Roma - Che città è quella in cui
è costretto a vivere chi fugge dal proprio Paese? Con quali occhi un rifugiato
vede la città che lo ospita e che, allo stesso tempo, gli è estranea, spesso
ostile? Sono questi gli interrogativi che hanno dato vita alla mostra
fotografica "Punto di fuga. Roma vista dalla prospettiva di chi chiede
asilo", inaugurata il 18 giugno dall'associazione "Liberi
Nantes" (www.liberinantes.org) e realizzata in vista delle celebrazioni per
la Giornata mondiale del rifugiato (20 giugno). Un'occasione per conoscere il
punto di vista dei rifugiati, ma anche di guardare con occhi nuovi la nostra
città, sempre più "chiamata a migliorare la propria capacità di
accoglienza e di ascolto interculturale".
"Non è la luce che manca al
nostro sguardo, è il nostro sguardo che manca di luce. Le foto sono come i
fiori: ognuna ha una propria bellezza, si apre e si rivela in un modo e con un
ritmo proprio. Più comprendiamo le cose più il nostro universo si
allarga". È questa la didascalia che accompagna una delle foto in mostra,
e realizzata da una ragazza africana di 22 anni. Lo sguardo di un ambulante al
mercato, un gruppo di suore che attraversa compatto la strada, l'interno
affollato di una gelateria, la propria ombra sull'asfalto, un viaggiatore
addormentato nella metropolitana, la fermata dell'autobus, il Colosseo. Sono
alcune delle immagini che le ragazze-fotografe hanno voluto immortalare della
loro nuova città. È in questo modo che hanno voluto raccontare loro stesse, il
loro rapporto con Roma, fatto di quotidianità, come l'attesa dell'autobus o i
viaggi in metropolitana, ma anche di straordinarietà e stupore. Uno sguardo in
bilico tra il rifiuto e la curiosità, tra la necessità e la scoperta. "È una
città diversa quella che vede un migrante forzato - si legge in uno dei
pannelli che illustrano le fotografie -. Un itinerario complesso tra avvocati,
questura, centri di accoglienza, ospedali, mense. Le strade e i vicoli delle
nostre città diventano una mappa dei bisogni e delle emergenze". Un luogo
estraneo e sconosciuto, eppure condiviso.
La mostra è frutto di un
laboratorio fotografico promosso da "Liberi Nantes", associazione
sportiva dilettantistica che riunisce ragazzi rifugiati, patrocinato e finanziato
dalla Provincia di Roma, che ha coinvolto alcune delle ospiti della "Casa
di Giorgia" - Centro Astalli, luogo di accoglienza per donne rifugiate. Il
progetto è stato realizzato grazie al supporto tecnico e artistico di
"Shoot 4 Change", un network internazionale non profit di fotografi
professionisti e amatoriali, che realizza reportage su eventi con finalità
sociali.
"Il laboratorio è durato
circa un mese - racconta Nicoletta Di Tanno, una delle fotografe del network -
nel corso del quale le ragazze ci hanno portati in giro per Roma, in luoghi da
loro scelti perché conosciuti, familiari, o al contrario perché sconosciuti.
Per molte di loro è stato un modo per aprirsi, dato che non escono volentieri
dal Centro e non sono sempre disposte a parlare della loro condizione, di
quello che hanno passato". Il linguaggio diretto della fotografia ha
permesso a queste donne di esprimersi "superando ogni barriera, da quella
linguistica a quella sociale".
"Volevamo che le ragazze
avessero la possibilità di darci una loro visione del mondo, in particolare
della città che le ospita", dice Marisa Bini, una delle operatrici della
"Casa di Giorgia" - Centro Astalli. Il progetto rientra nel quadro
delle attività realizzate dal Centro, le quali mirano a far conoscere la città
alle donne che sono state costrette a raggiungere il nostro Paese, così da
"sentirsi più sicure, più a proprio agio", meno "ospiti".
"Per questo - continua Bini - tendiamo a portare all'esterno del Centro
tutte le attività, fuori dai circuiti dell'assistenza e lontano dalla rete dei
connazionali. In questo modo le aiutiamo a ricomporre una quotidianità in cui
emergano le singole personalità". Attualmente la "Casa di
Giorgia" ospita 31 donne e 2 nuclei mono-familiari, provenienti in prevalenza
dall'Africa. Dopo un anno le donne devono lasciare il Centro, trovare una casa,
un lavoro, e iniziare una vita autonoma verso "la difficile strada
dell'integrazione". (M. Fallani – SIR ITALIA)
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