidentali. In questo clima instabile sono nati alcuni gruppi estremisti che nelle scuole fanno il lavaggio del cervello ai bambini che imparano così una ideologia anticristiana. Di conseguenza si è formato in una parte della popolazione, non tutta, un forte odio verso i cristiani. Quando c’è un malinteso fra due persone, se una è musulmana e l’altra cristiana, quest’ultima si sente debole. In alcuni casi addirittura sono stati bruciati dei villaggi, e alcuni cristiani sono stati arsi vivi. Tutto questo accede perché ci sono generazioni cresciute nell’odio.
Quali sono i rapporti fra il Pakistan e l’Italia? Ricevete dal nostro
paese qualche aiuto nel campo della tutela della libertà religiosa?
Sì, direi che ci sono buoni rapporti anche perché avendo vissuto per molti anni in Italia, vengo considerato dal vostro Paese più italiano che pakistano! Rapporti abbastanza profondi, prima del governo Monti avevo ottimi rapporti col ministro degli affari esteri Frattini, uno dei ministri più vicini a mio fratello. Frattini è andato in Paskistan a trovare mio fratello un paio di volte. Siamo anche andati insieme in Francia in un convegno con tutti i ministri degli affari esteri europei. Quando vado in Parlamento ho un accoglienza molto notevole. Anche con l’attuale ministro siamo in buone comunicazioni. Anche se purtroppo l’Italia sta attraversando momenti difficili, il governo italiano è comunque vicino.
I cristiani pakistani si sentono abbandonati dall’occidente?
Questa è una bella domanda ed è molto complesso rispondere perché da una parte i cristiani vorrebbero essere appoggiati dall’occidente e da un lato questo darebbe un certo supporto e incoraggiamento; dall’altro è controproducente poiché i cristiani del Pakistan prima di tutto si devono sentire pakistani e non occidentali. Quando per qualsiasi cosa l’occidente interviene allora ciò può acuire la divisione. Noi col dialogo interreligioso vogliamo che il Pakistan sia un paese dove le diversità riescano a vivere insieme. Le influenze dall’esterno non sono molto positive come per esempio nel caso di Asia Bibi: nonostante tutte le pressioni internazionali, non si è ancora riuscita a liberarla. Io ho fatto un appello affinché non si parli di Asia Bibi come di una causa dell’occidente perché magari col silenzio si può risolvere la questione a livello locale.
La situazione sta migliorando? Quali sono le più importanti iniziative
che Lei in qualità di ministro per l’armonia nazionale ha preso?
La situazione sta migliorando nonostante si sentono a volte notizie scoraggianti. In una società come quella pakistana ci vuole un po’ di tempo. Stiamo promuovendo il dialogo interreligioso ma anche la convivenza interreligiosa. Il ministero e la mia associazione hanno creato dei comitati formati dagli imam delle scuole religiose musulmane, dai vescovi cristiani e dai capi delle altre comunità religiose. Tutti insieme ci incontriamo e discutiamo su come intraprendere concretamente la via della pace. Io ho l’autorità di fare delle leggi sulla tolleranza religiosa, ma prima di emanare una legge ne parlo con questo comitato perché sia una legge il più possibile condivisa. Sto organizzando un convegno internazionale sul dialogo interreligioso in gennaio e abbiamo invitato esponenti del mondo occidentale e del mondo arabo. Dall’Italia verranno alcuni ministri come l’Onorevole Riccardi, il ministro degli affari esteri. Ci saranno poi leader religiosi musulmani importanti che si siederanno al tavolo con noi per formulare delle proposte per ridurre l’intolleranza in Pakistan.
I leader musulmani pakistani prendono posizione in favore dei cristiani
quando vengono ingiustamente perseguitati?
Sì ci sono capi religiosi che prendono le difese dei cristiani, ora stanno addirittura aumentando. Recentemente abbiamo avuto il caso di una bambina, Rimsha, accusata di blasfemia. Ho seguito personalmente questo caso e ho contattato i leader musulmani per chiedere la loro collaborazione. Molti fedeli musulmani si stavano preparando a perseguitare i cristiani, ma i loro capi mi hanno ascoltato e il loro intervento ha scongiurato il peggio.
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