(Samir Khalil Samir - http://www.asianews.it) - In Egitto e altrove i nuovi tentativi democratici rischiano il fallimento a
causa dell’enorme povertà, l’ignoranza, il fondamentalismo. L’occidente non può
solo stare a guardare o fare da gendarme. Occorre intervenire nell’economia,
l’educazione, in opere comuni fra cristiani e musulmani per mostrare che la
convivenza è possibile.
Roma
(AsiaNews) - Molti media mostrano una forte preoccupazione e pessimismo nei
confronti delle rivoluzioni arabe, mettendo in luce anche i pericoli che i
cristiani corrono in questi Paesi. C’è timore che gruppi salafiti e integralisti
islamici prendano il potere o influenzino la politica, mettendo a repentaglio
la vita dei cristiani. La primavera araba interpella l’oriente e anche
l’occidente.
Una
“primavera” con un ideale, ma senza partito
La
mia impressione, guardando soprattutto all’Egitto, è che questa primavera è
vera, reale e mostra che un desiderio di cambiamento verso democrazia e libertà
è diffuso nella popolazione.
In
Siria e in Libia vediamo perfino che vi sono persone pronte a dare la vita per
questo ideale. È poi incontestabile il fatto che questi movimenti hanno una
base locale, non sono manipolati dall’estero.
Ma
vi è un altro aspetto: questi movimenti, non essendo un partito organizzato, ma
piuttosto un ideale di vita, una volta espresso il loro grido, non sono capaci
di trasformare questo desiderio in un progetto politico. Allora interviene il
movimento contrario, di coloro che non vogliono un cambiamento radicale, o
alcun cambiamento tout court.
Il
primo rischio della primavera araba è che i partiti organizzati vincano le
elezioni: il partito che era al potere con Mubarak; o i partiti islamici,
soprattutto i Fratelli musulmani, che hanno cambiato nome e sono stati
riconosciuti; oppure il nuovo partito, riconosciuto, quello dei salafiti, il
movimento islamico più estremista.
La
rivoluzione di piazza Tahrir è reale: cristiani e musulmani hanno lavorato mano
nella mano e questo è il desiderio della maggioranza della popolazione. Ma come
trasformare questo desiderio in una politica statale?
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