L’Europa, o meglio, l’intero mondo occidentale, sta chiudendo sempre più i suoi confini, quasi rifiutando quella globalizzazione che pure ha costruito. Cosa può fare il cristianesimo per offrire un contributo così da invertire questa tendenza?
La sfida è quella di scoprire lo straniero come un fratello o una sorella. Per fare questo dobbiamo riconoscere che la globalizzazione è sia una benedizione sia una maledizione. Ci mette in contatto con l’intera umanità. Apre le nostre menti. Papa Benedetto ha scritto molto efficacemente riguardo al fatto che questa nuova connettività possibile attraverso il web rinvii anche alla nostra connessione in Cristo. Ma, contemporaneamente, essa è anche fonte di disgregazione e mina alla radice le comunità locali. In Gran Bretagna, forse meno in Italia, finisce talvolta per sovvertire il senso di appartenere a qualche luogo, alimentando il rifiuto degli immigrati.
La Chiesa ha qualcosa di meraviglioso da offrire: è l’istituzione più globale che sia mai esistita ed è collegata all’umanità dell’intero mondo, ma è anche l’istituzione più locale che esista poiché, quasi ovunque, si articola in una parrocchia locale, o è legata a una comunità religiosa locale o un monastero. La Chiesa è un posto dove è possibile appartenere a livello locale. E così la Chiesa dovrebbe aiutare le persone ad avere una forte identità locale, radicata nelle tradizioni e nella lingua di un luogo ben preciso ma, al contempo, avere anche un’identità globale, a proprio agio nell’accogliere lo straniero.
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